4 - Età imperiale (30 a.c.- 476 d.c.) Periodo compreso tra il 27 a.c. (proclamazione di Ottaviano come augusto) e il 476 d.c. (deposizione di Romolo Augustolo e fine dell'impero romano d'Occidente), durante il quale si costituì e si affermò l'impero romano. IL PRINCIPATO DI AUGUSTO(31 a.c.- 26 a.c.) DINASTIA GIULIO-CLAUDIA (27 a.c- 68 d.c.) DINASTIA FLAVIA (69 d.c- 96 d.c.) DINASTIA DEGLI ANTONINI (96 d.c- 192 d.c.) DINASTIA DEI SEVERI (193 d.c- 235 d.c.) ANARCHIA MILITARE (235 d.c- 284 d.c.) da DIOCLEZIANO a TEODOSIO (284 d.c- 395 d.c.) CROLLO dell' IMPERO di OCCIDENTE (395 d.c- 476 d.c.)
4.1 - Il principato di Augusto (cft.appr.Ottaviano Augusto) L'età imperiale, successiva al periodo della repubblica, iniziò con Augusto, considerato il primo imperatore di Roma, dopo aver sconfitto Marco Antonio nella battaglia di Azio (31 a.c.). Augusto promosse numerose riforme allo scopo di restaurare l'ordine sociale, e impose l'osservanza delle tradizioni morali, religiose e del costume romano (il mos maiorum); creò inoltre una solida ed efficiente burocrazia imperiale e abbellì Roma con templi, basiliche e portici, trasformandola – come lui stesso dichiarò – da una città di mattoni in una città di marmo. Il periodo augusteo rappresentò il momento di massimo splendore della letteratura latina, con l'opera poetica di Virgilio, Orazio e Ovidio, e la prosa della monumentale Storia di Roma di Tito Livio. Il vero nodo da risolvere del principato augusteo era però quello della successione. Non solo decidere "chi" dovesse assumere su di sé una tale quantità di poteri alla morte di Augusto – problema già esso non semplice, dato che il princeps non ebbe figli maschi, e i generi e nipoti su cui aveva puntato gli premorirono –, ma, soprattutto, legittimare il fatto che una situazione apparentemente straordinaria, dovuta alla presenza di un uomo investito per consenso generale di un'unica e irripetibile autorità morale, dovesse perpetuarsi dinasticamente. 4.2
- Gli
imperatori Giulio-Claudi (27 a.c. - 68 d.c.) La soluzione insita
nell'adozione e nella candidatura alla sua successione del figliastro Tiberio,
che sua moglie Livia Drusilla aveva generato in prime nozze da Tiberio Claudio
Nerone (di qui la denominazione di dinastia giulio-claudia), fu in un certo
senso obbligata: Augusto cercò così di conferire una parvenza di ereditarietà
alla successione. Tiberio, divenendo figlio – pur se adottivo – di un uomo
dai poteri straordinari, assumeva anch'egli quell'alone di auctoritas che
gli permetteva di governare, togliendo così ai cittadini romani le residue
speranze che la repubblica potesse essere restaurata: bastava solo che Tiberio,
perpetuando la finzione paterna, si facesse assegnare da un senato ormai prono
la summa dei poteri repubblicani, e così avrebbero dovuto fare i suoi
successori. Con il consolidarsi
del sistema di governo imperiale, la storia di Roma si identificò dunque con
quella dei regni dei singoli imperatori. Tiberio, che succedette al patrigno
Augusto nel 14 d.c., era un amministratore capace, ma fu oggetto di generale
antipatia e sospetto, soprattutto da parte dell'aristocrazia senatoria. Egli si
accattivò i corpi scelti dell'esercito, secondo un costume che nei secoli fu
tipico di molti imperatori, e tenne di stanza a Roma la guardia pretoriana. Il
prefetto del pretorio Elio Seiano – durante i frequenti soggiorni
dell'imperatore nella sua villa di Capri – si comportava di fatto nell'Urbe
come se fosse detentore di un potere assoluto, quasi monarchico; ciò fu
inizialmente tollerato, o addirittura incoraggiato da Tiberio, che dovette però
infine eliminare Seiano a causa dell'eccessiva spirale di violenza che aveva
innescato. A Tiberio successe
Caligola (nipote di suo fratello Druso Maggiore), ritenuto dalla tradizione
senatoria mentalmente instabile e tirannico, e che invece più probabilmente
dovette assumere atteggiamenti, a livello sia personale che politico, propri
della tradizione dei regni ellenistici, del tutto estranei alla cultura romana.
