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L'Oratorio della Madonna del Vannella
 

1° maggio 2004, un sabato di sole primaverile; come non approfittare per una giratina a Settignano? E di qui, da piazza Niccolò Tommaseo, percorrere via San Romano e poi , a sinistra, per via Desiderio da Settignano riappropiandosi della dolcezza di una delle più belle colline fiorentine.
Dopo neppure un chilometro, arriviamo "al Vannella", dove un boschetto di cipressi fa da corona ad una chiesetta: l'Oratorio, appunto, della Madonna del Vannella.
L'avevamo lasciata, nonostante racchiudesse un affresco attribuito al Botticelli, quasi in rovina, abbandonata, e
la ritroviamo viva e completamente restaurata.
L'edificio sorge sul luogo dove, sin dai primi del '500, fu edificato un tabernacolo con l'immagine della Madonna (seduta, con in collo Gesù bambino, dipinto in piedi e proteso verso il volto della madre) nel luogo dove, secondo la tradizione, era apparsa ad una giovane di nome Giovannella che vi faceva pascolare le sue pecore. Ed è questo dipinto, che la lunga esposizione all'aperto ha purtroppo notevolmente danneggiato, che è stato attribuito al Botticelli.
Proprio quel giorno, nell'ambito dell' iniziativa "Itinerari - Scorci d'arte a Settignano" l'Oratorio era aperto e presentato ai visitatori con una ricca raccolta di foto delle opere e una pubblicazione a cura della "CONGREGAZIONE DEL TRENTESIMO" che illustra la storia dell'Oratorio e del suo recente restauro.
Da questa veniamo a sapere che la Cogregazione (detta del Trentesimo, perché composta da trenta confratelli) si dedica alla conservazione ed alla manutenzione dell'Oratorio e che a lei si deve l'iniziativa del completo restauro, terminato nel '95, che ha interessato, oltre alla struttura stessa dell'edificio (oratorio e cappella di Santa Cristina), l'affresco del Botticelli, i dipinti murali (tra cui: l'Incoronazione della Vergine fra i Santi Antonio Abate e Filippo Neri del Nannetti e Vaso di fiori dell'Andorlini), le decorazioni plastiche e le tavolette votive.

Dall'opera segnalata riportiamo brevi cenni su:
 La storia    

Le origini dell'oratorio sono molto incerte e per il momento i documenti rinvenuti non aiutano a comprendere quando esso sia stato edificato. Sicuramente in origine il dipinto della Vergine era collocato entro un semplice tabernacolo, posto al quadrivio di strade percorse giornalmente dagli scalpellini che si recavano alle cave di Maiano o di Trassinaia.
La prima notizia sull'edificio è ricavata da un atto notarile dell'anno 1525, che riguarda una donazione da parte di un gruppo di parrocchiani di Settignano al convento della Santissima Annunziata di Firenze. Esso dà adito a varie interpretazioni e lascia nel dubbio sulle caratteristiche della costruzione sacra:
"Item ad donandum se titulo donationis libere et irrevocabilis concedendum e tradendum quoddam tabernaculum seu oratorium dicti populi, sub invocatione Beate Marie del Vannella situm in dicto populo, loco dicto alla Vergine Maria del Vannella (...)"
Nell'anno 1526 l'oratorio o il tabernacolo venne unito alla chiesa di Santa Maria di Settignano, con atto di annessione firmato dall'Arcivescovo di Firenze Niccolò Ridolfi.
Alcuni anni più tardi, in un documento del 1537 riguardante la raccolta delle offerte ed elemosine destinate alla sacra immagine del Vannella, e depositate presso l'Ospedale degli Innocenti di Firenze, si nomina l'edificio che accoglieva l'affresco con le parole "Tabernaculi Virginis Marie del Giovannella" e ancora: "Oratorio seu tabernaculo del Giovannella".
