La vecchia Chiesa

Storia della Parrocchia come risulta dai documenti e dalle visite pastorali

SOMMARIO

Introduzione

 

Potrebbe sembrare inutile un lavoro di ricerca su una chiesa del suburbio fiorentino pressoché sconosciuta, ma la chiesa di San Bartolomeo in Tuto a Scandicci, come del resto tante altre, è un’antica istituzione che risale agli ultimi anni del primo millennio ed ha quindi tanto da "raccontare" perché evidenzia , in modo del tutto peculiare, due importanti periodi della storia della Chiesa Cattolica: il periodo della grande riforma monastica dell’XI sec. in cui nasce, per opera dei monaci riformati, il primitivo cenobio di San Bartolomeo in Tuto e il "tempo" del Concilio Vaticano II dal cui impulso la parrocchia di San Bartolo riprende vita, ne è segno visibile la costruzione della nuova chiesa.

Dai primi due capitoli si ricavano notizie essenziali sulle origini della nostra chiesa e sulle prime visite pastorali, ma la parte fondamentale della tesi è basata sull’esame del periodo compreso fra i primi anni del ‘900 fino ai nostri giorni, perché più numerosi ed interessanti sono i documenti pervenutici. Tra questi il "Cronicon" parrocchiale, compilato dai vari parroci in carica, che ci fornisce in ordine cronologico (anche se vi sono alcune interruzioni), ricche e a volte colorite documentazioni di avvenimenti ed episodi sulla vita della parrocchia. Altra fonte ampia e preziosa di informazioni sono le risposte dei parroci ai Questionari inviati dal Vescovo in occasione delle ripetute visite pastorali, che ci forniscono notizie non solo sui vari aspetti della vita religiosa dell’epoca, ma anche indicazioni più generali sulla vita sociale e civile della parrocchia.

La finalità di questo lavoro è mirata ad evidenziare quanto sia stata importante ed efficace l’azione svolta dal Concilio Vaticano II che ha progressivamente spinto la Chiesa intera verso una "nuova evangelizzazione" ben lontana e diversa dalla precedente "pastorale conservativa". Sulla base di questa nuova concezione pastorale la Chiesa ha ritenuto necessaria e urgente un’opera di rievangelizzazione, tale da segnare un superamento dei limiti del passato: i parrocchiani venivano considerati già tutti cristiani e le missioni erano perciò rivolte quasi esclusivamente ai "lontani"; la nuova pastorale invece punta con urgenza a portare il vangelo proprio alla nostra società ormai sempre più scristianizzata.

 

TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI

 

 

AAF Archivio Arcivescovile fiorentino

ABASF Archivio della Soprint. Beni Artistici e Storici. FI

APSBT Archivio Parrocchiale di San Bartolomeo in Tuto

ASF Archivio di Stato di Firenze

VP Verbale Visita Pastorale

VPD Visita Pastorale Documenti

VPQ Visita Pastorale Questionario

 

Brevi cenni storici sull’origine di San Bartolomeo in Tuto a Scandicci

San Bartolomeo in Tuto, alla lettera "al riparo- al sicuro", dove "tutus" poteva significare una sicurezza dalle frequenti inondazioni dell’Arno, oppure al sicuro, al riparo, per la vicinanza del Castello che sorgeva sulla soprastante collinetta, l’attuale "Scandicci Alto".

Il castello di Scandicci con l’annessa corte, era di patronato della contessa Willa, madre del conte Ugo, margravio di Toscana, figlio di Uberto che a sua volta era figlio naturale di Ugo di Provenza, re d’Italia. Uberto ebbe dal re Berengario la marca di Toscana che alla sua morte nel 967 passò al figlio.

Non conosciamo con esattezza la data di edificazione della chiesa di San Bartolomeo in Tuto.

Un primo dato certo l’abbiamo in un diploma del 29 giugno 1061, dove espressamente la Badia Fiorentina nomina un Diplomatico di suo gradimento presso la "dipendenza" di San Bartolomeo a Scandicci. Da ciò si deduce con evidenza, come la nostra chiesa sia strettamente legata alla storia della Badia Fiorentina.

Santa Maria nella Badia Fiorentina, o più semplicemente conosciuta dai fiorentini come la "Badia Fiorentina", fu fondata dalla contessa Willa di Toscana, come appare dall’atto di fondazione datato 31 maggio 978, anche se il patrono eminente della badia appare poi suo figlio Ugo che continuò a beneficiare la suddetta badia di cospicue donazioni. Per questo i monaci benedettini e poi i vari presbiteri succedutisi fino ai nostri giorni continuano a perpetuarne la memoria con solenni esequie per la festa di San Tommaso, data della morte del conte Ugo avvenuta il 21 dicembre del 1001 a Pistoia, dove secondo la tradizione si era recato per sedare un tumulto cittadino. Il suo cadavere fu portato a Firenze e tumulato nella chiesa della Badia. Dante nel Paradiso al XVI canto ricorda il marchese Ugo quando, per bocca di Cacciaguida, annovera le più antiche famiglie fiorentine:

" ciascun che della bella insegna porta

del gran Barone il cui nome e ‘l cui pregio

la festa di Tommaso riconforta…"

Ma torniamo a quell’atto del 31 maggio 978. La contessa Willa, stando in Pisa, assegnò fra gli altri beni, alla Badia Fiorentina la sua Corte ad Greve cum castello, qui dicitur Scandicio, et cum ecclesia seu cum triginta mansis… È quindi certa la donazione ai monaci benedettini della Badia Fiorentina dell’attuale Chiesa di Santa Maria a Greve, con un territorio di circa 30 mansi (1 manso toscano oscillava tra gli otto e i dodici ettari) e in questo territorio rientra il sito della Chiesa di San Bartolo; le due Chiese distano non più di trecento metri l’una dall’altra.

Il Davidsohn attribuisce la fondazione del monastero della Badia allo zelo della Contessa Willa e poi di suo figlio Ugo, verso la riforma monastica " gli incitamenti del più celebre eremita del tempo, Romualdo, seppero destare nel margravio Ugo e in sua madre Willa un acceso desiderio di fondare e dotare conventi."

Né Ugo, né sua madre si riservano mai diritti sulle nomine degli Abati o sui redditi dei monasteri da loro fondati, questo è testimoniato dalle varie carte di fondazione. Non è quindi fantasia o leggenda sostenere l’adesione di Ugo alla Riforma monastica. In linea di massima non privilegia e favorisce vecchi monasteri, ma i nuovi, che si ispirano al rigorismo religioso e morale di San Romualdo col quale Ugo è in relazione e al quale invia una cospicua somma per il restauro di un suo monastero.

I monasteri fondati dal marchese Ugo sono tradizionalmente sette, ma quelli documentati sono: il monastero di Marturi (Poggibonsi) cui fu preposto come abate San Bonino, seguace di Romualdo; San Michele sulla Rocca della Verruca (Pisa); San Gennaro in Capolona sull’Arno (Arezzo); si aggiungano le donazioni fatte alla Badia di Firenze.

San Pier Damiani, sebbene non contemporaneo del marchese Ugo (nacque sei anni dopo la morte di lui) ci ha lasciato un’ampia biografia di questo munifico signore, anche se un po’ infiorettata, non certo menzognera. Può essere certamente che Pier Damiani segua un poco il topos del perfetto principe cristiano e idealizzi la figura del marchese, ma lo stesso alone di ammirazione che suscitò nei contemporanei e poi nei posteri non poteva nascere senza un fondamento di verità.

Sempre prima del Mille era sorto per generosità dei conti Cadolingi, la più potente famiglia comitale dei dintorni di Firenze, nella pianura di Settimo a circa tre chilometri dall’attuale San Bartolomeo in Tuto, un Cenobio dedicato al Salvatore e affidato ai Cistercensi,i quali daranno vita ad un’organizzazione grandiosa: la Badia a Settimo.

Forse è in questo periodo che sorge la primitiva costruzione di San Bartolomeo in Tuto, luogo probabile di ritiro e meditazione, un Cenobio posto logisticamente al centro della pianura che separava la Badia a Settimo da Sant’Alessandro a Giogoli e da Santa Maria a Marignolle, tutte istituzioni benedettine.

Dal Cronicon parrocchiale si rileva comunque come non sia conosciuto con esattezza l’anno di erezione, ma "risulta come le Chiese di San Martino e di San Bartolo a Scandicci, esistevano molto prima del 1000".

In un Diploma del 1072 la nostra chiesa appare con la denominazione di "San Bartolomeo e San Giovanni Battista"e secondo il Carocci i conti Cadolingi la donavano alla Badia Fiorentina, mentre dal 1200 è ricordata con quella attuale di San Bartolomeo in Tuto.

Si hanno notizie di altre nomine di preti a San Bartolo il 15 gennaio 1105 e il 13 febbraio del 1320.

Il Lami riporta anche la "notizia" di un catalogo delle chiese della Diocesi di Firenze, redatto nell’anno 1299, dal quale non risultavano censite, nel popolo di Sant’Alessandro a Giogoli, tre Chiese: Sant’Andrea a Mosciano, San Quirico a Marignolle e San Bartolomeo in Tuto.

Dopo questa citazione diretta, dal punto di vista cronologico, si hanno cenni indiretti, in quanto la nostra chiesa, da sempre una dipendenza della Badia Fiorentina, ne segue la storia e le vicissitudini e si staccherà definitivamente dalla Badia solamente il 20 aprile 1782.

San Bartolomeo in Tuto, possesso dell’Abate e dei monaci della Badia Fiorentina, è retta o dagli stessi religiosi o da Parroci da loro scelti fra il clero diocesano. I popolani, approfittando del sistema dei monaci che ascoltavano il loro parere, talvolta si rifiutavano di obbedire ai rettori della chiesa; questo forse provocò l’annessione completa della Chiesa al Monastero.

Dal Cronicon parrocchiale con l’aiuto dei documenti delle Visite Pastorali e consultando il vecchio e nuovo "Campione" di campagna, ricaviamo la lista dei "Diplomatici della Badia" e dei Parroci che hanno guidato nel tempo, fino ai nostri giorni, la Parrocchia di San Bartolomeo.

La Chiesa fu elevata a Prioria nel 1784.

 

Dall’ APSBT (Cronicon, vol I) e dall’ AAF (vecchio e nuovo Campione di campagna), e in più da notizie ricavate dai documenti delle Visite Pastorali, si può ricostruire, quasi al completo, la lista dei parroci di San Bartolo, che si sono succeduti nel tempo:

  • Diplomatico della Badia ………………….. 29 giugno 1061
  • Diplomatico della Badia ………………….. 15 gennaio 1105
  • Diplomatico della Badia ………………….. 13 febbraio 1320
  • Prete Donato fu Vanni ……………………. 24 luglio1348
  • Prete Ranieri di Jacopo……………………. 14 giugno 1368
  • Prete Gherardo di Bartolo ………………… 3 marzo 1429
  • Prete Luca di Donato ……………………...1437
  • Prete Francesco di Jacopo ………………….. 1445
  • Prete Giovanni di Bastiano…………………. 1452
  • Prete Silvestro di Bibbiena ………………… 1462 – 1470
  • Prete Gregorio De Epifani ………………… 1470
  • Prete Andrea di Giovanni …………………. 1501
  • Dalla Visita Pastorale del 1514 si ha la seguente notizia: "e qui risiede un prete secolare"
  • Prete Francesco di Bartolomeo …………… 9 agosto 1543
  • Prete Giovan Battista Bezi (?) è presente alla VP del 1575
  • Prete Romolo di Firenze …………………. 1593
  • Don Antonio De’ Luzi ……………………. 1643
  • Don Floriano Serantoni …………………… 1655
  • Prete Francesco Raffaelli …………………. 20 gennaio 1670
  • Prete Giuseppe di Valerio dei Teatini è presente alla VP del 1685
  • Don Zanobi Michelucci …………………… 25 gennaio 1709 – 12 gennaio 1728
  • Don Anselmo Pelliccioni ………………… . in "economia" dopo la morte del Michelucci
  • Don Giuseppe Maria Nardi ……………….. 31 gennaio 1718 – 1728 dal Cronicon risulta che nel documento della sua investitura " dovrà sempre stare attento a non pregiudicare o lasciar pregiudicare le giurisdizioni della Badia, dalla Curia Fiorentina". Appaiono ancora ricorrenti i tentativi di ingerenza della Curia verso l’Ordine Benedettino.
  • Prete Andrea Burchi ………………………. 12 febbraio 1729
  • Don Giovanni Battista Linder …………….. 1759 – 1768
  • Don Lorenzo Scalini da Faenza …………… 3 marzo 1769
  • Don Gaetano Bambi, investito il ……………28 giugno 1794
  • Sac. Ferdinando Pistoi …………………… + 1831
  • Rettore Don Vincenzo Luti ……………….. 7 novembre 1831
  • Don Giovanni Checchi ……………………. 25 ottobre 1836 – 4 dicembre 1864
  • Don … Rossi, come si ricava dalla testimonianza di don Ceri (APSBT, VPQ 1932)
  • " Economia " cioè sede vacante fino al 1919, ma nel frattempo si ha notizia di Gaetano Massai, Vicario Spirituale, che è già presente alla VP del 1885, poi a quella del 1901 e dal 21 al 23 novembre 1905 partecipa al Sinodo Diocesano indetto dal Vescovo di Firenze, Alfonso Maria Mistrangelo.
  • Don Raffaello Ceri ………………………… 16 ottobre 1919 – 29 febbraio 1936
  • Don Paolo Jancourt ………………………… 20 novembre 1936 – 16 dicembre 1949
  • Don Giuseppe Salvadori …………………… 1 gennaio 1950 – 31 dicembre 1973
  • Don Piero Paciscopi ……………………… .. 1 gennaio 1974 – 30 ottobre 1990
  • Don Marco Calamandrei …………………… 31 ottobre 1990

D.LAMBERINI, Scandicci. Itinerari storico artistici nei dintorni di Firenze, Firenze 1990, pagg.33-37.

