Don Paolo
Jancourt, Parroco a San Bartolo dal
settembre 1936,
fino alla sua morte il 16 dicembre 1949
Alla fine del mese di settembre del 1936, venne
Vicario a San Bartolo Don Paolo Jancourt "il quale fu
molto bene accolto dal popolo" come lui stesso ci
racconta. Il 20 novembre 1936, il Vicario Don Paolo Jancourt
ricevette la canonica investitura come "Priore" della
Chiesa di San Bartolomeo in Tuto, essendo Arcivescovo Sua Eminenza
il Cardinale Elia Della Costa e Vicario Generale Sua Eccellenza
Mons. Giovacchino Bonardi.
Il ventennio che precedette la seconda Guerra
mondiale è vissuto anche nella nostra piccola Parrocchia del
suburbio con gli stessi problemi che l’intera Chiesa italiana
stava vivendo.
Nel dicembre del 1937, previa comunicazione all’Arcivescovo,
il Parroco don Paolo Jancourt, aveva sciolto l’Azione Cattolica,
" perché a parere del Priore, dati gli elementi poco
adatti, non si poteva svolgere una vera e propria azione
cattolica, degna di questa denominazione.(Non per altro che per
ignoranza religiosa e mancanza di volontà d’istruirsi nel
catechismo). Non si poteva
chiamare Azione cattolica un gruppo di dieci
uomini e un gruppo di dieci donne, solo perché pagavano
puntualmente la tessera ma non volevano istruirsi negli elementi
principali della dottrina cattolica. Come popolani tutti buoni
cristiani, ma non domandiamo loro istruzione religiosa.(Forse un
altro parroco più buono e più degno dello scrivente farà
miracoli.) Il giudizio è alquanto severo anche se ammantato
dal tono paternalistico tipico del mondo ecclesiastico di quell’epoca.
Occorre domandarci inoltre, se in qualche modo e di riflesso, i
veri motivi di tale chiusura non fossero altri.
In Italia negli anni immediatamente precedenti,
fu aspro il contrasto fra il partito nazionale fascista e i
vertici dell’Azione Cattolica Italiana che giunse al suo culmine
nel 1931.
L’Azione Cattolica, potenziata dal
pontificato di Pio XI (1922-1939), tentava in quegli anni la
riaggregazione del laicato cristiano e chissà in quale misura i
noti scontri fra Stato totalitario e associazionismo cattolico,
possano aver determinato la decisione del nostro "buon
parroco" riguardante la chiusura dell’associazione
parrocchiale.
I rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa
furono regolati nel 1929 da un Concordato (Patti Lateranensi dell’11
febbraio 1929) i cui aspetti più significativi furono: il
riconoscimento della validità civile del matrimonio religioso; l’impegno
a impartire l’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche di
ogni ordine e grado; la negazione dei pieni diritti civili dei
sacerdoti dichiarati eretici o di quelli che avevano rinunciato
allo stato sacerdotale; e, riguardo a ciò che più da vicino ci
interessa, la proibizione di ogni attività politica dell’Azione
Cattolica.
Molti fedeli e membri dell’Azione cattolica
non avevano condiviso l’entusiasmo di una parte delle gerarchie
ecclesiali per Mussolini e per il suo "provvidenziale"
regime. Tanti cattolici si unirono alle file dell’opposizione
antifascista in Italia e all’estero.
Anche in campo laico Benedetto Croce aveva
pronunciato al Senato un discorso contro il Concordato,
richiamandosi alle tradizioni liberali della libertà di coscienza
e della separazione fra Stato e Chiesa.
Neppure il mondo fascista vedeva di buon
occhio, nonostante gli accordi ufficiali, quel gregge "di
pecore" agli ordini del romano pontefice; dietro questa
ostentazione di disprezzo e sicurezza c’era ben altro.
La battaglia non era prettamente politica, ma
morale e religiosa: occorreva strappare alla Chiesa la gioventù.
Anche se i tesserati alle varie organizzazioni giovanili del
regime erano assai numerosi, la loro adesione alla
"fede" fascista non fu mai profondamente convinta. La
consapevolezza di questa superficialità irritava il
"Duce" ed i suoi gerarchi che vedevano invece l’intima
adesione della gioventù cattolica alla loro associazione.
