L'insurrezione è un'arte
IL
VALORE DI UN'ASTENSIONE
Siamo nel cuore di una campagna elettorale indecente, che
prepara la truffa bipartisan di elezioni che devono decidere
soltanto chi gestirà l'unico programma ammesso nella
non-democrazia del turbocapitalismo americanista che domina
l'oggi ed ipoteca il domani: quello delle oligarchie finanziarie
e del trasversalissimo partito americano.
Grande è lo sforzo per presentarci questo appuntamento come un
referendum pro o contro Berlusconi. Ed è comprensibile che così
sia vissuto da ampi strati popolari.
Tuttavia questo "referendum" è una truffa, un trucco per
occultare la sostanza delle cose, per nascondere la
straordinaria convergenza di programmi, obiettivi, interessi,
modelli sociali e culturali che accomuna il centrodestra
all'Unione.
Questo è il bipolarismo. Dunque nessuno stupore ci è concesso,
ma il rigore dell'analisi deve condurre ad un'indicazione
precisa e ragionata. Da qui la scelta dell'astensione come unica
arma politica a disposizione, per dire no ad entrambe le facce
dello stesso regime, per cominciare a guardare già da oggi al
futuro.
Le elezioni sanciranno ciò che in fondo è già deciso. Il
passaggio dal governo Berlusconi ad un esecutivo di
centrosinistra da un lato è un fatto fisiologico, essendo questa
l'essenza dell'imbroglio bipolare; dall'altro è già stato
ratificato dal concreto posizionamento dei poteri forti
nazionali ed internazionali.
I centri finanziari, la Confindustria, la grande stampa hanno
già scelto di affidare a Prodi il compito di proseguire le
politiche liberiste, di privatizzazione e precarizzazione.
Sperano, in questo modo, di completare il macello sociale di
questi anni stemperando con la concertazione ogni possibile
opposizione.
Chi non ricorda i banchieri in fila alle primarie dell'Unione?
E come spiegarsi altrimenti il sostegno eclatante dei vertici
padronali a partire da Montezemolo? Che dire poi
dell'illuminante editoriale sul Corriere della Sera di Paolo
Mieli, uno dei principali esponenti del partito
americanista-sionista?
Nessuna persona che creda seriamente che sia ancora possibile
battersi per un mondo diverso, tanto più se in una prospettiva
anticapitalista, non può non attribuire il giusto peso a questi
"fatterelli".
Un tempo, il semplice sospetto di un sostegno confindustriale
sarebbe stato visto a sinistra come un oltraggio meritevole di
querela, se non come un'onta da lavare nel sangue. Oggi
banchieri e industriali sono dei "nostri", e Della Valle (da un
famoso titolo di un quotidiano che si dice ancora "comunista") è
"il nostro bomber".
Come reagire a questo mondo rovesciato? Con il silenzio,
perché altrimenti il Cavaliere Mostruoso se ne avvantaggia? Con
l'ambiguità del dire e non dire, in attesa del dopo?
No, non solo sarebbe disonesto ed opportunista, ma sarebbe
anche un madornale errore politico. E' vero, il 9 aprile non
potrà essere un momento di chiarificazione di massa: troppo
grande è la confusione ed il disorientamento, troppo debole la
nostra voce. Ma se vogliamo guardare al dopo, all'esigenza di
costruire un polo alternativo, è necessario non sfuggire alla
domanda dell'oggi: votare o non votare, accettare o respingere
la truffa che ci viene proposta?
Chi in questi anni ha giustamente lottato contro Berlusconi
deve sapere quale futuro l'aspetta: un governo senza Berlusconi,
ma intriso di berlusconismo. Un governo che continuerà la
politica di sudditanza verso gli USA, pronto a mandare i suoi
soldati dovunque richiesto; un governo attestato sull'Europa
delle oligarchie a difesa di una costituzione antidemocratica ed
antipopolare; un governo che manterrà la legge Biagi sul lavoro
e la controriforma Moratti della scuola; un governo che vorrà la
sua "Alta velocità" infischiandosene dell'ambiente e delle
comunità locali che vedono stravolte le loro condizioni di vita.
Un governo, infine, fondato sul costruendo "Partito
Democratico", vero passaggio cruciale sulla via della completa
americanizzazione della politica italiana.
Quest'ultimo aspetto viene spesso sottaciuto, ma come è
possibile non vedere che per la prima volta dalla fine della
prima repubblica si formerà un partito di maggioranza relativa,
ben oltre il 30% dei voti? E, soprattutto, un partito ben
radicato e ramificato nella sua struttura di potere sia ai
livelli alti, sia a quelli bassi ed intermedi grazie alla
fusione delle vecchie reti clientelari della ex Dc e dell'ex Pci?
Questo partito darà agli Usa ben più garanzie di quante gliene
possa offrire il pittoresco ed insuperabile servilismo scenico
del buffonesco Berlusconi che si prostra indecorosamente davanti
al Congresso degli Stati Uniti. Nel recente dibattito
televisivo, Prodi ha già detto che l'Italia non si tirerà
indietro di fronte alle nuove avventure della guerra infinità
purché ci sia l'avallo dell'Onu. L'Onu, questo sì l'ultimo
rifugio delle canaglie!
In proposito, la vicenda irachena è illuminante. Se il ritiro
da Nassyria è ormai nelle cose, le vie del servilismo non
passano solo da Nassyria. Ed ecco allora la proposta del prode
Fassino, che vorrebbe bilanciare immediatamente un ritiro fin
troppo annunciato con un nuovo dislocamento di un contingente di
carabinieri magari in altre aree dell'Iraq.
Ma non del solo Fassino si tratta. Bertinotti ha già
annunciato una duplice "lealtà". Lealtà all'alleanza con gli
Usa, lealtà al principio di maggioranza nella coalizione. E così
chi ancora si illude sulla componente "alternativa" dell'Unione
è servito.
Sicuramente anche questi "fatterelli" non scalfiranno le
robuste convinzioni dei fautori del "meno peggio". Costoro non
mettono in discussione l'esistenza dei "fatterelli" di cui
sopra, ma li giudicano inessenziali di fronte all'esigenza
primaria che tutto sovrasta: cacciare il Cavaliere Mostruoso.
Questo "buon senso" di sinistra è l'anticamera del peggior
conservatorismo. Berlusconi se ne andrà da Palazzo Chigi, ma
poi? Non ci insegna forse l'esperienza che la logica del "meno
peggio" prepara quasi sempre il peggio?
Ha scritto Rossana Rossanda sul Manifesto, a proposito del
programma dell'Unione: "Io mi sono letta quel malloppo senza
delusione alcuna. Non mi ero affatto aspettata di più, come
poteva essere? La coalizione si è data e si è formata su un
obiettivo primario: battere la Casa delle Libertà. E non è poco,
è una condizione della democrazia. Soltanto con Berlusconi fuori
di scena si potrà ricominciare a parlare di politica".
Su un punto ha perfettamente ragione, che non era possibile
aspettarsi qualcosa di diverso, come nulla di diverso potevamo
aspettarci da chi come Rossanda, nel 1995, di fronte al governo
Dini, dichiarò la necessità di "baciare il rospo". Ma, questo è
il punto, di bacio in bacio, di rospo in rospo, la sinistra (e
non solo quella moderata) ha scritto la propria fine come
fattore di speranza di cambiamento.
Ma non esistono soltanto i buonsensai del "prima vota, poi
rifletti", vi sono anche i politologi d'accatto che, convinti di
dominare un gioco del quale ignorano in realtà anche le leggi
più elementari, vorrebbero spiegarci la necessità di "affrontare
un nemico per volta". E chi potrebbe essere così sciocco da
voler invece fronteggiare tutti i nemici contemporaneamente?
Certamente nessuno. Già, se i nemici fossero due. Ma sono due o
sono solo due facce della stessa medaglia? E non è forse in
questa medaglia del regime bipolare che risiede il nemico vero
per l'oggi ed il domani?
Sveglia, dunque, e bando alla presunta "realpolitik
d'opposizione".
A tutti questi "realisti", alcuni certamente in buonafede (di
quelli in malafede non vedo cosa dovrebbe importarcene), vorrei
provare a chiedere di riflettere - realisticamente appunto - su
quello che rappresenterà il futuro governo Prodi. Quale sarà la
sua politica e quali conseguenze determinerà? E cosa cambierà
rispetto al quinquennio berlusconiano? Il governo che sta per
lasciarci si è caratterizzato per quattro cose: una politica
internazionale completamente allineata a Washington; una
politica economica liberista quanto confusa e sconclusionata;
una classe dirigente in genere penosa, a volte impresentabile;
un leader che antepone spesso le proprie (personali) priorità a
quelle più generali delle classi dominanti.
Se partiamo da queste quattro caratteristiche, ci rendiamo
subito conto di quali saranno le differenze del probabile
governo Prodi.
Sul primo punto (politica estera) il mutamento della forma
corrisponderà ad un rafforzamento della sostanza. E' esattamente
questo che intendono dire Prodi, D'Alema e Bertinotti quando
assumono un portamento apparentemente più dignitoso di fronte
agli USA solo per potersi poi accreditare come alleati più seri.
Alleati di un paese in guerra, che ne sta occupando altri, che
sta preparando nuove aggressioni, che ha scatenato di fatto
quella guerra di civiltà che tutti dicono di non volere.
Sul secondo punto (politica economica) l'impianto dell'Unione
è addirittura più organicamente liberista di quello del
centrodestra, ed è questo un motivo di vanto dei suoi esponenti
autoproclamatisi "riformisti". Non dimentichiamoci (altro motivo
di vanto) che le grandi liberalizzazioni, come le grandi
privatizzazioni, nonché i grandi assalti allo stato sociale sono
stati fatti tutti (ma proprio tutti) dai precedenti governi di
centrosinistra e che Berlusconi ha soltanto continuato la loro
opera devastatrice. Ecco perché i grandi centri di potere (con
le oligarchie finanziarie al primo posto) sono schierati con il
centrosinistra.
Sul terzo punto (la qualità della classe dirigente) il
centrosinistra non brilla, ma non sarà difficile fare meglio dei
berluscones. Attenzione, questa diversa "qualità" è relativa
soprattutto alla capacità di creare consenso, cioè di
turlupinare le classi popolari, attività nella quale potrà
essere utile tanto il mortadellismo di Prodi, quanto il
funambolismo di Bertinotti.
Sul quarto punto c'è ovviamente differenza, ma non solo nel
senso che non c'è un equivalente di Berlusconi nel
centrosinistra, ma soprattutto in quello che le priorità
generali delle oligarchie finanziarie diventeranno legge.
Questo è il "meno peggio" che ci attende.
Credo che molti tra i comunisti, gli antagonisti, gli
antimperialisti possano condividere all'ingrosso questa
sintetica fotografia del futuro. Penso che la condivisione sia
ancora maggiore tra gli antiamericanisti.
Ma, allora, occorre essere conseguenti già dal 9 aprile.
La nostra non sarà un'astensione gridata, non sarà
un'astensione ideologica. Se vi fossero state le condizioni
avremmo certamente preferito sfidare già qui ed ora il regime
bipolare anche sul terreno elettorale. Queste condizioni ancora
non vi sono. Dunque l'astensione è una scelta obbligata, ma non
per questo meno forte.
L'importante è combattere ed il combattimento lo si fa con le
armi a disposizione. Oggi l'arma è l'astensione.
Ad aprile chiederanno un voto contro Berlusconi per fare la
sua stessa politica.
Chiederà questo voto un ceto politico marcio, espressione di
una politica che ha sostituito l'etica con il perbenismo
ipocrita, i programmi con la mera amministrazione degli
interessi delle classi dominanti, i valori con il
chiacchiericcio buonista. Una politica che in realtà ha
cancellato etica, programmi e valori per ridursi a gioco di
cordate tra gruppi di potere tutti strettamente intrecciati alle
oligarchie finanziarie dominanti.
Non possiamo stare a questo gioco. Occorre dire di no, con
l'astensione dal voto.
No ad elezioni che cancellano i bisogni dei proletari, le
esigenze della maggioranza della popolazione, i problemi della
vita quotidiana, volendo occultare la crisi di una società che
non solo non offre più alcuna prospettiva di una vita migliore,
ma che garantisce ai più un domani assai peggiore, un futuro
fatto di precarizzazione totale che si vorrebbe rendere
accettabile solo con studiati dosaggi di droga consumista.
Vogliono che tutto cambi perché tutto rimanga com'è. Rifiutare
oggi la trappola bipolare, con l'astensione, è dunque il modo
migliore per lavorare alla costruzione di un vero polo
alternativo, unica prospettiva capace di cominciare a scombinare
i giochi di un ceto politico ormai completamente staccato dai
bisogni delle classi popolari, per un'alternativa politica al
marciume di centrosinistradestra che, come i ladri di Pisa,
litiga di giorno e ruba assieme la notte.