Come si vede, anche questo documento non dà alcuna certezza se in quel periodo vi sia stato soltanto un tabernacolo o un vero e proprio oratorio. Le elemosine sopra citate, depositate nel 1537 presso l'Ospedale degli Innocenti, erano state destinate al restauro della chiesa di Santa Maria di Settignano e così vennero impiegate nel 1618, dopo aver ottenuto opportuna licenza dal vescovo e dal granduca Cosimo II de' Medici. Le notizie sull'antico sacello del Vannella si interrompono qui per mancanza di documenti e riprendono soltanto nella prima metà del Settecento.
L'oratorio, nella forma attuale, deriva da un ampliamento o ricostruzione effettuata fra il 1719 ed il 1721. Nel 1719, "otto persone" del paese si impegnarono a restaurare a loro spese il sacello "in necessità di essere risarcito, ampliato e ridotto a miglior forma". Il priore dell'epoca, Don Domenico Buongiovanni, favorevole all'iniziativa, scrisse una lettera all'arcivescovo, controfirmata dalle otto persone benemerite, per ottenere il relativo permesso e il vescovo fu ben lieto di accogliere tale iniziativa e dette il proprio benestare con entusiasmo.
I lavori di ristrutturazione durarono circa due anni. La lapide collocata sotto l'altare ricorda il compimento dell'opera con "A.D. MDCCXIX M. FEBR.°"
Il cartiglio avvolto alla cornice dell'affresco nel soffitto, commissionato a Mariotto Formigli, indica il termine della decorazione alla data 1721.
La documentazione d'archivio riguardante l'edificio in modo continuativo inizia nel 1726, ed è da tale data che possiamo seguire in modo costante le vicende dell'oratorio e registrare i progressi del suo abbellimento e arricchimento con arredi sacri.
Il 16 maggio 1728 gli Operai del Vannella, radunati in assemblea "risolverono per partito di far un'aggiunta di fabbrica dietro e accanto a detto Oratorio da non comunicarsi con porte et aperture di sorte alcuna prima che sia terminata detta fabbrica (…)" Si trattava evidentemente dei lavori di costruzione della nuova cappella, poi dedicata a Santa Cristina, sul dietro dell'oratorio. Per poter liberare la parte retrostante l'oratorio e anche per togliere l'umidità che proveniva dalla parte posteriore dell'edificio, occorreva però far spostare la strada sul davanti. Ma ciò dipendeva dalla concessione del granduca Gian Gastone de' Medici, cui gli Operai si rivolsero con una supplica, che fu accolta.
Dopo la costruzione della cappella, sul retro dell'oratorio, gli Operai pensarono di aprire delle porte per far comunicare internamente la nuova cappella con l'oratorio. Il lavoro venne effettuato a spese di alcuni Operai che fornirono anche i materiali occorrenti.
(…)
Il 27 maggio 1730 Santi Smorti, abitante a Firenze, ma nativo di Settignano, donò all'oratorio "la reliquia di S. Cristina V. e martire con suo reliquiario dorato e con l'autentica per servirsi di detta reliquia principalmente per la festa che si fa in detto Oratorio la 2° festa di Pentecoste ( ...)".
Nel settembre dello stesso anno fu comprata dall'Opera di Santa Maria del Fiore di Firenze una "pietra sagrata" per il nuovo altare della cappella di Santa Cristina.
Nel 1732 lo scultore Lazzaro Ricci realizzò una statua di gesso colorato raffigurante Gesù Bambino da collocare sopra l'altare e due anni più tardi Francesco Miniati intagliò un baldacchino dorato sopra il ciborio dell'altare.
Maria Vittoria Zati e il marito, il senatore Filippo Cerretani, nel 1736 donarono all'oratorio un parato da messa "di muer bianco argentino, guarnito d'oro", composto da una pianeta, due tonacelle, un piviale, due stole, tre manipoli e un velo da calice.
Nel 1743 fu collocata nella cappella di Santa Cristina la pala con l'effigie della santa dipinta da Giovanni di Simone Masoni, entro la cornice realizzata dal legnaiolo Francesco Codacci. Cinque anni più tardi gli Operai del Vannella portarono avanti il progetto di costruire una nuova stanza attigua all'oratorio da adibire a sagrestia.