Caligola regnò dal 37 al 41 d.c., allorché venne ucciso dai pretoriani che
acclamarono imperatore suo zio Claudio, durante il cui regno (41-54
d.c.) fu
condotta a termine la conquista della Britannia. Claudio proseguì l'opera di
formazione di una solida burocrazia statale, iniziata da Augusto e Tiberio; la
tradizione, però, ha consegnato di questo imperatore un'immagine piuttosto
negativa, enfatizzando l'influsso che su di lui avrebbero avuto le mogli
Messalina e Agrippina Minore e alcuni potenti liberti di corte. Claudio morì nel 54
d.c., forse avvelenato da Agrippina che voleva imporre sul trono il figlio di
primo letto Nerone. Costui iniziò a governare sotto la saggia guida e i
consigli del filosofo Seneca e di Sesto Afranio Burro, prefetto della guardia
pretoriana, ma i suoi successivi comportamenti sregolati e tirannici, improntati
a una concezione assolutistica del potere ispirata al modello ellenistico
orientale, portarono nel 65 d.c. alla congiura senatoria ispirata da Caio
Calpurnio Pisone (poi repressa nel sangue) e alla sollevazione militare guidata
da Galba: Nerone si suicidò nel 68 d.c., segnando così la fine della dinastia
degli imperatori Giulio-Claudi. 4.3
- I
Flavi (69-96 d.c.) I brevi regni di
Galba, Otone e Vitellio, tra il 68 e il 69 d.c. (l'"anno dei quattro
imperatori"), furono seguiti da quello del valente generale Tito Flavio
Vespasiano e dei suoi figli, Tito e Domiziano, che diedero vita alla dinastia
dei Flavi. Il regno dei Flavi fu caratterizzato dal consolidamento dell'economia
e dell'amministrazione imperiale, oltre che dal principio dinastico
"diretto" (implicante cioè motivi "di sangue") nella
successione al potere, e – soprattutto – dall'inizio di una nuova concezione
del potere imperiale stesso. Vespasiano, infatti,
promulgando nel 69 d.c. la lex de imperio Vespasiani tolse all'istituto
del principato le caratteristiche di finta eccezionalità e precarietà
costituzionale che aveva avuto fino ad allora, trasformandolo in una vera e
propria magistratura suprema costituzionalmente accettata; in questa legge,
infatti, si stabilivano tutte le funzioni e facoltà spettanti all'imperatore,
nel rispetto di quelle – pur esigue – destinate al senato. D'altra parte
Vespasiano non discendeva né per sangue né per adozione dagli eredi di Giulio
Cesare e Augusto, e doveva dunque sgombrare il campo da qualunque incertezza:
avrebbe governato non in nome di una generica auctoritas, ma di precisi
poteri civili e militari, ai quali aveva diritto in quanto vincitore della
cruenta guerra civile dell'anno 69 d.c. Sotto il regno di
Vespasiano (69-79 d.c.) Roma conseguì numerosi successi militari: anzitutto
quello, clamoroso, nella guerra giudaica – condotta dall'imperatore insieme al
figlio Tito – che portò nel 70 d.c. alla presa di Gerusalemme; inoltre, altri
riportati in varie campagne in Oriente (che permisero l'annessione di nuovi
regni), in Britannia, nelle regioni danubiane. Durante il regno di Tito (79-81
d.c.), principe ricordato con l'epiteto di "amore e delizia del genere
umano" a causa dei suoi atteggiamenti clementi e conciliatori, un'eruzione
del Vesuvio (79 d.c.) distrusse le città di Ercolano e Pompei. Il regno di
Domiziano (81-96 d.c.) si contraddistinse inizialmente per alcune spedizioni
germaniche che consentirono di rafforzare il limes germanico-retico; in
politica interna, però, il governo dell'imperatore si trasformò
progressivamente in un'odiata tirannide, teso com'era a sottrarre ancor più
prestigio al senato: per assumere un maggiore controllo su questa istituzione
Domiziano si fece addirittura nominare censore a vita. 4.4
- Gli
Antonini (96-192 d.c.) All'anziano Marco
Cocceio Nerva (che regnò con equilibrio e moderazione dal 96 al 98
d.c.),
imposto dal senato dopo che Domiziano venne ucciso in una congiura, succedettero
nel corso del II secolo d.c. Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio e
Lucio Vero. Ciascun imperatore fu scelto e adottato legalmente dal suo
predecessore (principato adottivo) per le proprie capacità e onestà (secondo il criterio della
"scelta del migliore"), ignorando i vincoli di sangue; e, anche se in
realtà solo gli ultimi tre ebbero la determinazione onomastica di
"Antonino", tutti quanti vengono – un po' impropriamente –
accomunati nella definizione di "Antonini". Traiano (98-117
d.c.), nativo della Spagna meridionale, fu il primo provinciale ad ascendere al
principato; egli condusse campagne contro i daci, gli armeni e i parti, e il suo
regno fu ricordato per l'eccellente amministrazione, l'accorta politica sociale
e per i rapporti distesi tra princeps e senato: Traiano si meritò
infatti l'appellativo pubblico di optimus, fino ad allora proprio solo di
Giove Capitolino. Sotto il suo regno l'impero raggiunse la massima estensione
territoriale della sua storia; lo scrittore di satire Giovenale, l'oratore
Plinio il Giovane, grande amico personale dell'imperatore, e lo storico Cornelio
Tacito vissero in età traianea. I ventun anni del
successivo regno di Adriano (117-138 d.c.) furono un periodo di pace e prosperità.
