Pag precedente   Pag successiva

 

 

Gli sguardi

 

 

Ci sono tanti tipi di sguardi intorno a noi. Mi lascio andare spesso a osservarli, mi ci incanto e mio manto mi dice:

- Ma via su, cosa guardi -. Poi mi vede come trasognata e dice, battendomi dolcemente una mano sulla spalla: - Lasciami sognare - perché questo è il soprannome che mi ha dato tanto tempo fa.

Mi piace osservare la gente e il suo modo di guardare. C’è chi guarda andando dritto fino in fondo, cercando di capire il segreto della tua vita e chi invece guarda con timidezza, sfuggendo l’impatto, ma guardando tuttavia, per la necessità di incontrarsi con qualcuno, di comunicare. Sono questi che mi interessano di più; in questi casi sono io che cerco di capire e do via libera all’immaginazione per pensare

come possa essere la loro vita e quale il problema che li angustia.

Ci sono persone che guardano e, appena incrociano i tuoi occhi, distolgono lo sguardo. Li ho a noia perché ti sottraggono, con un atto violento e unilaterale, la loro merce, dopo aver dato un’occhiata clandestina, e per giunta frettolosa, alla tua. Un’operazione scorretta, che non serve a nulla. Spesso sono donne che hanno visto qualcosa che gli piace dite, ma non vogliono che tu lo sappia (e magari invece proprio in questo modo te Io fanno capire) perché la tentazione di invidiare qualcosa a un’altra in noi donne c’è sempre un po’ e bisogna dire che è un discreto inconveniente e un segno che le cose non vanno ancora del tutto bene fra noi.

Mi piacciono gli sguardi dei giovani e quelli dei vecchi perché raramente la loro sincerità viene protetta e schermata. Per entrambi è tale la necessità di far pervenire un messaggio diretto e coinvolgente che questo arriva spesso con forza, carico ancora di tutto il peso dei sentimenti e degli impulsi che l’hanno fatto nascere.

I giovani guardano con desiderio e con ardire gli altri giovani, lanciando mille richiami vitali.

Noi adulti ci sorvolano distrattamente con gli occhi come oggetti frapposti sul cammino, tanto che a me viene voglia a volte di rimpicciolirmi, di tiranni da parte per non coprire un obiettivo interessante. Ma non faccio mai in tempo e mi prendo quello sguardo di straforo, appena appoggiato, quasi con un leggero senso di colpa, che si dissolve però subito dopo, quando faccio valere la mia età ‘intermedia’ nell’impatto di sguardi con una persona anziana.

I vecchi guardano accarezzando, chiedendo qualcosa: interessamento, sorriso, conferma che essi esistono e vengono riconosciuti come persone. Ai coetanei riservano anche uno sguardo del tutto particolare che mette a fuoco in un attimo le due situazioni e le confronta. La speranza che ognuno ha è sempre di non rappresentare la situazione peggiore e quando questo invece si verifica, la loro espressione si fa molto opaca e il corpo pare assuma una pesantezza maggiore. Ci sono comunque sguardi di persone anziane che non si possono sostenere senza provare un grande accoramento tanto appaiono sperduti e disperati.

In questi casi si può star certi che a casa non hanno nessuno o se qualcuno c’è, fa male la sua parte. Allora mi viene da pensare che in effetti trattarli come persone a tutti gli effetti è una meta che quasi nessuno dei familiari si propone perché comporta un adeguamento così laborioso e un assorbimento di energie tale che solo un alto livello di civiltà umana potrebbe avere. Loro, i vecchi, lo sanno e cercano di adattarsi, ma la solitudine, dopo aver vissuto una vita di relazioni, è dura. I loro occhi dicono questo e per noi che non siamo ancora così vecchi, ma lo diventeremo, il messaggio è fortemente inquietante.

Non credo che i giovani intercettino questa trama di messaggi che s’intesse pur sempre intorno a loro. Certo l’occhio registra e il cuore si dà pena, ma prende subito il sopravvento l’interesse ad altro ed è questo altro che i loro sguardi esprimono.

Io sono particolarmente attratta dagli occhi degli adolescenti, degli uomini giovani in genere, piuttosto che da quelli delle loro coetanee.

Mi sorprendo a fissarli a lungo e spesso distolgo lo sguardo solo quando se ne accorgono. Per pudore. Mi piace quell’ingenuità un po’ rustica, il fatto che si sorvegliano meno delle ragazze. Qualche volta Sono sfrontati, prepotenti quegli sguardi. Allora nasce dentro di me un accenno di rimprovero, di dissociazione; ma sento che è sempre troppo blando e non scalfisce in sostanza la mia indulgenza. Me ne rendo conto anche perché mi giro spesso, dopo che sono passati, a guardare le loro nuche nel punto dove il collo esce fiori libero dalla camicia o dalla maglietta e sale su diritto fino all’attaccatura dei capelli. Quel punto, non so perché, mi commuove in modo particolare, specialmente se la camicia è un po’ spiegazzata o la maglietta trasandata, anche se pulita. Questi ragazzi hanno in genere occhi castani e dolci e visi qualunque dalla pelle piuttosto chiara con qualche brufolo; la loro andatura è insieme timida e aggressiva. Mi fanno pensare a mamme che in case modeste dove c’è odore di minestre di cavoli e di detersivo per le mattonelle fanno le loro raccomandazioni senza essere ascoltate, mentre, loro, i giovanotti leggono, chiusi nel piccolo bagno spoglio, qualche &metto o scendono velocemente le scale dimesse e un po’ buie mentre pensano al motorino o alla ragazzina che li aspetta. Su questo fantastico spesso, sugli studi che hanno seguito distrattamente e lasciato presto, sul lavoro piuttosto pesante che hanno poca voglia di fare, sul lungo tempo che passano per le strade e nei bar, senza potersi staccare dal gruppo, che li rende apparentemente più forti e sul disagio con cui vivono generalmente la loro giovinezza, senza nemmeno saperlo fino in fondo. Ne conoscevo uno, si chiamava Paolini. Il nome proprio non me lo ricordo. Aveva certi occhi duri, che respingevano e rispondeva strafottente alle domande. Mi ci ero così affezionata che tutte le volte che gli leggevo un tema, ed era sempre una cosa povera, stiracchiata, gli davo sei e gli dicevo: - Dici poco perché non vuoi fare la fatica, ma sei corretto - Lui mi guardava come per dire: - Ma che vuoi da me, povera scema, anche troppo mi sono sbattuto -. Ma non mi lasciavo smontare, anche perché non potevo dimenticare una frase della sua mamma: - Sa che m’ha detto una volta? ‘Ce l’ho con te perché mi hai messo al mondo’-.