 

Notizie sulle prime Visite pastorali a San Bartolo

 

Diamo adesso alcuni cenni sulle prime visite pastorali alla Parrocchia di San Bartolomeo, appartenente al Piviere di S. Alessandro a Giogoli.

Le visite pastorali del Vescovo alle chiese, oratori, confraternite, monasteri, ospedali ecc. della sua diocesi, diventano una prassi costante dopo il Concilio di Trento. Nella nostra Diocesi, come in altre, abbiamo notizie documentate di tali visite fin dal 1383, quando il vescovo Angiolo Acciaioli dette incarico al suo Vicario Generale di visitare alcuni monasteri della città e del suburbio e quindi tale visita non riguardò le parrocchie e tantomeno la nostra.

I documenti delle visite pastorali sono una fonte storica scritta di grande importanza, soprattutto per gli studi sulla vita religiosa locale e su aspetti particolari della Chiesa locale, dei suoi membri, della loro vita religiosa, dell’impostazione pastorale dei vari vescovi…

Dalle descrizioni riportate dai Verbali, ma soprattutto dai Questionari delle visite successive, si possono avere informazioni, più o meno dettagliate, circa la situazione e l’atteggiamento del clero in cura d’anime, la condizione e la pratica religiosa del popolo, la situazione patrimoniale del beneficio ecclesiastico e si hanno anche notizie riguardanti la società civile in generale, non fosse altro per i cosiddetti "stati d’anime" che sono stati i predecessori degli attuali Registri Anagrafici.

Occorre precisare che i Verbali e poi i Questionari delle Visite Pastorali, offrono quasi sempre il punto di vista dell’autorità ecclesiastica in quanto sono l’espletamento formale del compito di ogni Vescovo, di verifica e controllo, circa la vita religiosa dei fedeli e i compiti pastorali del clero diocesano. Ho detto "quasi sempre" perché nell’ultima Visita Pastorale del 1985 si abbandona l’idea del Questionario al quale risponde il solo Parroco e si adotta sempre un Questionario, ma coinvolgente un più alto numero di laici possibile.

La documentazione non è sempre omogenea: di ogni Visita Pastorale non possediamo sempre lo stesso tipo di materiale. Il documento più ricorrente è il "Verbale notarile"(che nel nostro caso spesso registra semplicemente l’avvenuta visita al Piviere di Giogoli e quindi alla nostra Parrocchia), ma questo scompare agli inizi del ‘900 e viene sostituito dal Questionario.

Qui di seguito, un elenco di visite pastorali che hanno interessato la nostra parrocchia, in ordine cronologico e indicante il nome dell’Arcivescovo in carica con a fianco il periodo di possesso della diocesi, il possibile suo collaboratore, l’anno della visita ed eventuali notizie ricavate dai documenti conservati nell’Archivio storico diocesano.

  1. MEDICI Giulio De’ (1513-1523). Eletto Papa col nome di Clemente VII il 19 novembre 1523. Con la collaborazione di Pietro Andrea Gammaro da Casal Bolognese, Vicario Generale dal 1514 al 1523, furono visitate alcune chiese di città e pivieri, fra questi ultimi anche quello di S. Alessandro a Giogoli. San Bartolomeo in Tuto fu visitata nel 1514, come ricaviamo dal Verbale di Visita "Visitammo la Parrocchia di San Bartolomeo in Tutto (!) che è in perpetuo unita all’Abbazia fiorentina; qui risiede un Sacerdote presbitero secolare…" e passa poi a registrare le varie rendite.
  2. ALTOVITI Antonio (1548-1573). Nel 1568 Mons. Altoviti intraprese la Visita pastorale a tutta la Diocesi. Dal 24 aprile di quell’anno fino al 1 ottobre 1569 visitò le chiese di campagna e quindi anche la nostra: " Visitammo la Parrocchia di San Bartolomeo in Tuto che è unita all’Abbazia Fiorentina… vedemmo il ciborio sopra l’altare maggiore, che è in legno e la cui chiave è da argentare…" Seguono le rendite della Parrocchia.
  3. BINNARINI Alfonso, Vescovo di Camerino e Delegato Apostolico. Visita Apostolica. Fra il 1575 e il 1576, il Binnarini, effettuò una Visita Apostolica completa, di tutte le chiese della Diocesi, mentre era Vescovo di Firenze Alessandro de’ Medici. Le chiese di campagna furono visitate dal 14 giugno 1575 al 16 maggio 1576. "Lo stesso giorno ( 23 giugno 1575) visitammo la Chiesa di San Bartolomeo in Tuto, unita all’Abbazia Fiorentina, dell’Ordine di San Benedetto, Cappellano è Giovan Battista Bezi, della diocesi di Luni. Per prima cosa ho visitato la custodia del SS.mo Sacramento, poi…". Non si parla di rendite.
  4. MEDICI Alessandro D’Ottaviano De’(1574-1605). Eletto Papa il 4 marzo 1605 col nome di Leone XI. Visita tutta la diocesi, dal 1589 al 1592 dà incarico a Paolo Ceccarelli, canonico della cattedrale di Pistoia e Cancelliere della Curia Arcivescovile di Firenze, di visitare tutte le chiese di campagna. Nel libro dei Verbali di detta visita troviamo: " Chiesa parrocchiale di San Bartolomeo, detta di San Bartolo in tutto (!), Piviere di S. Alessandro a Giogoli, annessa alla Abbazia Fiorentina, in cura a Prete Romolo da Firenze, … argentare la chiave del ciborio ligneo, ricoprire internamente con seta il tabernacolo degli oli sacri…" e passa poi in rassegna i vari altari, le reliquie, i vasi sacri.
  5. MARZI MEDICI Alessandro (1605-1630). Nel 1616 visita le chiese di campagna con la collaborazione dei canonici Vincenzo da Rabatta e Vincenzo Rondinelli, ma agli atti non risulta la visita della nostra chiesa. Una nuova visita completa alle chiese di campagna venne intraprese in diversi periodi dal 3 maggio 1626 al 17 ottobre 1629. A svolgere la visita fu incaricato Angelo Marzi Medici, nipote del Vescovo e segretario del Granduca Ferdinando I, che visitò la nostra parrocchia il 10 giugno 1626: " Visitai la chiesa parrocchiale di San Bartolomeo detta di San Bartolo in tutto, Piviere di S. Alessandro a Giogoli, asservita e annessa in perpetuo all’Abbazia Fiorentina e concessa a vita al Prete Antonio de’ Luzi che vi risiede…Il SS.mo Sacramento è in un tabernacolo ligneo dentro pisside d’argento indorata. Gli oli santi degli infermi sono ben custoditi. Ci sono i paramenti sacri necessari. Non c’è inventario dei beni."
  6. NICCOLINI Pietro (1632-1651). Era stato Vicario generale della diocesi fiorentina per venticinque anni e una volta eletto Vescovo inizia la visita pastorale di tutta la città e poi di alcuni pivieri di campagna, fra i quali quello di Giogoli: " Domenica 10 maggio 1637. Visitai la Chiesa Parrocchiale di San Bartolomeo, detta San Bartolo in tutto, asservita ed annessa all’Abbazia Fiorentina. In cura d’anime è il Prete Antonio de’ Luzi. Si è dorata la chiave del tabernacolo e lo si è dentro ricoperto di seta. I vasi degli oli sacri sono in argento…" Segue un inventario di beni appartenenti alla chiesa ed enumera i vari altari in chiesa. Accerta la presenza della Congregazione della "Beata Vergine Maria" con 36 iscritti. Vengono esaminate le reliquie di San Giacomo e di San Bartolomeo, custodite in Sacrestia.
  7. NERLI Francesco, iunior. (1671-1682) La visita completa ai pivieri di campagna si effettuò fra il 1672 e il 1680. Il Vescovo incaricò di tale visita Filippo Neri Altoviti, Vicario di Firenze e Vescovo di Fiesole, e Jacopo d’Andrea Pelli, Vicario generale di Fiesole. Nel maggio del 1673 …" Visitammo la Chiesa Parrocchiale di San Bartolo in tutto, nel Piviere di S. Alessandro a Giogoli, di cui è Parroco, Ser Giuseppe di Valerio dei Teatini. E’ dipendenza dei Rev.mi Padri Abati dell’Abbazia Fiorentina, della Congregazione Cassinese di San Benedetto…" seguono le rendite e la visita ai vari altari.
  8. MORIGIA Iacopo Antonio. (1683-1699) Fra il 1684 e il 1695 svolse una minuziosa visita di tutte le chiese di campagna e " Il 4 luglio 1685 visitai la Chiesa Parrocchiale di San Bartolomeo in Tuto che si dice in perpetuo unita all’Abbazia Fiorentina. Vi è in cura d’anime P. Zenobi Michelucci." Come sempre passa in rassegna le rendite, i vari altari, le Reliquie e gli arredi sacri. Questa volta vengono visitati anche gli Oratori privati che rientrano nella parrocchia: quello di San Girolamo di Beccacivette, di San Francesco ai Pini e di Santa Maria Maddalena al Diluvio.
  9. DELLA GHERARDESCA Tommaso Bonaventura (1703-1721). Dal 1704 al 1715 effettuò la visita alle Chiese di campagna. Il 7 giugno 1707 visitò il Piviere di Giogoli e quindi " Visitammo San Bartolomeo in Tuto, legata all’Abbazia Fiorentina, è amministrata dal Rev. Zanobi Michelucci. Anime in cura 271…" e passa poi a visitare i vari altari, la sacrestia e le reliquie.
  10. MARTELLI Giuseppe Maria (1722-1740). La visita alle chiese di campagna e del suburbio si svolse tra il 1723 e il 1730. " Il 26 novembre 1725 visitammo la chiesa di San Bartolomeo in Tuto, del piviere di Giogoli, dove è il Rev. Don Zanobi Michelucci, amministratore dell’Abbazia Fiorentina…", come al solito passa in rassegna i vari altari della chiesa. Visita anche alcuni oratori privati esistenti in parrocchia.
  11. Sempre sotto il Vescovo MARTELLI si svolse una seconda visita ai pivieri di campagna dal 1737 al 1740. Questa volta abbiamo notizia della nomina di alcuni covisitatori. Il 25 maggio 1740 Mons. Giovanni Giorgio Guadagni, canonico della Metropolitana, visita " la chiesa parrocchiale di San Bartolomeo in Tuto, in cura all’Abbazia Fiorentina…300 anime circa…"
  12. INCONTRI Francesco Gaetano (1741-1781). Dal 1743 al 1759 mons. Incontri visitò tutte le chiese di campagna della diocesi. " Nel detto giorno 3 dicembre 1746, dopo pranzo, visitammo la chiesa parrocchiale di San Bartolomeo in Tuto, dei Reverendissimi Monaci dell’Abbazia Fiorentina. In cura d’anime è Don Andrea Burchi. Visitammo il SS.mo Sacramento, gli Oli Santi, i vari altari (quello Maggiore, in cornu Evangeli, quello dell’Immacolata Concezione della B.V.M. e quello di S. Antonio da Padova; in cornu Ephistolae quello della Pietà), il pulpito, i confessionali e il campanile.
  13. MARTINI Antonio (1781-1809). Un anno dopo la sua nomina ad arcivescovo, mons. Martini iniziò la visita alle chiese di campagna che durò fino al 1800. " Addì 15 luglio 1795. Monsignor Arcivescovo celebrò la Santa Messa nell’Oratorio pubblico del Sig. Senatore Altoviti, presso la villa e dopo in carrozza di casa Altoviti si portò a visitare la Chiesa di San Bartolomeo in Tuto, prima amovibile ‘ad vitam’ del Rev.mo Priore Abate dei Monaci Cassinesi della Badia Fiorentina, ora resa movibile e collativa con decreto del 20 aprile 1784. Rettore: il M. Rev. Sac. Gaetano Bambi, investito il 28 giugno 1794. Questa chiesa è di buona figura e comoda anche per maggior popolo. Smontato il Prelato alla canonica del Parroco, si vestì degli Abiti e sortito di casa si portò alla porta della Chiesa dove era ad attenderlo il suddetto Signor Priore Bambi, che gli diede a baciare il Crocifisso, dopodiché, entrato in chiesa e praticate le solite cerimonie, cantando l’antifona, s’incamminò all’Altare Maggiore, indi cantata l’antifona fu citata l’orazione del Santo e data poi la benedizione. In seguito fu fatta l’associazione dei morti. Fu fatta la Visita al SS.mo Sacramento…" poi è trascritto l’inventario dei vari altari e arredi sacri. In quel momento i parrocchiani erano 285. Seguono alcuni "obblighi" di messe "… Terminata così la Visita, Monsignore fece l’istruzione e catechismo al popolo, dopo del quale s’incamminò per la visita dell’altra Chiesa e quando era per sortire di chiesa, arrivò processionalmente con baldacchino la Compagnia del SS.mo Sacramento dell’altra Chiesa di Santa Maria a Greve che si fermò alla porta della detta chiesa di San Bartolomeo in Tuto e il Prelato entrato sotto detto baldacchino, processionalmente, si portò alla Visita della Chiesa di S. Maria a Greve."
  14. MORALI Pier Francesco (1815-1826). Fece una visita parziale alle chiese di campagna, ma non toccò il piviere di Giogoli, come risulta dalle filze degli inventari delle Chiese da Lui visitate.
  15. MINUCCI Ferdinando (1826-1856). Dal 1829 al 1838 Mons. Minucci visitò tutte le chiese di campagna, coadiuvato da vari canonici. " Il dì 2 ottobre 1832 di mattina, l’Ill.mo e Rev.mo Sig. Canonico Cammillo Pinucci, accompagnato dal Cancelliere della Sacra Visita, si recò a visitare la Chiesa Parrocchiale di San Bartolomeo in Tuto, suffraganea della Pieve di S. Alessandro a Giogoli, di cui è Rettore il M. Rev. Sac. Vincenzo Luti che ne spedì le Bolle il dì 7 novembre 1831. Il Patronato è regio per le ragioni dei soppressi Monaci della Badia di Firenze. Vi sono 5 altari. Il Maggiore, titolare S. Bartolomeo, di legno verniciato bianco con ornamenti dorati, fatto fare modernamente dal Sac. Ferdinando Pistoi, Parroco antecessore. Vi è un tabernacolo alla parete che accompagna l’altare, con entro un Crocifisso antico di molta venerazione e con voti. In ‘cornu Evangelii’ è l’Altare della SS.ma Concezione con immagine antica, incensata; da detta parte è l’altro Altare sotto il titolo di S. Antonio da Padova con simulacro in una nicchia. In ‘cornu epist.’ È l’Altare della Pietà, con tavola che si crede del Ghirlandaio e l’altro di S. Cristina con quadro analogo. Vi sono due confessionali interi e due movibili da mettersi in occasione delle feste. Le anime sono 314. La Chiesa è consacrata e se ne fa commemorazione ogni anno nel mese di febbraio. Il tabernacolo dell’Olio Santo è in Sacrestia, dietro il coro. Non vi sono obblighi. La chiesa ha di rendita, in tutto compreso gli incerti, £ 180, cioè dalla Depositeria £ 672 per congrua. Non vi sono le decime, da una casa a pigione a Scandicci £ 17. Vi sono dei canoni di livelli. Gli arredi sono in abbondanza e in ottimo stato, con argenteria lasciata dal Rev. Parroco Pistoi, quanto alla proprietà di essa ai suoi eredi e quanto all’uso, alla Parrocchia di San Bartolomeo in Tuto. I Sigg. eredi che dimorano a Firenze ne hanno la consegna e li passano al Parroco nel caso di averne di bisogno. Vi sono 3 Congreghe. Si seppellisce in Chiesa…" Il Canonico visitò anche gli Oratori privati di giurisdizione del popolo di San Bartolo.
  16. CECCONI Eugenio (1874-1888). Della sua visita alla Parrocchia di San Bartolo ci rimane il Verbale della Visita, il successivo decreto e due minute. Riportiamo per intero il Verbale di Visita, perché non è un freddo documento che registra semplicemente l’avvenuta visita, ma è una colorita cronaca di come si svolse quel giorno: " Addì 16 maggio 1885. Sabato. Alle ore 8 e ¼ Mons. Arcivescovo è alla Chiesa Prioria di San Bartolo in Tuto, suffraganea di S. Alessandro a Giogoli. Molti popolani erano giunti alla sacra funzione oltre al Vicario (Vicario a San Bartolo era in quel tempo P. Gaetano Massai, N.d.R.), quello di Greve, il Pievano di Giogoli, il Cappellano Eusebio Baldini che officia l’Oratorio "Formicola", il Parroco di Viciano e tre chierici. Iniziate le consuete funzioni, Mons. Arcivescovo ha celebrato la S. Messa, assistito dal Pievano e dal Vicario di San Bartolo, sono state pubblicate le indulgenze e si sono accostati alla S.Comunione: i detti tre chierici, i detti Reverendi e i fedeli, cioè quasi tutti i popolani. Dopo la Messa Mons. Peccioli (è il canonico covisitatore, N.d.R.) ha fatto una bella predica sul rispetto umano, al popolo e il Rev.mo Monsignore ha amministrato la Cresima. Sono stati padrini il Vicario Gaetano Massai e la Sig. Alfonsina Massai, di lui cognata. Dopo la Cresima, Mons. ha aperto il Ciborio e data la benedizione con la Sacra Pisside. E’ tornato a confessare…" Segue la Visita ad alcuni Oratori della Parrocchia. "…Alle ore 6 pomeridiane Mons. Arcivescovo, coadiuvato dal Canonico covisitatore, ha interrogato in chiesa la gioventù della Dottrina Cristiana. Dopo questo ha fatto in chiesa l’associazione per i defunti, rimettendo a domani la gita a San Martino a Scandicci al Camposanto che è in comune a quella parrocchia, a quella di S. Maria a Greve e di San Bartolo in Tuto. Alle ore otto pomeridiane, cantato in chiesa il "De profundis", Monsignore è partito con la carrozza, in compagnia del Can. Peccioli, del Vicario e del Cancelliere, per andare a visitare due ammalati del popolo di San Bartolo. La Chiesa e la Canonica di San Bartolomeo erano, con molte case, illuminate anche questa sera; Mons. Arcivescovo è partito per San Martino, transitando il borgo di Scandicci che era tutto illuminato e benedicendo il popolo." Come già accennato, in una cartellina dei documenti dell’Archivio diocesano, troviamo il Decreto dell’Arcivescovo a seguito della visita, che ordina il restauro di alcuni paramenti sacri della Chiesa e degli Oratori; più interessante, su un foglio protocollo a firma di P. Gaetano Massai, è riportato il "Ristretto" dello Stato d’anime della Parrocchia: " Famiglie n. 69; idonei alla S. Comunione n. 299; cresimati n. 35; sacerdoti col vicario n. 3; anime in tutto n. 435."

