Associazione Esposti Amianto

e ad altri rischi ambientali del Veneto

 
 

PREMESSA

 

la legge 27 marzo 1992 n.257 ha posto termine all'impiego dell'amianto nel nostro Paese; al capo IV della legge art. 13 (trattamento straordinario di integrazione salariale e pensionamento anticipato), ai commi 6, 7 ed 8 stabilisce l'erogazione, da parte dell'INPS, di benefici previdenziali per tutti i lavoratori, impiegati  nelle imprese che utilizzano o estraggono l’amianto  cui venga riconosciuta dall'INAIL un'esposizione minima complessiva di dieci anni alle fibre di amianto oppure una malattia professionale, sempre causata dall'amianto.

Difatti, testualmente si legge:

 

comma 6

 

“Per i lavoratori delle miniere o delle cave di amianto il numero di settimane coperto da contribuzione obbligatorie relativa ai periodi di prestazione lavorativa ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche è moltiplicato per il coefficiente di 1,5.”

 

Comma 7

 

“Ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche per i dipendenti delle imprese di cui al comma 1,(1) (lavoratori occupati nelle imprese che utilizzano ovvero estraggono l’amianto) anche se in corso di dismissione  o sottoposte a procedure fallimentari o fallite, che abbiano contratto malattie professionali a causa dell’esposizione all’amianto documentate dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), il numero di settimane coperte da contribuzione obbligatoria relativa ai periodi di prestazione lavorativa per il periodo di provata esposizione all'amianto è moltiplicato per il coefficiente di 1,5».

 

Comma 8

 

“Ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche i periodi di lavoro soggetti all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto gestita dall’INAIL quando superano i 10 anni sono moltiplicati per il coefficiente di 1,5”.

 

La legge aveva lo scopo di vietare l’estrazione il trasporto l’impiego dell’amianto in qualsiasi forma e aveva contestualmente provveduto a dare disposizioni in favore delle Aziende estrattrici ed utilizzatrici dell’amianto, nonché dei lavoratori che, per effetto della chiusura di tali attività sarebbero rimasti disoccupati (circa 4000); quindi la legge 257/92 all’art. 13 tutelava il diritto dell’Impresa in crisi o in riconversione produttiva che a causa del divieto di estrazione del minerale e di produzioni di manufatti composti di amianto si sarebbero trovati nella condizione di esubero di maestranze di difficile collocazione sul mercato del lavoro. La situazione mutò radicalmente con la conversione in legge del D.L. n. 169/93; in effetti anche il  sopra citato D.L. 169/93 tutelava i diritti dell’Impresa, seppure chiarificatore nell’interpretazione del comma 8 art, 13 L. 257/92, limitava ulteriormente la platea dei beneficiari. Nel corso di conversione in legge il D.L. venne completamente rivisto e modificò radicalmente la portata del comma 8 art, 13; ponendo come centralità i diritti dei lavoratori di tutti i lavoratori esposti all’amianto.

Il legislatore, con la conversione in legge del D.L. 169/293 nell’attuale L. 271/93 che ha modificato l’art. 13 della L. 257/92 ha voluto fortemente rilevare che soggetti portatori del diritto al beneficio non erano più l’impresa del settore amianto bensì i lavoratori esposti a tale cancerogeno.

Il provvedimento di modifica dell’art. 13 L. 257 è dunque di doppia natura:

 

sanitaria e di tutela e prevenzione della salute

In forma generale, tale indirizzo, era già insita nella legge 257/92, poiché dal momento che viene proibito l’estrazione, la produzione di manufatti e la commercializzazione dell’amianto si impedisce una ulteriore diffusione del minerale cancerogeno, questo, più che per i lavoratori del settore vale per la popolazione in generale, soprattutto se trovasse piena applicazione esecutiva la parte della citata legge che prevede la bonifica. Il provvedimento modificativo, nel momento che allarga la platea a tutti i lavoratori esposti all’amianto per un periodo superiore ai 10 anni e questi possono godere del beneficio previsto ha di mira l’allontanamento degli stessi dal posto di lavoro inquinante, poiché, è qui é bene specificare: il lavoratore più é sottoposto all’esposizione di fibre d’amianto più aumenta il rischio di malattia professionale causata dall’amianto; difatti vi è una correlazione proporzionale diretta tra dose e rischio: le fibre d’amianto una volta inalate e penetrate nell’organismo umano, dallo stesso , nel tempo,  non vengono eliminate ma si accumulano, aumentando la dose nell’organismo stesso; quindi, maggiore  permanenza nell’ambiente inquinato da polveri d’amianto, maggiore dose accumulata, maggiore rischio di insorgenza di patologie amianto correlate. La letteratura medica-scientifica italiana ed internazionale si è molto dilungata  sulla relazione tra dose accumulata e risposta   (Selikoff, Maltoni, Bianchi, ecc.). Prolungare la permanenza di un lavoratore in un ambiente inquinato da polvere d’amianto significa quindi aumentare il rischio di contrarre una patologia causata dall’amianto.

 Risarcitorio

E’ pacificamente acquisito che chi è stato esposto all’amianto ha mediamente una speranza di vita inferiore ai non esposti, la documentazione medica scientifica é piena di studi e ricerche epidemiologiche che dimostrano quanto sopra citato.

Con la legge 271/93 si è voluto dare un beneficio, ma sarebbe più giusto chiamarlo risarcimento, seppure tardivo, a quei lavoratori che inconsapevolmente, e, molte volte con dolo da parte delle imprese, sono stati esposti per molti anni alle fibre cancerogene dell’amianto, per cui, molti di loro, hanno una speranza di vita ridotta.

Il beneficio pensionistico, quindi deve essere anche come inteso a dare al lavoratore esposto all’amianto la possibilità di godere della pensione per un arco di tempo almeno pari a quello dei non esposti.

La modificazione dell’art. 13 voluta con la L. 271/93 ha pertanto un doppio fine sanitario e risarcitorio; poiché un lavoratore esposto o ex esposto all’amianto deve essere sempre considerato a rischio di insorgenza di malattia professionale d’amianto e se anche nel soggetto ex esposto non ha provocato danni biologici apparenti, indubbiamente ne ha provocato a livello psicologico, abbassandogli la qualità della vita, in costante attesa di evento patologico causato dall’amianto respirato, che, forse a lui non arriverà mai, ma non sapendolo, sarà sempre attento a cogliere qualunque piccola variazione che possa interessare il suo organismo, e questo al limite della ipocondria; si verifica in altri termini, una situazione di costante malessere psicologico, che oltre a segnare la sua vita modificherà i rapporti sociali con il suo prossimo, e soprattutto con i propri famigliari. Un quadro sopra descritto si avvicina molto alla condizione di malattia, quindi, anche se non rivelata da specifica sintomatologia, è presunta per coloro che abbiano lavorato in ambienti nei quali l’amianto era presente. La diminuzione del periodo lavorativo per il collocamento in pensione è certamente una disposizione della legge in esame, ma è la conseguenza dell’intervento sulla salute e lo strumento di risarcimento per danni presumibilmente patiti.