L'astensione è l'unica arma per non piegarsi alle logiche del
regime bipartisan, per compiere un primo passo sulla via della
ribellione all'oppressione attuale. Quella via che verrà infine
ritrovata se sapremo rifiutare sul serio la politica che ci
propongono per ricostruire di sana pianta idee e percorsi della
trasformazione sociale.
Più del 9 aprile conteranno i fatti e le battaglie successive,
ma se il 9 aprile le astensioni aumenteranno questo sarà il
segno del distacco (ancora confuso, ma certamente crescente) tra
il paese reale e quello legale sempre più strutturato in maniera
autoritaria.
Ecco perché, almeno in questo caso, l'astensione vale di più
di ogni altro voto.
Leonardo Mazzei
Il Sufismo,
il “nocciolo”
dell’Islam
di Marina Borgetti
lunedì, 31 ottobre 2005
Il cuore dell'Islam porta un messaggio universale di Pace:
una proposta di cammino verso Dio. Il Sufismo è il "nocciolo"
dell'Islam, la sua dimensione "interiore". Il significato del
termine "sufismo", le origini del Sufismo e un po' di storia...
Quando
dovevo scegliere l’argomento per questo articolo, ho lasciato
che fosse l’argomento a scegliere me. Avrei potuto scrivere su
qualcosa di più attinente al mio percorso di studi, oppure su
qualcosa di più utile al mio lavoro… e invece no: il Sufismo.
Ammetto che più leggevo libri, e ne comprendevo la portata, e
più non mi sentivo capace di continuare. Scrivere di esperienze
che non si sono vissute ha il sapore del falso, come chi
racconta la trama di un film senza mai averlo visto…Tuttavia,
scrivere di qualcosa che non si è fatto alimenta il desiderio di
conoscerlo meglio, se non si tratta di un gioco, né di un atto
fine a se stesso. Ho cominciato con il cercare di comprendere il
significato della parola Tasawwuf, poi ho ricercato le sue
origini storiche, per continuare con un’analisi delle sue figure
più importanti.
Ho scritto sicuramente per ammirazione di coloro che ce l’hanno
fatta, che sono riusciti a vivere un’esperienza intensamente
spirituale e che poi hanno continuato a vivere nel mondo. Ho
scritto di coloro che hanno vissuto un quotidiano trasfigurato
dall’esperienza teosofica.
Ho scritto di persone, stati, percezioni che paiono appartenere
solo all’Islam, ma che in verità appartengono a tutte le
religioni. Il cuore dell’Islam porta un messaggio universale: è
una proposta di cammino verso Dio. Chi vi è giunto ha colto la
sapienza del mondo, la pace, l’armonia del cosmo che trascende
le piccolezze e le meschinità in cui ci incagliamo, noi,
semplici pellegrini della terra.
Mi rendo conto anche che parlare di “stati d’assolo”, “unità con
Dio”, “ricordo incessante di Dio” significa camminare su un
terreno minato, in cui è alto il rischio di prendere delle
cantonate. Ma… ho provato, in punta di piedi. Ho provato
rischiando di utilizzare tinte troppo accese nelle parole. Ho
provato perché è un aspetto importante che non poteva essere
omesso. Ho provato perché mi ha colpito… ho provato!
Il
significato della parola “sufismo”
La
parola “Sufismo” è stata coniata
nel suo originale latino dall’orientalismo ottocentesco, e
deriva dal termine arabo Sūfī. Tasawwuf, “farsi Sūfī”, è il
termine arabo normalmente utilizzato per descrivere l’esperienza
profonda dell’Islam e la sua essenza.
E’
possibile ritrovare tre
derivazioni dell’espressione:
-
“sūf”,
lana: in quanto i primi asceti, già in epoca preislamica, erano
soliti vestirsi in povertà con una tunica di lana semplice e
rattoppata;
-
“safā’”,
purezza, o “suffa”, in riferimento agli Ahl al-suffa, la “Gente
della veranda”, primi discepoli del Profeta, che colta la
profondità del suo messaggio, avevano deciso di votare la loro
vita a Dio con atti di culto, studio approfondito della scienza
sacra e pratica del “ricordo di Dio” (dhikr);
-
“Sufa”,
o al-Ghawth ibn Murra, uomo vissuto cinque generazioni prima del
profeta di cui si dice sia stato il primo a dedicare la sua
esistenza al Dio unico, prestando servizio nella Ka‘ba.
Di
fatto il Sufi è colui che sceglie
di percorrere la via, tarīq, per giungere alla conoscenza di
Dio, e in questo è accompagnato dal suo maestro, shaykh, che lo
aiuterà ad attraversare i diversi stati che lo condurranno a
realizzare la Presenza divina che è la Pienezza della Realtà
della Verità. (Questo cammino è contrassegnato dalla kenosi e
dalla theosis: la prima afferente alla sfera dell’egoità, mentre
la seconda al processo di indiamento)[1].
Le
origini del Sufismo
Il
Sufismo si basa
sull’approfondimento del Corano e della tradizione profetica.
Tuttavia la sua dottrina contiene elementi che sono presenti
anche in altre religioni e le sue pratiche ricordano tecniche
simili dei monaci buddisti e cristiani (esicasti): una fra
tutte, quella del dhikr. M. Molé ci aiuta a fare chiarezza,
sostenendo la necessità di distinguere su due livelli le
intenzioni e le tradizioni. Le intenzioni dei sufi sono di
meditare sulla rivelazione coranica e praticare con particolare
intensità i riti del culto musulmano. Per quanto riguarda le
pratiche, invece, ricordiamo che quando gli arabi, sotto il
dominio del califfato ‘Abbaside, conquistano il Medio Oriente,
islamizzano gradualmente popoli che professano altre religioni
(quali Cristianesimo, Mazdeismo, Manicheismo e Buddismo).
Quindi, le strutture e i contenuti del nuovo credo si impiantano
sul vecchio rinnovandone il significato. Per dirla correttamente
e dal punto di vista musulmano, l’Islam è khātam an-nubuwwa,
ovvero è Sigillo delle Profezie legiferanti, e come tale
contiene in sé quanto lo ha preceduto, perfezionandolo con la
nuova Rivelazione che si assume essere l’ultima. Anche per
questo è doveroso riconoscere nello stesso Sufismo la presenza
di altri elementi non propriamente islamici sempre a patto che
questo non sia visto come un “prestito” o che si sia portati a
definire il Sufismo quale derivato. La realtà è molto più
complessa ma al tempo semplice: al sentiero di orme sinora
lasciate da Dio sulla terra ora se ne aggiungono di nuove – ma
sempre Sue - che rendono quel sentiero più lungo.
Già
in epoca preislamica il Medio Oriente era attraversato da asceti
liberi, chiamati benai qeyama, “figli del Patto”, che vivevano
tra la gente, ma che si distinguevano per l’uso di pratiche
ascetiche supererogatorie e per l’assoluta castità. La vita di
questi uomini, ma anche donne, timorosi del loro destino postumo
e desideranti la compiacenza divina, era caratterizzata dalla
povertà e dall’erranza, poiché era necessario abbandonare ogni
bene per darsi totalmente a Dio. “Spogliato di ogni bene, senza
un giaciglio, sporco, vestito di stracci, il monaco errante era
uno pneumatico. E se il suo aspetto esteriore sembrava esporlo
al disprezzo di tutti, egli attingeva stati mistici elevati e,
soprattutto, era assorto nella contemplazione di visioni
spirituali”[2]. Già in questa prima fase possiamo trovare
elementi che saranno ripresi dai Sufi:
-
l’esser
sconosciuti alla gente e il rivelarsi solo agli eletti
significherà appartenere ad una gerarchia invisibile di Amici di
Dio, che vivono inosservati ma senza i quali il mondo non
potrebbe sussistere;
-
il
ricercare il disprezzo e
l’insulto, l’essere biasimati, il considerarsi peggiori degli
altri uomini sarà il fondamento dell’atteggiamento malamatī.
Nei
primi anni dell’ègira, durante le prime assemblee dei gruppi di
asceti di Medina, con i compagni più vicini al Profeta si
venivano a delineare i caratteri propri del Sufismo e lo stesso
Muhammad diventava “prototipo” del sufi, in primo luogo, e poi
del maestro spirituale. La tradizione è spesso incline a
sottolineare quanto egli si sia mostrato pubblicamente come
forte, guerriero, abile comunicatore politico, capo di una
comunità e organizzatore di un nuovo ordine comunitario mentre
la sua vita contemplativa viene mostrata in maniera minore.
Egli, già prima di ricevere la Rivelazione, era solito
trascorrere lunghi periodi nella caverna di Hira’, presso la
Mecca, dove viveva in eremitaggio, praticando lunghi digiuni,
assorto nella meditazione e nella preghiera. Questa
disponibilità e sensibilità diventeranno poi una vera e propria
pietà religiosa, capace di formare Muhammad ad accogliere e
trasmettere la parola divina e di anteporre l’interesse di Dio
davanti ad ogni cosa, persino a se stesso.
Il
Profeta possedeva la qualità della
combattività: si impegnava a lottare contro tutto ciò che negava
la Verità e rompeva l’armonia. In verità compiva una lotta
combattuta su due fronti: quello interno, nella grande guerra
santa (al-jihād al-akbar), contro l’anima concupiscente (an-nafs
al-‘ammāra bi-s-sû’) che spinge a negare Dio e la sua volontà; e
quello esterno, nella piccola guerra santa (al- jihād al-asghar),
con battaglie militari o politiche. La “guerra santa” era così
un aspetto della spiritualità “secondo il quale la pace non è
sinonimo di passività ma di qualcosa che si consegue dalla piena
attività. La pace appartiene a chi è interiormente in pace con
la legge del cielo ed esteriormente in lotta contro le forze
della disarmonia e dello squilibrio”[3].
Amante
della Verità, caritatevole verso ogni uomo, Muhammad viveva in
povertà rimettendo tutto nelle mani di Dio, con cui ebbe un
rapporto privilegiato, un’intimità profonda tale da poter esser
la sua voce in terra e tale da poter ascendere al suo Trono,
dove rapito in profonda estasi ricevette il dono di vedere il
Suo volto radioso.
Attorno
a lui in breve tempo si creò la “compagnia”, che lo seguiva con
deferenza in silenzio e fervida attenzione, soprattutto nei
momenti in cui gli giungeva l’ispirazione. Egli trasmise la sua
baraka (influenza spirituale) ai compagni attraverso un solenne
Patto di Alleanza, i quali la trasmisero a sua volta ai loro
discepoli: così si formarono le turuq, le vie, le catene (silsila,
pl. salāsil) iniziatiche delle diverse confraternite sufi.
Comprendere
l’importanza della compagnia è determinante per comprendere
l’ambiente del Sufismo. Significa comprendere la condivisione
con altri compagni del lungo e non facile cammino della
teosofia. Significa vivere con il maestro che si è scelto come
guida, apprendere da lui, lasciarsi modellare come vasi di
creta, anzi come cadaveri nelle mani del loro lavatore[4].Nella
compagnia vige il rispetto delle regole della “buona condotta”(adab),
regole che investono tre campi: il primo è l’agire in pubblico
nel rispetto di Dio, e in privato come se si stesse alla
presenza costante di un re. Il secondo prevede il rispetto di se
stessi, e il divieto di ogni falsità circa la propria
condizione. Il terzo è il rispetto verso i propri compagni,
migliorandosi frequentando i migliori. Adottare una condotta
negativa significa fuorviare l’esito del proprio cammino
spirituale e rompere l’armonia nella compagnia.
Un
po’ di storia…
Il
III secolo dell’era islamica vede
l’affermarsi del Sufismo della scuola di Baghdad (nata dalla
confluenza delle scuole di Kufa e Basra), luogo culturalmente
fervido in quanto sito nella capitale della spiritualità, oltre
che nuova capitale del califfato ’abbaside e della cultura
islamica. Sono di questo periodo due figure-chiave del Sufismo,
rappresentanti altresì di due correnti, di due modi di vivere
l’esperienza con il divino.
Il
primo è Junayd al-Baghdadi (m.
910). Discepolo della scuola di Baghdad, è l’esponente della
corrente sobria ed intellettuale che fa della scienza del tawhīd
(Unicità ed Unità divine) il fulcro della sua speculazione
metafisica. Egli lo approfondisce concettualizzando l’unione
mistica come accettazione della Volontà divina “al fine di
raggiungere l’annichilimento in Colui a cui pensiamo”[5] per
mezzo di una purificazione e di un distacco. Junayd intende
questo stato come ritorno all’origine della Creazione, quando
l’uomo era un non-essere nell’Essere divino.
Il
secondo
è il “martire dell’Amore”, Husayn ibn Mansur al-Hallaj
(858-922), che giovanissimo sentì l’attrazione per una vita
votata al divino, e a sedici anni cominciò la sua ricerca
metafisica seguendo diversi maestri sufi, tra cui proprio Junayd.