Vedremo adesso in modo più dettagliato, avendo in nostro possesso più documenti, la vita di una Parrocchia rurale, dai primi anni del 1900 fino ai nostri giorni, le sue consuetudini religiose, la pastorale di quell’epoca e la risposta dei fedeli ai mezzi che la Chiesa metteva in atto per la sua opera di evangelizzazione o meglio come allora si pensava "una pastorale di conservazione" rivolta ad un popolo battezzato ed ormai già cristiano.

Le fonti saranno soprattutto, oltre al Cronicon parrocchiale, le relazioni ed i questionari in occasione delle varie "Visite Pastorali" conservate nell’Archivio Parrocchiale e in quello Diocesano.

 

 

I primi decenni del 1900: Padre Gaetano Massai, Vicario Spirituale

 

Il Cronicon parrocchiale ancora non ci dà notizie di questo periodo; possiamo ricavare alcune interessanti informazioni dall’Archivio storico diocesano che conserva i documenti della Visita Pastorale, del 10 dicembre 1901, alla Parrocchia di San Bartolo svolta dal Cardinale Alfonso Maria Mistrangelo (Vescovo a Firenze dal 1899 al 1930).

Per la prima volta non furono redatti verbali, come per le precedenti visite, ma fu chiesto ai vari parroci delle parrocchie visitate, la compilazione di un questionario che da allora in poi, nelle sue linee di fondo, si ripeterà anche per tutte le successive visite. Al Vescovo rimaneva così un documento scritto, firmato dal parroco, dal quale risultava la situazione generale della parrocchia. Il Questionario generalmente richiedeva i dati anagrafici della parrocchia e del parroco, la situazione economica e le varie rendite con un dettagliato inventario dei beni di pertinenza della parrocchia, come venivano amministrati i Sacramenti e la rispondenza della popolazione ecc.

Le risposte al Questionario della visita pastorale del Card. Mistrangelo, sono in data 20 novembre 1901 e a firma di P. Gaetano Massai, Economo Spirituale.

A tutte le domande riguardanti la situazione del clero in Parrocchia e il rispetto di questo verso le varie norme canoniche (abito, tonsura, fuga dai luoghi disdicevoli e la convivenza con persone d’altro sesso), don Massai risponde di essere il solo prete in parrocchia e di non aver altro da annotare tranne la sua data di nascita (Firenze, 12 marzo 1842).

Il questionario pone poi domande sulla chiesa parrocchiale ed apprendiamo come all’epoca fosse " in buono stato e sufficiente per il popolo". Le rendite erano amministrate dal "Regio Economato" che provvedeva quindi alla manutenzione della chiesa. La chiesa era provvista degli arredi necessari anche se non c’era il Battistero: i parrocchiani venivano battezzati nella vicina Propositura di Santa Maria. Viene passata poi in rassegna tutta la Chiesa, perfino il campanile e tutto risulta in regola, compreso l’Archivio parrocchiale.

Non conosciamo neppure questa volta le varie rendite della parrocchia, essendo di patronato regio, il parroco non risponde. Per gli introiti di "stola bianca e nera", ovvero le offerte per battesimi, matrimoni e funerali e in genere per le Messe, così risponde don Massai: " Attesa la piccola popolazione, composta di famiglie di contadini e di poveri pigionali, forse fra le 15-20 Lire all’anno, preso un decennio." Nessun peso straordinario grava a carico del parroco, se non l’obbligo delle Messe per i defunti Luti (21 Messe) e per i defunti Checchi (8 Messe). In parrocchia non esistono confraternite. Le Cappelle private nel territorio parrocchiale sono 5 e sono sotto il titolo di S. Anna, dell’Invenzione della S. Croce, di S. Francesco d’Assisi, della Madonna della Cintola e di S. Antonio da Padova.

Si noti come ancora la preoccupazione del visitatore fosse eminentemente giuridica, poche infatti sono le domande sulla pastorale svolta.

Alla voce "Feste e funzioni" si apprende come anche la predica fosse un evento eccezionale, "per le domeniche d’Avvento e per le feste del popolo". Il catechismo si fa ai giovani tutti i giorni della Quaresima. In parrocchia non si lamentano scandali, né matrimoni "cosiddetti civili" e non ci sono "maestri di dottrine empie ed eretiche".

Fra i documenti di questa visita alla nostra Parrocchia esiste anche il Decreto, scritto a mano forse dallo stesso Arcivescovo, che ordina la sistemazione e il restauro di alcuni arredi liturgici e datato il 12 dicembre 1901. Una minuta a firma del Massai e datata 14 dicembre 1903, informa il Vescovo dell’avvenuto adempimento delle prescrizioni del suddetto Decreto.

 

 

Don Raffaello Ceri priore a San Bartolomeo in Tuto dal 19 ottobre 1919 al 10 marzo 1936.