Parte della magistratura, per l’individuazione dell’esposizione ultradecennale all’amianto adotta i valori limiti previsti dal D. Lgs. 277/91, cioè 100 fibre/litro in rapporto ad un periodo di riferimento di otto ore di lavoro; tra le diverse argomentazioni di sostegno a tale tesi vengono citate la circolare INPS 129/94 e la circolare INAIL del 23.11.95 e relativa nota tecnica Con.t.a.r.p.. Nella citata nota tecnica, per il riconoscimento dell’esposizione ultradecennale ed il calcolo dell’esposizione all’amianto superiore a 100 fibre/litro si adotta un criterio che fa riferimento alla dose cumulativa di polvere d’amianto, la quale è direttamente proporzionale al rischio morbigeno di patologie amianto correlate. La sopra citata nota tecnica però adotta un criterio meno favorevole per i lavoratori esposti, assumendo la dose cumulativa annuale di fibre alla quale il lavoratore è stato esposto. Quindi con un calcolo matematico si individua la media ponderale della quantità di fibre/litro, riferite a otto ore di lavoro giornaliere; se tale valore supera le 100 fibre litro il soggetto viene dichiarato esposto all'amianto per quell’ anno, tale calcolo si ripete per ogni anno in cui si è presunta l’esposizione; se il numero di anni complessivo, che ha superato il livello medio delle 100 fibre/litro è superiore ai 10 anni il lavoratore viene dichiarato esposto all’amianto e quindi titolare dei benefici previsti dal comma 8 art, 13 legge 257/92. Si deduce quindi che un lavoratore esposto all’amianto  per almeno 10 anni dovrebbe aver respirato aria con concentrazione di fibre d’amianto pari 100 fibre/litro X 8 ore X 230 giorni medi lavorativi X 10 anni = 1.840.000 fibre/litro; quindi ogni lavoratore che avesse respirato aria con una concentrazione totale pari o superiore al valore sopra indicato e distribuito nell’arco di 10 anni avrebbe diritto ai benefici previdenziali. Un simile calcolo, effettuato per anno sarebbe ingiusto e punitivo verso quei lavoratori che negli anni precedenti hanno respirato fibre d’amianto in modo massiccio e che negli anni successivi, migliorando la prevenzione, la dispersione di fibre d’asbesto è stata notevolmente minore; poiché il valore medio annuale non va a modificare quello dell’anno successivo si verrebbe a verificare che un lavoratore che magari ha subito per meno di 10 anni grandi esposizioni per un totale di fibre/litro di molto superiore al valore di 1.840.000 e negli anni mancanti a raggiungere i 10 anni, per il miglioramento della prevenzione, è stato esposto ad una concentrazione media di fibre/litro inferiore a 100 si vedrebbe negato il beneficio. Con ciò verrebbe meno il principio, da tutti pacificamente riconosciuto, che il rischio morbigeno a contrarre patologie amianto correlate é direttamente proporzionale alla dose di fibre accumulata.

Ammesso e non concesso la validità del metodo di calcolo sopra descritto, risulterebbe molto più corretto ed equo calcolare la concentrazione di fibre totale alla quale il lavoratore è stato esposto, e dividere tale valore per 100 fibre/litro, per 230 giorni lavorativi medi all’anno e per le otto ore lavorative; il risultato ottenuto indicherebbero gli anni di esposizione al quale il lavoratore è stato esposto con una concentrazione media di 100 fibre/litro.

Se si fosse adottato quest’ultimo criterio e considerato le esposizioni massicce che hanno subito i lavoratori, di molti settori produttivi, nei periodi compresi negli anni 70 e l’inizio degli anni 80, che la letteratura medico – scientifica in migliaia di fibre/litro, emergerebbe con estrema chiarezza che quei  lavoratori  avrebbero abbondantemente superato la dose cumulativa relativa a dieci anni di esposizione all’amianto, con una concentrazione media di 100 fibre/litro, riferita a otto ore lavorative giornaliere.

Si consideri un arco di tempo di 3 anni, compreso tra il 1979 ed la fine del 1981, quando non veniva adottata alcuna prevenzione o precauzione e si prenda una concentrazione prudente e media bassa per quel periodo e si trascurino gli anni successivi, anche se la concentrazione media era superiore alle 1000 fibre/litro si ottiene: 1000 fibre/litro X 8 ore giornaliere X 230 giorni medi lavorativi l’anno X 3 anni si ottengono 5.520.000 fibre/litro; per ottenere gli anni di esposizione con una concentrazione media di 100 fibre/litro, riferite alla media lavorative di otto ore giornaliere si calcola dividendo il valore di 5.520.000 per il valore ottenuto con la seguente operazione: 8 ore X  230 giorni lavorativi  X 100 fibre/litro =  184.000; cioè 5.520.000 : 184.000 = 30 anni  di esposizione alla concentrazione di 100 fibre/litro.

Il  limite delle 100 fibre/litro, come già citato, è stato adottato dall’INAIL e dalla Con.t.ar.p. per certificare i lavoratori esposti da ammettere al beneficio previdenziale.

Va subito osservato che tale criterio non ha alcun fondamento normativo oltre che serio valore scientifico; il comma 8 art. 13 della citata legge recita testualmente: “Per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore ai dieci anni, l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita dall’INAIL, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5.”

Va innanzi tutto chiarito che il beneficio previdenziale non è condizionato da nessun vincolo legato alla concentrazione di fibre areodisperse nell’ambiente di lavoro né tanto meno vincolato al pagamento o meno del premio supplementare contro l’asbestosi; difatti, le circolari nn. 129/94 e 304/95 dell’Inps precisano che detto beneficio va riconosciuto sia nei casi in cui le aziende hanno provveduto al pagamento del premio supplementare contro l’asbestosi, sia nei casi non hanno provveduto, perché omesso o non dovuto. Sul punto inoltre non si può non evidenziare che, qualora effettivamente si avesse voluto limitare la platea dei beneficiari solo per quelli che sussisteva l’obbligo di pagamento del premio supplementare contro l’asbestosi di cui al D.P.R. 1124/65 vi avrebbe fatto espresso riferimento. Così non è, difatti la frase ”soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto” con l’uso del plurale fa riferimento alle malattie professionali causate dall’esposizione all’amianto, quali il mesotelioma pleurico, peritoneale e pericardico ed il tumore polmonare e non alla malattia professionale asbestosi, l’unica per il rischio della cui insorgenza è prevista il premio supplementare. Si evidenzia, inoltre, che il momento di entrata in vigore della L. 257/92, della legge di modificazione dell’art. 13 271/93 vi era e vi continua ad essere nel nostro ordinamento un’unica assicurazione obbligatoria, gestita dall’INAIL, contro le malattie professionali e questa è quella generale.

Anteriormente anche al DPR 336/94, che ha tabellato alcune tecnopatie amianto correlate (mesotelioma pleurico e peritoneale e carcinoma polmonare), ben poteva definirsi l’assicurazione generale gestita dall’Inail, così come fa il disposto dell’art. 13 comma 8 legge 257/92, come quella obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto. E’ altrettanto vero che anche anteriormente al citato DPR 336/94, anche se con onere della prova a carico del lavoratore che aveva contratto la patologia, il nostro sistema misto di tutela delle malattie professionali, erogava le prestazioni per tecnopatie diverse dall’asbestosi, qualora si provasse che la causa dipendeva dall’esposizione subita, per lavorazioni con amianto.