Dopo qualche anno di fedele discepolato smise di condividere
alcune idee dei suoi maestri, pensando che i riti compiuti nelle
confraternite fossero anzitutto un mezzo di santificazione
personale e che la predicazione dovesse essere rivolta a tutti i
cuori e non solo ad una cerchia ristretta. Così, seppur
rimanendo fedele alla tradizione musulmana, cominciò a viaggiare
per tutto il Khorasan e il Fars, predicando e penetrando i cuori
induriti. Ruppe i rapporti con i circoli sufi e cominciò ad
intrattenere rapporti con i dotti e con i poveri per meglio
poter partecipare dei loro affanni.
Egli
è il rappresentante della corrente estatica e passionale.
Sostiene che nell’unione consumata in Dio gli atti dell’uomo
sono santificati e divinizzati, dunque Dio rende l’uomo suo
organo libero e vivente. In questa sua esperienza, egli si
sentiva libero di esprimere senza veli che l’unione d’Amore con
Dio era possibile, tanto da sostenere di essere il Vero (Anā
l-Haqq), di essere Dio. Rigoristi e letteralisti dottori della
Legge non compresero la portata della sua predicazione e lo
misero alla gogna, imponendo ad ogni maestro di ciascuna
compagnia di giustificare dottrine e pratiche ai garanti della
sharī‘a. Tuttavia, l’esperienza di Hallaj non passò in sordina,
anzi provocò una vera crisi di coscienza nella Comunità
musulmana.
Abu
Hamid al-Ghazali (1058-1111) è
colui che riuscì a comporre la sintesi fra le due precedenti
correnti e a ridare legittimità di esistenza alle confraternite.
Studioso ardente di diritto, giurisprudenza, teologia e
filosofia, “spirito insaziabile, natura inquieta, anima
religiosa”[6], ad un certo momento della sua vita attraversò una
crisi spirituale molto forte. I primi testi sufi in circolazione
furono la risposta ai suoi dubbi in quanto sostenevano la
possibilità di esperire la teosofia: la conoscenza di Dio. Per
due anni si allontanò “dal mondo” per vivere la vita del sufi, e
ve ne fece ritorno come rinnovatore dell’Islam del suo tempo,
soprattutto in virtù di un notevole bagaglio culturale capace di
operare una sintesi della tradizione letteraria e spirituale.
La
sua
opera introduce il modello del sufi che vive una vita concreta
in mezzo agli altri uomini e che presta attenzione alle esigenze
della Comunità musulmana, cogliendone la frammentarietà, e nella
necessità di dare a ciascuno il livello di verità che può
comprendere. Contrastò apertamente i letteralisti dottori della
Legge, sostenendo che la portata dell’Islam non poteva essere
limitata al formalismo giuridico: era necessario che lo studio
della Legge venisse illuminato da una profonda teosofia. Così il
Sufismo divenne parte dell’insegnamento ufficiale, per dare, a
chi lo volesse, la possibilità di approfondire la conoscenza di
Dio e riempire la vita di ogni giorno della Sua presenza. Il
sentimento centrale della sua mistica è l’abbandono fiducioso
all’amore divino (tawakkul), l’annientarsi nella volontà divina.
La
ricca
e fruttuosa opera di al-Ghazali ebbe l’effetto di orientare la
sua influenza su due linee: una, intellettuale, che portò ad una
gnosi mistica, ed una, dalle tendenze più popolari, che si
concentrò nelle confraternite religiose.
Gli
esponenti della linea
intellettuale ripresero i problemi di filosofi e teologi
cercando di risolverli e superarli con l’illuminazione divina ed
esplicitandoli in dissertazioni in prosa o in poesia.
L’obiettivo di questa tendenza era sorpassare il mondo sensibile
per raggiungere quello delle realtà intelligibili e spirituali
per mezzo di atti di culto, di mortificazioni, del dhikr, il
“ricordo” di Dio, ripetizione di formule e dei nomi di Dio, e il
samā‘, l’audizione del canto di poemi con contenuto spirituale.
Con
l’andaluso Muhyi-d-din Ibn ‘Arabi
(1165-1240) il tasawwuf raggiunge un alto grado di elaborazione
gnostica. Egli è il teorico del Logos, che è principio creatore
razionale del cosmo, comprende tutte le cose e tutte le Idee, si
moltiplica ma non si divide. L’uomo, in cui si realizza
l’oggetto della creazione, lo manifesta sinteticamente, e in
particolare, è nell’Uomo Perfetto, nel maestro, che si trova lo
specchio capace di riflettere la perfezione di Dio.
Egli
sostenne l’unità essenziale dell’Essere, la wahdat al-wujūd, e
affermò che se tutte le creature sono manifestazioni di Dio,
allora gli uomini non possono che adorare Lui qualunque cosa
essi adorino; si pose così apertamente tollerante nei confronti
delle altre religioni.
Conobbe
Ibn Rushd, il noto filosofo Averroè, ed alla Mecca incontrò una
giovane e colta poetessa persiana che gli ispirò delicate poesie
d’amore, che esprimevano profonde esperienze spirituali sotto il
velo della poesia profana.
Ricordiamo
anche che il XIII secolo, in cui gli ordini spirituali si
rafforzano, è il secolo delle orde dei Mongoli che distrussero
consistenti parti del mondo islamico centrale e orientale e che
uccisero il califfo di Baghdad. Del resto è il clima di
distruzione che invade un po’ tutto il vecchio continente;
l’epoca dei movimenti mistici che sta fiorendo è forse in
risposta alle turbolenze politiche ed economiche del periodo.
Jalal
d-din Rumi (1207-1273), nativo del Khorasan, odierno
Afghanistan, fu il più celebre dei poeti mistici persiani. Fu
discepolo di un misterioso maestro, Shams al-Tabriz, per il
quale scrisse versi dai quali emerge tutto l’ardore che lo
anima. Nella sua visione, l’unica cosa che conta è la ricerca
dell’amore di Dio; scopo della vita è dimenticare se stessi per
perdersi in Lui. Egli è il cantore dell’esperienza dell’Amore
che comprende tutto in sé. Stupisce come in ogni cosa riesca a
trovare un rimando a Dio, l’eterno Amato: ogni elemento del
mondo diventa degno di valore in quanto cenno, simbolo del
Creatore. La piena padronanza del linguaggio gli permette di
dare bella forma alla sua personale esperienza teosofica,
utilizzando un ricco vocabolario di simboli e paragoni, talvolta
audaci. Rumi fu inoltre un attento padre di famiglia e un attivo
maestro di teologia, ebbe numerosi discepoli e si dedicò
attivamente ad aiutare i poveri. La confraternita che si è
venuta formando tra le generazioni dei suoi discepoli dopo la
sua morte è detta Mawlawiyya, ed è divenuta celebre per il suo
particolare rituale del samā‘, accompagnato dalla danza dei
“dervisci rotanti”. Essa si è fortemente sviluppata nei
territori facenti parte dell’attuale Turchia. Nel 1925, a
seguito delle riforme laicizzanti ordinate dal presidente turco
Atatürk, l’ordine di Rumi venne proibito, e fu nuovamente reso
legale soltanto nel 1954.
La
seconda
linea di influenza dell’opera del Ghazali giunse incontro alle
attese degli ambienti popolari, più inclini ad un Dio
comprensibile al cuore più che a speculazioni gnostiche. Fu così
che si diffusero in tutto il mondo musulmano le confraternite
dei sufi, utilizzando contenuti lontani dalle dispute
teologiche, ma vicini al sentimento religioso e devozionale dei
meno dotti. L’obiettivo perseguito era quello di avvicinare i
cuori a Dio in un modo più sentito. Questa apertura portò a
modificare la fisionomia dell’Islam, anche per la perdita di
forza dell’autorità unificatrice dei dottori della Legge. Ogni
regione musulmana si colorava così di tinte proprie. Avvenne
anche che la stessa confraternita avesse rami urbani, più vicini
all’insegnamento ufficiale, e rami rurali, colorati di
sopravvivenze animistiche.
Inoltre
la fama dei maestri crebbe anche dopo la loro morte. Sulle loro
tombe venivano eretti santuari che divenivano mete di pellegrini
devoti e luoghi di asilo per fuggiaschi e, talvolta, per veri
criminali. La tomba del santo portava la benedizione di Dio su
quel luogo e i fedeli vi giungevano per chiedere grazie,
miracoli e stringere voti.
All’inizio
del XX secolo si assiste ad un certo coinvolgimento politico da
parte di alcune confraternite: in Libia ed in Sudan, ad
esempio, la Sanusiyya e la Sammaniyya svolsero un ruolo
rilevante nelle lotte di liberazione nazionale in reazione
all’incipiente colonialismo europeo.
A partire
dalla seconda metà del secolo scorso, il Tasawwuf è giunto anche
in occidente, sia tramite discepoli e maestri immigrati che con
occidentali convertiti all’Islam. Figura rilevante di questo
fenomeno è il francese René Guénon, che per mezzo delle sue
opere pubblicate e della sua personale esperienza, ha dato forte
impulso a tale penetrazione. L’Italia stessa ospita alcune
confraternite.
Il "nocciolo" dell'Islam
La
fede
musulmana racchiude in sé il germe della mistica. Infatti, già
la vita del semplice fedele è riempita di spazi dedicati a Dio,
e nel significato della parola “Islam” è già contenuta una forte
portata mistica: chi si arrende alla volontà divina ottiene la
pace, in quanto sceglie di far aderire la propria volontà a
quella divina.
Islam
è un concetto globale che investe l’uomo con tutte le creature
ed il suo fondamento è il tawhīd, l’Unicità e l’Unità divine.
L’unità è il concetto chiave di questa religione, così come la
lotta del Profeta è contro la divisione e la disarmonia. L’unità
è espressa in ogni aspetto della vita del musulmano, tant’è che
frequenti sono i richiami coranici all’impegno per fondare un
ordine comunitario, un solo popolo musulmano, una sola vera
religione.
L’Islam
consta di due dimensioni: la sharī‘a, la legge, e la tarīqa, la
via spirituale; entrambe le dimensioni devono sussistere in
equilibrio fra loro, la sharī‘a priva della tarīqa sarebbe un
corpo senz’anima, mentre la tarīqa senza la sharī‘a sarebbe
privata del sostegno esterno. La vita di chi si consacra
interamente al servizio divino poggia inevitabilmente sulla
Legge poiché essa è la base solida necessaria per intraprendere
la via spirituale. L’immagine che esemplifica il rapporto fra
queste dimensioni è la figura geometrica del cerchio: la
circonferenza rappresenta la sharī‘a che nella totalità
comprende la comunità musulmana. Ogni musulmano è un punto della
circonferenza. Il centro è Dio, la Verità, e da esso partono
numerosi raggi che lo collegano alla circonferenza: sono le
varie turuq, vie, che portano l’uomo alla conoscenza di Dio.
Sono diverse perché diverse sono le necessità degli uomini che
le intraprendono. La Legge e la Via provengono entrambe da Dio,
ed entrambe partecipano del Centro. Vivere la sharī‘a significa
vivere nel riflesso del Centro, e questa è la condizione
necessaria e sufficiente per essere salvati. C’è tuttavia chi
sente che questa non gli basta, e vuole tentare di raggiungere
il Centro: decide così di percorrere una via[7]. Qui avviene il
salto fra l’esperienza del fedele e quella dell’iniziato alla
teosofia: il fedele osserva scrupolosamente la Legge per
sfuggire alla dannazione eterna; l’iniziato non desidera altro
che Dio e gli obblighi della Legge sono semplici mezzi, neanche
troppo pesanti. La celebre preghiera della mistica Rabī‘a (m.
801) esemplifica il salto d’amore del sufi: “O Dio, se Ti adoro
per paura dell’Inferno, bruciami nell’Inferno; se Ti adoro nella
speranza del Paradiso, escludimi dal Paradiso; ma se Ti adoro
per amor Tuo, allora non mi rifiutare la Tua Eterna Bellezza!”.
Perché
l’uomo percorra la tarīqa, via del Sufismo, è necessaria una
disposizione d’animo: l’abbandono fiducioso (tawakkul) a Lui,
poiché tutto da Lui dipende. In pratica questo si coniuga con
una povertà perfetta, non come indigenza materiale, ma come
consapevolezza che di nulla necessita fuorché Dio.
L’uomo
giunge al termine della via e raggiunge la santità non solo in
virtù delle proprie capacità, ma soprattutto in virtù di una
grazia che rende possibile questa trasformazione, la grazia
muhammadiana, la baraka. Questa grazia discende direttamente dal
Profeta attraverso i suoi compagni e poi tramite le generazioni
dei maestri delle turuq, che a loro volta la trasmettono ai loro
discepoli.
Il cammino
nella tarīqa si fonda sui capisaldi dell’Islam: Corano e Sunna.
I versetti coranici sono letti in riferimento agli stati
interiori dell’anima. La vita del Profeta è il modello da
seguire in quanto ha compreso e sperimentato l’Unità annunciata
nella professione di fede.
Non
può
esistere cammino compiuto senza la guida del maestro all’interno
di un Ordine, ed entrambi proteggono il discepolo dal rischio di
un profondo squilibrio psichico, perché curano la gradualità dei
passaggi e lo sostengono nelle difficoltà.