Il Sinodo Diocesano esigeva che in tutte le Parrocchie fosse sempre aggiornato il Cronicon parrocchiale o redatto ex novo qualora non ci fosse; il nuovo Parroco appena insediatosi si accinge a quest’opera.

Inizialmente dà alcune brevi notizie del passato sulla Chiesa di cui prendeva possesso e che ricava dall’Archivio diocesano, poi inizierà la vera e propria cronistoria anche se in modo piuttosto sbrigativo e frettoloso: quasi un rendiconto "economico", soffermandosi sui lavori eseguiti o da eseguire, ma ugualmente utile per trarre alcune notizie di ordine pastorale.

A questa "fonte" si aggiungano le risposte al Questionario redatte per la Visita Pastorale, il primo documento di questo genere che è conservato nell’Archivio parrocchialee da qui possiamo trarre alcune informazioni pertinenti la pastorale della Chiesa e la devozione di quel popolo in quegli anni.

"Nel 1873, scrive don Ceri, il Sac. G. Massai successe al Rossie per molti anni tenne come "Economo" detta Chiesa. Dopo 45 anni di economia si era deciso, atteso la sua tarda età ed incomodi di salute, di ritirarsi a vita privata, quando il 31 Dic. del 1916, colpito da morte improvvisa cessava di vivere. Per il suo carattere buono e popolano era amato dal suo popolo che ne serba buona memoria anche oggi dopo 7 anni. A lui fu dato per temporaneo successore il P. Felice Cappuccino da Porretta che tenne la vicaria fino alla consegna fatta al nuovo Parroco Sac. R. Ceri (che stese queste memorie come prescrive il Sinodo Diocesano) e fu il 19 ottobre 1919 col solenne ingresso alla presenza di detto Padre nonché del suo aiuto P.Stanislao e dei vicini Parroci Sac. Giulio Cioppi e Canzani Adriano…" Segue una lista dettagliata di lavori di ordinaria manutenzione che il nuovo parroco fu costretto ad eseguire.

La Chiesa, dopo la morte di don Checchi, ultimo parroco nominato nel 1836 e che vi rimase fino al 1864, non ebbe più parroco ma fu data in "economia " a diversi Vicari Spirituali, fino alla nomina del Ceri nel 1919. Più di mezzo secolo di quasi abbandono spiega lo stato di "rilevante deperimento in cui caddero i fabbricati e gli arredi sacri e così furono trovati dall’attuale Parroco e nella massima parte sono stati fatti i restauri e tutti a mie spese ed uniti ai miglioramenti, ammontarono nella spesa a lire tredicimila, come si può verificare nel libro dei ricordi che si conserva nell’Archivio parrocchiale."

Allora il numero delle anime era di circa 630 quasi tutti pigionali e contadini. Le famiglie erano cento. "Siamo vicini alla città, 5 chilometri, e la gioventù al dopo pranzo dei giorni festivi, prende la bicicletta e va a spasso. Il Paese più prossimo ha l’Associazione cattolica con compagnia filodrammatica e durante l’inverno dà dei trattenimenti teatrali, per togliere la gioventù dai divertimenti profani…"

Ed ecco di nuovo, secondo le risposte alle domande del questionario, delinearsi un quadro abbastanza preciso della Parrocchia.

"La moralità dei parrocchiani è discreta, si sente dire che vi è qualche bestemmiatore, ma poco utile ne viene dal predicar per essi, quantunque più volte si predichi contro codesto vizio, perché costoro poco vengono alla Chiesa: però non son molti.

Vi è la Commissione Missionaria, ma gli ascritti sono pochi, perché la popolazione è povera e vi sono oggi molte collette e quando son molti a chiedere, resta poco a tutti.

In Chiesa si sta discretamente, col capo coperto e in silenzio, i Predicatori dicono che qua si sta in Chiesa meglio che in molte altre parrocchie vicino a Firenze.

La parrocchia non ha case religiose, né scuole di nessuna sorte. Non si hanno confraternite perché si fa parte della confraternita interparrocchiale di S. Maria a Scandicci. Vi è la Congregazione di S. Maria SS. Immacolata che vuole dagli ascritti lire 1.20 e con l’incasso si fa la festa dell’ 8 Dicembre e alla morte di ciascun ascritto si fan celebrare tre Messe: si capisce subito che l’Amministratore quando ha fatto pari entrata e uscita è quel che può fare. Vi è pure la Congrega di S. Antonio; questa va meglio, perché oltre l’incasso della tassa annua, fa l’accatto del grano e fin qua ha concorso con offerte a fare arredi sacri ed altre cose utili alla Chiesa, nonché elemosine ai poveri: questa ha un fondo di riserva di 600 lire."

Poi iniziano le notizie circa i Sacramenti, che come ci informa il Parroco vengono amministrati senza esigere "nessuna tassa, gratis". Era consuetudine pastorale per quei tempi amministrare la Cresima prima di ricevere la Comunione (come del resto hanno sempre fatto le Chiese Ortodosse); è curioso rispetto ai nostri giorni notare come la gente preferisse questo Sacramento alla I Comunione, così infatti annota il vecchio parroco: " Fin qui si cresimano i bambini anche sotto i 7 anni, con poca o quasi nessuna conoscenza del Catechismo e ciò perché i genitori volevano cresimarli presto e i Superiori non li rifiutavano. Quanto infatti son solleciti per farli cresimare, altrettanto sono per non farli passare a Comunione. Si ammettono alla Comunione i bambini che si reputano idonei e dopo due mesi di giornaliera istruzione, ma alcuni genitori sono capricciosi e fissano essi l’età anche se il Parroco vorrebbe diversamente e bisogna acquietarsi per non far un litigio. Si costuma far ritornare i bambini nelle principali feste della parrocchia e far le sette domeniche di S. Luigi Gonzaga.

In quanto alla frequenza alla Comunione è da notare che non avendo popolani prossimi alla Chiesa, non si ha Comunione quotidiana; però in generale si fanno assai Comunioni e tutte le volte che si suona a Messa, vi è chi si comunica. Ogni anno si fanno circa 5000 Comunioni.

Quando si fanno feste e uffizi si dà sempre l’occasione di confessori straordinari. Il resto si fa meglio che si può sia per sani che per i malati. Nella Pasqua si invitano anche i bambini che non sono ammessi alla Comunione, quando sono all’uso di ragione, a confessarsi."

Tutto questo per quanto riguarda i Sacramenti della cosiddetta iniziazione cristiana; ecco adesso alcune notizie sul Matrimonio: " Si predica contro i lunghi amoreggiamenti, ma si fa i sordi dai genitori, che temono di far perdere l’occasione alle loro figliuole quando credono di aver trovato un buon partito e i fidanzati non hanno fretta."

Riguardo agli "ultimi Sacramenti", che oggi chiameremmo Unzione degli infermi, don Ceri nel 1932 ci dice come " Si va dagli infermi appena chiamati e si ritorna poi anche non chiamati. Si cerca di amministrare in tempo l’olio santo, qualche rara volta non si vuol dall’infermo o vuolsi differire dai parenti. Si cerca di persuaderli meglio che si può a non indugiar tanto onde non rimanere a vuoto. In quanto alla morte apparente si tiene l’opinione dei teologi per amministrare gli ultimi sacramenti con probabilità di giovare."

Le feste più sentite dal popolo di San Bartolo, come sempre ci riporta don Ceri, e quindi con maggior "concorso di popolo" sono quelle del Corpus Domini, delle Quarantore, di Sant’Antonio da Padova, di Santa Cristina V. e M., dell’Immacolata Concezione e il Ringraziamento annuale.

Viene ricordato anche come durante l’ottobre del 1920 fu dato un "Corso di Missioni" tenuto da P. Valentino dell’ O.F.M., durante le quali venne "scoperta" la miracolosa immagine del Crocifisso che si venera in San Bartolo.

Questo Crocifisso, oggi esposto alla venerazione dei fedeli nella cappella del SS. Sacramento nella nuova chiesa, è una pregevole scultura lignea a tutto tondo del XVI sec. di fattura fiorentina, lo troveremo più volte nella nostra cronistoria perché oggetto di venerazione non solo del popolo di San Bartolomeo, ma di tutto il vicinato e anche dei paesi più lontani, perché ritenuto miracoloso soprattutto in occasione di siccità o di catastrofi naturali. Troviamo infatti che nel 1922, alla fine di agosto, " volle il popolo scoprire il SS. Crocifisso facendo davanti ad esso solenni preghiere per ottenere la pioggia essendo grande siccità."

Frutto spirituale di quelle missioni fu l’istituzione dell’Apostolato della Preghiera. Si ricorda per inciso come in chiesa e nella canonica si installasse l’impianto elettrico.

Nel 1921 viene comprata una statua del Sacratissimo Cuore di Gesù ed anche questa annotazione ci dice il tipo di devozione di quegli anni. Nel 1926 "si dette gli esercizi spirituali per l’acquisto del Giubileo e fece un triduo di preghiere al Crocifisso alla fine dei medesimi. In questa occasione si completò l’acquisto delle candele elettriche che era stato iniziato per le Quarantore del 1926. A ricordo degli esercizi, predicati dal Sac. A. Santoni, giovane predicatore, ma colto, fu il diadema al capo del Crocifisso, fatto di argento e dorato (spesa £ 140) e allo stesso tempo fu foderato internamente il tabernacolo in damasco di seta. Si supplì alla spesa con offerte del popolo."

E così nel nostro Cronicon gli anni passano fra restauri di suppellettili sacre e dei locali della canonica, con annotate le relative spese.

Nell’anno 1929, oltre le consuete spese di manutenzione viene ricordato come si costituisse un comitato, con i nomi dei relativi componenti, al fine di raccogliere offerte, fra il popolo ed anche fra i "possidenti" della parrocchia, per festeggiare il 75° della proclamazione del dogma della "Immacolata Concezione". Sarà una festa riuscitissima, verrà illuminata oltre la Chiesa come di consueto per la festa delle Quarantore, addirittura il campanile!

Il 1931 vede invece i festeggiamenti per il centenario di Sant’Antonio da Padova; apprendiamo così come in San Bartolo esistesse da molti anni una Congregazione in suo onore e si fecero solenni festeggiamenti per quattro giorni, dal 10 al 13 settembre.

Dopo il "Vidit" a firma del Cardinale Della Costa "in Sacra pastorali Visitatione sua prima, die V febriarii MCMXXXIII " appare la notizia della nascita dell’Associazione Cattolica Donne e Uomini e fu eletto per gli uomini il Sig. Raveggi Natale.

Il 1933 è l’anno che ricorda il centenario della "passione di N.S. Gesù Cristo" ed ecco allora che il Parroco di concerto con uomini e donne di Azione Cattolica, decidono di "far 10 giorni di Missioni avanti la festa di Cristo Re nel prossimo ottobre"

Le Missioni che si svolsero con grande solennità nel 1934, dal 21 ottobre al 28 settembre durarono 10 giorni come previsto e fu scoperto il Santo e venerato crocifisso. "Il bravissimo oratore trascinò la folla al più grande entusiasmo e il popolo non solo di San Bartolo ma di Scandicci e dei paesi limitrofi, concorsero prendendo parte ai SS. Sacramenti con la più grande devozione e pietà; vi concorsero anche con le loro offerte che sommavasi in tutto a £ 3673,55 che furono bastanti per sopperire a tutte le spese con una rimanenza di £ 183,80."

Il Cronicon da questo punto continua con una calligrafia diversa: è quella del successore di Don Ceri che così ci racconta gli ultimi giorni dell’anziano parroco: " Pochi mesi dopo (s’intende dopo le sopraindicate Missioni dell’ottobre 1934, N.d.R. ) sopravvenne una grave malattia all’ottimo Parroco Don Raff. Ceri che lo costrinse a stare per quasi un anno in una casa di salute. Ma poi desiderando di morire vicino al suo popolo che tanto amava e da cui era giustamente riamato, tornò in canonica ma il 1 marzo 1936 Iddio lo chiamò a ricevere il premio della sua vita sacerdotale tutta spesa in bene delle anime e per la gloria di Dio. Pace alla bella anima sua. Gli fu fatto un solenne mortorio e un solenne trigesimo."

 

Don Paolo Jancourt, Parroco a San Bartolo dal settembre 1936,

fino alla sua morte il 16 dicembre 1949

Alla fine del mese di settembre del 1936, venne Vicario a San Bartolo Don Paolo Jancourt "il quale fu molto bene accolto dal popolo" come lui stesso ci racconta. Il 20 novembre 1936, il Vicario Don Paolo Jancourt ricevette la canonica investitura come "Priore" della Chiesa di San Bartolomeo in Tuto, essendo Arcivescovo Sua Eminenza il Cardinale Elia Della Costa e Vicario Generale Sua Eccellenza Mons. Giovacchino Bonardi.