Il riferimento all’assicurazione obbligatoria generale quale quella che copre il periodo oggetto di rivalutazione comporta conseguenze anche su un altro controverso problema: l’INAIL, pur ammettendo che la norma faccia riferimento all’assicurazione generale Inail, tramite il proprio organo tecnico, la Con.t.a.r.p. (Consulenza tecnica per l’accertamento dei rischi professionali e prevenzioni), alla quale è stata demandato l’accertamento delle esposizione all’amianto, rilevanti ai fini della concessione del beneficio insiste nel limitarlo a quei lavoratori che non ha subito una esposizione media, riferite ad 8 ore, superiore alla concentrazione di 100 fibre/litro di amianto. Ma tale valore limite è proprio quello che utilizza l’INAIL ai fini dell’accertamento dell’obbligo per il pagamento del premio contro l’asbestosi.  Per l’Inail, riassumendo: il lavoratore esposto all’amianto viene riconosciuto tale solo se esposto ad una concentrazione di fibre/litro (100) per la quale scatta l’obbligo per l’impresa di pagare il premio supplementare contro l’asbestosi; quindi il beneficio viene concesso solo se risulta assicurato contro l’asbestosi e non contro le malattie professionali amianto correlate, quali il mesotelioma  ed il tumore polmonare, le quali sono ben più pericolose e mortali e la cui insorgenza si può verificare a dose molto più basse. Per quanto sopra scritto l’assunto è in palese contraddizione con la volontà del legislatore espressa tramite la modificazione del comma 8 art. 13 L. 257/92, nel quale l’intero periodo lavorativo è soggetto “all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto gestita dall’Inail

Poiché nel nostro ordinamento esiste una unica assicurazione obbligatoria, gestita dall’Inail, la locuzione: “assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivante dall’esposizione all’amianto” non può che riferirsi all’assicurazione generale, la quale non prevede alcun valore limite al di sotto della quale é da considerarsi inoperante (conf. Cass. N. 436/91 e Corte Costituzionale n. 100/91) .

Concludendo deve ritenersi che unico requisito per il riconoscimento del beneficio è che il richiedente abbia effettuato lavorazioni con esposizione all’amianto per un periodo ultradecennale.

Il beneficio stesso si concreta nella rivalutazione, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per l’intero periodo in cui sono state effettuate tali lavorazioni coperte dall’assicurazione generale Inail, per il coefficiente di 1,5.

Sarà sufficiente che l’esposizione all’amianto subita dal richiedente sia causata nello svolgimento dell’attività lavorativa e che tale esposizione sia perdurata per quel limite di tempo.

 

L’art. 13, comma 8 della L.257/92; l’interpretazione della norma nella sentenza n.5/2000 della Corte costituzionale

Come più volte citato il comma 8 recita: “Per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore ai dieci anni, l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita dall’INAIL, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5.” Si sostiene che il beneficio deve esser riconosciuto, secondo la volontà espressa dal legislatore, evidenziata dalla modificazione avvenuta con la L. 271/93, a tutti i lavoratori esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni sottoposti al rischio di contrarre tecnopatie amianto correlate.

Si sostiene inoltre  che la norma citata non discrimina i lavoratori esposti e quindi beneficiari del provvedimento previdenziale in base

al tipo di rischio (asbestosi o altre patologie amianto correlate);

alla tipologia dell’impresa;

a limiti di esposizione  prefissati.

Inoltre la norma ha un fine compensatorio e di risarcimento e di tutela della salute.

Tali tesi risultano confermati dalla sentenza n. 5/2000 della Corte Costituzionale che si è espressa sull’argomento, si riporta l’intero stralcio che meglio evidenzia, ai fini dell’interpretazione della norma:” …è da escludere che la disposizione denunciata si configuri, contrariamente a quanto ritengono i giudici a quibus, in guisa tale da inibire, in virtù della latitudine del suo dettato, ogni possibilità di sua ragionevole interpretazione ed applicazione, si da risultare portatrice di una ingiustificata omologazione di situazioni fra loro diverse. E’ da ritenere infatti che il censurato art. 1, comma 8, possa trovare, attraverso la convergenza di ordinati criteri ermeneutica (letterale, sistematico e teleologico), congrua definizione nella sua portata, in vista della sua piana e puntuale applicazione. Lo scopo della disposizione censurata secondo quanto si evince dalla accennata ricostruzione della relativa vicenda normativa, va rinvenuto nella finalità di offrire, ai lavoratori esposti all’amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno dieci anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo presentano potenzialità morbigeno. Il criterio dell’esposizione decennale costituisce un dato di riferimento tutt’altro che indeterminato, specie se si considera il suo collegamento, contemplato dallo stesso art. 13 comma 8, al sistema generale di assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’amianto, gestita dall’Inail. Nell’ambito di tale correlazione, il concetto di esposizione ultradecennale, coniugando l’elemento temporale con quello di attività lavorativa soggetta al richiamato sistema previdenziale (artt. 1 e 3 del DPR 1124 del 1965), viene ad implicare, necessariamente quello di rischio e, più precisamente, di rischio morbigeno rispetto alle patologie, quali esse siano, che l’amianto è capace di generare per la sua presenza nell’ambiente di lavoro; evenienza questa tanto da pregiudizievole da indurre il legislatore, sia pure a fini di prevenzione, a fissare il valore massimo di concentrazione di amianto nell’ambiente lavorativo, che segna la soglia limite del rischio di esposizione (decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277 e successive modifiche). La disposizione denunciata poggia quindi, su un sicuro fondamento, rappresentato sia dal riferimento temporale sia da quella di nozione di rischio che, com’è noto caratterizza il sistema delle assicurazioni sociali……”  

Dopo tali chiare affermazioni che confermano quanto sostenuto va subito rilevato che il sistema delle assicurazioni obbligatoria ed al concetto di rischio morbigeno ai quali la Corte Costituzionale si riferisce deve essere letto chiaramente all’interno del contesto del sistema cosiddetto misto, la cui introduzione è stato più volte sollecitato dalla Corte Costituzionale (prima sentenza n. 206/74), alla fine è stato attuato direttamente dalla Corte stessa con la sopra citata sentenza n. 179/88, che ha segnato la fine del sistema tabellare chiuso, in contrasto con l’art. 38 comma 2 della Costituzione, consentendo l’introduzione di un nuovo sistema assicurativo, per l’appunto quello misto, con liste aperte, svincolato da rigidità predeterminate, che ha capacità, sul piano assicurativo, di tutelare meglio il lavoratore, poiché tramite l’utilizzo di prova ordinari è in grado di accertare l’eziologia professionale.

Nell’attuale sistema assicurativo risultano tabellate le seguenti malattie professionali causate dall’amianto, così definite:

a – “asbestosi”: “lavori nelle manifatture e lavori che comportano impiego ed applicazioni di amianto e di materiali che lo contengono o che comunque espongono ad inalazioni  di polvere di amianto.” (DPR n. 1124/65, allegato 8 del T.U.)

“Malattie neoplastiche causate dall’asbesto: mesotelioma pleurico, pericardio, peritoneale, carcinoma del polmone”: “Lavorazioni che espongono all’azione delle fibre d’asbesto, anche se presenti nel talco” (DPR n. 336/94).

Se è definitivamente accertato che il disposto del comma 8 art. 13 della legge 257/92 deve riferirsi all’assicurazione generale dell’Inail contro gli infortuni e le malattie professionali e non a quella supplementare contro l’asbestosi, il concetto di esposizione all’amianto dovrà essere definito riferendosi al tipo di rischio tutelato da quell’assicurazione e non potrà che concludersi che la rilevanza dell’esposizione all’amianto è indipendente dal superamento di una soglia di rischio e non potrebbe essere altrimenti dato che le malattie amianto correlate, tabellate dal DPR n. 336/94, quali il mesotelioma ed il carcinoma polmonare possono insorgere a basse e bassissime dosi di esposizione all’amianto.