Il discepolo
affronta la strada del distacco dal mondo attraverso le tappe
del pentimento, del timor di Dio, della rinuncia, dell’amore,
della speranza, fino alla perdita delle qualità umane. E’
necessario così che si isoli dal mondo per meglio intraprendere
la battaglia contro le tendenze inferiori dell’anima e le
distrazioni, viene addestrato alla sobrietà, alla povertà
spirituale e all’indagine minuziosa di ogni sua azione e
pensiero. Impara a praticare la pazienza, la dolcezza e la
generosità, abituandosi a mangiare solo in caso di bisogno, a
parlare solo in caso di necessità, ad abbandonarsi al sonno
soltanto quando esso prenda il sopravvento.
L’iniziato
comincia il suo cammino interrogandosi sul significato della
Shahādah (Lā ilāha illa-llāh), su cosa significhi credere che
non ci sia altro dio al di fuori d’Iddio; s’interroga dunque sul
fulcro della religione che professa.
Lungo
la tarīqa apprenderà la dottrina, le virtù e le tecniche
necessarie per giungere all’esperienza illuminante. Queste
ultime consisteranno in un’intensa meditazione dei versetti
coranici, primi fra tutti quelli che descrivono il divino
Artefice, le sue qualità, i suoi nomi, la sua Creazione, e poi
la vita del Profeta e la sua esperienza mistica. Poi
approfondirà il Patto di Dio con l’Umanità: quando, una volta
creato Adamo, Dio trasse da lui il seme di tutti i suoi
discendenti e chiese loro: “Non sono forse il vostro Signore?”
ed essi risposero affermativamente. L’uomo è così vincolato da
questo Patto, che gli determina una dipendenza assoluta dalla
divinità ed una responsabilità morale particolare negli atti. Il
momento del Patto è così importante che per molti sufi l’estasi
mistica equivarrà alla riattualizzazione di quello stesso
momento: l’uomo si risveglia dal sonno carnale e ritorna alla
sua originaria condizione, riconfermando la sua fedeltà al
Signore. I sufi rievocano questo momento durante le sedute della
danza del samā‘, e la musica che li accompagna viene
interpretata come evocazione della parola creatrice, grazie a
cui tutto sussiste. Junayd sostenne che gli uomini, in quel
lontano momento, non avendo ancora un’esistenza autonoma, erano
l’oggetto della scienza divina: essi dunque sussistevano in Dio!
Ecco allora che il sufi ricercherà per tutta la sua vita di
ritornare a questa condizione primigenia, spogliandosi di tutto
per ritornare a sussistere in Lui.
Le virtù
che caratterizzano la vita spirituale sono essenzialmente tre:
l’umiltà, la carità e la sincerità, le stesse virtù che
caratterizzano il Profeta.
Vivere l’umiltà significa riconoscere in Dio il tutto e in noi
il nulla, significa vedere nell’altro una perfezione che non
abbiamo ancora raggiunto, significa ostacolare con ogni mezzo
l’orgoglio. Vivere la carità non significa solo fare dono dei
beni materiali, ma rivolgersi a beni ben più profondi. E’ una
condizione dell’essere che porta l’uomo al sacrificio della sua
vita: la presenza del sufi nella società è il più alto gesto di
carità verso la società; infatti nel dare se stesso a Dio si
offre al suo prossimo e nel darsi al suo prossimo egli si dà a
Dio. Ma questo atto ha senso nel momento in cui è consapevole
che è un atto di carità in quanto il bene non è compiuto da lui,
ma da Dio. La sincerità, infine, significa vedere le cose come
sono realmente, e dunque come manifestazioni di Dio: significa
vedere Dio in tutto.
Dottrina
e virtù maturate formano la solida base per il cammino intimo
del discepolo: egli dovrà passare attraverso due stati
spirituali, tajrīd e tafrīd, allo slancio dell’infirād per
giungere in Dio all’ifrād. Nella fase del tajrīd il discepolo si
distacca da tutto ciò che materialmente lo trattiene nel
“mondo”, non possiede più nulla. Nel tafrīd si realizza
“l’assolo” in sé, e l’uomo non è più posseduto da nulla; se si
fermasse qui rimarrebbe ingabbiato nella contemplazione di sé,
separato e lontano dal fine che è fare esperienza dell’unicità (tawhīd).
Il passaggio allo stadio successivo, l’infirād, è garantito da
un dono di grazia, che interviene portando il discepolo nella
solitudine della presenza di Dio che è l’ifrād, dove l’anima è
attratta all’Amore e non vorrebbe più allontanarsene. Emergono
dunque tre linee d’azione: la prima è il movimento di discesa in
noi stessi, necessaria per uscire da sé, per l’e-stasi; la
seconda è il movimento d’en-stasi che realizza l’assolo; il
terzo è un movimento di en-stasi più profondo alla presenza del
Divino.
Il fanā’
prevede invece un annullamento, un’annichilazione di tutto il
creato, compreso il soggetto che l’esperisce, nell’unità del
divino per poi secondariamente sussistere in Lui. Il sufi
sparisce da sé e dalla propria sparizione per sussistere in Dio,
nel baqā’.
La tecnica
spirituale per giungere a questi stati è la preghiera, mezzo con
cui l’uomo fa ritorno a Dio. E’ una preghiera nel suo senso più
universale poiché si conforma al ritmo della vita. E’ il dhikr,
invocazione o ricordo di Dio, che “plasma e trasforma l’uomo
fino al punto che egli stesso diventa preghiera, si identifica
al dhikr, che diventa la sua reale natura”[8]. La tecnica non
mira ad una semplice conoscenza, ma ad un apprendimento
esistenziale e, comunque, non è detto che l’esecuzione della
tecnica porti consequenzialmente all’esperienza: questa è dono
divino. L’anima assetata non desisterà e continuerà a
ricercarla. Le riunioni del dhikr avvengono sotto forma di
sedute, con atteggiamenti prescritti, nel controllo del respiro
e nei movimenti del corpo.
Il metodo
prevede diverse fasi:
1.
una preparazione
per giungere al distacco e all’indifferenza da ogni cosa, il
tajrīd;
2.
un periodo
di solitudine in cui svolgere i doveri religiosi col cuore
vuoto, controllando il proprio pensiero perché nulla venga allo
spirito se non il desiderio di Dio;
3.
Il discepolo
siede con gli occhi chiusi, da solo o nel circolo, se si tratta
di una seduta collettiva. Comincia così a nominare il nome di
Dio incessantemente e con la presenza del cuore, fino a quando
non arriva a cancellare la locuzione, le lettere, la forma della
parola e solo il senso della parola rimanga nel cuore, come
unito a lui senza abbandonarlo.
Il maestro
tende a consigliare ai discepoli, a seconda del livello
raggiunto, cosa pronunciare: inizialmente con la prima parte
della shahāda, poi con il nome divino e infine con il semplice
Huwa (Lui).
Esistono
molti approfondimenti della tecnica, dai più semplici ai più
complessi. In particolare, il sufi Ibn ‘Iyad dell’ordine della
Shadhiliyya ce ne offre una descrizione interessante in quanto
coinvolge la corporeità dell’orante; il corpo si unisce alla
parola nel ricordo di Dio: “Si comincia la recitazione partendo
dal lato sinistro del petto, che è come la nicchia racchiudente
la lampada del cuore, focolare di ricchezza spirituale. La si
prosegue andando dal basso del petto al lato destro e risalendo
alla cima di questo. Si continua tornando alla posizione
iniziale”[9].
Componente
importante è il controllo del respiro, che partecipa dello
svuotamento del cuore. Questo è dato dall’alternarsi di due
momenti: il primo che consta di inspirazioni lunghe ed
espirazioni brevi, e il secondo, al contrario, di inspirazioni
brevi ed espirazioni lunghe. L’inspirazione comprende la
pronuncia della prima sillaba del nome divino, mentre
l’espirazione alla seconda sillaba.
La durata
dell’esperienza è misurabile sia con un tempo orario che con il
numero delle ripetizioni. Il calcolo delle ripetizioni è
agevolato dai grani di un rosario, la subha.
A questo
punto, il discepolo può mantenere a lungo questo stato
respingendo le tentazioni: la possibilità di andare oltre è dono
di Dio.
Necessitano
per adempiere questa pratica due cose importanti: una
preparazione di distacco e svuotamento del cuore, e una purezza
rituale, per giungere alla concentrazione su Dio. Del resto
senza un’intenzione sincera ed una preparazione, il dhikr non
sarebbe efficace. Inoltre questa tecnica non si sostituisce agli
obblighi della Legge, ma li suppone osservati e praticati.
Il dhikr
poi si presenta in gradi di profondità:
1.
il dhikr
della lingua (I) - di chi ne sperimenta la tecnica senza
praticare la presenza di Dio, per inesperienza o per
distrazione, oppure ancora per abitudine;
2.
il dhikr
della lingua (II) - di chi manifesta intenzione e presenza del
cuore verso l’oggetto della preghiera, desidera l’esperienza e
si sforza per raggiungerla contrastando le distrazioni. A questo
punto armonizzando intenzione, recitazione e respiro è possibile
giungere al silenzio dei sensi e dell’immaginazione (tafrīd);
3.
il dhikr
del cuore – vi accedono solo i privilegiati, come diretta
confluenza dello stato precedente. La preghiera si è impadronita
dell’orante, che vive questa dimensione pur compiendo altre
attività. Il cuore entra in sintonia con il respiro del rūh, il
soffio dell’anima, e non solo con il nafs, il respiro dei
visceri. Non ci sono più parole sulla lingua, sono passate al
cuore, che prega al ritmo del suo battito. E’ nel cuore che
avviene la conoscenza di Dio (infirād);
4.
il dhikr
dell’intimo – di chi accede alla vista delle cose divine;
l’intimo è lo spirito del cuore, è il luogo del tawhīd, della
proclamazione dell’Unicità e dell’Unità divine. A questo livello
il fedele realizza e vede l’Oggetto della sua fede. Questo è
dono, è rivelazione divina nell’intimo dell’uomo. Qui non c’è
più dualità fra orante e Dio, non perché avvenga una fusione fra
i due, ma perché è l’uomo che sparisce in Lui abbandonandosi (ifrād).
E questo non è alla portata di tutti.
A questo
punto può essere compreso il significato del tawhīd, che non è
più solo una professione di fede, ma un’esperienza.
L’uomo
che ha raggiunto questi stati serve Dio come se lo vedesse, come
se operasse continuamente in sua presenza.
La tentazione
maggiore è di abusare della tecnica credendo che porti
inevitabilmente al dono, e che questo non possa non venir
donato. Talvolta, infatti, nell’ebbrezza estatica il mistico
crede di esser giunto all’unione con Dio, mentre successivamente
si rende conto di non averne raggiunto che una fugace illusione.
L’ascensione
del Profeta, che per molti è il modello dell’esperienza
teosofica, segna anche i limiti della stessa in quanto l’essenza
divina resta a lui inaccessibile. Infatti, per quanto l’uomo ne
faccia esperienza, tuttavia non diventa mai Dio: sussiste nella
sua Unità ma non è Dio, non ne ha un’unione sostanziale. L’uomo
perde gli attributi umani per quelli divini, ma questi non lo
deificano.
In conclusione,
cos’è che attira l’uomo a intraprendere questo cammino? È
l’Amore. L’Amore su cui tutti i sufi hanno scritto, in toni più
erotici o più intellettuali, ma che comunque li ha toccati,
perché la via del Tasawwuf è la via dell’Amore. L’amore che fu
scandalo agli occhi dei dotti e che costò la vita di al-Hallaj.
L’Amore della prossimità a Dio, della trasformazione per opera
Sua, dell’accoglienza del Suo volere. Egli è l’Amato e i sufi ne
sono gli amanti, desideranti Lui solo, fino all’incontro, quando
Dio lo pervade, ed egli non esiste che in Lui.“E nel momento in
cui comincio a volergli bene divento la sua vista, il suo udito,
la sua mano, la sua lingua: è per mio tramite che egli sente,
per mio tramite vede, per mio tramite tocca e per mio tramite
parla”[10] (da un hadīth qudsī del III secolo dell’egira nel
quale si riporta la parola di Dio rivelata al Profeta).
Il sufi è colui che è stato purificato dall’Amore, è il santo
perfetto, l’Amato da Dio.
Bibliografia
G. Anawati
/ L. Gardet, Mistica islamica, aspetti e tendenze, esperienze e
tecniche, SEI, Torino 1960.
A.J. Arberry,
Introduzione alla mistica dell’Islam, Marietti, Genova 1986.
Alberto
De Luca, Il Sufismo, la dimensione
“interiore” dell’Islam. Un’introduzione e un percorso
bibliografico, www.aljazira.it, 12/05/04.
Alessandra
Garusi, Innamorati figli di Allah, Jesus, n. 50, giugno 2005.