Il conflitto giunse al suo apice nel 1931: il
regime non tollerava che l’Azione Cattolica rivolgesse il suo
operato direttamente alla vita sociale della nazione.
Il 19 marzo il "Lavoro fascista",
organo del sindacato e del corporativismo di partito, denunciò
"l’Istituto cattolico di attività sociale" affermando
che tale istituto "invadeva il campo dell’ordinamento
sociale fascista e siccome non c’era competitività fra l’ordinamento
sociale fascista e quello cattolico, non servivano doppioni",
quindi il "Segretariato operaio cattolico" andava
dichiarato illegale.
"L’Osservatore Romano" glissò
sulla questione rispondendo in modo ironico e non dando importanza
alla cosa. Questo non fu gradito dai responsabili dell’Azione
Cattolica.
Il Presidente della Federazione giovanile
cattolica si dimise.
Entrò in campo "La Tribuna"
dichiarando come queste dimissioni non fossero un fatto puramente
personale ma ci fosse nascosta l’ostilità verso il regime
fascista da parte di quegli iscritti all’Azione Cattolica che
volevano risuscitare il popolarismo del defunto partito.
Pio XI intervenne personalmente affermando come
non ci fosse campo umano dove l’azione del laicato cattolico non
avesse diritto a rivolgersi.
Gli ultimi dieci giorni di maggio del 1931
videro scoppiare in diverse parti d’Italia, da Torino a Venezia,
da Milano a Ravenna, da Trento a Bari, una serie di violenze
perpetrate agli iscritti e alle sedi dell’Azione Cattolica.
Anche a Roma si invase il Palazzo della Cancelleria Apostolica e
si tentò un assalto all’Università pontificia dell’Apollinare.
Era tornato lo squadrismo fascista.
Il 30 maggio fu ordinato in tutta Italia lo
scioglimento di ogni organizzazione giovanile che non facesse
parte del partito o dell’Opera Nazionale Balilla.
Il Pontefice, in un suo discorso, protestò
vivacemente richiamando all’osservanza del Concordato. Egli
sospese a Roma il Congresso Eucaristico Diocesano e le processioni
fuori dalle chiese in tutta Italia.
Il 29 giugno 1931, con l’Enciclica "Non
abbiamo bisogno" (in lingua italiana!), il Papa dichiarava
tutta la sua amarezza e protestava contro lo scioglimento "eseguito
per vie di fatto e con procedimenti che dettero l’impressione
che si procedesse contro una vasta e pericolosa associazione a
delinquere". Denunciava pure le violenze subite contro
cose e persone compresa anche "la Nostra".
Il 2 settembre viene firmato un nuovo accordo:
l’Azione Cattolica era nuovamente riconosciuta dal governo ma in
forma essenzialmente diocesana. I dirigenti erano scelti dai
Vescovi escludendo coloro che in precedenza avevano aderito a
partiti avversi al regime. Venne ribadito anche che l’Azione
Cattolica non si occupava "affatto di politica".
Troppo e in modo per lui prolisso, lo Jancourt
si sofferma sui pretestuosi motivi di chiusura di tale
associazione, neppure "degna di portare questo nome" e
anche questo ci fa sospettare sul reale motivo di tale
soppressione ed anche se avvenuta dopo sei anni i fatti del 1931
sopra ricordati, il clima non era ancora certo quello favorevole a
far sì che uomini e donne di semplice estrazione si potessero
compromettere con un’associazione quantomeno sospetta al regime
e quindi anche ai piccoli gerarchetti locali.
