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Berlusconi, la vita finta
di Nicola Tranfaglia (unita.it)
 


Confesso di avere qualche difficoltà in questi giorni a riconoscere, nelle cronache dei giornali e delle televisioni, i tratti essenziali dell’Italia reale, di quella che vive con ansia il ristagno dell’economia europea, e della nostra in particolare, che attende con inevitabile trepidazione le conseguenze della prossima legge finanziaria e della connessa verifica dei conti pubblici. Che, infine, sperimenta sulla sua pelle la crisi strisciante di molte grandi industrie pubbliche e private nazionali, il calo evidente del turismo in regioni chiave come la Liguria e l’Emilia Romagna, l’angoscia crescente della comunità nazionale di fronte alla guerra in Iraq su cui le dichiarazioni appena rese dal binomio Berlusconi-Blair suonano come proclamazioni vuote di una generica e piuttosto ipocrita volontà di conciliazione.
I problemi clamorosi del nostro Paese in questa estate che si avvicina alla sua conclusione spuntano timidamente.
Oppure vengono addirittura omessi, di fronte alla nuova manifestazione narcisistica del populismo mediatico, che sostituisce alla canottiera di Bossi e allo scafandro di Fini un oggetto nuovo ma, nello stesso tempo, vecchio e abituale come il fazzoletto in testa o bandana che dir si voglia esibita da Silvio Berlusconi con gli ospiti inglesi nella sua villa sarda della Certosa.
Di qui le supposizioni peregrine di chi immagina un nuovo lifting, questa volta ai capelli, del presidente del Consiglio o addirittura quella secondo la quale obiettivo del leader massimo sarebbe quello di andare al popolo sfoggiando per l’occasione ufficiale un copricapo proprio dell’uomo qualunque che si difende dal sole e dal caldo con il primo fazzoletto che gli capita a portata di mano. O ancora - ed è forse l’interpretazione che si avvicina di più alla realtà - si tratterebbe di una messa in scena televisiva, qualcosa che riproduce il «reality show» per distrarre gli spettatori-sudditi dagli scontri iracheni e dal disordine che regna in un Paese vinto ma assai lontano, dopo più di un anno, dall’esser pacificato.
In ogni caso, occorre prendere atto che chiunque sappia poco o nulla dell’Italia, leggendo i giornali e vedendo le televisioni controllate dal governo (che sono, vale la pena ricordarlo, in questo momento quasi tutte) può farsi l’idea che l’Italia reale di cui parlavamo all’inizio non esista più o almeno dorma il sonno dei giusti e che la scena sia occupata per intero dai colpi mediatici dell’ineffabile Cavaliere di Arcore.
Del resto soltanto pochi giornali di opposizione ricordano ormai all’opinione pubblica che tra due settimane riprenderà in Parlamento l’esame della Riforma Costituzionale elaborata a suo tempo dai quattro «saggi» di Lorenzago che prevede lo smantellamento degli attuali meccanismi di governo e la creazione di un «premierato assoluto» che sembra calzare come un guanto alle ambizioni autoritarie di Silvio Berlusconi e fa del Capo dello Stato e della Corte Costituzionale organi poco più che decorativi e comunque non in grado di contrastare efficacemente le scelte di un leader sostenuto da una salda maggioranza parlamentare.
Arriveremo a settembre senza che si parli adeguatamente di un progetto come quello già approvato dal Senato e destinato a passare a tappe forzate dalla Camera dei Deputati? E Berlusconi sarà in grado nelle prossime settimane, con un’altra trovata mediatica, di distrarre gli italiani in un solo colpo dalla crisi economico-finanziaria e dalla riforma costituzionale che svuota di ogni contenuto la Costituzione repubblicana del ’48?
Mi capita proprio in queste settimane di scrivere le pagine introduttive a un’antologia degli ordini alla stampa dettati da Mussolini e dai suoi stretti collaboratori (tra i quali in primo luogo Galeazzo Ciano) ai giornali del decennio che precede la caduta del fascismo nel luglio del 1943. E mi colpisce, leggendo le cronache di questi giorni, una certa, indubbia somiglianza, sul piano tecnico prima che politico, tra le mosse compiute dal dittatore romagnolo di fronte alle sconfitte militari italiane in guerra e i tentativi disperati di Berlusconi di riguadagnare ora parte del consenso che è ormai perduto, come dimostrano i risultati elettorali negli ultimi due anni di governo.
Anche Berlusconi ha bisogno in queste settimane, come Mussolini nei primi anni 40, di far dimenticare agli italiani i problemi del Paese reale, di concentrare l’attenzione su di sé e sulle sue azioni.
«Andare al popolo» è una parola d’ordine che il duce sottolineò più volte durante la crisi di quegli anni e per questo chiese ai giornali, ottenendolo facilmente, di criticare la borghesia e i suoi costumi. Berlusconi oggi la declina con strumenti diversi ma l’obiettivo resta sempre quello di allontanare il più possibile gli italiani dai problemi economici, del lavoro, della guerra in Iraq e così via.
Che cosa si può fare di nuovo e di efficace di fronte a un’offensiva mediatica che trova tante complicità e tante compiacenze più o meno distratte, oltre che ricordare in maniera ostinata come stanno realmente le cose nella penisola e nel mondo?
Non è facile dirlo ma occorrerebbe almeno non dimenticare, di fronte alle cronache grondanti di apprezzamento addirittura di vero e proprio divertimento, che «l’uomo della bandana» sta portando allo sfascio la nostra Costituzione e la nostra economia, ha mostrato di non saper governare nè di saper guidare una squadra di ministri e si rifugia ancora una volta, come ha sempre fatto, in un mediocre spettacolo televisivo.
Se poi la conclusione dello spettacolo si rivelerà deludente o infausta, agli italiani non resterà che prendersela con chi l’ha messo in piedi e l’ha interpretato; ma forse anche con chi non ha ricordato loro che l’Italia non era quella che appariva ogni giorno sulla scena mediatica.