Per finanziare la spesa di tali lavori venne utilizzato il ricavato della vendita di sei cipressi antistanti l'oratorio, come apprendiamo da una memoria del 20 aprile 1748.
I lavori vennero eseguiti dal maestro di pietra Giovanni Maria Giovannozzi e dal muratore Giovanni Montepilli. Nello stesso anno la sagrestia fu arricchita da un lavabo composto da una "piletta di marmo usata ed un nicchio di marmo" donati da Iacopo Boninsegni.
Nel dicembre del 1748 Simone Masoni fece dorare la cornice del quadro di Santa Cristina e tre anni dopo Francesco Codacci costruì il nuovo banco della sagrestia e fornì altri manufatti in legno. Il lavoro di costruzione e compimento della sagrestia e della stanza superiore durarono vari anni dal 1748 e terminarono soltanto nel 1758.
Nel 1767 furono realizzate due tavolette a forma di formelle incorniciate, per affiggervi gli ex-voto e l'indulgenza. Quattro anni più tardi l'intagliatore Lorenzo Mazzoni realizzò una cassettina per la conservazione delle reliquie della Madonna, dorata da Giuseppe Gianni.
Tra il 1782 ed il 1784 l'Oratorio del Vannella e la cappella di Santa Cristina furono oggetto di nuovi lavori di ristrutturazione. Le pareti vennero ristuccate, intonacate e dipinte e inoltre si rese necessario lo scavo di un fosso dietro l'oratorio per togliere l'umidità che proveniva dal poggio retro stante.
Venne anche deciso di erigere una loggia davanti alla facciata dell'oratorio, il cui costo, ancora una volta, sarebbe stato sostenuto in parte con il ricavato della vendita dei cipressi antistanti l'edificio.
Altri lavori furono realizzati: "26 luglio 1784 ( ...) per fare riattare tutto l'Oratorio cioè fatto tutto rintonacare, ristuccare, imbiancare tutte le mura, la tettoia, la sagrestia e palco della medesima, scala e camerina e tettoia, fatto rifare i confessionari in altra forma e fatti venare e dare olio e così anche al banco di sagrestia e inginocchiatoio di sagrestia e tutte le panche de l'Oratorio e di S. Cristina, fatto ritingere il grado dell'altare di S. Cristina (...)".
Nello stesso anno il priore Filippo Bandinelli commissionò ad un artigiano le stazioni della Via Crucis da appendere alle pareti dell'oratorio.
Le notizie d'archivio si fermano a questo punto e riprendono soltanto dopo molti anni, alla metà dell'Ottocento.
Abbiamo notizie che nel 1842 l'edificio del Vannella fu oggetto di nuovi lavori di ristrutturazione, a spese del parroco Giuseppe Bartolini e di alcuni soci del Trentesimo.
Nel 1350 furono acquistati dodici vasi di legno filettati d'oro e otto candelieri nella bottega di Vincenzo Grilli. L'anno successivo alcuni pittori effettuarono i lavori di ornato e decorazione alle pareti dell'oratorio.
Nel 1351 i benefattori donarono degli oggetti sacri all'oratorio e cioè un crocifisso dorato con croce e piedistallo di noce che venne collocato sopra il ciborio dell'altare ed un filo di perle con anello d'oro e cuore d'argento che venivano appesi accanto all'immagine della Madonna in tempo di festa.
Nella notte tra il 27 ed il 23 giugno 1364 dei ladri penetrarono nei locali dell'oratorio attraverso una finestra, asportando tra le altre cose i voti di argento, camici, tovaglie, calici, candelieri e il diadema apposto all'immagine della Madonna. Venne allora chiamato il pittore Ferdinando Folchi, perché restaurasse la sacra immagine ed egli, intervenuto, precisò che secondo il suo parere si trattava di un affresco di mano di fra' Filippo Lippi e che era stato deturpato da un pessimo restauratore nel 1720.