Nel questionario in preparazione alla Visita
Pastorale del 1938 appaiono di nuovo le giustificazioni del nostro
parroco circa la chiusura dell’Azione cattolica: segno evidente
che i Vescovi italiani, porgendo ai loro Parroci la domanda
diretta sulla salute dell’Azione Cattolica, tenevano in gran
cura tale associazione. Don Jancourt aveva avuto anche un
colloquio col Cardinale Della Costa sempre su tale argomento. Ecco
le sue parole tratte dal suddetto Questionario conservato nell’Archivio
parrocchiale di San Bartolomeo in Tuto:
"Esisteva l’Azione Cattolica quando
venni Parroco, ma ho dovuto toglierla, previo avviso a Sua
Eminenza il Sig. Cardinale, perché mancavano gli elementi adatti
o per dir meglio formati e assolutamente irriducibili. Dei pochi
ascritti all’Associazione U.C. (Uomini Cattolici), come
pure a quello delle D. C. (Donne Cattoliche) pochi
prendevano parte all’adunanze; nessuno voleva studiare il
catechismo, adducendo di non saper leggere o di non aver tempo.
Spiegai a voce a Sua Emin. Il Sig. Cardinale come sorse l’A.C. a
San Bartolo. Nessuno degli ascritti era venuto dalle file dei
Circoli Cattolici. Formare un Circolo di Aspiranti, di Beniamine e
di Crociatini? Sarebbe il mio sogno. Ma qui i bambini non vogliono
saperne di studiare la Dottrina, se si tratta di farli giocare
sono sempre pronti. È così di tutti i bambini in generale, lo
so, ma se i genitori ci aiutassero! Ma dai genitori non c’è da
aspettarsi nessun aiuto, nessun impulso, nessuno atto energico per
convincere i propri figli e costringerli a venire ad imparare alla
scuola di dottrina parrocchiale e a farli studiare a casa le
risposte che si da loro ad imparare. I genitori stessi non vedono
la necessità di usare questo rigore perché essi stessi non sanno
nulla di dottrina all’infuori di un po’ di Pater noster, Ave
Maria ecc. che sanno alla peggio. Ci sono ancora dei ragazzi di
dieci anni che non sanno ancora il Pater noster in latino. Sarei
felice di formare un piccolo clero che cantasse, servisse la
Messa, ma è una follia sperarlo. L’anno scorso ai 24 fra
bambini e bambine che passarono a Comunione, insegnai a rispondere
alla S.Messa e fui felice, come lo furono i genitori e tutto il
popolo; oggi dopo dieci mesi stento ad avere un bambino che mi
serve la S.Messa nei giorni feriali e questo perché? Perché i
genitori non parlano mai in casa di cose di chiesa. Per mandarli a
scuola comunale si danno molto daffare perché…!"
Il ritratto di questo Parroco che appare dalle
sue stesse parole rimaste a noi documentate nelle risposte al
questionario in occasione della Visita Pastorale del 1938, ci
rivelano un uomo già anziano e quella che oggi chiameremo una
vocazione adulta: sembra che sia stato, prima di essere ordinato
sacerdote, un discreto cantante lirico. Lo Jancourt era stato
nominato parroco di San Bartolomeo in Tuto a 62 anni nel 1936.
Attento ad osservare ogni norma canonica e quando si sente in
qualche modo inadempiente, pronto sempre a giustificarsi. Di primo
acchito si è portati a giudicarlo un altro "don
Abbondio", ma occorre tener presente come anche le gerarchie
ecclesiastiche fossero estremamente fiscaliste e meticolose. Ed
ecco la sua presentazione:
" Sac. Paolo Jancourt anni 64. Parroco.
Il Parroco attende tutti i giorni alle consuete pratiche di
pietà: Meditazione, apparecchia alla S. Messa, ringraziamento e
celebra più devotamente più che gli è possibile. Visite
reiterate al SS. Sacramento, la confessione frequentissima. L’Ufficio
divino lo recito in tempo debito, ma quasi mai in chiesa.
Tengo il registro delle Messe celebrate e da celebrare.
Spesso attendo allo studio della Teologia.
Fino ad ora ho frequentato poco la Congregazione dei Casi
perché non bene in salute.
Ho con me una donna di servizio, donna seria, onestissima, di
nome Adele, ha 58 anni.
Feci a suo tempo il testamento con tutte le modalità
raccomandate. Non appariscono somme di denaro. È edificante per
il Popolo. Fu consegnato a Mons. Brunetti, Proposto del Pignone.