Il ventennio che precedette la seconda Guerra mondiale è vissuto anche nella nostra piccola Parrocchia del suburbio con gli stessi problemi che l’intera Chiesa italiana stava vivendo.

Nel dicembre del 1937, previa comunicazione all’Arcivescovo, il Parroco don Paolo Jancourt, aveva sciolto l’Azione Cattolica, " perché a parere del Priore, dati gli elementi poco adatti, non si poteva svolgere una vera e propria azione cattolica, degna di questa denominazione.(Non per altro che per ignoranza religiosa e mancanza di volontà d’istruirsi nel catechismo). Non si poteva

 

chiamare Azione cattolica un gruppo di dieci uomini e un gruppo di dieci donne, solo perché pagavano puntualmente la tessera ma non volevano istruirsi negli elementi principali della dottrina cattolica. Come popolani tutti buoni cristiani, ma non domandiamo loro istruzione religiosa.(Forse un altro parroco più buono e più degno dello scrivente farà miracoli.) Il giudizio è alquanto severo anche se ammantato dal tono paternalistico tipico del mondo ecclesiastico di quell’epoca. Occorre domandarci inoltre, se in qualche modo e di riflesso, i veri motivi di tale chiusura non fossero altri.

In Italia negli anni immediatamente precedenti, fu aspro il contrasto fra il partito nazionale fascista e i vertici dell’Azione Cattolica Italiana che giunse al suo culmine nel 1931.

L’Azione Cattolica, potenziata dal pontificato di Pio XI (1922-1939), tentava in quegli anni la riaggregazione del laicato cristiano e chissà in quale misura i noti scontri fra Stato totalitario e associazionismo cattolico, possano aver determinato la decisione del nostro "buon parroco" riguardante la chiusura dell’associazione parrocchiale.

I rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa furono regolati nel 1929 da un Concordato (Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929) i cui aspetti più significativi furono: il riconoscimento della validità civile del matrimonio religioso; l’impegno a impartire l’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado; la negazione dei pieni diritti civili dei sacerdoti dichiarati eretici o di quelli che avevano rinunciato allo stato sacerdotale; e, riguardo a ciò che più da vicino ci interessa, la proibizione di ogni attività politica dell’Azione Cattolica.

Molti fedeli e membri dell’Azione cattolica non avevano condiviso l’entusiasmo di una parte delle gerarchie ecclesiali per Mussolini e per il suo "provvidenziale" regime. Tanti cattolici si unirono alle file dell’opposizione antifascista in Italia e all’estero.

Anche in campo laico Benedetto Croce aveva pronunciato al Senato un discorso contro il Concordato, richiamandosi alle tradizioni liberali della libertà di coscienza e della separazione fra Stato e Chiesa.

Neppure il mondo fascista vedeva di buon occhio, nonostante gli accordi ufficiali, quel gregge "di pecore" agli ordini del romano pontefice; dietro questa ostentazione di disprezzo e sicurezza c’era ben altro.

La battaglia non era prettamente politica, ma morale e religiosa: occorreva strappare alla Chiesa la gioventù. Anche se i tesserati alle varie organizzazioni giovanili del regime erano assai numerosi, la loro adesione alla "fede" fascista non fu mai profondamente convinta. La consapevolezza di questa superficialità irritava il "Duce" ed i suoi gerarchi che vedevano invece l’intima adesione della gioventù cattolica alla loro associazione.

Il conflitto giunse al suo apice nel 1931: il regime non tollerava che l’Azione Cattolica rivolgesse il suo operato direttamente alla vita sociale della nazione.

Il 19 marzo il "Lavoro fascista", organo del sindacato e del corporativismo di partito, denunciò "l’Istituto cattolico di attività sociale" affermando che tale istituto "invadeva il campo dell’ordinamento sociale fascista e siccome non c’era competitività fra l’ordinamento sociale fascista e quello cattolico, non servivano doppioni", quindi il "Segretariato operaio cattolico" andava dichiarato illegale.

"L’Osservatore Romano" glissò sulla questione rispondendo in modo ironico e non dando importanza alla cosa. Questo non fu gradito dai responsabili dell’Azione Cattolica.

Il Presidente della Federazione giovanile cattolica si dimise.

Entrò in campo "La Tribuna" dichiarando come queste dimissioni non fossero un fatto puramente personale ma ci fosse nascosta l’ostilità verso il regime fascista da parte di quegli iscritti all’Azione Cattolica che volevano risuscitare il popolarismo del defunto partito.

Pio XI intervenne personalmente affermando come non ci fosse campo umano dove l’azione del laicato cattolico non avesse diritto a rivolgersi.

Gli ultimi dieci giorni di maggio del 1931 videro scoppiare in diverse parti d’Italia, da Torino a Venezia, da Milano a Ravenna, da Trento a Bari, una serie di violenze perpetrate agli iscritti e alle sedi dell’Azione Cattolica. Anche a Roma si invase il Palazzo della Cancelleria Apostolica e si tentò un assalto all’Università pontificia dell’Apollinare.

Era tornato lo squadrismo fascista.

Il 30 maggio fu ordinato in tutta Italia lo scioglimento di ogni organizzazione giovanile che non facesse parte del partito o dell’Opera Nazionale Balilla.

Il Pontefice, in un suo discorso, protestò vivacemente richiamando all’osservanza del Concordato. Egli sospese a Roma il Congresso Eucaristico Diocesano e le processioni fuori dalle chiese in tutta Italia.

Il 29 giugno 1931, con l’Enciclica "Non abbiamo bisogno" (in lingua italiana!), il Papa dichiarava tutta la sua amarezza e protestava contro lo scioglimento "eseguito per vie di fatto e con procedimenti che dettero l’impressione che si procedesse contro una vasta e pericolosa associazione a delinquere". Denunciava pure le violenze subite contro cose e persone compresa anche "la Nostra".

Il 2 settembre viene firmato un nuovo accordo: l’Azione Cattolica era nuovamente riconosciuta dal governo ma in forma essenzialmente diocesana. I dirigenti erano scelti dai Vescovi escludendo coloro che in precedenza avevano aderito a partiti avversi al regime. Venne ribadito anche che l’Azione Cattolica non si occupava "affatto di politica".

Troppo e in modo per lui prolisso, lo Jancourt si sofferma sui pretestuosi motivi di chiusura di tale associazione, neppure "degna di portare questo nome" e anche questo ci fa sospettare sul reale motivo di tale soppressione ed anche se avvenuta dopo sei anni i fatti del 1931 sopra ricordati, il clima non era ancora certo quello favorevole a far sì che uomini e donne di semplice estrazione si potessero compromettere con un’associazione quantomeno sospetta al regime e quindi anche ai piccoli gerarchetti locali.

Nel questionario in preparazione alla Visita Pastorale del 1938 appaiono di nuovo le giustificazioni del nostro parroco circa la chiusura dell’Azione cattolica: segno evidente che i Vescovi italiani, porgendo ai loro Parroci la domanda diretta sulla salute dell’Azione Cattolica, tenevano in gran cura tale associazione. Don Jancourt aveva avuto anche un colloquio col Cardinale Della Costa sempre su tale argomento. Ecco le sue parole tratte dal suddetto Questionario conservato nell’Archivio parrocchiale di San Bartolomeo in Tuto:

"Esisteva l’Azione Cattolica quando venni Parroco, ma ho dovuto toglierla, previo avviso a Sua Eminenza il Sig. Cardinale, perché mancavano gli elementi adatti o per dir meglio formati e assolutamente irriducibili. Dei pochi ascritti all’Associazione U.C. (Uomini Cattolici), come pure a quello delle D. C. (Donne Cattoliche) pochi prendevano parte all’adunanze; nessuno voleva studiare il catechismo, adducendo di non saper leggere o di non aver tempo. Spiegai a voce a Sua Emin. Il Sig. Cardinale come sorse l’A.C. a San Bartolo. Nessuno degli ascritti era venuto dalle file dei Circoli Cattolici. Formare un Circolo di Aspiranti, di Beniamine e di Crociatini? Sarebbe il mio sogno. Ma qui i bambini non vogliono saperne di studiare la Dottrina, se si tratta di farli giocare sono sempre pronti. È così di tutti i bambini in generale, lo so, ma se i genitori ci aiutassero! Ma dai genitori non c’è da aspettarsi nessun aiuto, nessun impulso, nessuno atto energico per convincere i propri figli e costringerli a venire ad imparare alla scuola di dottrina parrocchiale e a farli studiare a casa le risposte che si da loro ad imparare. I genitori stessi non vedono la necessità di usare questo rigore perché essi stessi non sanno nulla di dottrina all’infuori di un po’ di Pater noster, Ave Maria ecc. che sanno alla peggio. Ci sono ancora dei ragazzi di dieci anni che non sanno ancora il Pater noster in latino. Sarei felice di formare un piccolo clero che cantasse, servisse la Messa, ma è una follia sperarlo. L’anno scorso ai 24 fra bambini e bambine che passarono a Comunione, insegnai a rispondere alla S.Messa e fui felice, come lo furono i genitori e tutto il popolo; oggi dopo dieci mesi stento ad avere un bambino che mi serve la S.Messa nei giorni feriali e questo perché? Perché i genitori non parlano mai in casa di cose di chiesa. Per mandarli a scuola comunale si danno molto daffare perché…!"

Il ritratto di questo Parroco che appare dalle sue stesse parole rimaste a noi documentate nelle risposte al questionario in occasione della Visita Pastorale del 1938, ci rivelano un uomo già anziano e quella che oggi chiameremo una vocazione adulta: sembra che sia stato, prima di essere ordinato sacerdote, un discreto cantante lirico. Lo Jancourt era stato nominato parroco di San Bartolomeo in Tuto a 62 anni nel 1936. Attento ad osservare ogni norma canonica e quando si sente in qualche modo inadempiente, pronto sempre a giustificarsi. Di primo acchito si è portati a giudicarlo un altro "don Abbondio", ma occorre tener presente come anche le gerarchie ecclesiastiche fossero estremamente fiscaliste e meticolose. Ed ecco la sua presentazione:

" Sac. Paolo Jancourt anni 64. Parroco.

Il Parroco attende tutti i giorni alle consuete pratiche di pietà: Meditazione, apparecchia alla S. Messa, ringraziamento e celebra più devotamente più che gli è possibile. Visite reiterate al SS. Sacramento, la confessione frequentissima. L’Ufficio divino lo recito in tempo debito, ma quasi mai in chiesa.

Tengo il registro delle Messe celebrate e da celebrare.

Spesso attendo allo studio della Teologia.

Fino ad ora ho frequentato poco la Congregazione dei Casi perché non bene in salute.

Ho con me una donna di servizio, donna seria, onestissima, di nome Adele, ha 58 anni.

Feci a suo tempo il testamento con tutte le modalità raccomandate. Non appariscono somme di denaro. È edificante per il Popolo. Fu consegnato a Mons. Brunetti, Proposto del Pignone.

Non sono, grazie a Dio, avaro e non m’importa di accumulare (eppoi qui, anche se lo volessi…).

Leggo solo l’Avvenire d’Italia."

Sei mesi più tardi, in occasione della Visita Pastorale iniziata il 24 aprile 1938, sempre Don Jancourt nel Cronicon annotava però come il popolo accorresse in massa all’arrivo del Cardinale Elia Della Costa. "Sua Eminenza il Cardinale amministrò la Cresima a sette bambini. Nel pomeriggio fece un breve esame di dottrina ai bambini e bambine di I, II e III classe, ma furono pochissimi che si presentarono (sempre per l’incuria dei genitori). Sua Eminenza parlò al popolo esortandolo a dare molta importanza allo studio della dottrina e disse che su 700 anime, ci dovrebbero essere almeno 60 allievi della scuola di dottrina. Alla S.Messa della Comunione Generale, circa 200 persone fecero la S. Comunione. Il Cardinale lasciò la Parrocchia assai contento. Ma si capì benissimo che avrebbe desiderato di più. Ha ragione S.E. il nostro amato Cardinale, ma in questi popolani rurali non si può far tutto quello che sarebbe desiderabile. È un popolo che ha troppo da fare coi campi, non può venire molto intorno alla Chiesa."

Il popolo rispondeva dunque e con entusiasmo alla proposta propriamente più sacramentale dell’annuncio cristiano rivolto dalla Chiesa, ma era più reticente a calarlo nella vita sociale e politica: è ciò che oggi viene chiamato come "divorzio fra fede professata e vita".