Nel 1373 Luigi Bondi e Giovacchino Fortini ripararono ed ingrandirono l'altare della cappella di Santa Cristina e gli stipiti della porta dell'oratorio.
Dalla fine dell'Ottocento ai nostri giorni, le notizie d'archivio si fanno molto sporadiche e non registrano ulteriori lavori all'edificio del Vannella. Nei libri di ricordi di don Vittorio Rossi e di don Baldassarre Brilli, i parroci di allora, si menziona l'oratorio solo in occasione delle maggiori festività e delle processioni che si svolgevano "fino all'Immagine della Vergine del Vannella."
Nel dicembre 1940 il professor Teodoro Stori donò all'oratorio un simulacro del Gesù morto fatto restaurare a sue spese e destinato alla venerazione dei fedeli. L'opera era stata trovata nella soffitta di una casa colonica malridotta e spezzata in più parti.
Nel 1944, nella cappella di Santa Cristina, l'Istituto Geografico Militare depositò gran parte del materiale per salvarlo dalla distruzione della guerra. Due anni più tardi l'edificio del Vannella venne rinnovato: furono rimbiancate le pareti, pulite le pietre, restaurate e riverniciate le porte, riparato l'impianto elettrico. Parte dei lavori venne sostenuta con le offerte dei reduci della guerra, grati alla Madonna per lo scampato pericolo.
Nel 1959 i confratelli del Trentesimo fecero richiesta alla Sovrintendenza di Firenze per ottenere un restauro dell'oratorio, ma la domanda non venne accolta nonostante un sopralluogo di Piero Bargellini e Ugo Procacci.
Nel 1965 furono effettuati alcuni lavori di urgenza per riparare ai danni di infiltrazioni d'acqua nelle fondamenta e nella parte inferiore delle pareti dell'oratorio. Da allora l'edificio era rimasto pressoché negletto ed aveva subito un progressivo invecchiamento in tutte le sue parti nonostante il desiderio dei confratelli della Congregazione del Trentesimo di curarne un radicale restauro.

Renzo Giorgetti

 L'affresco  

Nella sua monografia su Sandro Botticelli, che, sebbene redatta nel 1958, resta ancora un importante testo di riferimento per gli studi botticelliani, Roberto Salvini includeva tra le opere non sicuramente autografe ma soltanto attribuite anche l'affresco della Madonna in trono col Bambino dell'Oratorio del Vannella vicino a Settignano. E dichiarava che la riserva era dettata soprattutto dallo stato di conservazione del dipinto che, gravato da restauri pittorici, non permetteva una chiara lettura.
La pittura murale, citata dal Fantozzi come di Filippo Lippi, fu resa nota nel 1901 dallo Horne, che l'aveva vista e attribuita a Sandro insieme al Berenson; in seguito, con qualche sfumatura dubitativa, dovuta alle pessime condizioni di lettura, è stata discussa in relazione all'opera del Botticelli da molti studiosi: Rode e Fabriczy, Yashiro, van Marle, Berenson, Gamba, Mesnil, quindi Mandel e Lightbown e taciuta invece in altrettanti studi importanti che non si proponevano, però, di affrontare sistematicamente la messa a punto del catalogo delle opere del Botticelli. Tra i sostenitori, sulla scia Horne-Berenson, unanime è stato invece l'orientamento a porre l'affresco nella fase giovanile del pittore: un Botticelli "philippisant (1465-1468)" per lo Horne; intorno al 1468 per il Salvini, e quindi proprio dall'affresco del Vannella legittimato nel suo apprendistato lippesco, da meglio chiarire, come precisava e metteva in guardia il Mesnil. Il restauro resosi indispensabile soprattutto per motivi di conservazione, non ha portato a un recupero dell'opera quale sarebbe stato auspicabile: sotto le ridipinture ricordate come del 1719, allorquando il tabernacolo-sacello venne ampliato nell'attuale redazione a oratorio, e del 1864, l'affresco si è presentato nello stato larvale, sempre paventato, specialmente nella zona inferiore dove sono andati completamente perduti il manto della Vergine e la base del trono. Eppure ulteriori dati ora emersi possono rendere più leggibile e forse anche più problematica l'opera.