All’esame fecero una sanatoria generale e ci rientrò anche lui. L’ho incontrato vari anni dopo, gli occhi cambiati, brillanti, l’aria sicura. Mi ha fermato lui e mi ha detto: - Professoressa, non mi riconosce? Sono il Paolini -, Fu un’emozione non da poco. Gli volevo dire che non lo riconoscevo perché davvero mi sembrava un altro, ma mi fece più piacere dirgli che certamente mi ricordavo di lui e ero sempre stata sicura che una volta o l’altra l’avrei visto in giro con quell’aria felice e tranquilla.

Anche agli sguardi delle donne do sempre un ‘attenzione particolare, le donne non più giovanissime e non ancora vecchie, che si portano dietro l’attrattiva insostituibile della loro vita vissuta. Questa diventa allora un mistero interessante tutto da decifrare. Da come chiedono un caffè al bar e accendono la sigaretta chiacchierando con l’amica, intuisco se sono soddisfatte della loro vita, del rapporto col loro uomo o coi figli, oppure no. Se chiedono cioè a quel breve momento socializzante di rappresentare l’espressione del loro appagamento interiore o invece di esserne il surrogato momentaneo. In questi casi, dopo il primo impatto col loro sguardo - è determinante proprio il primo impatto - preferisco proseguire la conoscenza attraverso la voce e seguo, senza parere, la conversazione, soffermandomi sulle inflessioni, sulle pause, sulla vivacità delle riprese, sulle incrinature.

Cerco di nuovo lo sguardo alla fine, quando la diagnosi è fatta, per verificare se è giusta. Molte volte esco dal bar con la sensazione che tutto, parole e sguardi, sia nelle persone adulte (escludo cioè i giovani e gli anziani) un mezzo di comunicazione estremamente sorvegliato e autocensurato al di sotto del quale però non è difficile, una volta trovata la chiave, fàrsi strada e capire qualcosa di più. Lo sguardo resta comunque molto più scoperto e refrattario alla mistificazione della parola. Molte persone raccontano episodi di vita felice con occhi tristi. È storia di tutti i giorni, tanto che si potrebbe quasi dire che diamo spesso all’ottimismo della parola la funzione di smentire il pessimismo dello sguardo. Però è anche vero che spesso, quando si ha dentro qualcosa di molto forte, sia in positivo che in negativo, le parole non vengono nemmeno utilizzate e lo sguardo si fa carico di esprimere tutto, nel modo più completo.

Voglio dire ancora qualcosa sugli sguardi delle coppie che passeggiano sui viali alberati che ci sono sotto casa mia. Se la coppia è molto giovane, quello che viene espresso, quasi irraggiato intorno dallo sguardo di lui è la felicità di andare incontro a una realtà nuova ed emozionante con un certo orgoglio maschile che qualche volta può mescolarsi a un senso di timidezza, senza esserne assolutamente offuscato, anzi. Quando cerco, all’altro capo del filo, lo sguardo di lei, ci trovo un’emozione che per certi aspetti non è diversa e infatti si unisce a quella di lui per dire agli altri: - Eccoci, siamo qui e siamo innamorati. Non si vede? -. Ma se mi soffermo ancora a guardare negli occhi brillanti ed estatici di lei, scopro un piccolo punto scuro, ai margini del prato illuminato dall’amore, un interrogativo appena formulato che potrebbe concentrarsi in queste parole: - Sì, ma che cosa vuoi da me? Ci sarà spazio nel tuo amore per i miei sogni? E io, saprà riconoscere i tuoi? -

Posso confessare che cerco sempre negli occhi delle coppie mature la risposta a quell’interrogativo. Guardo se gli occhi di lui cercano ancora ogni tanto quelli di lei, se in quelli di lei il sorriso non si è spento per lasciare il posto a un’espressione stanca e un po’ ottusa, ormai solo pronta a fare attenzione alla pesantezza del braccialetto d’oro o alla linea della scarpa di vitello marrone che interrompe il grigio dell’asfalto. Qualche volta è cosi. Allora distolgo lo sguardo per posarlo sulle spalliere di gelsomino e sulle piante di rose che fioriscono in abbondanza nei giardini ai lati del viale alberato. Altre volte invece scorgo ancora un guizzo di complicità negli occhi di una vecchia coppia e allora, pur senza conoscerli, li saluto con calore. Loro rispondono gentilmente, per niente sorpresi, e io mi allontano, pensando che, tutto sommato, è un passatempo molto piacevole il mio perché popola le giornate di storie interessanti che s’intrecciano le une alle altre, si sovrappongono, si uniscono in un continuo flusso vitale che è coinvolgente e appassionante come un bel film e in definitiva come il percorso della vita.