Molte sono le considerazioni fondate che si possono trarre anche da queste poche notizie. Anche fra i pastori, la fede di un popolo si misurava in modo giuridico: dal numero dei partecipanti alla Messa domenicale e dal numero di coloro che si erano accostati alla Comunione. Non possiamo certo valutare con i nostri criteri la prassi di quell’epoca. Coloro che si comunicavano erano sicuramente dei fedeli assidui alla vita parrocchiale; era impensabile comunicarsi in "peccato mortale" ovvero aver tralasciato la Messa domenicale o trasgredito anche uno solo dei Dieci Comandamenti. Duecento comunicati su settecento abitanti la Parrocchia, è una percentuale del 29% circa e questa riguarda coloro che si accostavano al Banchetto Eucaristico. Molti di più erano i fedeli che frequentavano regolarmente la Chiesa perché, rispetto ai nostri giorni, era meno frequente comunicarsi, sempre per quel senso di inadeguatezza e quasi paura di non essere degni che era generalizzato.

Altro metodo di valutare la vita di una Parrocchia era la partecipazione dei bambini alla Scuola di Dottrina cattolica. Il nostro Parroco si sentiva certo in difetto davanti al Cardinale ed eccolo allora quasi difendere il suo popolo o perlomeno il proprio operato scrivendo" che (il popolo) ha troppo da fare nei campi e non può venire molto intorno alla Chiesa". Dalle risposte al Questionario in Preparazione alla Visita Pastorale dell’aprile del 1938, l’anziano Parroco lamenta anche la mancanza del "piccolo clero" nonostante i suoi sforzi per formarlo.

La Parrocchia era povera, di circa 650 anime e 100 le famiglie fra "coloni e pigionali" e così viene in qualche modo presentata al Vescovo:" Il numero dei nati è asceso quest’anno a 16. Cresimati nel 1936 n° 5. Passati a Comunione n° 24. Dalla Pasqua del 1937 alla Pasqua di quest’anno ci sono stati 6 matrimoni. Morti n° 12 nel 1937 e 1 in quest’anno.

Dalla maggioranza è osservato il riposo festivo, ma non mancano molti che fanno il loro comodo non badando ai miei ammonimenti.

Nemmeno un terzo della popolazione sente la Messa parrocchiale a causa della vicina chiesa del paese che ha tre messe e la massa degli uomini vanno alla messa delle 11. Pochissimi vengono alle funzioni e quindi neppure alla spiegazione del Catechismo che faccio precedere alla Benedizione.

Non so in coscienza quale sia il vizio dominante. Mi consta però che molti non vogliono figliuoli.

Non esistono concubinati, né nati illegittimi.

Quasi tutti fanno Pasqua, ma la preparazione alla Confessione e alla Santa Comunione lascia molto, molto a desiderare.

La maggior parte osserva l’astinenza prescritta dalla Chiesa."

Gli anni seguenti sono annotati sempre nel Cronicon in modo affrettato e sbrigativo, soffermandosi in modo pedantesco sul tragitto delle varie processioni del Corpus Domini senza far mai trapelare gli eventi burrascosi di quell’epoca.

Il 1940, anno di entrata in guerra per l’Italia, si liquida con una frase riguardante di nuovo il buon svolgimento della Processione.

Il 1941 è ricordato, sempre nella Cronistoria Parrocchiale, come l’anno dell’istituzione della "Festa della Santa Infanzia" che sarà da allora celebrata il 6 gennaio. Non si sanno vedere le profonde intenzioni della Chiesa che istituendo una qualsiasi festa vuole, al di là del momento meramente celebrativo, porre un segnale a tutto il popolo cristiano.

Tutta l’infanzia stava soffrendo e non solo a causa della guerra! A Firenze in ben altro modo si era mosso Don Giulio Facibeni già dalla fine della I Guerra mondiale. Il nostro Jancourt si limita ad osservare l’aspetto edificante dei fanciulli o ad annotare la sua preoccupante sciatalgia.

"È una festa intima, familiare; una festa che rallegra il cuore e corrobora lo Spirito. L’innocenza attrae sempre, in mezzo ai piccoli ci si trova così bene! Padre Martignano celebrò le Sante Messe e al Vespro parlò ai bambini in un modo così dolce e soave che quei cari angioletti si dimenticarono perfino di essere birichini. Il Priore (lo scrivente) era assente, con suo grande dolore, perché ammalato di sciatica, si trovava ricoverato al Convitto Ecclesiastico. Pur informato di tutto dal Padre Martignano stesso che andò a trovarlo il giorno dopo la festa."

Eccoci al 1942 e finalmente si fa un brevissimo accenno alla guerra in corso, sottolineando come l’andamento di tale guerra fosse per ora favorevole a noi italiani:

"È il secondo anno di guerra e le cose non possono essere molto liete, anche se la guerra è a noi favorevole. Si sa, gli animi sono scossi. Tante privazioni, tanti sacrifici e privazioni affievoliscono i corpi e quel che è peggio, anche gli spiriti. Le feste anche le più solitamente belle, non possono riuscire come si vorrebbe, tuttavia la festa dell’Infanzia è riuscita bene anche se con qualche deficienza. Le Quarantore però furono solennissime con grande concerto di popolo e di Sacerdoti a celebrare. Furono 5 giorni di fervore continuo. Furono fatte circa 500 comunioni.

Non si può dire altrettanto della festa del Corpus Domini che fu proprio a scartamento ridotto. Non si potè fare neppure la Processione, questa fu rimpiazzata dalla Predica fatta dal Priore don Agresti (Proposto di S. Maria a Scandicci, n.d.r.)che parlò molto competente ed esaurientemente della SS. Eucarestia, quindi anche questa festa riuscì abbastanza soddisfacente, perché tutto è bene quando finisce bene. È un motto francese, che qualche volta può essere giusto, come nel caso nostro."

"Il 16 dicembre 1949 decedeva nell’Ospedale a Firenze il M. Rev.Don Paolo Jancourt, parroco di questa Chiesa. Fu operato di cancro, ma fu impossibile salvarlo.

Fu portata la salma ad associarsi nella sua Chiesa di San Bartolo. Il popolo pensò a quasi tutta la spesa che non fu indifferente.

Il Comune offrì gratuitamente il Colombaro nel cimitero locale."

 

 

Don Giuseppe Salvadori, Parroco a San Bartolo

dal 1 gennaio 1950 al 31 dicembre 1973.

Il racconto prosegue nel Cronicon con la penna del nuovo Parroco che così scrive:

" La sera del 9 febbraio 1950, io Sac. Giuseppe Salvadori, da S. Lucia a Terzano, dove ero stato Parroco per 5 anni, mi trasferii quale Parroco in questa Chiesa di San Bartolomeo in Tuto.

Ero stato ordinato il 20 agosto 1914 da Sua Emin. Il Card. Mistrangelo e alla fine del settembre 1914 fui mandato quale Cappellano coadiutore alla Pieve di Santa Maria a Filettole sopra Prato ( allora appartenente all’Arcidiocesi di Firenze ) a coadiuvare il Pievano don Pietro Cioppi, impotente. Questi morì e fui eletto Vicario Economo. Venne la guerra, fui richiamato eppoi riformato dopo 20 giorni e quindi fui destinato alla Chiesa di San Matteo a Granaiolo, Vicario Spirituale. Di qui i primi di maggio 1919 fui trasferito quale Parroco a San Jacopo ad Avane di Empoli e vi rimasi fino al 28 ottobre 1944.

Fu la guerra che mi distrusse tutto: casa, chiesa (che da poco tempo avevo restaurata e la Canonica rialzata e ridotta in ottimo stato) e masserizie; quindi per ordine di S. E. il Card. Arcivescovo Dalla Costa, lasciai il cumulo di macerie d’Avane e la sera del 28 ottobre 1944 ero a Baroncelli (Bagno a Ripoli) dove vi rimasi fino alla sera del 4 marzo 1945 come sopra ò accennato, dal 4 marzo 1945 al 9 febbraio 1950, stetti Parroco a S. Lucia a Terzano, quindi a San Bartolomeo in Tuto a Scandicci.

Lì, 21 sett. 1953."

Don Giuseppe Salvadori, quando arrivò a Scandicci, a San Bartolo nel 1950, dopo le suddette traversie, aveva già 64 anni, essendo nato il 26 ottobre 1886 a Fibbiana di Montelupo Fiorentino.

La Parrocchia non ha subito ancora grossi mutamenti, come appare dal Questionario della Visita Pastorale del 29 maggio 1955 compiuta da Sua Eccellenza l’Arcivescovo coadiutore di Firenze Ermenegildo Florit.

Gli abitanti sono 630, con 126 famiglie. Annualmente nascevano dai 3 ai 5 bambini in parrocchia; passavano a comunione e venivano cresimati dai 5 ai 7 fanciulli. Si celebravano ogni anno circa 3 matrimoni e dai 4 ai 7 funerali. Alla domanda n.33 del questionario circa l’esistenza in Parrocchia di qualche pubblico scandalo, il nostro parroco rivela la presenza in parrocchia di una coppia di concubini, cosa gravissima per l’epoca anche perché poco diffusa soprattutto in una piccola comunità agricola: "Vi è un concubinato. L’uomo à moglie con figli a Firenze. Ha pure un figlio con la convivente di circa quindici anni. Sono tanti anni che convivono così e non cercano di rimediare."

Riguardo al vizio della bestemmia " non si è dei Popoli peggiori, ma anche qua si bestemmia. La giornata antiblasfema si riduce ad esortazioni e ad un’ora di Adorazione in riparazione."

Poche o del tutto inesistenti le associazioni laicali: l’Azione Cattolica era nella vicina Parrocchia di Santa Maria a Greve (Scandicci) "dato che i due popoli formano quasi un quid unicum"; la Congregazione della Dottrina Cristiana "è in via di costituzione"; le Opere per la Propagazione della fede, del Clero Indigeno e della S. Infanzia e la Commissione parrocchiale per le opere missionarie sono in pratica inesistenti, i fedeli sono sempre gli stessi che "girano" per le diverse Commissioni. Il cosiddetto "Catechismo di perseveranza" non esiste. " Si tengono le varie adunanze, ma la perfetta osservanza lascia a desiderare. Son quasi tutti contadini-ortolani e non si trova mai il tempo. Il Parroco cerca di fare, ma non è seguito come si desidera."

Anche le tradizionali pie pratiche come quelle in onore del Sacro Cuore o la Comunione ai primi venerdì del mese, sono poco seguite " il numero è scarso e non si riesce ad aumentarlo".

La Dottrina si impartisce nei giorni festivi, come prescritto, fra le due Messe festive. Non si danno vacanze come prescrive il Concilio Plenario e il Sinodo Diocesano, " ma quando cominciano le Vacanze scolastiche è caso raro che alcuno si presenti". In Quaresima e nel periodo della Cresima e della prima Comunione, una volta la settimana nei giorni feriali, "si raccolgono i fanciulli per impartir loro l’istruzione religiosa". La percentuale sulla popolazione dei frequentanti la Dottrina cristiana è di circa 25-30 %, ma se il questionario intende indagare sulla percentuale dell’intera popolazione includendo così il cosiddetto "Catechismo di perseveranza" per gli adulti, Don Salvadori risponde solamente per i fanciulli ed anche questi una volta passati a Comunione si allontanano: "…c’è quel benedetto pretesto anche da parte di certi genitori: tanto à già fatto la I Comunione! Credono di saperne abbastanza." Tutta la preparazione catechetica dei ragazzi veniva seguita dal parroco ed ogni anno si svolgeva la festa della "Dottrina Cristiana", con Comunione generale, appositi discorsi e premiazioni per i più meritevoli. Si usava l’apposito testo diocesano che altro non era che il Catechismo Romano di Pio X.

Anche gli adulti avrebbero dovuto seguire il catechismo secondo le norme del Sinodo diocesano, nel pomeriggio delle feste di precetto, "per mezz’ora e in forma facile e popolare" ma a San Bartolomeo in Tuto " si spiega sempre il Catechismo agli adulti, almeno che il numero non sia estremamente esiguo, perché oggi il Cinema, le Corse, il gioco del Calcio, il ballo e il pattinaggio à preso il posto del Vespro!"

In parrocchia non c’era il fonte battesimale e i neonati entro otto giorni come voleva la tradizione e la prassi della Chiesa di quegli anni, venivano condotti alla vicina Chiesa parrocchiale di Santa Maria.