 

ACCESSO DEI LAVORATORI ESPOSTI ALL’AMIANTO AI BENEFICI PREVIDENZIALI

 

SIGNIFICATO DELLA LEGGE  (Art. 13)

 

E’ definitivamente accertato che i lavoratori che hanno subito esposizione all’amianto sono soggetti .più degli altri a possibili patologie amianto correlate  e  che  hanno  una  speranza  di  vita  inferiore

(1)     comma 1: Ai lavoratori occupati in imprese che utilizzano ovvero estraggono amianto, impegnati in processi di  ristrutturazione e riconversione produttiva, è concesso il trattamento straordinario di integrazione salariale secondo la norma vigente.

rispetto a quelli non esposti; da qui il significato alto di civiltà dell’articolo 13 che assume la forma risarcitoria, seppure tardiva, nei confronti dei lavoratori che hanno subito una indebita esposizione all’amianto.

 

Poiché nel nostro paese l’uso dell’amianto è stato enorme (un consumo di circa 5 milioni di tonnellate e 3000 prodotti), la presenza dello stesso si è diffusa a tal punto da definirla  ubiquitaria, l’esposizione subita da categorie di lavoratori era molto più ampia  di quella delimitata dal comma 1 del medesimo art. 13, lo stesso ha subito diverse modifiche, l’ultima fu formulata dal sopra citato Decreto legge 5 giugno 1993  n. 169,  convertito, con modificazione, dalla legge 4 agosto 1993, n. 271, riconoscendo a tutti i lavoratori realmente esposti i benefici previdenziali alle solo condizioni che:

 

a)      abbiano contratto malattia professionale causata dall’amianto, riconosciuta dall’INAIL;

b)      abbiano subito una esposizione superiore ai dieci anni.

 

APPLICAZIONE E DIFFICOLTA’ DI ATTUAZIONE DEI BENEFICI PREVIDENZIALI

 

La Direzione Generale dell’INPS, dopo l’entrata in vigore della legge 271/93, al fine di regolare l’accesso ai benefici previdenziali ha emesso una serie di circolari applicative, che sinteticamente si riassumono ( Circ. Dir. Gen. INPS nn. 219/93, 129/94) :

 

applicazione  comma 7, art. 13

 

è sufficiente per il lavoratore che la malattia professionale causata dall’amianto sia riconosciuta dall’INAIL; restano da individuare gli anni di esposizione all’amianto.

 

Applicazione comma 8, art. 13

 

a)      attestato del datore di lavoro che certifica che il lavoratore presta o ha prestato attività lavorativa nell’impresa , dove svolge o ha svolto lavorazioni che comunque espongono ad inalazioni di fibre d’amianto ;

b)      attestato dell’INAIL che certifica che nell’impresa in questione si svolgano o si siano svolte attività lavorative soggette all’obbligo del pagamento del premio supplementare contro l’asbestosi o  che espongano ad inalazioni di polveri d’amianto.

 

Fino all’inizio del 1995 ben pochi lavoratori esposti all’amianto hanno potuto usufruire dei benefici previsti dall’art.13, poiché non ne erano a conoscenza; va aggiunto, inoltre, che il pagamento del premio supplementare contro l’asbestosi  è stato quasi sempre evaso dalle aziende; di conseguenza, per timore che il rilascio delle dichiarazioni di esposizione all’amianto esponesse i datori di lavoro a sanzioni amministrative o a contenziosi giudiziari, gli stessi si rifiutavano di rilasciare tali certificazioni.

Per parte sua l'INAIL non avendo mai censito queste aziende mancava degli strumenti necessari a stabilire chi e in che misura aveva subito l'esposizione all'amianto. Così le dichiarazioni sono state rilasciate solo da coloro che avevano pagato il premio supplementare contro l’asbestosi e risultavano in regola con l'INAIL.

 

MODIFICHE DELLE PROCEDURE DI ACCESSO AI BENEFICI PREVIDENZIALI

 

Alla fine del 1994, grazie all’opera di informazione dell’Associazione Esposti all’Amianto (AEA) che si rese conto che l'applicazione della legge risultava largamente disattesa, anche nella parte relativa ai benefici   previdenziali, molti lavoratori vengono coinvolti. In pochi mesi migliaia sono le richieste di riconoscimento di esposizioni subite, in particolare dove l'AEA è presente; nel contempo, numerosissime sono anche le patologie amianto correlate che emergono .L vastità del fenomeno allarma e spinge le parti sociali (Organizzazioni sindacali e padronali) a riesaminare  presso il Ministero del Lavoro, con INPS e INAIL, i meccanismi per l'accesso ai benefici previdenziali.

 

Il 21/11/1995 un accordo viene raggiunto e così la situazione si modifica

(Circolare INPS n. 304 del 15/12/1995) :

 

applicazione comma 7

 

la procedura resta immutata. –

 

applicazione comma 8

 

a)      Lavoratori per i quali le aziende hanno pagato il premio supplementare contro l’asbestosi (una piccola minoranza):

la procedura resta immutata;

 

b)      lavoratori per i quali le aziende non hanno pagato il premio supplementare contro l’asbestosi ma sono stati comunque esposti all’amianto  (la stragrande maggioranza):

 

1)       il lavoratore esposto deve presentare richiesta di dichiarazione all’INAIL, allegando documentazione di sostegno a provare l’esposizione ed  il curriculum professionale, precedentemente rilasciato dall’azienda, con l’indicazione, per ogni periodo, delle mansioni svolte alle dipendenza dell’azienda stessa;

 

2)       l’INAIL istruisce la pratica, sottoponendola all’esame della Consulenza Tecnica Rischi professionali Regionale, la quale sulla base anche di una scheda tecnica di valutazione esprime un parere di merito sull’esposizione del lavoratore;

 

 

3)       l’INAIL, conclusa l’istruttoria, rilascia al lavoratore la dichiarazione, la quale, se positiva, verrà consegnata all’INPS per l’ottenimento dei benefici previdenziali.

 

Con il nuovo sistema di accesso ai benefici previdenziali previsti dal comma a 8, art. 13 solo  i lavoratori, per i quali sono stati pagati i premi supplementari contro l’asbestosi (una minoranza, 5-10% degli esposti) avranno la sicurezza di vedersi riconosciuti i benefici previdenziali, mentre per tutti gli altri che hanno subito ugualmente l’esposizione ma che per essi non è stato pagato alcun premio contro l’asbestosi avranno minori probabilità di vedere riconosciuti i benefici previdenziali, anzi  si  presentano nuovi ostacoli che si vanno aggiungere ai precedenti, per i seguenti motivi:

 

CURRICULUM E DATORI DI LAVORO

 

-         la difficoltà ad ottenere la dichiarazione di esposizione dall'azienda non viene superata dall'amnistia sui contributi evasi che l'INAIL garantisce al datore di lavoro poiché  il rilascio di curriculum positivi di esposizione all’amianto sarebbe una ammissione esplicita che nello stabilimento, in qualche misura, si è manipolato amianto, attività probabilmente sconosciuta allo stesso INAIL , quindi, qualora emergessero responsabilità per l'esposizione subita dalle maestranze nello stabilimento ed, in particolare, in presenza di malattie e/o decessi causati dall'amianto, il datore di lavoro, oltre a correre il rischio di essere chiamato a rispondere in giudizio, si porrebbe l’eventualità di dover versare all’Istituto Assicurativo gli arretrati del premio supplementare contro l’asbestosi, inoltre, sicuramente si vedrebbe aumentato il premio contro le malattie professionali causate dall’amianto, in relazione agli eventi lesivi che l’INAIL dovrebbe risarcire. Il datore di lavoro ha tutto l’interesse a negare o a limitare drasticamente sia il numero di "curriculum" rilasciati che i periodi di esposizione dichiarati.