Adriano infatti consolidò e rese più sicuri i confini dell'impero, anche con
numerosi soggiorni fuori Roma, e addirittura risiedendo per più anni ad Atene.
Egli non solo viaggiò in tutti i domini romani per coordinare personalmente
operazioni militari o amministrative, ma anche per mostrare a tutti la sua
presenza fisica, diminuendo così la distanza tra il principe e i provinciali:
non ancora, questi ultimi, cittadini romani a tutti gli effetti, ma neppure più
semplici sudditi da sfruttare. Anche il regno del suo successore, Antonino Pio
(138-161 d.c.), fu ordinato e pacifico; nel 147 d.c. – sotto gli auspici di
questo imperatore – vennero celebrati con grande fasto e solennità i
novecento anni dalla fondazione di Roma. Il tardo impero: l'inizio della crisi Il principato del
filosofo stoico Marco Aurelio (161-180 d.c.), che governò insieme al fratello
adottivo Lucio Aurelio Vero fino alla morte di quest'ultimo (169
d.c.),
segna l'inizio del lento declino dell'impero: il germe della crisi iniziò
infatti a manifestarsi già con le incursioni di popolazioni germaniche (quadi e marcomanni), che
migravano premendo sui confini dell'impero, nonché con una grave pestilenza
portata in Italia dai militari di ritorno dall'Oriente a partire dal 166 d.c.
A Marco Aurelio succedette – con palese rottura del criterio dell'adozione come
"scelta del migliore" – il figlio Marco Aurelio Commodo (180-192
d.c.), forse uno dei tiranni più sanguinari e dissoluti della storia romana;
questi assunse infatti atteggiamenti veementemente antisenatori e sempre più
apertamente teocratici (si omologò a Giove e assunse addirittura il titolo di
"Ercole Romano") finché non venne assassinato nel 192 d.c. Il II secolo d.c.