A sei anni compiuti i bambini si presentavano per ricevere la Cresima che in quell’epoca veniva conferita prima di aver ricevuto la prima Comunione; questo avveniva almeno in centro Italia, perché don Salvadori annota come essendo immigrate alcune famiglie dal Meridione sono abituate a cresimare i loro figli in età più adulta.

In maniera abbastanza fiscale si richiedeva, sempre nel Questionario per la visita pastorale, quante erano le Comunioni in un anno e se si notava un aumento. A San Bartolo venivano distribuite circa 5000 particole all’anno e l’aumento era appena sensibile. Le ostie si compravano a Firenze in diversi Istituti di suore che le preparavano secondo le norme canoniche; il vino per la celebrazione eucaristica era preparato dallo stesso parroco.

Molto in uso, in tutte le parrocchie, era il Culto Eucaristico e così ogni sera dopo i Vespri o il Santo Rosario, anche a San Bartolo c’era la Benedizione col Santissimo Sacramento, se il numero dei presenti era sufficiente, o sicuramente alla domenica pomeriggio con più solennità.

Una volta all’anno c’erano le cosiddette "Quarantore": un periodo ininterrotto di esposizione Eucaristica, alla quale i fedeli si alternavano a turni in adorazione. Nella Parrocchia di San Bartolo

era consuetudine che le Quarantore si svolgessero subito dopo Carnevale, forse per "riparare" ai bagordi precedenti e "i turni erano svolti un giorno dai giovani e due giorni dalle giovani".

La frequenza alla Messa quotidiana era quasi del tutto inesistente e così sembra voler giustificare tale mancanza il nostro parroco agli occhi dei suoi superiori: " si promuove l’assistenza alla Messa anche nei giorni feriali, ma con scarso risultato, essendo quasi tutti contadini-ortolani. I pochi pigionali sono molto distanti."

Il Questionario passa poi in rassegna tutte le varie norme liturgiche con l’intento di verificare la loro osservanza o meno: se il tabernacolo è decoroso e secondo le prescrizioni, se la chiave di detto tabernacolo è d’argento o almeno argentata e se viene riposta ogni qualvolta si allontana il sacerdote, se il Corporale (panno in lino ben inamidato che raccoglie dalla patena gli eventuali frammenti caduti dalla particola) è di grandezza regolare e viene lavato, insieme all’altra biancheria di chiesa, dallo stesso sacerdote.

Riguardo alle vocazioni al sacerdozio don Salvadori si rammarica di non essere riuscito a coltivarne neppure una in quel popolo anche se annualmente si fa una colletta e si raccoglie il grano per il Seminario.

Il canto e la musica sacra a San Bartolo erano poco curati: l’organo c’era ma era guasto e fu tolto dalla cantoria sopra l’ingresso in occasione del restauro della chiesa. I Vespri festivi si cantavano in gregoriano "come meglio si può" perché non c’era una vera e propria scuola di canto: le donne sono un po’ più costanti degli uomini e i fanciulli sono pochi e incostanti perché molto distanti dalla chiesa. Del resto ormai " alle funzioni vespertine, gli uomini eccettuate le feste solenni, vi partecipano rarissimamente; quindi è impossibile insegnare a cantare. Oggi il tempo delle funzioni lo trascorrono in altri luoghi, con le Lambrette e altri motori, strisciano davanti alla chiesa senza neppure voltarsi. Si à voglia di predicare e di richiamare anche singolarmente!…"

Dalle risposte al Questionario si ricavano altre notizie riguardanti l’edificio sacro e i beni ecclesiastici di pertinenza alla parrocchia di San Bartolo.

Alla domanda di quando fosse stata edificata la chiesa, il nostro parroco in modo piuttosto sbrigativo e non certo desideroso di svolgere un lavoro di ricerca di tipo storico, così si esprime:

"Non trovo memoria di tal genere. È antichissima. Forse da quel che ho potuto raccogliere, esiste fin dal 1100. Nell’Archivio della Rev.ma Curia ò trovato scritto quanto segue in merito: -Si fa la Sagra il 23 Novembre per tradizione.- Non vi è lapide che ricordi l’avvenuta consacrazione."

La chiesa è lunga m.18 e larga m.5,50.

"Oggi dopo un anno di restauri, la chiesa è ritornata nuova; mancano gli ultimi ritocchi. Tanto la chiesa che la canonica è quasi tutta rinnovata. I tetti, il soffitto e il legname ecc. tutto rinnovato. Avanti i restauri c’erano 5 altari, ne ò tolti due perché la chiesa è piccola. Oggi sono rimasti tre: L’Altar Maggiore, uno dedicato al SS.mo Crocifisso e l’Altare di Maria Santissima.

La custodia delle reliquie era dietro l’Altar Maggiore, ma avendo tutto modificato, per ora le ò riposte in un armadio. Sto studiando come riordinarle.

Le pile dell’acqua santa si tengono pulite e si rinnova spesso l’acqua.

La Sagrestia è piccola: Il pavimento non è completamente asciutto. Questa è rimasta tale e quale. Si sono spesi quasi 5 milioni e questa è rimasta per mancanza di fondi.

La Canonica è stata ripresa dalle fondamenta. Attualmente può dirsi nuova. Era una catapecchia pericolante. Ringrazio il Signore di non esserci rimasto sepolto. Ha il pian terreno e il primo piano. Vi sono 9 stanze con qualche stanzetta ora abitabile. Vi è l’orto; ma ora è necessario far sosta, perché ne ò restaurate abbastanza di Chiese e Canoniche.

Il Campanile è come nuovo e non nuoce alla statica della chiesa.

Nella Chiesa nel disfare il pavimento abbiamo trovato da cima a fondo un vero sepolcreto.

In parrocchia vi sono 4 cappelle e vi ò celebrato nei giorni festivi durante il periodo dei restauri della chiesa parrocchiale. Vi ò celebrato in quel tempo soltanto la II Messa festiva. La I Messa l’ò celebrata nella Chiesa di Santa Maria che è a pochi passi di distanza."

A proposito dei restauri della Chiesa troviamo altre notizie interessanti nel Cronicon parrocchiale alle pagine 30-33:

I restauri della Chiesa e Canonica

(30 Marzo 1954 – 30 Aprile 1955)

Venuto la sera del 9 febbraio 1950 quale Parroco di questa Chiesa, trovai la Canonica in uno stato deplorevole, una catapecchia addirittura e pericolosa sia per vetustà perché da tanti anni urgeva una riparazione radicale e non mai eseguita nonostante si fossero fatti preventivi e perizie non mai attuati dai predecessori, sia anche per i bombardamenti dell’ultima guerra che l’avevano scossa fin dalle fondamenta. La Chiesa di dentro, al di sotto del soffitto, ò studiato che la rendeva bassa, era passabile, direi discreta. Al di sopra del soffitto era un disastro. La copertura con una sola pendenza rivolta a nord era qualcosa di spaventoso e nonostante le continue riparazioni pioveva in molte parti come anche in Canonica. Il travame e i correnti marci e imbarcati potevano da un momento all’altro precipitare dato anche che le pareti di sopra del soffitto erano tutte sciolte. Lo si vide quando vi si mise mano: si disfacevano senza bisogno di piccone e di mazzuolo. Furono demolite fino a trovare la stabilità. Si fecero nuove con pietre e mattoni e siccome si vollero dare due pendenze, si dovè alzare tutto lo stabile per andare sopra la Canonica. Si demolì l’arco sopra il balaustro che era basso e chiatto e si ricostruì l’attuale. Il tutto è risultato quasi troppo alto date le dimensioni della Chiesa. Fu demolita fino ad una certa altezza la facciata e fu ricostruita solidamente. Vi erano due finestrine con persiana (cascanti) ed io vi ordinai di fare quel rotondo come apparisce oggi. La finestra con due telai da aprirsi costò 50 mila lire (la famiglia Caini aveva dato £ 40000 e il resto lo misi io). Fu demolita l’Orchestra che stonava e l’organo che era guasto da tanti anni (questo però messo tutto in ordine, ottava per ottava, dal Sig. Paoli di Campi Bisenzio, è in una cassa in Canonica onde poterlo restaurare quando vi sarà buona volontà e i mezzi necessari. Si collocherà in Coro).

Fu demolito il balaustro che era di legno e sostituito dall’attuale in cemento armato. Fu rifatto il gradino del balaustro perché l’altro era consunto ed umido.

Tutta la copertura sia della Chiesa che della Canonica, compreso il travame e correnti fu tutto rinnovato. Dietro l’Altar Maggiore vi era l’Urna col SS.mo Crocifisso, la tolsi perché ingombrante e ridottola dalla parte posteriore la ricollocai dopo aver preparato il vuoto necessario, all’Altare laterale destro di chi entra in Chiesa. Su questo vi era il dipinto su legno rappresentante la Deposizione di Gesù in grembo alla Madre. La feci restaurare da un tecnico delle Belle Arti, perché le figure erano appena visibili e la collocai dopo aver demoliti i due Altari di fondo che stonavano (5 Altari in una Chiesa così piccola!) sulla parete a destra dove era l’Altare della Madonna di Pompei; dove era l’Altare di sinistra, sempre di chi entra, demolito questo, riadattai l’Urna (vi era la statua dell’Immacolata) e vi posi la statua del S.Cuore.

Nel riordinare la tavola della Deposizione già descritta e l’altra tavola in cui è dipinta la Madonna col Bambino ed è posta sopra un piedistallo di pietra sopra il Confessionale di sinistra, mi occorse una spesa che superò le 20 mila lire. Nell’impianto nuovo di luce elettrica mi toccò la spesa di altre 30 mila lire senza contare la lumiera di ferro battuto.

Fu inoltre demolito il soffitto del Coro che era di legno tutto marcito e basso. Fu rialzato e rifatto con travetti armati di ferro.

Il Campanile poi che sembrava il più cadente fu tutto riarmato e consolidato. Fu rimessa la Croce e vi fu aggiunto il parafulmini. Rifatti pure i mozzi delle campane e i palchetti ed è tutto rifatto come attualmente si vede.

Il porticato davanti alla Chiesa, indecentissimo, fu sostituito dall’attuale.

È rimasta la Sacrestia e il Corridoio: se potrò lo farò, altrimenti chi verrà dopo di me farà quel che crede. La spesa complessiva di circa 5 milioni fu sostenuta dal Genio Civile senza contare la spesa fatta da me. Se non vi era chi mi à aiutato ad ottenere che il Genio si movesse, questa Chiesa e Canonica sarebbero presto sparite perché nessuno poteva sostenere tale spesa.

Ringrazio il Signore che dopo tante ansietà, viaggi e sacrifizi, ò riportato la stabilità ed è messo al sicuro per tanti mai anni chi mi succederà, di modo che questi avrà una Canonica decente ed una Chiesa accogliente.

Laus Deo!"

La Chiesa benché non ultimata era pronta ad accogliere di nuovo il suo popolo e "si potè riofficiare gli ultimi di Novembre 1954".

Un "Avviso Sacro" del 5 settembre 1958 e conservato nell’Archivio Parrocchiale, ricorda l’istituzione per la parrocchia della Festa della Madonna Delle Grazie.

Ricorreva il centenario dell’apparizione dell’Immacolata a Lourdes ed in ogni Chiesa e Parrocchia " si sono svolte e si svolgono Feste solenni in onore della Bianca Regina dei Pirenei" ed anche a San Bartolo, che accoglie un prezioso dipinto del 1300 raffigurante la Vergine in trono che mostra il Bambino Gesù, si fa proposito di festeggiare con solennità ogni anno la Vergine Maria, alla prima domenica dopo l’8 settembre e sarà da allora onorata con il titolo di "Madonna delle Grazie e Salute degli infermi".

Ma dopo tanto giubilo, ironia della sorte, sempre il Cronicon è costretto a registrare, in data 15 maggio 1959, come solo dopo due o tre anni il nostro anziano Parroco, entrando in chiesa, sentiva rosicchiare le travi e i cavalletti della Chiesa e notava della strana polvere sulle panche e sul pavimento. Si rivolse di nuovo al Genio Civile che ancora doveva svolgere il Collaudo, ma questi rispose che niente poteva farci poiché questo "lavorio dei tarli o capricorno come Essi lo chiamavano" si era avvertito dopo ultimati i lavori. Avvenne poi un sopralluogo di alcuni tecnici del Genio e del Comune di Scandicci. Seguì poi una lettera che intimava la chiusura immediata della Chiesa.