Non sono, grazie a Dio, avaro e non m’importa di accumulare (eppoi
qui, anche se lo volessi…).
Leggo solo l’Avvenire d’Italia."
Sei mesi più tardi, in occasione della Visita
Pastorale iniziata il 24 aprile 1938, sempre Don Jancourt nel
Cronicon annotava però come il popolo accorresse in massa all’arrivo
del Cardinale Elia Della Costa. "Sua Eminenza il Cardinale
amministrò la Cresima a sette bambini. Nel pomeriggio fece un
breve esame di dottrina ai bambini e bambine di I, II e III
classe, ma furono pochissimi che si presentarono (sempre per l’incuria
dei genitori). Sua Eminenza parlò al popolo esortandolo a dare
molta importanza allo studio della dottrina e disse che su 700
anime, ci dovrebbero essere almeno 60 allievi della scuola di
dottrina. Alla S.Messa della Comunione Generale, circa 200 persone
fecero la S. Comunione. Il Cardinale lasciò la Parrocchia assai
contento. Ma si capì benissimo che avrebbe desiderato di più. Ha
ragione S.E. il nostro amato Cardinale, ma in questi popolani
rurali non si può far tutto quello che sarebbe desiderabile. È
un popolo che ha troppo da fare coi campi, non può venire molto
intorno alla Chiesa."
Il popolo rispondeva dunque e con entusiasmo
alla proposta propriamente più sacramentale dell’annuncio
cristiano rivolto dalla Chiesa, ma era più reticente a calarlo
nella vita sociale e politica: è ciò che oggi viene chiamato
come "divorzio fra fede professata e vita".
Molte sono le considerazioni fondate che si
possono trarre anche da queste poche notizie. Anche fra i pastori,
la fede di un popolo si misurava in modo giuridico: dal numero dei
partecipanti alla Messa domenicale e dal numero di coloro che si
erano accostati alla Comunione. Non possiamo certo valutare con i
nostri criteri la prassi di quell’epoca. Coloro che si
comunicavano erano sicuramente dei fedeli assidui alla vita
parrocchiale; era impensabile comunicarsi in "peccato
mortale" ovvero aver tralasciato la Messa domenicale o
trasgredito anche uno solo dei Dieci Comandamenti. Duecento
comunicati su settecento abitanti la Parrocchia, è una
percentuale del 29% circa e questa riguarda coloro che si
accostavano al Banchetto Eucaristico. Molti di più erano i fedeli
che frequentavano regolarmente la Chiesa perché, rispetto ai
nostri giorni, era meno frequente comunicarsi, sempre per quel
senso di inadeguatezza e quasi paura di non essere degni che era
generalizzato.
Altro metodo di valutare la vita di una
Parrocchia era la partecipazione dei bambini alla Scuola di
Dottrina cattolica. Il nostro Parroco si sentiva certo in difetto
davanti al Cardinale ed eccolo allora quasi difendere il suo
popolo o perlomeno il proprio operato scrivendo" che (il
popolo) ha troppo da fare nei campi e non può venire molto
intorno alla Chiesa". Dalle risposte al Questionario in
Preparazione alla Visita Pastorale dell’aprile del 1938, l’anziano
Parroco lamenta anche la mancanza del "piccolo clero"
nonostante i suoi sforzi per formarlo.
La Parrocchia era povera, di circa 650 anime e
100 le famiglie fra "coloni e pigionali" e così
viene in qualche modo presentata al Vescovo:" Il numero
dei nati è asceso quest’anno a 16. Cresimati nel 1936 n° 5.
Passati a Comunione n° 24. Dalla Pasqua del 1937 alla Pasqua di
quest’anno ci sono stati 6 matrimoni. Morti n° 12 nel 1937 e 1
in quest’anno.
Dalla maggioranza è osservato il riposo
festivo, ma non mancano molti che fanno il loro comodo non badando
ai miei ammonimenti.
Nemmeno un terzo della popolazione sente la
Messa parrocchiale a causa della vicina chiesa del paese che ha
tre messe e la massa degli uomini vanno alla messa delle 11.