mostrò, soprattutto nell'ultima fase, evidenti indizi di una crisi dei valori
tradizionali del popolo romano. Infatti il mos maiorum, l'insieme di
modelli comportamentali per il cittadino di età repubblicana che si basava
sull'importanza della partecipazione – a vari livelli (politico, militare,
religioso, culturale) – alla vita pubblica, era ormai un punto di riferimento
inadeguato per una generazione che della respublica aveva perso ogni
ricordo ed era ormai assuefatta a un potere di tipo monarchico, o addirittura
tirannico o teocratico. Quando avvennero le
prime pericolose incursioni dei quadi e dei marcomanni, vacillò anche l'unico
grande valore che era stato patrimonio dei romani d'epoca imperiale, e che li
aveva persuasi di essere comunque i protagonisti della storia dell'umanità:
l'espansione e la difesa dei domini imperiali come garanzia dell'eternità di
Roma e del suo popolo. Gli dei capitolini tradizionali erano inoltre inadeguati
a soddisfare la religiosità di genti culturalmente ed etnicamente così
diverse, accomunate solo dall'essere soggette a Roma. Fu così che nei territori
dell'impero, a partire soprattutto dalle truppe di stanza in Oriente, si
affermarono sempre più i culti misterici e le religioni orientali legate a
Mitra, a Iside e alla Grande Madre, e, benché ripetutamente perseguitata, il
cristianesimo faceva sempre più proseliti nel mondo romano. Nel secolo
successivo, a questa crisi di valori si aggiunsero gravi fattori di instabilità
politica e sociale che accelerarono il declino dell'impero. Declino
e caduta dell'impero (193-476) 4.5
- I
Severi (193-235) I brevi regni di
Pertinace e di Didio Giuliano (193 d.c.) furono seguiti da quello di Lucio
Settimio Severo (193-211 d.c.) – capostipite della dinastia dei Severi – che
dovette però contrastare nei primi anni di regno ben due usurpatori del potere
imperiale: Pescennio Nigro in Oriente e Clodio Albino in Britannia. Questo fatto
dava la misura della difficoltà nel governare un impero tanto militarizzato,
ove le legioni di stanza nelle diverse province tentavano sempre più spesso di
acclamare imperatore il proprio comandante, sperando in future agevolazioni e
vantaggi. Alla dinastia
severiana, di breve durata, appartennero gli imperatori Caracalla, Eliogabalo e
Alessandro Severo. Di Settimio Severo si debbono ricordare le numerose vittorie
militari in Oriente, che salvaguardarono i confini dell'impero e contribuirono
da un lato ad accentuare ancora di più l'importanza dell'esercito nella società
romana e dall'altro a dissanguare le finanze pubbliche. Il figlio Caracalla
(211-217) fu ricordato dalla tradizione senatoria per la sua brutalità, giacché
iniziò il suo principato facendo uccidere il fratello Geta; motivi d'ordine
politico, dovuti alla necessità di accrescere il proprio consenso, ma anche
d'ordine economico, al fine di "creare" nuovi cittadini da sottoporre
a pesante pressione fiscale, lo spinsero nel 212 a concedere la cittadinanza
romana a tutti gli uomini liberi dell'impero attraverso la Constitutio
antoniniana. Alla sua morte ci fu
l'acclamazione imperiale del prefetto del pretorio Marco Opellio Macrino
(217-218), che venne però l'anno successivo spodestato a vantaggio di
Eliogabalo (218-222), giovanissimo nipote di Settimio Severo e sacerdote del dio
solare Elagabal (da cui il suo soprannome, poiché il suo nome originario era
Vario Avito). Avveniva così un fatto che testimoniava più di ogni altro la
crisi dei valori della religione tradizionale, e cioè la creazione di un
principe quattordicenne, sacerdote di un culto orientale tradizionalmente
estraneo alla religiosità romana. A Eliogabalo successe Alessandro Severo
(222-235), che dovette far fronte a numerose situazioni critiche dal punto di
vista militare, specialmente nell'area mesopotamica e sul limes renano,
ove venne ucciso da un'insurrezione di truppe romane; fu quindi imposto sul
trono il rozzo generale Massimino, di origine tracia, e venne così messo fine
alla dinastia dei Severi.
4.6
- Dall'anarchia
militare all'avvento di Diocleziano (235-284)
Il periodo
successivo alla morte di Alessandro Severo corrispose a una fase estremamente
confusa nella storia dell'impero. Quasi tutti gli imperatori che regnarono negli
anni seguenti morirono di morte violenta, spesso per mano degli stessi soldati
che li avevano posti sul trono. Essi furono, dopo Massimino, gli africani
Gordiano I e Gordiano II (238); gli anziani senatori Pupieno e Balbino (238); il
giovanissimo Gordiano III (238-244); l'ex prefetto del pretorio Filippo l'Arabo
(244-249); il generale Decio (249-251), feroce persecutore dei cristiani;
Treboniano Gallo (251-253); Emiliano (253); Valeriano (253-260), che regnò col
figlio Gallieno (253-268), che gli sopravvisse e fu fautore di una politica di
stampo orientalizzante, in una fase in cui gravissimi problemi militari ed
economici angustiavano l'impero. Tutto ciò senza contare i numerosi usurpatori
(tra i quali Postumo, Ingenuo, Regaliano, Macriano, Quieto, Aureolo, Vittorino),
che periodicamente venivano acclamati principi in varie località dell'impero. Con gli imperatori
illirici, originari dell'area oggi conosciuta come Dalmazia, vi fu una fase di
ripresa del prestigio di Roma: Claudio II, soprannominato il Gotico (268-270),
ricacciò i goti oltre i confini, mentre Aureliano, che regnò tra il 270 e il
275 (dopo il regno di Quintillo, durato solo pochi giorni) sconfisse i goti, i
germani e Zenobia, regina di Palmira, che aveva occupato parte dell'Egitto e
dell'Asia Minore costituendovi un regno autonomo. Aureliano promosse anche
numerose riforme in ambito economico (con una pesante svalutazione della
moneta), sociale (riorganizzando le associazioni professionali) e religioso
(trasformando il culto solare nel culto supremo ufficiale dello stato). Il regno di
Aureliano fu seguito da una rapida successione di imperatori di durata
relativamente breve – Claudio Tacito (275-276), Floriano (276), Probo
(276-282), Caro (282-283), Carino (283-285) e Numeriano (283-285) – che
dovettero difendere i confini dell'impero da numerose incursioni nemiche e allo
stesso tempo lottare contro gli ormai consueti usurpatori, particolarmente
frequenti nella regione gallica (tra i quali Tetrico, Vaballato, Proculo, Bonoso):
tutto ciò fino all'ascesa al trono nel 284 di Diocleziano, anch'egli di origine
illirica e di estrazione militare.