-         Il versamento del premio contro l’asbestosi e la maggiorazione del premio contro i rischi di malattie professionali causate dall’amianto sono eventualità puramente teoriche in quanto con l’applicazione della circolare INAIL  n. 252 del 23/11/95, frutto dell’accordo sopra citato, alle Imprese  verrebbe garantita una sorta di impunità nel non aver pagato sia il premio contro l’asbestosi che la maggiorazione del premio assicurativo contro le malattie causate dall’amianto, quali il mesotelioma ed il tumore polmonare.

 

INAIL

 

- se  dipendenti di quelle società o imprese che hanno evaso i contributi supplementari per l'amianto, oppure non pagati perché non dovuti, risultassero affetti da malattia professionale o peggio ancora fossero deceduti per cause ricollegabili all'esposizione all'amianto, di fronte a curriculum lavorativi attestanti l’esposizione all’amianto,  l'INAIL come istituto assicuratore avrebbe maggiori difficoltà a negare il risarcimento alle vittime o ai loro familiari. Anche per l'INAIL, quindi l'interesse resta quello di rilasciare il minor numero di certificazioni possibile. E’ prassi consolidata che l’INAIL, per evitare il risarcimento, tenta sempre di negare il riconoscimento delle malattie professionali amianto correlate, per cui si registra, attualmente, un elevato numero di ricorsi alla magistratura; nel contempo il medesimo Istituto assicurativo non si attiva, come sarebbe suo diritto ed obbligo, ad esigere, in presenza di conclamate patologie amianto correlate, la maggiorazione del premio assicurativo contro le malattie professionali amianto correlate, il quale può variare dal –35% al + 35% del  valore base.

 

CON.T.A.R.P.

 

-         gli viene affidato il controllo della documentazione presentata dal lavoratore e delle informazioni contenute nel "curriculum" rilasciato dall'azienda, in particolare quando i dati non coincidono. Il CON.T.A.R.P. è un'organismo "esterno" all'INAIL, tecnico per definizione e quindi dovrebbe risultare di garanzia anche per il lavoratore, ma le valutazioni sul rischio subito sono formulate sulla base di una scheda tecnica i cui parametri vengono forniti proprio dall'INAIL., il cui criterio fondamentale si basa su una esposizione di 100 fibre litro per otto ore al giorno. Per le esposizione pregresse, in mancanza di rilievi ambientali, tale parametro è impossibile da accertare; in tal caso la CON.T.A.R.P. adotta procedure e calcoli matematici inaccettabili sia sul piano scientifico e sanitario che del buon senso, cioè l’esposizione all’amianto viene valutata con un calcolo che si basa su una emissione di fibre aprioristicamente definita al tipo di manipolazione dell’amianto, sia manuale che tramite macchine opertrici; inoltre l’organico della CON,T.A.R.P. è totalmente insufficiente per far fronte, con una indagine competa ed approfondita, alle migliaia di richieste dei lavoratori esposti, per cui, per loro stessa ammissione, sono costretti ad eseguire indagini per campione o limitarsi ad esaminare la documentazione prodotta. In ogni caso tali  procedure non rispettano lo spirito della legge 257/92: il comma 8 art. 13 parla di esposizione all’amianto senza riferimento a concentrazioni limite, giustamente, poiché in presenza di sostanze cancerogene come l’amianto, non esiste limite scientificamente accertato al di sotto del quale non vi è rischio; difatti molti lavoratori esposti, non ritenendosi sufficientemente garantiti dall’operato dell’INAIL e della CON.T.A.R.P., si sono rivolti alla magistratura; difatti, numerose sentenze della magistratura del lavoro hanno dato loro ragione, smentendo totalmente l’operato della CON.T.A.R.P.: i Pretori hanno condiviso il senso della legge, accertando che le uniche condizioni poste fossero vere: a) l’esposizione superiore ai dieci anni; b) l’esposizione subita è causata da eventi lavorativi.

 

INDIRIZZI AMMINISTRATIVI CARON E GUERRINI.

I numerosi ricorsi alla magistratura,  hanno indotto i governi precedenti ad intervenire, recependo accordi tra le parti sociali, hanno emesso degli indirizzi amministrativi che in parte risanava una serie di ingiustizie, dall’altra  creava  nuove ingiustizie o amplificava quelle irrisolte.

I sottosegretari al Lavoro Caron, prima e Guerrini dopo sono intervenuti con propri atti ad individuare settori produttivi, mestieri e periodi  di esposizione all’amianto.  Individuare l'esposizione in funzione delle mansioni è limitativo perché una casistica sarebbe inevitabilmente riduttiva, ove si tenga conto che erano esposti per esempio, persino alcune categorie dì operatori ospedalieri (caldaistí, addetti alla lavanderia, falegnami, oltre che i meccanici ed i carpentieri dei sistemi di fluidi caldi dei vari reparti) e persino i fontanieri perché le condotte d'acqua erano in cemento..

 

 

CONTRADDIZIONI DELLA LEGGE 257/92

 

La l. 257/92, però, pone alcuni limiti che non tutela completamente tutti gli ex esposti all’amianto e pone in essere trattamenti di ineguaglianza, che oggettivamente pongono in essere delle vere e proprie ingiustizie:

 

a)      I benefici previdenziali sono riconosciuti solo ai lavoratori che hanno subito una esposizione superiore ai 10 anni, negandola a chi ha subito  un’ esposizione per periodi inferiore;

 

b)      L’articolo 13, così come è letteralmente formulato, riconosce i benefici previdenziali solo ai lavoratori esposti, soggetti all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionale gestita dall’INAIL ed a carico al fondo pensione dell’INPS, ignorando che esistono anche altre categorie di lavoratori iscritti a fondi pensioni diversi  e gestiti da enti assicurativi contro le malattie professionali differenti dall’INAIL, come previsto dall’ art. 127, DPR 1124 del  30 giugno 1965, come ad esempio, i ferrovieri, i marittimi; tale formulazione, difatti, ha originato numerosi contenziosi giudiziari sul significato ermeneutico del testo.

 

c)      Non sono previsti per gli ex lavoratori esposti monitoraggi periodici sanitari che preavvisi da  possibili insorgenze patologiche amianto correlate;

 

d)      La copertura finanziaria della legge, si è dimostrata totalmente insufficiente a garantire i benefici previdenziali a tutti i lavoratori esposti ed in regola con requisiti richiesti (che indubbiamente sono molti di più di quelli previsti); in ogni caso, la legge non prevede un meccanismo automatico di copertura finanziaria per l’applicazione della stessa ma una copertura ad hoc, sempre a carico delle casse dello Stato.

 

 

LAVORATORI  ESPOSTI  E PATOLOGIE AMIANTO CORRELATE

 

NUMERO DEI LAVORATORI CHE HANNO SUBITO ESPOSIZIONE ALL’AMIANTO

 

In Italia, fino al divieto definitivo si sono manipolate e lavorate oltre 5 milioni di tonnellate di amianto, utilizzate per la produzione di oltre 3.000 manufatti.