Pochissimi vengono alle funzioni e quindi neppure alla spiegazione
del Catechismo che faccio precedere alla Benedizione.
Non so in coscienza quale sia il vizio
dominante. Mi consta però che molti non vogliono figliuoli.
Non esistono concubinati, né nati illegittimi.
Quasi tutti fanno Pasqua, ma la preparazione
alla Confessione e alla Santa Comunione lascia molto, molto a
desiderare.
La maggior parte osserva l’astinenza
prescritta dalla Chiesa."
Gli anni seguenti sono annotati sempre nel
Cronicon in modo affrettato e sbrigativo, soffermandosi in modo
pedantesco sul tragitto delle varie processioni del Corpus Domini
senza far mai trapelare gli eventi burrascosi di quell’epoca.
Il 1940, anno di entrata in guerra per l’Italia,
si liquida con una frase riguardante di nuovo il buon svolgimento
della Processione.
Il 1941 è ricordato, sempre nella Cronistoria
Parrocchiale, come l’anno dell’istituzione della "Festa
della Santa Infanzia" che sarà da allora celebrata il 6
gennaio. Non si sanno vedere le profonde intenzioni della Chiesa
che istituendo una qualsiasi festa vuole, al di là del momento
meramente celebrativo, porre un segnale a tutto il popolo
cristiano.
Tutta l’infanzia stava soffrendo e non solo a
causa della guerra! A Firenze in ben altro modo si era mosso Don
Giulio Facibeni già dalla fine della I Guerra mondiale. Il nostro
Jancourt si limita ad osservare l’aspetto edificante dei
fanciulli o ad annotare la sua preoccupante sciatalgia.
"È una festa intima, familiare; una festa
che rallegra il cuore e corrobora lo Spirito. L’innocenza attrae
sempre, in mezzo ai piccoli ci si trova così bene! Padre
Martignano celebrò le Sante Messe e al Vespro parlò ai bambini
in un modo così dolce e soave che quei cari angioletti si
dimenticarono perfino di essere birichini. Il Priore (lo
scrivente) era assente, con suo grande dolore, perché ammalato
di sciatica, si trovava ricoverato al Convitto Ecclesiastico. Pur
informato di tutto dal Padre Martignano stesso che andò a
trovarlo il giorno dopo la festa."
Eccoci al 1942 e finalmente si fa un brevissimo
accenno alla guerra in corso, sottolineando come l’andamento di
tale guerra fosse per ora favorevole a noi italiani:
"È il secondo anno di guerra e le cose
non possono essere molto liete, anche se la guerra è a noi
favorevole. Si sa, gli animi sono scossi. Tante privazioni, tanti
sacrifici e privazioni affievoliscono i corpi e quel che è
peggio, anche gli spiriti. Le feste anche le più solitamente
belle, non possono riuscire come si vorrebbe, tuttavia la festa
dell’Infanzia è riuscita bene anche se con qualche deficienza.
Le Quarantore però furono solennissime con grande concerto di
popolo e di Sacerdoti a celebrare. Furono 5 giorni di fervore
continuo. Furono fatte circa 500 comunioni.
Non si può dire altrettanto della festa del
Corpus Domini che fu proprio a scartamento ridotto. Non si potè
fare neppure la Processione, questa fu rimpiazzata dalla Predica
fatta dal Priore don Agresti (Proposto di S. Maria a
Scandicci, n.d.r.)che parlò molto competente ed
esaurientemente della SS. Eucarestia, quindi anche questa festa
riuscì abbastanza soddisfacente, perché tutto è bene quando
finisce bene. È un motto francese, che qualche volta può essere
giusto, come nel caso nostro."
"Il 16 dicembre 1949 decedeva nell’Ospedale
a Firenze il M. Rev.Don Paolo Jancourt, parroco di questa Chiesa.
Fu operato di cancro, ma fu impossibile salvarlo.
Fu portata la salma ad associarsi nella sua
Chiesa di San Bartolo. Il popolo pensò a quasi tutta la spesa che
non fu indifferente.
Il Comune offrì gratuitamente il Colombaro nel
cimitero locale."