4.7
- Dalla
tetrarchia alla morte di Teodosio (284-395)
Diocleziano
(284-305), dopo la proclamazione imperiale, introdusse numerose riforme che
diedero all'impero un volto decisamente nuovo. Per realizzare un'amministrazione
unitaria dell'impero, egli provvide a una sua divisione politico-amministrativa
e associò anzitutto al principato Massimiano che ricevette il titolo di
augusto, anche se l'epiteto "Giovio" (connesso con Giove) di
Diocleziano rispetto a quello di "Erculeo" (connesso con Ercole)
tributato a Massimiano poneva quest'ultimo in una posizione lievemente
subordinata. I loro poteri furono rafforzati dalla nomina di due collaboratori
(e futuri successori) cui fu concesso il titolo di cesare: Galerio e Costanzo
Cloro. Alla coppia Diocleziano-Galerio, le cui corti risiedettero
rispettivamente a Nicomedia (in Bitinia) e a Sirmio (nell'Illirico), venne
affidata la gestione delle province orientali; Massimiano e Costanzo Cloro
governarono invece l'Occidente e l'Africa, risiedendo rispettivamente a Milano
(in Italia) e a Treviri (in Germania). Tutto ciò fu fatto
nel tentativo di razionalizzare la struttura stessa dell'impero – suddiviso
allora in cento province, raggruppate in dodici diocesi dipendenti da vicari del
prefetto del pretorio – e di esautorare così il senato da qualunque compito
di controllo sui domini imperiali. Questo sistema, conosciuto come tetrarchia
(cioè "governo dei quattro"), se creò un apparato amministrativo più
forte accrebbe però la già pesante burocrazia del governo imperiale, le cui
quattro corti e i rispettivi funzionari esercitavano un peso finanziario
insostenibile sulle risorse economiche dell'impero. A questo proposito,
Diocleziano e i suoi coreggenti cercarono di frenare l'inflazione crescente
controllando i prezzi dei generi alimentari e il salario massimo dei lavoratori
(edictum de maximis pretiis rerum venalium, del 301), e inasprirono la
pressione fiscale anche a danno dell'Italia, omologata ormai a una qualsiasi
provincia; inoltre, nella convinzione che il cristianesimo minasse la struttura
dell'impero, nel 303 scatenarono contro i cristiani una violenta persecuzione. Diocleziano e
Massimiano abdicarono nel 305, lasciando i nuovi augusti e i nuovi cesari alle
prese con un conflitto di successione sfociato in una lunga guerra civile, che
ebbe termine soltanto con l'ascesa al trono di Costantino (306-337).