Prima di tutto merita sottolineare come la composizione architettonica che inquadra e accoglie le figure, così come appariva nella redazione ottocentesca, è soltanto una correzione e una enfatizzazione del disegno originale che, riapparso, si legge ancora oggi. L'insieme ha la struttura di un baldacchino il cui tendaggio si apre per presentare la Vergine sullo sfondo di un'edicola di cui s'intravede l'imbotte scorciata da sotto in su.
Alle cortine del padiglione che ricadono in mossi drappeggi fanno da sostegno due colonne forse in legno a imitazione del marmo serpentino, culminanti in due capitelli a cesto compositi, la cui tipologia è analoga a quella dei capitelli del ricco repertorio classico che popola i trattati di architettura della seconda metà del Quattrocento (Francesco di Giorgio, Giuliano da Sangallo) e comunque non di derivazione brunelleschiana, bensì albertiana (si vedano i capitelli del Tempio malatestiano a Rimini o le architetture dipinte nelle cosiddette tavole Barberini nel Metropolitan Museum di New York e nel Fine Arts Museum di Boston), come parrebbe confermare anche il rispetto del rigoroso principio secondo cui le colonne, esaltate nella forma ornamentale, vengono impiegate a esclusivo inquadramento della cornice esterna dell'archivolto, che qui ha soltanto il compito di fungere da occasionale supporto al dilatarsi del tendaggio.
Il tema del baldacchino ha avuto molta fortuna nella pittura fiorentina della seconda metà del Quattrocento e per limitarsi ai rapporti in ambito botticelliano giovi citare la pala di San Barnaba ora agli Uffizi, dove esso appare in una versione maggiormente orchestrata che prevede due angeli reggicortina, così come orchestrata si presenta nel tondo della Pinacoteca Ambrosiana e nel parato del Poldi Pezzoli: esempi tutti in cui l'espediente spaziale suggerito dal baldacchino è compositivamente ben risolto, a differenza di quanto avviene nell'affresco del Vannella dove risulta privilegiato, e oggi potenziato dalle condizioni di conservazione, l'effetto di appiattimento e di allungamento, dal Mesnil imputato all'uso di un contorno e di una linea essenziale che nei risultati "rappelle l'art japonais"J.
Questo effetto, e data la conservazione i raffronti avverranno più su un piano illustrativo che formale, si può cogliere anche nel volto estenuato e malinconico della Vergine cui fa da contraltare l'atteggiamento del Bambino ritratto rampante verso la madre, carico nell'espressione di un'accesa tensione sentimentale: espediente illustrativo e stilistico che troviamo anche in opere giovanili del Botticelli quali ad esempio il dipinto con la Vergine stante del Museo Fesch ad Ajaccio, anch'esso collocabile nella protostoria di Sandro, avanti cioè gli anni Settanta, o quali la Madonna del Roseto al Louvre, ripetuta, talvolta in maniera stereotipa, in opere della bottega (Londra, National Gallery, N. 782).
È da notare inoltre come questa parte, più leggibile perché meglio conservata, sia da circoscrivere in corrispondenza della zona di intonaco che si stacca dal resto della superficie per una sporgenza ben individuata di qualche millimetro. Probabile contorno di una giornata più evidenziata, non è da escludere che possa invece configurarsi come un intervento riparatore in corso d'opera con cui, distrutta la prima stesura, si sia provveduto con un nuovo intonaco ad apportare una variante alla disposizione del soggetto, che restava di per se obbligato, della Vergine in trono con il Figlio, volta a destra anziché a sinistra.