Marijan
Molé, I mistici musulmani, Adelphi,
Milano 1992.
Seyyed
Hossein
Nasr, Ideali e realtà dell’Islam, Rusconi, Milano 1977.
Jalalu
d-Din
Rumi, Poesie mistiche, Rizzoli, Milano 1980.
Abu ‘Abd
ar-Rahman Sulami, Introduzione al Sufismo, Il leone verde,
Torino 2002.
Annemarie
Schimmel, Sufismo. Introduzione alla mistica islamica,
Morcelliana, Brescia, 2001.
[1] “Per
quanto
riguarda lo specifico dell'uomo, Ficino parla di felicità come "indiamento",
cioè solo la bellezza e l'amore possono accendere l'anima di
desiderio e farle riacquistare le platoniche "ali" per tendere
con tutte le sue energie spirituali a Dio. L'"indiamento",
insomma, come un entrare in Dio, un eternizzarsi. Ma leggiamo
uno stupendo passo dello stesso Ficino: "Ma Dio sarebbe, per
così dire, un tiranno iniquo se ci spingesse a tentare di
raggiungere cose che noi non potessimo mai ottenere. Per cui si
deve dire che ci spinge appunto a cercare lui nell'atto in cui
infiamma il desiderio umano con le sue faville... Per la qual
cosa il nostro animo può ad un determinato momento indiarsi,
dato che per natura a ciò tende sotto lo stimolo diretto di Dio.
Ma non si india se non assumendo la forma di Dio, come nulla si
infuoca se non accoglie la forma appunto del fuoco". F.
Gabrielli, La felicità come via verso il divino,
http://www.lifegate.it/essere/articolo.php?id_articolo=1211
[2] M. Molé,
I mistici musulmani, Adelphi, Milano 1992.
[3] S.H.
Nasr,
Ideali e realtà dell’Islam, Rusconi, Milano 1977.
[4] Il Perinde
ac cadaver della tradizione gesuitica.
[5] Anawati/Gardet,
Mistica Islamica, SEI, Torino 1960.
[6] Idem,
p. 43.
[7] Un’altra
immagine usata dai sufi è quella “della scorza e del nocciolo” (al-qishr
wa l-lubb).
[8] S.H.
Nasr, op.
cit., p. 163.
[9] Anawati/Gardet,
op. cit., p. 211.
[10] M. Molé,
op. cit., p. 53.
-----------------
(http://www.aljazira.it/index.php?option=content&task=view&id=701&Itemid=)
SOLO LA CINA ??
La
guerra a internet del Pentagono
Il Pentagono ha sviluppato un'estesa strategia per
impossessarsi di internet e controllare il libero flusso di
informazione. Il piano appare in un documento che è stato
recentemente declassificato, "The Information Operations Roadmap,"
reso pubblico grazie al FOIA [Freedom of Information Act] e
rivelato in un articolo pubblicato dalla BBC.
Mike Whitney
18 marzo 2006
Il Pentagono vede internet nell'ottica di un avversario
militare che pone una minaccia vitale alla sua missione
esplicitamente dichiarata di dominio a livello globale. Questo
spiega il linguaggio di aperto confronto usato nel documento,
che parla di 'combattere il net', implicando che internet è
l'equivalente di un "sistema di armi nemico".
Il Dipartimento della Difesa attribuisce un alto significato
al controllo dell'informazione. Il nuovo programma illustra la
sua determinazione a voler fissare i parametri della libertà di
parola.
Il Pentagono vede l'informazione come un elemento essenziale
nella manipolazione delle percezioni pubbliche e, quindi un
mezzo cruciale per stimolare il sostegno verso politiche
impopolari. Le recenti rivelazioni riguardo alla propaganda
diffusa dai militari nella stampa straniera dimostra
l'importanza che viene attribuita alla cooptazione della
pubblica opinione.
La guerra dell'informazione viene usata per creare una nube
impenetrabile con cui avvolgere le attività del governo così che
le decisioni possano essere prese senza possibilità di alcun
dissenso. La cortina fumogena dell'inganno che circonda
l'Amministrazione Bush più che voler prevaricare i politici
tenta di mettere in moto una politica dell'offuscamento
chiaramente articolata. "The Information Operations Roadmap" è
intesa al solo scopo di indebolire il principio di una
cittadinanza informata.
Il focus del Pentagono su internet la dice lunga sui media del
mainstream e sulle sue connessioni con l'establishment politico.
Perché, per esempio, il Pentagono vede internet come una
minaccia più grande dei media del mainstream, dove si stima che
a procurarsi le proprie notizie sia il 75% degli Americani?
La ragione è chiara: perchè i MMS sono una componente già
pienamente integrata del sistema delle multinazionali che
provvede a fornire uno streaming di 24 ore al giorno di notizie
vicine agli interessi del big business. Oggi i MMS operano come
un de facto franchise del Pentagono, un affidabile autore
di sofisticata propaganda a favore delle guerre di aggressione e
del sotterfugio politico di Washington.
Internet, d'altra parte, è l'ultimo bastione della democrazia
Americana, un mondo virtuale dove informazione affidabile si
muove istantaneamente da persona a persona senza passare
attraverso il filtro delle multinazionali. I visitatori che si
muovono online possono avere una chiara fotografia delle
depredazioni da parte dei loro governi con un semplice click del
mouse. Questa è la liberalizzazione delle news, una open source
di informazione che espande la mente ed eleva la consapevolezza
della cittadinanza su questioni complesse e allo stesso tempo
minaccia lo status quo.
Il programma del Pentagono è solo uno degli aspetti di una più
ampia cultura dell'inganno, un ethos penetrante di disonestà che
avvolge tutti gli aspetti della Casa Bianca di Bush. Il
Dipartimento di "Intelligence Strategica" è una divisione
dell'establishment della Difesa che è interamente consacrato
all'occultamento, alla distorsione, all'omissione e alla
manipolazione della verità.
In che maniera la "intelligence strategica" sarebbe diversa
dalla semplice intelligence?
E' informazione che viene modellata in maniera da venire
incontro ai bisogni di un gruppo particolare. In altre parole,
non è di certo la verità, piuttosto una fabbricazione, una
fiction, una bugia.
"Intelligence strategica" è un ossimoro, un esempio
considerevole di incongruente linguaggio Orwelliano che riflette
il cinismo profondamente radicato dei suoi autori.
Internet è un obiettivo logico della guerra elettronica
pianificata dal Pentagono. Già i memos di Downing Street, le
minacce di Bush a base di bombe contro Al Jazeera, le elezioni
fraudolente del 2004, e la distruzione di Falluja, hanno
scardinato l'esecuzione pulita delle guerre di Bush. E'
comprensibile che Rumsfeld & Co. cerchino di trasformare questo
nemico potenziale in un alleato, tanto quanto hanno fatto con i
MMS.
I piani del Pentagono per implementare una "guerra virtuale"
sono impressionanti. La BBC nota: "Le operazioni descritte nel
documento comprendono un raggio sorprendentemente ampio di
attività militari: ufficiali per gli affari pubblici che
impartiscono istruzioni ai giornalisti, truppe per le operazioni
psicologiche che cercano di manipolare i pensieri e le credenze
del nemico, specialisti di attacchi contro network
computeristici che cercano di distruggere i network dei nemici."
Il nemico, naturalmente, sei TU, caro lettore, o chiunque si
rifiuti di accettare il proprio ruolo di stupido pendaglio del
Nuovo Ordine Mondiale. Impossessarsi di internet è una maniera
prudente di controllare ogni pezzo dell'informazione di cui uno
fa esperienza dalla culla alla tomba; ossia ciò che è necessario
per il funzionamento ordinato di uno stato di polizia.
La "Information Operations Roadmap" (IOR) raccomanda che le
operazioni psicologiche (Psyops) "prendano in considerazione un
vasto raggio di tecnologie allo scopo di disseminare propaganda
nel territorio del nemico: veicoli aerei senza equipaggio,
'sistemi pubblici di indirizzi sparsi e miniaturizzati,
tecnologie senza fili, telefoni cellulari e internet." Nessuna
idea è troppo costosa o troppo complessa da poter sfuggire alla
seria considerazione dei capi del Pentagono.
Il Dipartimento della Guerra sta pianificando di inserirsi
esso stesso in ogni area di internet, dai blog alle chat room,
dai siti web di sinistra ai commentari editoriali. L'obiettivo è
quello di sfidare ogni singolo boccone di informazione apparso
sul web che possa contrastare la narrativa ufficiale: ossia la
favola del benigno interventismo Americano per promuovere la
democrazia e i diritti umani in tutto il pianeta.
La IOR aspira ad "assicurare il massimo controllo dell'intero
spettro elettromagnetico" e sviluppare la capacità di
"scardinare o distruggere l'intero spettro di sistemi di
comunicazione, sensori, e sistemi di armi dipendenti dallo
spettro elettromagnetico, emergenti a livello globale." [BBC]
Dominazione dell'intero spettro.
L'obiettivo ultimo del Pentagono è creare un paradigma per
internet che corrisponda al modello mainstream delle
multinazionali, senza immaginazione o punti di vista divergenti.
Quello che hanno in mente è un internet che viene ristretto in
maniera crescente dall'influenza ingorda dell'industria e dalla
sua vasta "tappezzeria di bugie".
Internet è il moderno mercato delle idee, una risorsa dal
valore incalcolabile per la curiosità umana e la resistenza
organizzata. Fornisce un link diretto fra il potere esplosivo
delle idee e il coinvolgimento informato della cittadinanza
[conosciuto anche come democrazia partecipativa].
Il Pentagono sta elaborando i preparativi per la
privatizzazione di internet così che la rivoluzione
dell'informazione possa essere trasformata in una tirannia
dell'informazione, estesa a tutte le aree della comunicazione e
al servizio degli interessi esclusivi di un ristretto numero di
influenti plutocrati Americani.
Note:
Traduzione a cura di Melektro per www.radioforpeace.info
Fonte :
http://www.radioforpeace.info/articolinuovaera/itapiece138.htm
La Associated Press ha riportato il 13 Febbraio 2006, "Il
governo ha concluso Venerdì scorso la sua esercitazione tattica
chiamata 'Cyber Storm', la più grande simulazione mai tentata
per testare la propria capacità di risposta ad attacchi
devastanti scagliati attraverso Internet da parte di attivisti
noglobal, underground hackers e bloggers.
"Bloggers?
"I partecipanti hanno confermato che durante la simulazione su
scala mondiale gli ufficiali del governo e i manager
dell'industria sono stati sfidati a rispondere a deliberate
campagne di disinformazione e ad appelli da parte dei bloggers
di Internet, dei diaristi online i cui 'Web logs' sono carichi
di violenti commentari politici e di riflessioni deviate sugli
eventi correnti."
"Campagne di disinformazione"? "Violenti commentari politici"?
"Riflessioni deviate sugli eventi correnti"?
La risoluzione dell'amministrazione a precludere l'esercizio
della libertà di parola non è mai stata tanto forte e continua a
crescere a gran velocità.
Mike Whitney vive nello Stato di Washington, e può essere
contattato al seguente indirizzo di posta elettronica:
fergiewhitney@msn.com.
Il Bluff della Democrazia
di Serena Sartini
Il ricatto morale su cui si fonda e rafforza il Sistema è il
voto.
Il Sistema è costituito dall’intreccio di interessi e profitti
frutto della connivenza tra "politica", potere economico e
informazione di potere.
Il Sistema ha un unico punto debole strutturale che
paradossalmente coincide con il punto forte che lo alimenta e lo
rigenera: Il Voto.
Il voto è una delega in bianco che consente al politico di
entrare a far parte del Sistema finalizzato alla spartizione dei
profitti che la "politica" gli garantisce insieme ai legittimati
privilegi.
Non è per caso che le "promesse" vengono formulate, da ogni
parte, in campagna elettorale, contenute in programmi elettorali
puntualmente disattesi nel corso della legislatura.
Chiunque può mettere in atto un efficace tentativo di
delegittimare questo “Sistema di negazione della Democrazia”,
con una scelta di disobbedienza civile di rinuncia al "diritto"
di voto e contestualmente continuare la lotta, continuare ad
operare scelte di consumo che condizionino l’economia,
continuare a diffondere idee avanzate, principi e valori nuovi,
manifestando, scrivendo, protestando con forza in forma
apartitica e aconfessionale, organizzandosi lontano dagli
ingranaggi del potere costituito, cercando alternative di vita
Democratica in RETE.
Il voto, in qualunque direzione vada, è la dinamica che perpetua
il Sistema, che ne alimenta gli effetti devastanti, soprattutto
sugli "ultimi".
Il passo successivo alla propria presa di coscienza è
l’organizzazione.
Una scelta in coscienza, o di obiezione, o di disobbedienza
parte individualmente; è una personale rivoluzione etica come la
scelta vegetariana/ VEG, senza pensare se servirà, se qualcuno
mi seguirà, se riuscirò a vanificare la macellazione: io intanto
rifiuto la violenza, rifiuto la mistificazione e l’inganno, e
tutelo la mia salute.