Dimostrazione, questa, che qualunque riforma era insufficiente a rianimare
completamente un'istituzione, quella imperiale, che se si era retta per secoli
sulle armate legionarie, trovava ora nella discordia tra queste un elemento
costante di destabilizzazione (anche durante il regno dei tetrarchi non erano
mancati due usurpatori: Carausio e Alletto). Riassumendo brevemente la contesa
per la successione, si può ricordare che vi furono coinvolti i due ex cesari e
nuovi augusti Galerio e Costanzo Cloro, i loro cesari Massimino Daia e Flavio
Valerio Severo, nonché il figlio di Massimiano (Massenzio), il figlio di
Costanzo Cloro (Costantino), e Licinio, già amico e compagno d'armi di Galerio. Costantino,
acclamato augusto dall'esercito in Britannia, prevalse sui suoi rivali riuscendo
a unificare l'impero d'Occidente sotto la sua guida nel 312, lasciando l'Oriente
a Licinio; ma, dopo avere sconfitto anche quest'ultimo, nel 324 restò solo a
governare l'impero. Con lui la monarchia completava quel carattere autocratico e
sacrale che già Diocleziano aveva fortemente accentuato e che culminò nel 330
quando Costantino spostò la capitale a Bisanzio, che ribattezzò con il nome di
Costantinopoli (l'odierna Istanbul), e cioè "città di Costantino".
L'imperatore si ornò del diadema e introdusse un complesso cerimoniale di
corte, luogo ove si convocava il consiglio dei suoi collaboratori detto
concistoro (consistorium), divenuto ormai il massimo organo dello stato,
essendo il senato ridotto da tempo a una funzione puramente decorativa. Particolarmente
importante fu il ruolo che Costantino ebbe in campo religioso. Non è chiaro se
egli divenne davvero cristiano, come vuole una parte della tradizione; sappiamo
però che nel 313 emanò a Milano un editto che consentiva libertà religiosa
nell'impero, e che, proclamatosi in gioventù protetto dal dio Sole-Apollo-Mitra,
giocò poi sulla possibile identificazione di questa entità con il dio
cristiano, cercando di non dispiacere né ai pagani né ai cristiani. E quando
nel 325 convocò egli stesso il concilio di Nicea per dirimere complesse dispute
teologiche in seno alla Chiesa cristiana, mostrò la nuova interpretazione data
al ruolo, da lui ricoperto, di pontefice massimo: quella di supremo e attento
controllore di tutti i culti praticati nell'impero, consapevole delle enormi
conseguenze politiche che questi potevano avere. La morte di
Costantino, nel 337, segnò l'inizio della guerra per la successione tra i suoi
figli Costantino II, Costante e Costanzo II, finché quest'ultimo non riunì
l'impero sotto di sé nel 353. Gli succedette nel 361 il dottissimo genero
Giuliano l'Apostata (361-363), che ripudiò il trionfante cristianesimo per
ripristinare gli antichi culti pagani e che morì combattendo contro i parti;
dopo di lui, Flavio Gioviano regnò dal 363 al 364. Fece seguito il regno di
Valentiniano I (364-375), che associò al potere il fratello Valente (364-378),
lasciandogli il governo dell'Oriente; terribile sorte toccò a quest'ultimo,
sconfitto e ucciso dai goti nella battaglia di Adrianopoli, uno dei segnali più
chiari delle difficoltà dei romani a difendere i confini dell'impero – già
minato nel suo interno dalla presenza di nuovi usurpatori – dalle incursioni
delle popolazioni germaniche. Regnarono poi
sull'Occidente i figli di Valentiniano I, Flavio Graziano (375-383) e
Valentiniano II (375-392), che dovettero contrastare gli usurpatori Magno
Massimo e Flavio Eugenio, e sull'Oriente Teodosio I (379-395), già luogotenente
di Graziano, che alla morte di Valentiniano II riunificò brevemente l'impero
sotto la sua autorità. Con Teodosio, nel 380, il cristianesimo divenne l'unica
religione dello stato e iniziarono quindi le persecuzioni antipagane. Quando
egli morì, l'impero fu stabilmente diviso in due parti, affidate allora ai suoi
due figli, Arcadio, imperatore d'Oriente (che regnò dal 395 al 408), e Onorio,
imperatore d'Occidente, che governò dal 395 al 423 e che nel 404 trasferì la
capitale a Ravenna.