Alla supposizione, che tale resta, di questo eccezionale ma non inconsueto procedimento nell'esecuzione, che può essere stato imposto dal rispetto di un'angolazione privilegiata, forse in dipendenza dell'asse viario, si è quindi aggiunto, effettuato lo stacco dell'affresco, il ritrovamento di una sinopia rappresentante anch'essa la Madonna con il Bambino, opera di alta qualità ma non certo preparatoria, in senso stretto, all'affresco attuale: questa, per non essere stata sinopia tout-court, acquista dunque il valore di un' opera autonoma e diviene acquisizione importante per un periodo, quale l'ultimo terzo del Quattrocento a Firenze, ricco sì di opere, ma ancora denso di problemi gravitanti attorno al nodo irrisolto della prima attività del Verrocchio pittore e dell'influsso da lui esercitato nel corso degli anni Sessanta. La protostoria del Botticelli, ovvero l'insieme delle opere a lui attribuite ante 1470, anno della Fortezza, è ad esso strettamente connessa, oltre a investire il portato del magistero del Lippi tardo.
E in questa direzione mi sembra opportuno volgere nell' esame stilistico della sinopia. In essa il tema obbligato della Madonna con il Bambino è rappresentato secondo un modello e un rapporto figura-architettura in linea con le soluzioni di primo Quattrocento proposte anche da Filippo Lippi: entro una nicchia appena accennata da una linea curva la Vergine siede su un trono correttamente scorciato nella sua spalliera concava, solenne e monumentale, limitato alle estremità anteriori da due sfere, elemento decorativo con valenza di sottolineatura spaziale che non è raro trovare nella pittura fiorentina e che nell'affresco di analogo soggetto del Tabernacolo fiorentino delle cinque lampade in via Ricasoli, attribuibile a Cosimo Rosselli e databile nella seconda metà del settimo decennio, trova un parallelo se non stilistico almeno illustrativo nella ricerca di un' accentuata monumentalità.
Il fatto poi che la sinopia differisca quasi completamente dall'affresco non deve indurre a conclusioni affrettate. E vero che il gruppo è diversamente voltato, che altro è il rapporto figura-architettura: plasticovolumetrico nella sinopia, decorativo-Iineare nell' affresco, e che il Bambino, anziché mirare alla madre in un accorato slancio, è qui proteso in avanti a saggiare la profondità con uno sgambettare concitato sottolineato da un disegno compendiario e febbrile allo stesso tempo, carico di tensione dinamica. Ma non è infrequente imbattersi in sinopie il cui progetto è stato nell'affresco completamente disatteso, talvolta perdendo anche in qualità. La spiegazione, già avanzata per casi analoghi, è da ricercare nella corretta pratica del dipingere a fresco, così come codifica il Cennini. Trovando sul muro la palestra privilegiata in cui esercitarsi graficamente, soprattutto prima che si diffondesse l'uso del disegno su carta, il pittore affidava alla sinopia la sua ideazione come puro fatto creativo che poteva poi, in fase di realizzazione a fresco, essere corretta sottostando alle diverse intenzioni del committente, con risultati non sempre pari a quelli del progetto originale, specialmente se l'esecuzione veniva poi affidata a mano meno dotata facente parte della bottega.
È quanto può essere accaduto nel tabernacolo del Vannella, dal momento che sembra difficile pensare che in un tempo così stretto e per un affresco isolato sia avvenuto un cambio di guardia. Ma se per il dipinto, sulla scorta dei dati illustrativi (che quelli formali, gli unici a comprovare l'autografia, sono ormai irrimediabilmente compromessi) si può mantenere un'attribuzione al Botticelli e bottega, per la sinopia si può azzardare una lettura più circostanziata. In questo caso la prudenza e le obiezioni saranno dettate dal "genere" particolare e dalla mancanza di raffronti probanti reperibili nel campo peculiare della grafica botticelliana. Questa, infatti, se si eccettua la Testa di giovane del British Museum di Londra, messa in relazione con l'Adorazione dei Magi a Londra, o con la Madonna del Roseto al Louvre, si connette alle opere della piena maturità. Ne possono soccorrere le sinopie degli affreschi botticelliani oggi staccati: la Natività di Santa Maria Novella fu asportata dal luogo originario in tempi in cui ai disegni murali non era ancora conferita la dovuta importanza, e non sappiamo, perciò, se ne fosse dotata; sappiamo però sicuramente che non lo era l' Annunciazione di San Martino alla Scala, ora agli Uffizi. Del resto è noto quanto questa pratica, a partire dall'ultimo trentennio del secolo, sia caduta in disuso sostituita dallo spolvero e dal cartone e quanto per l'innanzi, più ancora del disegno su carta, sia stata espressione personalissima del pittore, fuori di ogni imposizione e convenzione.