Dalla coscienza individuale si passa a quella collettiva e il
non voto di chi lotta-milita quotidianamente non è qualunquismo
ma politica vera, fuori dalle mura dorate dello stato padrone,
del sistema schiavista.
Chi crede nel doveroso esercizio del diritto di non voto motiva
pubblicamente la propria scelta divulgandone le profonde ragioni
tentando l’organizzazione e la Riorganizzazione, a cominciare
dalla figura del soggetto politico: che agisce esclusivamente in
forma di volontariato, proponendo un rivoluzionamento delle
dinamiche opportunistiche della “politica”.
Il bluff sta proprio nel “diritto” di voto che nel tempo è
diventato avallo della mistificazione del sistema democratico
che non esiste.
Non è questa la democrazia, non lo è affatto; non abbiamo nessun
potere, se non la "libertà" - questa si che ci viene accordata -
di eleggere chi il potere lo prende per sé in ogni sua forma.
“In -Aldo Capitini - di Giacomo Zanga, a proposito dei C.O.S.
(centri di orientamento sociale), Ignazio Silone scrive:
"..l’antagonismo tra società e stato... è il solo che possa
aprire una nuova prospettiva storica, creando un nuovo dinamismo
sociale al posto di quello esaurito nella lotta delle classi.
Riuscirà alla società di recuperare le funzioni ora usurpate
dallo stato burocratico e centralizzato? Questo significa
principalmente sostituire le attuali relazioni autoritarie,
costrittive, passive con relazioni umane autentiche e
responsabili..."
Aggiunge Zanca: “con questo obiettivo sorsero i C.O.S., che
restano nella storia italiana come un modello da ammirare e, un
giorno forse non lontano, da recuperare.
I Cos furono boicottati dai partiti, cominciando dai più grossi
(DC e PCI) che ovviamente scorgevano in quel decentramento, in
quell’autentica integrale democrazia un pericolo per i loro
vantaggi e la loro stessa sussistenza.”
I C.O.S. di Capitini non potevano sfruttare la RETE e quindi
sopravvivere. I Cos possono essere i Blog di oggi, come il tuo,
consapevoli della forza della loro progressione geometrica.
Cosa fare? Usare la RETE per NON VOTARE
Propongo, nel frattempo, un invio collettivo di mail a Ciampi e
ai Segretari di partito, con la comunicazione di esercizio del
Diritto-Dovere di non voto per le motivazioni e con gli intenti
di cui sopra e per/con tutto l’aggiungibile.
Serena Sartini - Rimini -
Iltharlo
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(http://www.socialpress.it/article.php3?id_article=1249)
LA DERIVA DEGLI UK
"Il New Labour deve riconoscere che Berlusconi è il diavolo".
Martin Jacques
16/3/2006
The Guardian
" Non dovremmo essere sorpresi che il New Labour
sia stato coinvolto in uno scandalo a causa di Silvio
Berlusconi. C’è qualcosa di totalmente prevedibile in ciò.
Tony Blair fu felice di avere Berlusconi,
insieme con il precedente primo ministro José Maria Aznar, come
alleato al tempo della rottura tra Europa e Stati Uniti, nei
mesi precedenti all’invasione anglo-americana dell’Iraq. Ha
visto in Berlusconi un valido alleato per la sua
politica estera pro-Bush. Infatti, è stato più vicino a
Berlusconi di altri leader di centro sinistra come il precedente
cancelliere tedesco Gerhard Schröder. Questo senso di affinità
ha perfino assunto una dimensione personale e familiare,
con l’ospitalità data da Berlusconi alla famiglia Blair durante
le vacanze. Blair ha chiaramente un rapporto politico e
personale con Berlusconi e questo ha influenzato il New Labour:
Berlusconi è considerato un uomo con cui si può fare business.
Ciò disturba profondamente. Come può il New Labour valutare
Berlusconi in questa luce? Come è possibile che non veda e
rifletta sulla maligna influenza che ha sulla democrazia
italiana? Berlusconi è il fenomeno politico più
pericoloso in Europa. Rappresenta la più seria minaccia
alla democrazia nell’Europa occidentale dal 1945.
Si potrebbe obiettare che l’estrema destra rappresentata da
figure apertamente razziste e xenofobe come Jean-Marie
Le Pen e Jörg Haider sia un pericolo ancora maggiore,
ma queste figure sono marginali nella scena politica europea.
Berlusconi non lo è. La democrazia si basa sulla
separazione tra i diversi poteri: politico, economico,
culturale e giudiziario.
La proprietà da parte di Berlusconi dei
maggiori canali televisivi, e il suo controllo della
RAI durante il suo Governo, insieme con la sua volontà di
utilizzare il potere dei media per le sue ambizioni politiche,
hanno minato la democrazia. Egli ha anche cambiato le
leggi a suo piacimento, grazie alla sua maggioranza in
Parlamento, per proteggere i suoi interessi personali e
sottrarsi ai tribunali.
La connessione tra Berlusconi e il fascismo italiano
non è difficile da decifrare. C’è sempre stata una
tendenza ad aspettarsi che il fascismo ritornasse nella sua
vecchia forma, ma questo non è mai stato il vero pericolo.
Quello di cui dobbiamo avere paura è il ripresentarsi del
fascismo in una nuova veste, tale da riflettere le nuove
condizioni globali economiche e culturali del nostro tempo unite
alle tradizioni nazionali. Berlusconi è precisamente questa
figura. Egli tratta la democrazia con disprezzo:
ogni volta cerca di minarla, di distorcerla e di abusarne. Non
ha rispetto per i pilastri indipendenti dell’autorità, ed accusa
i giudici di essere i tirapiedi dell’opposizione, descrivendoli
come “comunisti”. Con il suo indiscriminato assalto a chiunque
lo ostacoli, ha avvelenato la vita pubblica italiana. Egli
discende da Mussolini.
L’errore del New Labour di riconoscerlo, peggio ancora di
essergli amico, considerarlo un alleato, accettare la sua
munificenza e la sua ospitalità, non può essere liquidato come
un errore. Riguarda la visione mondiale e la capacità di
giudizio politico del New Labour e di Blair.
Tessa Jowell non è una politica innocente.
E’uno dei membri del Gabinetto. E’ stata a lungo una “Blairite”
con una relazione di fiducia con il primo ministro. Ha lealmente
sposato le sue posizioni nei confronti di Berlusconi come di una
figura con cui fare affari. Può aver conosciuto o meno i
dettagli degli affari di suo marito, ma sicuramente sapeva dei
suoi contatti con Berlusconi, che lo aveva aiutato con
consulenze fiscali ed assistito nei suoi tentativi di resistere
ai giudici. E, senza dubbio, Jowell non vedeva nulla di
sbagliato in questo. Dopo tutto, Berlusconi aveva la benedizione
del suo primo ministro, egli era “dalla nostra parte”.
Ma Berlusconi è un uomo pericoloso con cui si può rimanere
intrappolati. Il suo partito, Forza Italia, ha lavorato
instancabilmente per assicurarsi l’eredità dei voti della mafia
provenienti dalla Democrazia Cristiana.
I suoi tentacoli finanziari hanno abusato e sfigurato la vita
politica italiana. Berlusconi considera la legge
malleabile, negoziabile e corruttibile.
Il problema è che Blair e il New Labour non hanno mai
riconosciuto che Berlusconi è il diavolo. Invece lo hanno
trattato da amico ed alleato. Non hanno mai compreso, o non si
sono curati a sufficienza, della minaccia tossica che
rappresenta per la democrazia italiana ed europea. Ci
sono due ragioni per questo. La prima è che è visto come un
amico comune di Bush e di Blair. La seconda e che alcuni valori
da lui rappresentati: ricchezza, celebrità e potere, sono quelli
a cui Blair aspira e ammira. Il New Labour condivide alcune
caratteristiche con Berlusconi, un culto del business e del
dell’arricchimento, il credere nel potere dei media e un
disprezzo per la sinistra. Noi stiamo assistendo a un lento
degrado della democrazia europea, del quale Berlusconi è la più
estrema e perniciosa espressione, ma della quale il New Labour,
in una forma più leggera, è in parte causa e in parte
conseguenza.
Quando il processo italiano andrà avanti, non ci sono
dubbi che altre rivelazioni verranno alla luce.
Qualunque cosa David Mills abbia fatto o non fatto non può
essere visto come responsabilità di Jowell, Blair o del New
Labour. Ma il fatto che il New Labour abbia accettato una così
insidiosa influenza politica ha, senza alcun dubbio, aiutato a
persuadere Mills che Berlusconi fosse un cliente accettabile e
Jowell che non ci fosse nulla di sbagliato nel fatto che suo
marito fosse in relazione con lui e con i suoi affari. Per
questa ragione il primo ministro deve assumersi la
responsabilità principale. Così come per l’Iraq, Blair
è colpevole di un monumentale errore politico. La posta
in gioco è la democrazia in una delle più grandi nazioni europee
e, di conseguenza, la salute del governo europeo".
LA DERIVA DEGLI STAR AND SHIT
Ci sono i criminali, e poi ci sono
i CRIMINALI
Cindy Sheehan
18 marzo 2006
11 Marzo 06 -- Mentre sono qui coricata sul letto per
riprendermi dalle ferite che l'altro giorno mi sono state
inflitte da un agente federale e dalla NYPD [Polizia di New
York] di fronte alla US Mission alle Nazione Unite [USUN], ho
avuto il tempo per riflettere su questa esperienza, sulla
condizione della nostra Unione e sulla sua metamorfosi in uno
stato fascista.
Quando il gruppo di noi quattro, ossia Missy Beattie, Rev.
Patricia Ackerman, Medea Benjamin ed io, siamo state arrestate
l'altro giorno, la sottoscritta è stata prescelta per testare la
brutalità della polizia federale. Le altre tre signore sono
state afferrate, anche se non molto gentilmente, ed io sono
stata invece trascinata per il pavimento e trattata molto, molto
rudemente - con entrambe le braccia torte e schiacciate sotto di
me. Mi sono rivolta al mio dottore come se fossi stata
picchiata. Mia figlia Janey mi ha chiesto se avessi resistito
l'arresto, le ho risposto che se uno considera resistenza il
mettersi in posizione fetale e dire, "Perfavore smettila di
farmi del male", allora ritengo che stavo resistendo l'arresto.
Perchè sono diventata il bersaglio di questi abusi? E' stato
forse il tentativo di prendersi una rivincita a causa del mio
lavoro volto a mettere in luce le bugie di Bush & Co., del cui
gruppo John Bolton è uno dei principali co-criminali? O è per
scoraggiare gli altri attivisti a non imboccare la stessa strada
da me intrapresa: ossia richiedere la fine dell'illegale e
immorale occupazione dell'Iraq, e domandare che le nostre
libertà ci vengano restituite? Come vorrei aver visto il Senato
prendere posizione coraggiosamente contro i fascisti che
monopolizzano il nostro governo - o forse i 90 che hanno votato
"Oh Sì" all'estensione del Patriot Act sono anch'essi
sprofondati nel fascismo?
Il neoconservatore John Bolton ha avuto una lunga ed ampiamente
articolata carriera fatta di menzogne e di lavoro sporco
compiuto al servizio del regime. Nel 1994 ha assaltato
sessualmente e terrorizzato l'informatrice Melody Townsel che
lavorava per USAID. Lei ha fatto pressione sul Comitato
Senatoriale per la Politica Estera affinchè non approvasse la
nomina di Bolton e in una lettera ha scritto ai suoi membri: "John
Bolton mi ha fatto sprofondare in un vero inferno - e ha fatto
tutto ciò che poteva per intimidire, malignare e minacciare non
solo la sottoscritta ma chiunque non fosse disposto ad accettare
la sua versione dei fatti. Il suo comportamento nel 1994 è stato
non solo imperdonabile, ma soprattutto patologico." Non solo
John Bolton non è stato punito per questo e per altri incidenti
caratterizzati da assalti sessuali e abusi, ma è stato
addirittura premiato con la recente nomina alle Nazione Unite,
quando George Bush ha aggirato ancora una volta i nostri
processi politici.
L. Paul Bremer è riuscito a strisciare fuori dall'Iraq, coperto
dall'oscurità, due mesi dopo che mio figlio Casey era stato
ucciso, con 8.8 miliardi di dollari mancanti dalle casse della
CPA - Coalition Provisional Authority. E' stato forse Paul
Bremer messo sotto accusa per il denaro mancante? No, tutt'altro,
ed anzi gli è stata assegnata la Medaglia Presidenziale della
Libertà ed è uno speaker pagato profumatamente nel gommoso
circuito Repubblicano di "chickenhakws" - falchipollastri.