4.8
- Il
declino finale e il crollo dell'impero d'Occidente (395-476)
Nel corso del V
secolo le province dell'impero d'Occidente vennero impoverite dalle tasse
imposte per mantenere l'esercito e l'apparato burocratico, oltre che dai
saccheggi dovuti a guerre interne e alle invasioni barbariche. Inizialmente,
l'idea di conciliarsi gli invasori attribuendo loro cariche militari e
amministrative nel quadro dell'esercito e del governo romano ebbe qualche
successo. Ma, gradualmente, i popoli che premevano da Oriente cominciarono a
mirare alla conquista dei territori d'Occidente e alla fine del IV secolo
Alarico I, re dei visigoti, occupò l'Illiria e devastò la Grecia. Nel 410 egli
conquistò e mise al sacco Roma, ma morì poco dopo. Il suo successore,
Ataulfo (410-415), guidò i visigoti in Gallia e nel 419 il re visigoto Vallia
ricevette dall'imperatore Onorio la concessione formale di stabilirsi nella
Gallia sudoccidentale dove fondò, a Tolosa, una dinastia visigota. Già a
questa data tuttavia la Spagna era di fatto sotto il controllo dei vandali,
degli svevi e degli alani, tanto che Onorio fu costretto a riconoscere loro
l'autorità su quella regione. Durante il regno del successore di Onorio,
Valentiniano III (425-455), Cartagine fu conquistata dai vandali guidati dal re
Genserico, mentre la Gallia e l'Italia furono invase da Attila, alla testa degli
unni, una popolazione di stirpe mongolica. Attila marciò
dapprima sulla Gallia, ma i visigoti, convertitisi al cristianesimo e ormai
pressoché romanizzati, gli si opposero, e nel 451 gli unni furono sconfitti ai
Campi Catalaunici (presso l'odierna Châlons-sur-Marne) dal generale romano
Flavio Ezio. Successivamente Attila invase la Pianura Padana, ma, secondo la
tradizione, venne dissuaso a marciare verso Roma da papa Leone Magno; morì poi
nel 453. Nel 455 Valentiniano III, ultimo rappresentante della dinastia
teodosiana in Occidente, fu assassinato, lo stesso anno in cui fu effettuato un
secondo gravissimo sacco di Roma, ad opera dei vandali di Genserico. Tra questa
data e il 476 il governo d'Occidente fu affidato a numerosi imperatori
"fantoccio", in balia dei barbari invasori, nessuno dei quali seppe in
alcun modo contrastare il disfacimento dell'istituzione imperiale. Essi furono:
Petronio (455), Avito (455-456), Maggioriano (457-461), Libio Severo (461-465),
Antemio Procopio (467-472), Olibrio (472), Glicerio (473-474), Giulio Nepote
(474-475), Romolo Augustolo (475-476). L'ultimo imperatore
romano d'Occidente, Romolo Augustolo, fu deposto da Odoacre, capo dei mercenari
eruli, che governò l'Italia col semplice titolo di "patrizio" finché
non venne sconfitto e ucciso nel 493 dagli ostrogoti di Teodorico, che assunsero
il controllo della penisola. Nel resto dell'impero, le popolazioni germaniche
andavano costituendo della nuove entità geopolitiche nei territori da loro
invasi, che genericamente chiamiamo regni romano-barbarici. Il rifiuto da parte
di Odoacre delle titolature ufficiali, che da Augusto in poi avevano
rappresentato la composita natura del potere imperiale, era il segno del loro
anacronistica vacuità; dal 476 in poi, infatti, l'unica istituzione
legittimamente erede del nome romano fu l'impero romano d'Oriente, o impero
bizantino, che durò fino al 1453, anno della caduta di Costantinopoli per mano
dell'ottomano Maometto II il Conquistatore.
4.9 - Le Cause del crollo Alle cause del crollo dell'impero romano d'Occidente concorse senza dubbio la fine dei valori tradizionali della cultura, della civiltà, della religione romana, soppiantati da altri valori emergenti, primi fra tutti quelli del cristianesimo; a ciò si aggiunse un generale impoverimento di uno stato spossato dalla necessità ormai plurisecolare di difendere militarmente i propri estesi confini. L'Italia, già cuore pulsante dell'impero, aveva progressivamente perso gran parte del proprio patrimonio umano ed economico, complice la durissima politica fiscale del governo centrale, dovuta alle impellenti necessità belliche: le manifestazioni più evidenti di questa condizione furono la crisi demografica, la diffusione del latifondo, la disgregazione delle città. Un terzo importantissimo fattore furono le invasioni barbariche, cui già si è fatto riferimento, che trovarono sovente sul trono imperiale sovrani inadeguati alla gravità del momento. Infine, si può ben dire che il mondo antico, che per convenzione scolastica nel 476 cede il passo al Medioevo, pagò allora il prezzo di aver voluto mantenere a tutti i costi l'intero mondo mediterraneo in un'unica organizzazione unitaria, a garanzia di un lungo periodo di pace, della prosperità economica, della vivacità culturale. |