Dai dati forniti dalla Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura (C.C.I.A.A.) risulta che nel 1995 le imprese che hanno manipolato o lavorato materiali amiantiferi erano oltre 9700, a queste bisogna aggiungere quelle imprese che non sono censite per l’attività primaria di manipolazione  dell’amianto ma che in ogni caso, come emerse successivamente, hanno utilizzato prodotti a base d’amianto per la costruzione e la manutenzione di altri manufatti ( officine ferroviarie delle FS e private, autobus, Cantieri navali, vetrerie, centrali elettriche, siderurgia e metallurgia, chimica, ecc. ecc.) ; centinaia e centinaia di imprese, con alle dipendenze decine di migliaia  di lavoratori, sicuramente esposti a concentrazioni notevoli di fibre d’amianto.

Da studi recenti condotti negli Stati Uniti d’America è emerso  che  circa  5.800.000  persone hanno

subito esposizione all’amianto,  di cui oltre la  metà  sono  lavoratori;  cioè  oltre  il  2 %  dell’intera

 

 popolazione statunitense ha subito esposizione,  con quasi 2.500 mesotelioma  alla pleura all’anno (un caso ogni 110.000 residenti).

In Italia il numero di mesotelioma è di circa 1.000 l’anno, cioè 1 caso ogni 50.000-60.000 residenti;

un valore quasi 2 volte maggiore di quello relativo alla popolazione degli USA; un dato che non stupisce, considerata la grande quantità di amianto utilizzata e che fino a pochi anni addietro non vi era alcuna norma che ne limitasse l’impiego.

Se si utilizzasse lo stesso criterio adottato dagli americani, per individuare il numero dei soggetti che hanno subito l’esposizione (il 2 %  della popolazione), ovviamente un dato da considerare  molto sotto stimato, dato che il tasso di mesotelioma alla pleura è 2 volte maggiore, si otterrebbe per l’Italia che oltre 1.000.000 di soggetti  hanno subito esposizione alle fibre d’amianto, di questi almeno il 60 % sono lavoratori; cioè, si arriverebbe mediamente, 59-60 addetti per ogni impresa recensita dalla C.C.I.A.A..

Tali dati concordano con quelli forniti  dallo studio dell’INAIL, relativo a 60.000 richieste di lavoratori esposti all’amianto, relativi a 1000 imprese, cioè il 10 % di quelle inserite nei tabulati della C.C.I.A.A.; inoltre le 60.000 domande corrispondono proprio al 10 % degli ipotizzati 600.000 lavoratori che hanno subito esposizione all’amianto. 

  

MALATTIE PROFESSIONALI AMIANTO CORRELATE E PROLIFERAZIONE DEI CONTENZIOSI CON L’INAIL

 

Di pari passo alle richieste di certificazione di esposizione all’amianto emergevano anche le numerose patologie correlate a tale sostanza cancerogena, con conseguenti richieste di risarcimento all’INAIL. Tale Istituto nel doppio ruolo istituzionale di verifica della casualità tra l’evento lesivo e l’attività lavorativa e del risarcimento del danno, ed impreparato nel fronteggiare una situazione che non conosce, ripiega su una prassi consolidata, adottata anche per le altre malattie professionali, di negare la malattia per cause  professionali e conseguentemente di non effettuare il risarcimento del danno, se non nei casi di dimostrato pagamento del premio supplementare contro l’asbestosi.

Tale comportamento contribuisce ad una proliferazione di ricorsi giudiziari contro l’INAIL che, inevitabilmente perde, nella stragrande maggioranza dei casi, con gli unici risultati di appesantire di lavoro la già oberata magistratura e di sprecare inutilmente denaro dell’erario.

Si rende necessario, pertanto, come già avviene per le pensioni di invalidità civile, per evitare conflitti di interessi, di separare l’Ente pubblico che valuta e riconosce l’eziologia professionale dall’Ente che risarcisce il danno; in questo caso l’INAIL, addirittura potenziandolo nel suo ruolo pubblico di assicuratore e di controllore delle attività lavorative delle imprese.

 

EVENTI LESIVI NEI LAVORATORI ESPOSTI  E RELATIVA MAGGIORAZIONE DEL PREMIO ASSICURATIVO CONTRO LE MALATTIE PROFESSIONALI  CHE L’INAIL DOVREBBE ESIGERE

 

Le malattie professionali causate dall’amianto sono l’asbestosi, il mesotelioma (alla pleura, al peritoneo, al pericardio), le neoplasie polmonari; inoltre l’amianto è concausa nei tumori degli apparati respiratori, gastro-intestinali, ecc.; ci sono poi altre forme di patologie minori, quali le placche pleuriche, ecc. Dati epidemiologici dimostrano che in relazione all’esposizione all’amianto alcune forme tumorali, prima accennate hanno una frequenza di 4 o 5 volte superiore rispetto a quelli attesi; inoltre il mesotelioma alla pleura che come si è accennato presenta un caso ogni 50-60 mila residenti; presenta, invece, una incidenza di un caso ogni 10-15 mila residenti se l’indagine è circoscritta a territori nei quali erano stanziati fabbriche, cantieri, impianti nei quali si è lavorato o manipolato amianto; tale rapporto si attesta a livelli drammatici, un caso ogni 250-300 persone, se la ricerca  viene circoscritta all’interno degli impianti che hanno lavorato o manipolato amianto.

Le neoplasie polmonari, ma soprattutto i mesoteliomi hanno periodi di incubazione molto alti (15-40 anni); poiché l’uso e la manipolazione maggiore si è verificata negli anni 60-70 il maggior numero di eventi lesivi mortali si deve aspettare tra il 2010 ed il 2015.

Il DPR 1124 /65 e successive modificazioni obbliga le imprese di assicurare i propri dipendenti contro i rischi professionali, il quale viene stabilito dall’INAIL in base a diversi parametri, quali, ad  esempio, il livello retributivo, il numero degli addetti dell’impresa, ecc.. Fatto cento questo valore esso può variare da – 35% a + 35 %, secondo gli eventi lesivi che si sono verificati nel periodo precedente. Fino a poco tempo fa la quasi totalità delle patologie professionali causate dall’amianto erano sommerse poiché le imprese non le denunciavano all’INAIL, il quale, non avendone  conoscenza  non  procedeva

al risarcimento del danno, e conseguentemente non applicava ovviamente la maggiorazione del premio.

Successivamente al 1994, grazie anche alla maggiore consapevolezza dei lavoratori, le denunce di casi di patologie causate dall’amianto si sono moltiplicate; di pari passo sono emerse anche le imprese, sconosciute all’INAIL, che hanno manipolato l’amianto; pertanto l’Istituto assicurativo oltre da esigere, nei casi previsti, il premio supplementare contro l’asbestosi (art.153, DPR 1124/65) avrebbe dovuto  applicare a tali imprese la maggiorazione del premio contro le malattie professionali.

La legge 257/92, considerato le proroghe, ha definitivamente vietato ogni lavorazione o manipolazione dell’amianto dal marzo 94, quindi, per definizione, da quella data, salvo alcune eccezioni, non  dovrebbe esistere più l’obbligo di pagare all’INAIL il premio supplementare contro l’asbestosi, ma le imprese sopra citate dovrebbero pagare i precedenti premi evasi, la cui prescrizione è scattata nel marzo 1999.

 

Alla  data odierna, non si è a conoscenza in quale misura l’INAIL si sia attivata  per recuperare sia gli arretrati dei premi supplementari contro l’asbestosi che quelli relativi alla maggiorazione dell’assicurazione generale contro i rischi professionali, dovuta all’aumento degli eventi lesivi causati dall’amianto.