Profittatori di guerra come la Halliburton stanno derubando con
estrema violenza il tax payer Americano a suon di miliardi di
dollari e tutto questo è parte integrale della politica della
compagnia. Un'informatrice della Halliburton ha accusato la
compagnia di chiedere a tutti noi 45 dollari per ogni cassetta
di soda e diecimila dollari a notte per stare nei migliori hotel
del Kuwait. Chiedono prezzi immorali per dare da mangiare ai
nostri soldati che spesso si lamentano del cibo avariato. I
nostri giovani devono anche pagare per il lavaggio della propria
biancheria da parte di questi orribili sfruttatori. Sono stati
forse puniti o penalizzati monetariamente per questi crimini?
No, tutt'altro, e la Halliburton continua ad ottenere ancora più
contratti senza concorso in America e in tutto il mondo.
Si potrebbe scrivere un libro sulle malefatte della criminale
famiglia Bush e dei suoi associati in stile mafia, ma finirei
per allungare enormemente questo scritto. George Bush ha
commesso crimini contro l'umanità, violazioni di alto profilo e
azioni malvage nella sua tenuta del potere come [P]residente
della Casa Bianca. E' stato forse considerato responsabile per
uno di questi? No e continua a trascorrere confortevolmente le
sue notti e i suoi giorni contento di essere una persona con
seri problemi psicologici, già ricca, sapendo che il Congresso è
senza spina dorsale e che non verrà accusato di alto tradimento
per le sue trasgressioni, che hanno causato la morte di tante
migliaia di persone in tutto il mondo.
Mentre l'altra notte ci trovavamo nel sistema penitenziario di
New York, tutto adornato di scarafaggi e di feci, abbiamo avuto
l'opportunità di incontrare altre donne, le quali ritengono di
dover ricorrere al crimine per riuscire a sopravvivere nel
BushWorld. Abbiamo incontrato donne intelligenti e giovani che
sentono che la loro unica possibilità di salvezza è quella di
ricorrere al crimine senza vittime. Adesso a causa dei loro
piccoli furti, saranno costrette a trascorrere molti mesi in
queste istituzioni dove gli è stata negata qualunque dignità
umana o qualunque comfort. Tutte le donne che ho incontrato
erano consapevoli di aver violato la legge ed erano rassegnate
alla loro punizione, ma dov'è la giustizia nel nostro sistema,
per il quale tutte le persone sono ritenute uguali?
Tuttavia, noi quattro, donne bianche della classe media siamo le
fortunate. Abbiamo dovuto passare solamente una notte in
prigione e sapevamo che i nostri avvocati sarebbero arrivati la
mattina seguente per liberarci. Mentre ci stavamo recando in
tribunale, siamo passate vicino alle nostre sorelle che si
trovano nelle celle di prigionia e i nostri cuori sono venuti
mancando, perchè sappiamo cosa significa dover trascorrere anche
solo una notte in prigione. Anche le nostre anime si sono
connesse con le nostre sorelle e i nostri fratelli in tutto il
mondo che sono stati imprigionati in condizioni largamente
peggiori a causa delle politiche di Bush & Co. E che vengono
torturati in maniera disumana a causa delle stesse politiche
medievali e draconiane.
Anche se John Bolton, L. Paul Bremer, George Bush, i manager
della Halliburton ad nauseam venissero mai puniti, tutti noi
sappiamo che le condizioni non saranno [ma dovrebbero esserlo]
tanto dure come quelle di tutte le persone che vivono in
condizioni subumane a causa loro. Questi individui operano nella
convinzione di avere a disposzione tutto il denaro e il potere e
non gli importa nulla di chi devono vittimizzare sulla strada
che porta all'ottenimento dei loro guadagni osceni e malati.
Uno dei cosidetti crimini da noi commesso di fronte all'USUN è
risultato essere "Ostacolo all'Amministrazione Governativa". E
io rispondo "Certo che sì!", chiunque abbia un minimo di
coscienza o di coraggio morale dovrebbe fare tutto ciò che è in
suo potere per ostacolare la amministrazione del governo Bush.
Solo una massiccia, pacifica e non violenta resistenza a queste
politiche calamitose sarà in grado di arginare questa spaventosa
ondata!
Questa è la ragione per cui dobbiamo prendere posizione contro i
neo fascisti e riprenderci la nostra umanità.
E questo mentre lo possiamo ancora fare. Non ci sarà mai niente
che mi impedirà di prendere posizione contro di loro, spero solo
che la prossima volta mi trascineranno per il braccio sano!
Note:
Traduzione a cura di Melektro per www.radioforpeace.info
http://www.radioforpeace.info/articolinuovaera/itapiece146.htm
I fantasmi dell'Indonesia non
mentiranno
John Pilger
La storia di Timor Est si sta ripetendo mentre Jakarta si allea
con l'Occidentre per distruggere un'altra terra ricca ri
risorse: la Papua Occidentale. E il mondo sta guardando mentre
l'Australia decide il destino di 43 Papuani in cerca di asilo.
Nel 1993, io ed altre quattro persone viaggiammo
clandestinamente a Timor Est per raccogliere prove del genocidio
commesso dalla dittatura indonesiana. L'assordante silenzio su
questo minuscolo paese era tale che l'unica mappa da me trovata
prima di partire aveva degli spazi bianchi per "Raccolta di Dati
Incompleta". Pochi luoghi erano stato così contaminati e
brutalizzati da forze sanguinarie. Nemmeno Pol Pot era riuscito
a mandare all'altro mondo, in proporzione, tante persone quante
aveva fatto il tiranno indonesiano Suharto in collusione con la
"comunità internazionale".
A Timor Est trovai un paese ricoperto di tombe, le cui croci
nere occupavano tutta la vista: croci sulle vette, croci nei
vincoli, croci sui fianchi delle colline, croci dietro la
strada. Annunciavano l'omicidio di intere comunità, dai neonati
agli anziani. Nel 2000, quando i cittadini di Timor Est,
manifestando in un atto collettivo di coraggio con pochi
paralleli storici, finalmente guadagnarono la loro libertà, le
Nazioni Unite istituirono una commissione di verità; il 24
gennaio, le sue 2.500 pagine sono state pubblicate. Non ho mai
letto nulla del genere. Ricorrendo per la maggior parte a
documenti ufficiali, si racconta in dolorosi dettagli tutta la
tragedia del sanguinoso sacrificio di Timor Est. Si afferma che
180.000 cittadini di Timor Est sono stati uccisi dalle truppe
indonesiane o sono morte per fame forzata. Si descrivono i
"ruoli primari" nella carneficina dei governi statunitense,
britannico ed australiano. Il "supporto politico e militare
[degli Stati Uniti] è stato fondamentale" in crimini che vanno
"dalle esecuzioni di massa agli sfollamenti forzati, lo stupro
ed altre orribili forme di tortura, allo stesso modo di abusi
nei confronti di bambini". L'Inghilterra, una co-cospiratrice
nell'invasione, era la principale fornitrice d'armi. Se volete
vedere oltre la cortina fumogena che sta attualmente circondando
l'Iraq, e comprendere il vero terrorismo, leggete questo
documento.
Mentre lo leggevo, la mia mente tornava alle lettere dei
funzionari del ministero degli esteri che scrissero a
preoccupati membri dell'opinione pubblica e ai parlamentari che
seguivano la proiezione del mio film Death of a Nation. Pur
sapendo la verità, negarono che i jet Hawk forniti
dall'Inghilterra stessero radendo al suolo villaggi dai tetti di
paglia e che le mitragliatrici Heckler e Koch fornite
dall'Inghilterra stessero finendo gli abitanti. Mentirono anche
sul grado delle sofferenze.
E sta tutto accadendo di nuovo, avvolto nello stesso silenzio,
mentre la "comunità internazionale" sta giocando la stessa parte
di finanziatrice e beneficiaria nella repressione di un popolo
indifeso. La brutale occupazione indonesiana della Papua
Occidentake, una vasta provincia ricca di risorse - sottratta al
suo popolo, come Timor Est – è uno dei grandi segreti del nostro
tempo. Di recente, il ministro australiano delle
"comunicazioni", la senatrice Helen Cooan, non è riuscita a
segnarla sulla mappa della sua stessa regione, come se non
esistesse.
Un numero stimato di 100.000 abitanti della Papua, o il 10 %
della popolazione, sono stati uccisi dall'esercito indonesiano.
Questa è solo una frazione del numero reale, secondo i
rifugiati. A gennaio, 43 abitanti della Papua Occidentale hanno
raggiunto al costa nord dell'Australia dopo un viaggio di
fortuna durato 6 settimane in una piroga. Erano senza cibo, e
avevano fatto gocciolare la loro ultima acqua fresca nelle
bocche dei bambini. "Sappiamo", ha detto Herman Wainggai, il
leader, "che se l'esercito indonesiano ci avesse preso, la
maggior parte di noi sarebbe morta. Loro trattano gli abitanti
della Papua Occidentale come animali. Ci uccidono come animali.
Hanno creato le milizie e i jihadisti per fare proprio quello.
E' lo stesso che a Timor Est".
Per più di un anno, un numero stimato di 6.000 persone si è
nascosto nella folta giungla dopo che i loro villaggi e campi
erano stati distrutti dalle forze speciali indonesiane.
Innalzare la bandiera della Papua Occidentale è considerato
"tradimento". Due uomini stanno scontando delle pene di 15 e 10
anni solo per averci provato. In seguito all'attacco ad un
villaggio, un uomo fu presentato come "esempio", cosparso di
benzina e dato alle fiamme a partire dai capelli.
Quando i Paesi Bassi diedero l'indipendenza all'Indonesia nel
1949, sostennero che la Papua Occidentale era una separata
entità etnica e geografica con un carattere nazionale
distintivo. Un rapporto pubblicato lo scorso novembre
dall'istituto di storia dei Paesi Bassi all'Aia rivelava che gli
Olandesi avevano segretamente riconosciuto "senza possibilità di
errore l'inizio della formazione di uno stato papuano", ma
furono costretti dall'amministrazione di John F Jennedy ad
accettare un "temporaneo" controllo indonesiano su quelle che un
consigliere della Casa Bianca chiamava "poche migliaia di
kilometri di terra cannibale".
I Papuani occidentali furono fregati. Olandesi, Statunitensi,
Britannici ed Australiani sostennero un "Atto di Libera Scelta"
apparentemente controllato dalle Nazioni Unite. I movimenti di
25 persone appartenenti ad un team di monitoraggio dell'ONU
furono limitati dall'esercito indonesiano e vennero negati loro
gli interpreti. Nel 1969, su una popolazione di 800.000, circa
1.000 Papuani occidentali "votarono". Furono tutti scelti dagli
Indonesiani. Ad armi spianate, "acconsentirono " al rimanere
sotto il controllo del Generale Suharto – che aveva preso il
potere nel 1965 con quello che la CIA avrebbe poi descritto come
"uno dei peggiori omicidi di massa del tardo 20° secolo". Nel
1981, il Tribunale per i Diritti Umani nella Papua Occidentale,
tenuto in esilio, apprese da Eliezer Bonay, il primo governatore
della provincia d'Indonesia, che circa 30.000 Papuani
occidentali erano stati assassinati tra il 1963 e il 1969. Poche
di queste morti furono riferite in Occidente.
Il silenzio della "comunità internazionale" è spiegato dalla
favoloso ricchezza della Papua Occidentale. Nel novembre del
1967, poco dopo che Suharto aveva consolidato la sua presa del
potere, l'azienda Life-Time sponsorizzò una conferenza
straordinaria a Ginevra. Tra i partecipanti c'erano i
capitalisti più potenti del mondo, guidati dal banchiere David
Rockfeller. Seduto davanti a lui c'erano gli uomini di Suharto,
noti come la "mafia di Berkekey", poiché molti avevano goduto
dell'istruzione del governo statunitense all'Università
californiana di Berkeley. Nel giro di tre giorni, l'economia
indonesiana era stata spartita, settore per settore. Il nickel
della Papua Occidentale fu affidato ad un consorzio statunitense
ed europeo; mentre delle compagnia statunitensi, giapponesi ed
europee ebbero le foreste. Comunque, il premio – la più grande
riserva d'oro del mondo e il terzo maggior deposito di bottaio,
letteralmente una montagna di bottaio ed oro – andò al gigante
statunitense delle miniere Freeport-McMoran. Nel consiglio si
trovava Henry Kissinger che, come segretario di stato
statunitense, diede l'ok a Suharto per invadere Timor Est, dice
il rapporto olandese.
Oggi Freeport è probabilmente la più grande singola fonte di
finanze per il regime indonesiano: si dice che la compagnia
abbia passato 33 miliardi di dollari a Jakarta tra il 1992 e il
2004. Pochi di questi hanno raggiunto il popolo della Papua
Occidentale. Lo scorso dicembre, è stato riportato che 55
persone sono morte di fame nel distretto di Yahukimo. Il Jakarta
Post ha fatto notare la "orribile ironia" della fame in una
provincia così "immensamente ricca". Secondo la Banca Mondiale,
"il 38 % della popolazione della Papua vive in povertà, più del
doppio della media nazionale".
