| |
I quasi diciotto anni che Leonardo da Vinci passò alla corte
di Ludovico il Moro segnarono un punto talmente importante, nella storia
dell'arte lombarda del Rinascimento, che essa ne fu totalmente condizionata per
tutto il Cinquecento. Leonardo iniziò questo lavoro, che è forse il vertice
della sua arte, nel 1496 su incarico di Ludovico il Moro che, dopo aver ampliato
la chiesa di Santa Maria delle Grazie, aveva fatto ingrandire e abbellire anche
il convento attiguo con il Refettorio.
|
Divenne leggenda la lentezza con cui Leonardo lavorò a
quest'opera. In una lettera, inviata da Ludovico il Moro a Marchesino
Stampa, il 29 giugno 1947 si legge infatti: «... havemo summamente a core...
de solecitare Leonardo fiorentino perché finischa l'opera del Refettorio
delle Gratie principiata...»; ciò vuol dire che all'epoca della lettera, il
Cenacolo doveva essere quasi ultimato. Leonardo lo dipinse (spesso senza
posare il pennello per un giorno intero, ma talvolta anche senza mettervi
mano per quattro giorni), con una tecnica inconsueta, ma purtroppo assai
disgraziata perchè ridusse in breve tempo il dipinto ad una larva, come oggi
lo vediamo: il Maestro, cioè, non dipinse ad olio, bensì a tempera forte su
una complessa preparazione di due strati di gesso, che non ressero
all'umidità. |
Già nel 1568, il Vasari vi vedeva appena «una macchia
abbagliata»: l'umidità si concentrava sotto il dipinto, causando lo stacco della
pellicola colorata, l'affioramento di fiori di salnitro, l'estendersi della
muffa. A questi difetti si aggiunsero nel tempo le offese dell'uomo: i mercenari
francesi nel 1500 e i soldati di Napoleone nel 1700.
Scampato miracolosamente al bombardamento aereo che nell'agosto del 1943
distrusse quasi completamente il Refettorio, il Cenacolo fu sottoposto, dopo i
tanti brutti restauri che lo avevano scempiato nel passato, a quelli più moderni
che hanno cercato di salvarlo dalla rovina totale. Nonostante tutto, l'affresco
è sempre fonte di grande emozione: l'insieme compositivo rigorosamente
prospettico e simmetrico, che Leonardo derivò da quello di Andrea del Castagno,
si amplia in una nuova direzione, quella della profondità.
Tutta la scena è immersa in una debole luce diffusa,
proveniente in parte dalle tre finestre poste in fondo alla stanza ed in parte
dalla fonte luminosa anteriore che sembra accordarsi con quella delle finestre
dell'ambiente reale. L'ultima Cena é illuminata da una luce obliqua che
attraversa la mensa, cogliendo il momento drammatico in cui Cristo annuncia che
uno dei suoi lo tradirà. Nel paesaggio che si intravvede attraverso le tre porte
del fondo, si staglia, al centro, il Cristo, mentre all'intorno gli apostoli
aggruppati in vario genere di gestire, manifestano la loro emozione.
|
Le figure si impostano, raggruppate tre a tre, sulla linea
orizzontale della tavola, di cui Cristo è il centro, il punto fisso, su cui
convergono tutte le direttrici della composizione: gesti e sguardi degli
apostoli, ognuno caratterizzato psicologicamente nel suo diverso reagire alle
parole pronunciate dal Cristo: «Qualcuno di voi mi tradirà».
Il degrado e i primi restauri
Il degrado dell’Ultima Cena iniziò immediatamente dopo essere stata ultimata,
certamente anche per la tecnica utilizzata, ma soprattutto a causa dell’umidità;
durante questa operazione di restauro infatti si è riscontrato un tipo di
umidità abbastanza rara e subdola: la condensa interstiziale, che si forma sotto
la superficie del colore.
Nel passato restaurare significava intervenire in modo più o meno invasivo sul
manufatto artistico tralasciando del tutto lo studio dell’ambiente. È solo agli
inizi del Novecento che appare il problema della conservazione dell’opera
collegato anche alle condizioni ambientali nel loro insieme. La consapevolezza
che il problema della salvaguardia dell’Ultima Cena era strettamente legato
all’aspetto del risanamento ambientale, si è fatta strada soltanto nel
dopoguerra quando fu adottato il riscaldamento a pavimento radiante, che però
non si dimostrò una soluzione particolarmente appropriata.
Nel frattempo, con il disastroso bombardamento aereo del 16 agosto ’43, l’intera
struttura del refettorio risultò profondamente provata e dissestata e si rese
necessario impiantare una struttura di sostegno applicata dal retro alla parete.
L’attuale intervento conservativo è stato mosso, da una parte, dalla necessità
di alleggerire la superficie pittorica togliendo lo spessore formatosi con i
restauri precedenti, dall’altra, per garantire una lettura migliore dell’opera,
liberandola da tutti gli interventi che ne alteravano l’aspetto.
|
Le ultime operazioni di restauro Il restauro,
recentemente ultimato, è iniziato nel 1977 per porre riparo a piccole cadute
di colore che si erano manifestate sulla superficie dell’opera. La
Soprintendenza per i beni artistici e storici decise, fra il ’77 e il ’78,
di verificare lo stato di adesione della pittura all’intonaco e di tentare
alcuni saggi di fissaggio e di pulitura. Si misero così in evidenza porzioni
di pittura rimaste fino ad allora sotto pesanti ridipinture. Ci si rese
tuttavia conto che quello che appariva era, in realtà, l’insieme costituito
da strati di pittura originale insieme a strati di ridipinture successive e
venne scelto di rimuovere quelli non originali fin dove possibile per
scoprire parti di pittura autografa leonardesca nel tempo coperta da
falsificazioni. |
Tra il ’78 e l’83, furono pulite integralmente le quattro
lunette soprastanti e il primo gruppo di tre apostoli collocati nella parte
destra; questi lavori misero subito in rilievo la luminosità dei colori
originari e la bellezza delle teste e dei panneggi.
Dal 1985 al 1991, si è proceduto ad una approfondita campagna di studi e di
analisi affidata a vari istituti di ricerca nazionali ed internazionali, si
riprese più intensamente il restauro della pittura e si modificò leggermente la
metodologia di intervento: si decise di integrare a rigatino in acquerello le
lacune della pittura.
|