E vero, però, che il segno di Sandro, sempre mosso, sottile e vibrante, indugiante e copioso nelle opere conosciute, non si ritrova in quello sicuro, compendiario e costruttivo della sinopia del Vannella: qui nessun arpeggio lineare - salvo per il velo e il ricadere della veste - ma pochi tratti che nel rapido stondare danno nel Bambino un senso di movimento plastico, quasi scultoreo e nella Vergine una solida campitura spaziale. Ma questi elementi, se mancano nella tarda grafica del Botticelli, non ci sembrano estranei alle sue opere su tavola, quelle degli anni giovanili che, imbevute di elementi illustrativi lippeschi e di un senso già dinamico e volumetrico alla maniera del Verrocchio, si possono plausibilmente ancorare alla protostoria di Sandro.
Alludo in particolare alla Madonna dell'Umiltà e Angeli del Louvre, variamente ritenuta di bottega per evidenti fiacchezze, e specialmente alla Madonna dei Serafini agli Uffizi: in entrambe è presente un senso plastico della forma che rende profonde le pieghe della veste, dilatata nella sinopia dall'angolazione laterale; ma soprattutto è quel carattere di dolce mestizia, espresso con rapidi tratti nel volto della Madonna dallo sguardo abbassato e dolente - che travalica il dato illustrativo - a trovare nella Vergine del Roseto anch'essa agli Uffizi, un parallelo significativo. E non sembra da escludere che il Bambino della sinopia, nell'ammatassarsi del segno che rende l'irrequietezza della forma in una sintesi dinamica di plasticismo e linearità, possa essere l'equivalente grafico di quei putti delle tavole degli Uffizi menzionate, resi da "una linea che avvolge, che modella, che inventa", molto più vigorosa che nel Lippi, più fluida che nel Verrocchio. Dall'esame delle due opere del tabernacolo settignanese emergono pertanto varie considerazioni su dati che, come ho accennato all'inizio, non rendono meno problematica l'attribuzione della Madonna del Vannella. Oggi, dopo il restauro, ci troviamo di fronte a un affresco che, per la scarsa leggibilità, è opportuno mantenere con attribuzione dubitativa al Botticelli; anzi, incertezze di impaginazione farebbero propendere ad assegnarlo alla cerchia. D'altronde sottostà ad esso una sinopia di notevole qualità la quale, appartenendo stilisticamente al settimo decennio, non è confrontabile - e non trova conforto - con la grafica della maturità del Botticelli, ma che, per invenzione e costruzione, può costeggiare le opere della sua attività giovanile.
Allo stadio delle conoscenze si deve pertanto ammettere che un' attribuzione dell'affresco a Sandro è frutto più di induzione che di constatazione su base stilistica incontrovertibile. Ma, qualora appaia accettabile il sostenerla, si potrà argomentare che il Tabernacolo del Vannella è testimonianza di una ricerca intensa sul piano illustrativo e formale da parte del Botticelli e della sua cerchia. Egli, trovandosi forse per motivi di committenza ad attuare mutamenti in corso d'opera, ha sperimentato nell'affresco con il concorso di aiuti, rispetto al più tradizionale ma più coerente e qualitativamente più alto disegno murale, nuove urgenze espressive, rapidamente maturate con l'aprirsi degli anni Settanta, così da travalicare il nesso stretto tra disegno e opera compiuta.


Enrica Neri Lusanna
   

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Gli scritti di cui sopra sono tratti dal volume:
L'ORATORIO DELLA MADONNA DEL VANNELLA
Congregazione del Trentesimo - Settignano MCMLXXXXV

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