Le miniere della Freeport sono sorvegliate dalle forze speciali
indonesiane, che sono tra i terroristi più esperti al mondo,
come dimostrano i loro documentati crimini a Timor Est. Noti
come i Kopassus, sono stati armati dagli Inglesi e addestrati
dagli Australiani. Lo scorso dicembre, il governo di Howard a
Canberra ha annunciato che avrebbe riesumato la "cooperazione"
con i Kopassus nella base asutraliana SAS vicino a Pert. In
un'inversione della verità, l'allora ministro della difesa
australiano, il senatore Robert Hill, ha descritto i Kopassus
come aventi "la più efficace capacità" di rispondere a
dirottamenti o per il recupero di ostaggi". I documenti delle
organizzazioni per i diritti umani abbondando di prove del
terrorismo dei Kopassus. Il 6 luglio 1998, sull'isola di Bjak
della Papua Occidentale, proprio a nord dell'Australia, le forze
speciali hanno massacrato più di 100 persone, la maggior parte
di loro donne.
Comunque, l'esercito indonesiano non è stato in grado di
schiacciare il popolare Libero Movimento di Papua (Free Papua
Movement, OPM). A partire dal 1965, quasi da solo, l'OPM ha
ricordato agli Indonesiani, spesso in modo audace, che sono
invasori. Negli ultimi due mesi, la resistenza ha portato gli
Indonesiani a precipitare più truppe in Papua Occidentale. Due
camionette armate Tactica fornite dagli Inglesi con tanto di
cannoni ad acqua sono arrivate da Jakarta. Queste sono state
consegnate nel mezzo della "dimensione etica" in politica estera
di Robin Cook. I caccia-bombardieri Hawk, prodotti dalla BAE
Systems, sono stati usati contro i villaggi dei Papuani
Occidentali.
Il destino dei 43 richiedenti asilo in Australia è precario. In
contravvenzione al diritto internazionale, il governo Howard li
ha spostati dalla terraferma all'Isola di Natale, che è parte di
una "zona di esclusione" australiana per rifugiati. Dovremmo
osservare attentamente cosa accade a queste persone. Se la
storia dei diritti umani non è la storia di grande impunità del
potere, le Nazioni Unite devono ritornare in Papua Occidentale,
come hanno finalmente fatto a Timor Est.
O dobbiamo sempre aspettare che le croci si moltiplichino?
Per informazioni su come aiutare visitate Free West Papua (http://www.freewestpapua.org/)
Dopo
lo scandalo delle torture di Abu Ghraib, dopo quello della
stanza delle torture di Saddam Hussein usate dai marine per gli
interrogatori, l’esercito americano è sempre più sotto accusa
per i suoi abusi. L'esercito americano ha ammesso di aver aperto
un'inchiesta sull’uccisione di 11 persone da parte di militari
Usa, avvenuto mercoledì scorso ad Ishaqi, a nord di Baghdad. Ad
accusare i soldati statunitensi è la polizia irachena, ma ci
sono anche testimonianze di giornalisti, e un’inchiesta del
settimanale Time.
Le vittime facevano parte della stessa famiglia, dalla nonna di
75 anni al nipotino di sei. Cinque delle vittime sono bambini.
Tutti uccisi a sangue freddo con una pallottola in testa. I
cadaveri sono stati trovati con le mani legate e la casa è stata
fatta saltare in aria. «Si è trattato senza alcun dubbio di un
evidente e perfetto crimine», ha detto il colonnello Farouq
Hussein della polizia irachena.
Le forze Usa hanno ammesso soltanto di 4 morti, tra i quali solo
uno era un ribelle. Per catturarlo, i soldati hanno sparato
sulla casa in cui si era rifugiato e nella sparatoria hanno
perso la vita anche due donne e un bambino.
Ma non è la prima volta che l'esercito Usa viene accusato di
uccidere a sangue freddo vittime innocenti. Proprio il numero di
questa settimana del settimanale Time ha rivelato dell'uccisione
a sangue freddo, nel novembre scorso ad Haditha, nell’Iraq
occidentale, di 15 persone disarmate, tra cui 7 erano donne e 3
bambini, sulla base di prove raccolte dalla polizia irachena.
“Un mattino ad Haditha” aveva titolato il giornale americano per
ricordare quel 19 novembre 2005, quando i militari del terzo
battaglione della prima compagnia dei Marines, la compagnia Kilo,
massacrarono a sangue freddo i civili nelle loro abitazioni.
Quella mattina, un ordigno rudimentale esplose lungo la strada
per Haditha, uccidendo due soldati e ferendone altri tre.
L'indomani un comunicato dell'esercito americano da Ramadi fornì
la sua versione ufficiale: un ordigno sulla strada aveva fatto
saltare un blindato Usa, uccidendo un soldato e 15 civili. Le
truppe americane hanno ammesso solo l'uccisione di quattro
persone in tutto. Ma dalle testimonianze raccolte a gennaio,
quando vennero sentiti testimoni oculari e operatori umanitari,
emerse un'altra verità, rivelata dal Time, e cioè che i civili
furono giustiziati nelle loro abitazioni in rappresaglia
all’attentato dinamitardo compiuto dalla guerriglia. Alcuni
corpi, come si vede da foto pubblicate dal giornale, indossavano
il pigiama. L'irruzione nell’abitazione sarebbe avvenuta per
vendicare la morte del militare ucciso.
A luglio è stata aperta un'inchiesta sul presunto omicidio di un
cugino dell'ambasciatore iracheno all'Onu. L'uomo sarebbe stato
ucciso a sangue freddo in casa sua, ad Haditha.
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(http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=48157
LA FINE DEL MONDO
"Signor Bondi,
sono abituato a dare alle parole il loro peso per cui a
chiamarla
"onorevole"
dovrei coartare la mia coscienza.
Ho ricevuto l'inverecondo opuscolo che
lei, immagino, ha inviato a tutte
le parrocchie
d'Italia.
Glielo restituisco senza nemmeno sfogliarlo e le ricordo che le
parrocchie non
sono discariche di rifiuti né postriboli nei quali si possa
fare opera di
meretricio.
Abbiamo una nostra dignità, noi
sacerdoti, e non siamo usi a svendere
per un piatto di
fagioli il nostro patrimonio religioso,
culturale, sociale
ed umanistico che
voi in cinque anni di malgoverno avete dilapidato.
Avete fatto razzia di tutto. Avete dissestato la finanza
pubblica, avete
ridotto alla fame
gli enti locali da una parte e foraggiato, dall'altra, gli
enti
ecclesiastici cercando di comprarvi il nostro silenzio se non
addirittura la
nostra compiacenza.
Avete popolato il Parlamento di manigoldi, ladri e truffatori.
Di 23
parlamentari
condannati in via definitiva più della metà (13 per
la
precisione) fanno
parte del vostro gruppo. Avete fornicato con il
razzismo della
Lega e con il fascismo di Rauti. Con voi
i ricchi sono
diventati
più ricchi ed i poveri più poveri. Il vostro "Capo"
in cinque anni
ha quadruplicato
il suo patrimonio, mentre le aziende del Paese
andavano in
crisi. Solo l'elettromeccanica, nell'ultimo quadrimestre del
2005, ha perso il
7,1% del suo fatturato.
I nostri pensionati, da qualche anno in
qua, non solo non riescono più
ad
accantonare un soldo, ma hanno incominciato a
rosicchiare il loro
già risicati
risparmi.
Avete speso energie e sedute-fiume in Parlamento per difendere a
denti
stretti le
"vostre" libertà mentre il Paese rotolava al 41° posto quanto a
libertà di stampa
e pluralismo di informazione, dopo l'Angola.
Avete mercificato i lavoratori e ipostatizzato le merci.
Si tenga pure, signor Bondi, la sua presunzione di coerenza con
la
"dottrina sociale
della Chiesa". Noi preti vogliamo
tenerci cara la libertà
di lotta e di
contestazione contro la deriva liberista e populista
della
vostra
coalizione".
Aldo Antonelli (parroco) - Antrosano
Ps: Superciuk : per la sua fama nel mondo
degli appassionati di fumetti e non, Superciuk è quasi più
famoso di Alan Ford. È il mitico Robin Hood al contrario, che
ruba ai poveri per dare ai ricchi. La sua arma è la fiatata
alcolica, che l'eroe alimenta in un primo momento con del
barbera di pessima qualità e poi con un mix micidiale,
i terribili pomodori cipollati. Superciuk, il
vendicatore grasso e mascherato, nella vita borghese è uno
spazzino perennemente soggetto alle angherie della compagna (da
Wikipedia).
L'ETERNO RITORNO
L'informazione di regime sta, suo malgrado,
tracimando. Ogni giorno riceviamo informazioni
di politici corrotti, di leggi scritte per i delinquenti,
di banchieri che pagano mazzette ai parlamentari, di recessione
del Paese.
Ma ormai siamo anestetizzati. Se il sonno della ragione genera
mostri, qui sono i mostri ad aver generato il
sonno della ragione. Qualcuno si è impadronito
del Parlamento e dello Stato nell'indifferenza generale.
Ascoltiamo una voce del passato per capire
il nostro presente.
" Una sola preoccupazione spinge a costruire
programmi nuovi o a modificare quelli che già esistono: la
preoccupazione dell'esito delle prossime elezioni. Non appena
nella testa di questi giullari del parlamentarismo
balena il sospetto che l'amato popolo voglia ribellarsi e
sgusciare dalle stanghe del vecchio carro del partito, essi
danno una mano di vernice al timone. Allora vengono gli
astronomi e gli astrologhi del partito, i cosiddetti esperti e
competenti, per lo più vecchi parlamentari che, ricchi
di esperienze politiche, rammentano casi analoghi in
cui la massa finì col perdere la pazienza, e che sentono
avvicinarsi di nuovo una minaccia dello stesso genere. E costoro
ricorrono alle vecchie ricette, formano una "commissione",
spiegano gli umori del buon popolo, scrutano gli articoli dei
giornali e fiutano gli umori delle masse per
conoscere che cosa queste vogliano e sperino, e di che cosa
abbiano orrore. Ogni gruppo professionale, e perfino ogni ceto
d'impiegati viene esattamente studiato, e ne sono indagati i più
segreti desideri.
Le commissioni si adunano e rivedono il vecchio programma e ne
foggiano le loro convinzioni come il soldato al campo cambia la
camicia quando quella vecchia è piena di pidocchi. Nel nuovo
programma, è dato a ciascuno il suo. Al
contadino la protezione della agricoltura, all'industria
quella dei suoi prodotti; il consumatore
ottiene la difesa dei suoi acquisti, agli insegnanti
vengono aumentati gli stipendi, ai funzionari
le pensioni. Lo Stato provvederà generosamente alle
vedove e agli orfani, il commercio
sarà favorito, le tariffe dei trasporti saranno ribassate, e le
imposte, se non verranno abolite, saranno però ridotte.
Talvolta avviene che un ceto di cittadini sia
dimenticato o che non si faccia luogo ad una diffusa
esigenza popolare. Allora si inserisce in gran fretta
nel programma ciò che ancora vi trova posto, fin da
quando si possa con buona coscienza sperare di avere colmato
l'esercito dei piccoli borghesi e delle rispettive mogli, e di
vederlo soddisfatto. Così, bene armati e confidando nel buon Dio
e nella incrollabile stupidità degli elettori,
si può iniziare la lotta per la riforma dello Stato.
Ogni mattina, il signor rappresentante del popolo si reca
alla sede del Parlamento; se non vi entra,
almeno si porta fino all'anticamera dove è esposto l'elenco dei
presenti. Ivi, pieno di zelo per il servizio della nazione,
iscrive il suo nome e, per questi continui debilitanti sforzi,
riceve in compenso un ben guadagnato indennizzo.
Dopo quattro anni, o nelle settimane critiche in cui si fa
sempre più vicino lo scioglimento della Camera, una spinta
irresistibile invade questi signori. Come la larva non
può far altro che trasformarsi in maggiolino, così
questi bruchi parlamentari lasciano la grande
serra comune ed, alati, svolazzano fuori, verso
il caro popolo.
Di nuovo parlano agli elettori, raccontano dell'enorme
lavoro compiuto e della perfida ostinazione del altri;
ma la massa ignorante, talvolta invece di applaudire li copre di
parole grossolane, getta loro in faccia grida di odio. Se
l'ingratitudine del popolo raggiunge un certo
grado, c'è un solo rimedio: bisogna rimettere a nuovo lo
splendore del partito, migliorare il programma;
la commissione, rinnovata, ritorna in vita e l'imbroglio
ricomincia. Data la granitica stupidità della nostra umanità,
non c'è da meravigliarsi dell'esito. Guidato dalla sua
stampa e abbagliato dal nuovo adescante programma,
l'armento proletario e quello borghese ritornano alla stalla
comune ed eleggono i loro vecchi ingannatori.
Con ciò, l'uomo del popolo, il candidato dei
ceti produttivi, si trasforma un'altra volta nel bruco
parlamentare e di nuovo si nutre delle foglie
dell'albero statale per mutarsi, dopo altri quattro anni, nella
variopinta farfalla ".