 

BENEFICI PREVIDENZIALI, ONERI E REPERIMENTO DEI FONDI

NUMERO DEGLI ATTUALI BENEFICIARI

 

L’utilizzo maggiore  dell’amianto, a livello industriale, si verificò, soprattutto tra gli anni 60 e 70;

per ipotesi, si considerano i lavoratori esposti all’amianto che attualmente sono ancora in attività lavorativa e che proprio negli anni 60 e 70 hanno cominciato a lavorare; ne discende che essi hanno un’anzianità contributiva variante da 28  a 38 anni, con data di nascita compresa  tra il 1940 ed il 1950-60, con una età anagrafica che oscilla  da 40 a 60 anni.

Considerando che:

1)      l’esposizione all’amianto, salvo alcune eccezione riguardanti alcune categorie di lavoratori, dovrebbe essere cessata nei primi anni 90;

2)      i lavoratori esposti, nati prima degli anni 40 sono già in pensione o deceduti;

3)      i lavoratori esposti che hanno cominciato a lavorare negli anni 80 hanno una età media di 40 anni  e circa 20 anni di contribuzioni, e quindi non hanno maturato il diritto alla pensione.

Si deve necessariamente concludere che solo una parte degli oltre 600.000 lavoratori esposti potrebbe, attualmente, usufruire dei benefici della legge 257/92; ed andare in pensione anticipata, e riguarderebbe il lavoratore  che ha subito almeno 10 anni di esposizione all’amianto e dovrebbe avere almeno 50 - 55 anni di età ed una contribuzione di circa 32- 35 anni.

Poiché, con le vigenti norme pensionistiche, per acquisire il diritto alla pensione, bisogna possedere almeno 38 anni di contribuzione, conseguentemente, essi beneficerebbero di circa 5 anni di anticipo di pensione.

E’ verosimilmente presumibile che il numero di tali lavoratori esposti, aventi diritto ai benefici previdenziali sia di circa 90.000-100.000 unità.

 

ONERI AGGIUNTIVI

 

L’INPS ha calcolato che il costo di ogni pensionato  esposto all’amianto verrebbe a costare circa 400 milioni di lire che moltiplicato  per circa 40.000 lavoratori, si arriverebbe ad un costo complessivo di circa 16.000.000 miliardi di lire.

Si ha ragione di ritenere che tali dati siano errati e volutamente gonfiati per le seguenti ragioni:

1)      il costo medio  delle pensione di un lavoratore è di circa 15-20 milioni di lire l’anno:

2)      il lavoratore esposto, al momento di richiedere il beneficio, avrebbe mediamente 33 anni di contribuzione;

3)      gli anni di contribuzione supplementari, relativi agli anni di esposizione sono dell’ordine di 5-6 anni;

 

per cui si calcola:

 

a)      oneri per anticipo pensione = £ ~20 milioni x 6=  £ ~120 milioni

b)      oneri per mancata contribuzione~27 % del salario annuo x 6 = ~30 milioni

c)      maggiorazione dell’importo di pensione relativi agli aumenti contributivi medi di 6 anni, pari al ~10% circa  del salario medio x 6 = ~2,5 milioni x 6 = £ ~12 milioni.

 

ONERI TOTALI (per lavoratore)  = 120 mil. + 30 mil. + 12 mil. = 162 milioni di lire

 

ONERI COMPLESSIVI (PER 100.000 lavoratori) = 162 mil. x 100.000 = ~ 16.200 miliardi

 

REPERIMENTO DEI FONDI PER LA COPERTURA FINANZIARIA

 

Il DPR 1124/65 , come si è citato in precedenza, obbliga le imprese ad assicurarsi contro i  rischi professionali; il premio assicurativo, calcolato dall’INAIL,, in base a calcoli complessi, per un’impresa di media entità (circa 300 dipendenti), è di circa £. 3 milioni annui per dipendenti.

Tale valore del premio medio è soggetto ad una decurtazione o ad una maggiorazione del 35%, a seconda che nel periodo precedente considerato, si siano verificati infortuni o malattie professionali tra i dipendenti. Poiché la quasi totalità delle imprese, i cui dipendenti hanno manipolato o hanno subito esposizione all’amianto non hanno quasi mai denunciato gli eventi lesivi causati dal minerale cancerogeno è verosimile presumere che hanno goduto della decurtazione del 35% del premio da versare all’INAIL, cioè di oltre un milione di lire per dipendente. In realtà le patologie causate dall’amianto sono numerose ed anche ampiamente documentate, ma la maggiorazione del  premio assicurativo, usualmente, si calcola sulle malattie professionali contratte dai dipendenti e raramente prende in considerazione le malattie professionali di ex dipendenti che hanno cambiato attività lavorativa ed impresa, oppure sono in pensione; per quanto riguarda quindi i lavoratori esposti all’amianto, l’impostazione del calcolo di maggiorazione del premio assicurativo, qualora non vengono prese in considerazione le malattie professionali degli ex dipendenti (pensionati, ecc. ecc.) è profondamente errato poiché gli eventi lesivi più gravi (mesotelioma e neoplasie dell’apparato respiratorio) si verificheranno a distanza di molti anni dalle prime esposizioni, cioè quando il lavoratore che ha subito esposizioni all’amianto, nella maggior parte dei casi è già in pensione; in ogni caso, dimostrata l’esposizione alle fibre d’amianto, per causa lavorativa, l’INAIL è obbligata a risarcire ugualmente il danno, senza aver avuto in cambio alcuna maggiorazione del premio assicurativo. Le imprese invece di godere della decurtazione avrebbero dovuto pagare all’INAIL il premio assicurativo con la maggiorazione, che in ogni caso sarebbe stato inferiore a quello reale, poiché dal calcolo difficilmente vengono inclusi gli eventi lesivi degli ex dipendenti e pensionati. Invece, se in tale calcolo fossero inseriti, giustamente, anche i pensionati, le imprese che hanno avuto dipendenti esposti all’amianto, avrebbero dovuto versare nelle casse dell’INAIL un premio assicurativo annuo, per dipendente di oltre 4 milioni invece di 2; tale maggiorazione dovrebbe essere continuata a pagare dalle imprese, anche per il  futuro, poiché, a differenza del premio supplementare contro l’asbestosi,  essa è legata agli eventi lesivi causati dall’amianto, i quali come si è illustrato in precedenza, si verificheranno negli anni a venire, con una punta massima verso il 2015; inoltre, proprio perché gli eventi lesivi causati dall’amianto si verificano soprattutto a distanza di molti anni, una possibile insorgenza patologica si può verificare frequentemente proprio tra soggetti in pensione. Poiché L’INAIL, nella quasi totalità dei casi, calcola la maggiorazione del premio da applicare solo sugli eventi lesivi insorti in lavoratori ancora in attività di lavoro, è evidenti che i datori di lavoro responsabili delle esposizioni pregresse godrebbero di un indubbio vantaggio economico .

Si rende necessario, quindi che la maggiorazione del premio contro i rischi professionali causati dall’amianto deve sempre  tenere conto degli eventi lesivi contratti anche dai  pensionati.

 

Ci sono da considerare, inoltre, anche migliaia di lavoratori appartenenti a categorie speciali, quali ad esempio, i ferrovieri, i marittimi, ecc.  che in base al DPR 1124/65, art. 127, i datori di lavoro, fino a qualche anno fa, erano esentati nel pagare il premio assicurativo contro le malattie professionali all’INAIL poiché autorizzati a gestire autonomamente proprie casse per far fronte ai rischi di malattie professionali, comprese quelle derivanti dalla lavorazione dell’amianto, (Asbestosi) per le quali è previsto un premio supplementare (DPR 1124/65, allegato 8).

