La storia
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Un po’ di storia

1964        “Trade not aid”

Nel 1964, per la prima volta, all'inizio della conferenza UNCTAD di Ginevra, fu lanciato lo slogan "Trade not aid", per sintetizzare il nuovo orientamento strategico delle politiche di sviluppo, volte, cioè, a favorire un maggior equilibrio nella distribuzione della ricchezza mondiale, tramite il miglioramento delle condizioni di vita nei Paesi economicamente meno sviluppati (PEMS). Fino a quel momento le nazioni industrialmente sviluppate avevano essenzialmente evaso il problema dell'accesso al mercato dei PEMS, preferendo offrire a questi paesi prestiti ed aiuti allo sviluppo.

In quel momento storico, in Olanda, alcuni gruppi attenti alle tematiche dello sviluppo avevano cominciato a manifestare degli obiettivi politici, attraverso la vendita dello zucchero di canna: "Comprando lo zucchero di canna, puoi aumentare la pressione sui governi dei paesi ricchi perché anche i paesi poveri abbiano un posto al sole della prosperità". L'evoluzione e lo sviluppo di questi gruppi portarono alle prime Botteghe del Mondo che vendevano, oltre alla canna da zucchero, anche artigianato importato, a quell'epoca, da SOS Wereldhandel. Questa organizzazione fondata da diversi gruppi missionari cattolici olandesi, aveva cominciato le proprie attività con una campagna per portare latte in polvere in Sicilia (non dimentichiamoci che l'Italia era un paese in via di sviluppo). L'idea base di questa organizzazione era di raccogliere fondi e dare assistenza finanziaria a gruppi di produttori in aree economicamente svantaggiate, aiutando questi gruppi a divenire economicamente indipendenti.

 

Questo periodo, fine degli anni 60, vede lo svilupparsi delle prime idee di quello che poi sarà chiamato "Fair Trade", tradotto in Italia come "Commercio Equo e Solidale". OXFAM, ONG inglese fondata da un gruppo di quaccheri e da altri gruppi religiosi ad Oxford, a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, aveva cominciato ad interessarsi al problema della fame nel mondo, avviando progetti di cooperazione nei PEMS. Ben presto i cooperanti in questi paesi, si resero conto che una delle necessità di base di queste popolazioni era trovare un mercato per i propri prodotti. Comprare questi prodotti, favorendo occupazione a livello locale, e rivenderli nel Regno Unito, era una forma di cooperazione molto più rispettosa delle popolazioni locali, rispetto alla "charity" classica. Le popolazioni svantaggiate nei PEMS non erano più "mendicanti" bisognosi di elemosine, ma partner commerciali che ricevevano un giusto prezzo per le loro produzioni.

 

Agli inizi degli anni 70 si assiste ad un primo sviluppo europeo del Commercio Equo. In Olanda ben presto furono aperte 120 Botteghe del Mondo, ATOs nacquero in altri Paesi, Belgio, Germania, Svizzera, Austria, Francia, Svezia. Inizialmente si trattava di ONG o di imprese private che importavano prodotti dal Sud del Mondo per rivenderli in Europa attraverso le Botteghe del Mondo (che allora si chiamavano anche Third World Shops), per posta, nelle fiere, nei mercatini missionari.

 

 

Anni ’70 – La fase politica-ideologica

 

Fra il 1974 e 1975, ci fu una fase di collegamento delle idee di Commercio Equo a quelle dei vari movimenti terzomondisti, antinucleari, ambientalisti, femministi, presenti all'epoca ed al movimento sindacale. Tutti basati su di una visione alternativa della società nazionale ed internazionale.

 

Tale impostazione rimarrà per lungo tempo nel movimento di Commercio Equo, tanto da marcare anche l'inizio di questo movimento in Italia (le confezioni di caffè del Nicaragua importato da CTM, contenevano, fino al 1991, un esplicito sostegno alla rivoluzione Sandinista).

 

 

Anni ’80 – La fase commerciale

 

Agli inizi degli anni 80, il quadro internazionale muta nuovamente. Nel 1973 i cosiddetti Paesi in Via di Sviluppo, avevano chiesto un Nuovo Ordine Economico Internazionale (NOEI) che, attraverso una fase di ristrutturazione delle relazioni economiche internazionali, portasse ad un miglioramento delle condizioni di vita nel Sud del Mondo. Come risposta a questa esigenza inizia una fase di politiche di aggiustamento strutturale che prevedevano la fine dell'aiuto allo sviluppo "classico" (donazioni). I grandi organismi finanziari internazionali, Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale, sotto la spinta delle imprese multinazionali, cominciano a condizionare gli aiuti ad un riaggiustamento, in senso liberista, delle politiche economiche e sociali di un paese.