" Il 14 Agosto del 1959 chiusi la Chiesa al pubblico ed è tuttora chiusa (20 Gennaio 1960). I tecnici del Genio presero del polverino e delle schegge per esaminarle. Da allora, nonostante tanti abboccamenti avuti, non siamo approdati a niente. Il Genio risponde che essendo avvenuti tanti casi simili in provincia, per ora non ci sono disposizioni da potere egli intervenire e quindi le riparazioni necessarie spettano al Beneficio parrocchiale e per quanto mi sia impegnato e messo di mezzo persone autorevoli, non ci si è mossi di un passo."

Il popolo scontento si radunava per le celebrazioni nel lungo corridoio prospiciente la chiesa, con grande umiliazione del parroco che notava un progressivo allontanamento della gente dalle celebrazioni.

Finalmente, dopo "tante ansie, discussioni e scritti" fu approvato dal Governo lo stanziamento di 2 milioni e il 12 giugno del 1961 si ricominciarono i lavori e il 30 luglio dello stesso anno la Chiesa venne riaperta al culto che per l’occasione fu di nuovo imbiancata, rimesse a nuovo le panche ed ebbe perfino un nuovo tabernacolo! Don Salvadori annota tutto questo nel Cronicon con un tono di continuo rammarico e soprattutto di autocommiserazione per essere costretto di nuovo a metter mano al portafoglio! "Feci il Tabernacolo nuovo all’Altar Maggiore come si può vedere e furono spese £ 135000. Ebbi delle offerte ma da parte mia ci ò rimesso dalle 50 alle 60 mila lire. (3 Novembre 1961)"

Fu opportuno il nuovo intervento del Genio Civile perché il Beneficio parrocchiale non avrebbe potuto davvero intervenire: la parrocchia era abbastanza povera. Troviamo notizie riguardo ai possedimenti della parrocchia sempre nelle risposte al questionario per la Visita Pastorale del 1955 alla voce "I beni ecclesiastici".

Fino al 1954 il Beneficio parrocchiale di San Bartolo possedeva un ettaro e mezzo di terreno con piccola casa colonica; nel 1955 un ettaro di questo divenne fabbricabile e fu permutato con un podere di circa tre ettari con casa colonica, non molto distante dalla parrocchia e fu dato in affitto insieme all’altro mezzo ettaro rimasto. Oltre la fonte suddetta, anche nel Cronicon Don Salvadori così si esprime: " Mi preme inoltre descrivere che il Beneficio parrocchiale con 1 ettaro e mezzo di terreno che possedeva, ne à oggi 3 ettari e mezzo. Il terreno dietro la Chiesa di Santa Maria a Scandicci di circa un ettaro, resultato terreno fabbricativo l’ò, con tutti i permessi richiesti, permutato col Sig. Berti (noto costruttore di Scandicci, ndr.) padrone del podere del Borgi, in Via delle Cascine in questo popolo. È in tutto di circa 5 ettari e alla Chiesa per permuta ne sono stati assegnati circa 3 ettari con casa, stalla, annessi e adiacenze. Ora il Beneficio à questo, più l’altro mezzo ettaro rimasto alla casa già esistente. Anche in questa ò fatto dei restauri. Chi verrà dopo di me, si troverà il nido già preparato. Qui termino. 27 aprile 1955." In realtà, facendo un salto nel tempo, ma per concludere la cronaca del Beneficio parrocchiale, Don Salvadori non fu profetico: i suoi successori non goderanno affatto di tali beni. Troviamo infatti in appendice al Cronicon, una lettera per la prima volta con tono risoluto di Don Salvadori all’allora Arcivescovo Florit, in data 16 gennaio 1968.

A quell’epoca il vecchio parroco si era già ritirato a vita privata con la famiglia, anche se rimase nominalmente parroco fino al 31 dicembre 1973. Lo sostituiva, come Vicario Spirituale, un giovane prete dell’Opera Madonnina del Grappa, don Piero Paciscopi, che sarà poi parroco di San Bartolo per oltre venti anni.

Dalla suddetta lettera si capisce chiaramente come il vecchio Priore fosse convocato dall’Arcivescovo e convinto a cedere quasi tutto il podere di Via delle Cascine. Era stata creata nel frattempo una nuova Parrocchia a Vingone, altro quartiere di Scandicci, e questa abbisognava di un terreno dove far giocare i giovani. Avrebbe dovuto essere un luogo d’incontro giovanile interparrocchiale.

Anche se reticente, dietro insistenza del Cardinale, don Salvadori cedette "per il bene dei giovani".

Ma dopo circa un anno si presentò all’anziano Priore, un certo Ingegner Chiarugi che d’intesa con Monsignor Quercioli (Amministratore Economo della Curia fiorentina) gli richiese alcune firme per poter vendere e poi costruire sul terreno suddetto. La destinazione era evidentemente cambiata e don Salvadori non firmò!

"… quindi se uno lo deve vendere, sono io che devo venderlo perché qui a San Bartolomeo in Tuto urge una nuova Chiesa, una sala parrocchiale per le associazioni cattoliche, delle aule per il catechismo, per il quale non avendo locale sono costretto a farlo in chiesa, che con questa marea di figlioli è una vera e propria profanazione essendo oggi tanto irrequieti. Inoltre sarebbe necessario un asilo per accogliere questa moltitudine di bambini che ogni giorno aumenta. Qui da un poco a questa parte non si fa che costruire e fra breve tempo questo popolo diventerà più grande di quello di Santa Maria a Scandicci. Quindi io revoco l’assenso che Vostra Eminenza mi pregò dare per tale cessione, perché vedo bene che, come ho esposto, è stato invertito il motivo per cui tale terreno è stato richiesto. Scandicci, lì 16.1.1968. Firmato: Il Parroco Don Giuseppe Salvadori."

Ma anche questa sua lettera valse a poco. Qualche mese dopo fu visitato a casa da sacerdoti della Curia fiorentina e il terreno fu venduto.

Il Beneficio parrocchiale ebbe in cambio un appartamento di 4 stanze in un nuovo stabile di Via Monti, sempre nel territorio della parrocchia; ma anche di questo i successori di Don Salvadori non seppero mai niente. La Reverendissima Curia pensò bene di affittarlo ed incassare per sé il relativo canone. Come vedremo in seguito, il nuovo parroco, che viveva in ristrettezze economiche avendo fatto scelte pastorali innovative per quell’epoca – aveva accolto in casa sua, secondo lo Spirito di Don Facibeni, diversi bisognosi – saprà di possedere un appartamento locato, diversi anni dopo e solamente perché gli fu recapitato una cartella esattoriale relativa l’appartamento sopra menzionato.

Altre notizie si ricavano dal questionario della Visita Pastorale del 5 febbraio1961 che svolse sempre Il Vescovo Florit come coadiutore del Cardinale Della Costa.

Nel "Decreto" conclusivo della Sacra Visita, firmato da Ermenegildo Florit, Arcivescovo Coadiutore, alle "Osservazioni conclusive" si legge testualmente come "Essendo la Chiesa chiusa al pubblico perché pericolante nella copertura, i fedeli di San Bartolo si sono uniti a quelli di Santa Maria a Scandicci per tutti i sacri riti e manifestazioni della Visita Pastorale."

Don Giuseppe Salvadori ha già 75 anni e comincia a lamentare disturbi soprattutto alla vista e a sentirsi vecchio e inadeguato per una parrocchia che negli ultimi anni accennava a subire dei profondi mutamenti: Scandicci da zona rurale stava diventando la grande periferia di Firenze. La parrocchia ancora era piccola: nel 1960 gli abitanti erano 635 circa, 120 le famiglie, nati 3 bambini, 9 cresimati, 7 passati a comunione, 6 matrimoni celebrati in Parrocchia e 6 decessi.

Nel territorio della parrocchia non c’erano opifici industriali e quindi la popolazione era ancora prevalentemente formata da contadini. Alla solita domanda del Questionario riguardante l’esistenza o meno in parrocchia di pubblici scandali o di casi di concubinato, il nostro parroco con estremo sollievo può finalmente rispondere in modo negativo. Chissà che fine abbia fatto la coppia di concubini che abbiamo trovato nel precedente questionario e che tanto angustiava il vecchio parroco? Avranno semplicemente traslocato!

Per quanto riguarda il mondo associativo cattolico la situazione non è molto cambiata, anzi è in qualche modo peggiorata.

Don Salvadori lamenta sempre la poca assiduità dei pochi iscritti alle riunioni di Azione Cattolica ( l’associazione di Uomini Cattolici non era ancora costituita) e questi si accostano sempre più raramente ai SS. Sacramenti. Del resto mancano anche gli ambienti adibiti ad uso esclusivo delle Associazioni: " Non ò che una stanza al piano terreno e tutto si svolge lì."

Tutte le risposte al Questionario non presentano nessuna novità rispetto a quelle in occasione della precedente visita del 1955, anzi confrontandole è evidente come l’anziano Priore abbia tirato fuori dall’Archivio e ricopiato il precedente Questionario. Poche sono le novità del resto anche nelle domande poste dal Visitatore, se per esempio si suonavano regolarmente le campane . Seguono le domande circa i vari Sacramenti. Riguardo al Battesimo don Salvadori nota come non sempre si impongono nomi cristiani, "specialmente oggigiorno". Addirittura qualcuno, cosa per lui impensabile, pensa di non battezzare i propri figli." Vi è tornato da Firenze una famiglia che ha rifiutato l’acqua santa chiamandola questa una cosa superata. Ha due bambini e non intende passarli né a Cresima, né a Comunione. Mi ànno risposto: quando si sposeranno decideranno loro!"

Siamo negli anni ’60 e già si hanno i primi prodromi di un cambiamento totale di mentalità: inizia quel lungo periodo che molti teologi chiameranno di "scristianizzazione e di crisi di fede" e il nostro vecchio priore non è preparato ad affrontare tale sfida e si rinchiude sempre più in un cupo pessimismo. Continua la normale pastorale dei sacramenti anche se ridotta al minimo. I ripetuti restauri alla chiesa, con relativa chiusura di questa al pubblico, hanno fiaccato l’entusiasmo del "Priorino" (come veniva chiamato familiarmente) che tanto amava i suoi "riti solenni"!

Il Concilio Vaticano II stava per spingere il clero e i laici ad uscire dalle chiese e dalle sacrestie per svolgere il loro ministero sacerdotale in mezzo al mondo: il nostro parroco e con lui tanti cristiani di quegli anni non erano preparati a questo compito. La Chiesa era da loro concepita come "unica tavola di salvezza" a cui il mondo intero avrebbe dovuto aggrapparsi per trovare rifugio dai "flutti mortali" del mondo.

La "Lumen gentium", costituzione fondamentale del Concilio Vaticano II, era ancora da venire ed anche una volta promulgata occorreranno tanti anni, prima che si radichi profondamente nella mentalità e nella prassi pastorale della Chiesa cattolica.

Ancora oggi per certi settori miopi della Chiesa si fatica a rendersi conto della profonda laicizzazione e scristianizzazione della nostra società: si preferisce illudersi, riparandosi dietro un generico umanesimo inneggiante all’uomo "naturalmente" buono ed alla convinzione che la nostra Italia è ancora profondamente cristiana. Già da molti anni i Vescovi Europei hanno dichiarato, almeno sulla carta, come il vecchio Continente Europeo sia terra di missione. Gli ultimi Papi hanno gridato e in modo reiterato, l’urgenza di una nuova evangelizzazione. Tutto questo trova difficoltà ad essere accolto ancora ai nostri giorni, figuriamoci negli anni ’60 di cui ci occupiamo!

Il Questionario, attraverso le sue domande, rivela come la Chiesa fiorentina cercasse in qualche modo di modernizzarsi, ma sempre in modo esteriore e superficiale. Si avverte l’avvicinarsi della riforma liturgica, ma solo nei suoi aspetti più esteriori. Ecco alcune domande poste nel Questionario: se si evitano di celebrare più Messe nello stesso orario o per lo meno, non potendolo evitare, se le Messe celebrate agli altari laterali sono celebrate a voce bassa; se si è introdotto l’uso della Messa dialogata con il popolo; se esiste un commentatore che guidi il popolo nelle risposte collettive; se c’è in parrocchia un buon impianto di amplificazione…

Per tutto il resto, come già detto, il Questionario è una copia del precedente e quindi non degno di menzione.

Don Giuseppe Salvadori rinuncerà alla Parrocchia, per motivi di salute il 31 dicembre 1973, ma come già accennato, in realtà si era già ritirato dal 1968, quando la Parrocchia fu affidata ai Sacerdoti dell’Opera della Divina Provvidenza "Madonnina del Grappa" di Firenze.

Indietro

Home

Avanti