 

Tenuto conto delle migliaia di imprese coinvolte (oltre 10.000) e considerato che:

 

a)      i lavoratori esposti all’amianto, dipendenti di queste imprese sono oltre 600.000;

 

b)      il premio supplementare contro l’asbestosi, quando dovuto, è stato pagato da pochissime imprese, e per un numero di dipendenti molto ridotto;

 

c)      il valore della frazione di premio assicurativo annuo  per lavoratore non pagato è di oltre  2.000.000 di lire;

 

d)       gli eventi lesivi causati da esposizione all’amianto  si verificheranno fino al 2020, con una punta massima verso il 2010-2015;

 

e)      L’INAIL, finora, difficilmente ha preteso il pagamento delle maggiorazioni dei premi assicurativi.

 

Si può verosimilmente presumere che L’INAIL dal 1994 (gli anni precedenti sono ormai prescritti), fino al dicembre 1997 non abbia incassato una somma pari a lire 600.000 x 2.000.000 x 4 = 4.800 miliardi; mentre dal gennaio 98 al dicembre 2015, (se nel calcolo della maggiorazione venissero inseriti anche gli eventi lesivi dei   pensionati) dovrebbe incassare lire 600.000 x 2.000.000 x 18 = 21.600 miliardi (oltre 11 miliardi di Euro);

complessivamente l’INAIL, per il periodo 1994 – 2015, per effetto della maggiorazione, dovrebbe percepire circa 26.400 miliardi di lire (13,6 miliardi di Euro).

 

Se venissero riscossi dalle imprese tali maggiorazioni, esse, senza appesantire l’attuale bilancio dell’ente assicuratore, se riscossi,  potrebbero finanziare il fondo nazionale per le vittime dell’amianto e sostenere non solo non solo il pensionamento dei lavoratori esposti all’amianto, ma anche il monitoraggio medico dei lavoratori  e dei cittadini esposti all’amianto, nonché anticipare il risarcimento dei cittadini colpiti da patologie causate dall’amianto.

 

MONITORAGGIO SANITARIO DEI LAVORATORI E DEI RESIDENTI ESPOSTI ALL’AMIANTO

 

Come si è ampiamente illustrato nei punti precedenti, l’amianto è un potente cancerogeno, i cui effetti patologici, anche quando l’esposizione subita è cessata, possono manifestarsi anche a distanza di molti anni, con esiti spesso mortali. E’ di estrema importanza quindi, che tutti gli ex esposti all’amianto vengano sottoposti a sorveglianza sanitaria periodica.

Difatti l’art. 4, comma 1, punto p,  l’art. 29 comma 4 del D.Lgs. 277/91 e l’art. 17 comma 1, punto 1, l’art. 69, comma 6 del D. Lgs. 626/94 prevedono, per i lavoratori che sono stati esposti ad agenti cancerogeni, che la sorveglianza sanitaria continui anche dopo la cessazione del rischio. Il medico competente deve specificamente informare i lavoratori che hanno cessato di subire l’esposizione ad agenti cancerogeni di continuare a sottoporsi agli accertamenti sanitari da parte dello stesso medico competente.

Se appare chiaro che per  gli ex esposti, ancora in attività lavorativa, gli oneri relativi alla sorveglianza sanitaria sono a carico del datore di lavoro, le leggi sopra citate non specificano  chi deve farsi carico della sorveglianza sanitaria degli ex esposti che hanno cambiato attività e datore di lavoro, oppure hanno cessato l’attività lavorativa, mentre per quanto riguarda i cittadini, residenti  nelle vicinanze di siti particolarmente a rischio di rilascio di fibre d’amianto (cave, cantieri navali, ecc.), in quanto non oggetto di alcuna copertura assicurativa per attività lavorativa sono completamente ignorati da qualunque forma di sorveglianza sanitaria, peggio ancora, non sono previste nei loro confronti neanche azioni di risarcimento qualora subissero malattie causate da esposizione all’amianto. 

 

Disegno di Legge n, 229 e commessi

 

Punti per la predisposizione di un testo unificato

 

 Punti 1 e 2:

un sistema normativo risarcitorio nei confronti dei soggetti che hanno contratto patologia amianto correlata, indipendentemente dalla causa professionale o dalla copertura assicurativa contro gli infortuni e le malattie professionali, una volta accertato il nesso eziologico tra patologia ed amianto, dovrebbe prevedere un meccanismo automatico di anticipare un congruo risarcimento, utilizzando i fondi dall’istituito “fondo nazionale  per le vittime dell’amianto” e qualora individuati i responsabili, esercitare il diritto di rivalsa, fatto salvo il diritto di soggetti o dei superstiti di agire nei confronti dei responsabili. A tutti gli ex esposti si dovrebbe garantire un monitoraggio annuale sulle condizioni si salute.

 

Punti 3 e 5

Una norma “a tempo” dividerebbe i lavoratori e stabilirebbe una iniqua disparità di trattamento tra lavoratori informati e lavoratori non informati;

questa norma non solo eliminerebbe, ma anzi complicherebbe il contenzioso già esistente perché legittimerebbe la proposizione di eccezioni di incostituzionalità della norma con conseguente rischio di declaratoria di incostituzionalità della stessa,

Anche l’introduzione di norma restrittiva rispetto alla presente potrebbe comportare problemi di costituzionalità.

In giurisprudenza costituzionale (sent. n. 442, 23/12/97), difatti, possono sussistere (a parte il divieto della retroattività di norme penali peggiorative) norme retroattive purché:

adeguatamente giustificate sul piano della ragionevolezza e non in contrasto con singoli valori ed interessi costituzionalmente protetti, così da non incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti; uno sbarramento temporale o una norma strutturata come retroattiva sarebbe in contrasto con il principio della certezza del diritto.

L'altro valore tutelato è quello non solo della salute, ma quello della vita stessa: si mira a garantire una qualità di vita migliore a chi può morire presto o ammalarsi a causa del c.d. rischio amianto.

E questo in applicazione dell'art. 32 della Costituzione secondo cui "la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività".

Applica questo principio l'art. 9  L. 20.5.1970 n.300 (Statuto dei lavoratori) secondo cui "i lavoratori mediante loro rappresentanze........hanno diritto..........di promuovere la ricerca, l'elaborazione, e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute, e la loro integrità fisisca".

L'interesse costituzionalmente protetto che qui verrebbe leso è quello al pensionamento anticipato.

Tale interesse assume tre forme:

- è un interesse legittimo (o aspettativa di diritto) prima che sia stata presentata la domanda all'Inps (di beneficio ex art. 8);

- è un diritto attivato quando la domanda sia già stata presentata;

- è un diritto già potenzialmente riconosciuto quando siano in corso delle cause.

 

Punto 4

il diritto del “beneficio” previdenziale ai lavoratori esposti deve essere garantito indipendentemente dall’ente assicurativo che copre l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni  e le malattie professionali. Sarebbe sufficiente quindi che i lavoratori esposti siano assicurati contro gli infortuni e le malattie professionali indipendentemente  dall’Ente Gestore.

 

Punto 6

La legge 257/92, in riferimento ai piani di bonifica, da predisporre a cura delle regioni, salvo alcune eccezioni, è stata completamente disattesa. Si auspica una norma che preveda un intervento dell’autorità del governo, qualora le regioni, trascorso inutilmente un lasso di tempo da stabilire ( un anno) non abbiano stabiliti detti piani di bonifica.

 

Pd. 14 aprile  2002

 

                                                                                                          C. Mandosio (AEA)        Marco Galli (CUB)