 

La conseguenza di queste politiche fu che, quando i prezzi delle materie prime, incluso quelle alimentari, crollarono agli inizi degli anni 80, i risultati furono disastrosi per i piccoli produttori dei PEMS. Molti di questi, infatti, dipendevano da un solo prodotto, per esempio cacao, caffè o zucchero, conseguenza delle politiche nazionali di incentivo alla produzione di beni esportabili. La caduta dei prezzi portò ad un aumento della povertà e del divario fra paesi economicamente ricchi e paesi economicamente poveri, tanto che, alla fine del decennio, il numero di Paesi cosiddetti in Via di Sviluppo era aumentato, anziché diminuito, così come il numero di persone al di sotto della soglia di povertà fissata dalla Nazioni Unite.

 

I produttori di questi paesi necessitavano, disperatamente, di prezzi equi per i loro prodotti, di relazioni a lungo termine, di investimenti, di nuovi mercati. Le ATOs tradizionali non erano più in grado di assorbire una domanda crescente e si rendeva necessario il coinvolgimento del settore commerciale tradizionale nelle pratiche etiche. Verso la fine degli anni 80 ed agli inizi del 90, nasce, quindi, una seconda generazione di ATOs, sotto forma di Organizzazioni di Marchio di Garanzia, come Max Havelaar in Olanda (1988). È di questi anni anche il radicamento del Commercio Equo in Italia e Spagna, anche se, ancora, sotto forma di ATOs tradizionali -  in Italia nasce intorno al 1988 su iniziativa di alcune piccole realtà Bolzano, Padova e Rovato che con altri fondano nel 1989 la coop. Cooperazione Terzo Mondo (CTM), che nella sua breve storia si è espansa molto, circa 100 punti vendita in solo 5 anni. Sempre in questo periodo, nascono i primi coordinamenti internazionali di Commercio Equo: nel 1988, IFAT (International Federation of Alternative Trade) che raggruppa ATOs di importazione e di produzione/esportazione; nel 1990 EFTA (European Fair Trade Association).

 

 

 

L'idea alla base delle nuove iniziative era di cominciare a rivolgersi ad un pubblico più vasto del "pubblico militante" degli anni 70-80. Raggiungere il consumatore nei suoi luoghi di acquisto, piuttosto che "costringerlo" a cercare una Bottega del Mondo, spesso decentrata e poco visibile. È in questa fase che comincia a delinearsi anche un nuovo tipo di comunicazione al pubblico, basato sul concetto di salario giusto pagato ai produttori, di miglioramento delle condizioni di lavoro, di promozione dell'autosviluppo, di promozione dei diritti dei lavoratori. Questi criteri erano stati elaborati già nelle fasi precedenti, ma, fino a quel momento, non esplicitati. Si cominciano, quindi ad intravedere le linee di tendenza del movimento del Commercio Equo negli ultimi anni.

 

 

A partire dal 1998

A partire dal 1998 il Commercio Equo entra in una nuova fase. Nel panorama internazionale le tendenze liberiste sono ormai diffuse ovunque, e le politiche economiche possono ormai distinguersi in liberiste moderate o liberiste estremiste. Inoltre, i concetti etici alla base del Commercio Equo cominciano ad essere conosciuti da un pubblico sempre più vasto e fatti propri da imprese tradizionali desiderose di "ripulire" la propria immagine, sotto la pressione dei consumatori.

Anche le istituzioni europee cominciano ad interessarsi anche politicamente al Commercio Equo (finanziariamente già da alcuni anni venivano sostenuti progetti di educazione): è di quest'anno la risoluzione Fassa del Parlamento Europeo, che riconosce il Commercio Equo in termini economici e politici.

 

Le organizzazioni di Commercio Equo europee, che avevano già cominciato ad interrogarsi sulla necessità di criteri comuni per un miglior riconoscimento ed una maggior garanzia verso il pubblico, elaborano dapprima una carta europea delle Botteghe del Mondo (1998) e, l'anno successivo, definizione ed obiettivi comuni a importatori, produttori, botteghe, marchi. Questo importante risultato viene raggiunto nell'ambito di FINE, sigla che indica il coordinamento informale dei network internazionali (FLO, IFAT, NEWS, EFTA). Si comincia, inoltre, a discutere di un sistema di monitoraggio integrato, che, partendo dal lavoro fatto finora dalle Organizzazioni di Marchio, vada oltre i loro limiti, ed aiuti ad identificare chiaramente quali sono le organizzazioni che possono definirsi "di Commercio Equo". Nel 1999 nasce la prima Bottega del Mondo in Portogallo, lasciando così la sola Grecia, nell'Unione Europea, senza una struttura stabile di Commercio Equo.

In Italia viene creata, nel 1999, la Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo, firmata da tutti gli importatori e dalle principali Botteghe del Mondo (in tutto 100 organizzazioni). Le organizzazioni firmatarie, inoltre, decidono di dar vita all'Assemblea Generale del Commercio Equo Italiano, con lo scopo di favorire il dibattito nazionale, elaborare la griglia di criteri per la verifica della Carta, avviare il dibattito sulla certificazione, creare gruppi di lavoro di interesse comune, coordinare, a partire dal marzo del 2001, le azioni verso le istituzioni italiane, attraverso un apposito Tavolo Politico.