E quanti sono gli spettacoli, i testi che non ce l’hanno fatta ad arrivare sulla scena pressoché all’ultimo minuto? Pochi, molti, tanti; talvolta i migliori, purtroppo e talvolta i peggiori, per fortuna…

    Come si nutrono le aspettative? Di cosa hanno bisogno per non perdere la loro efficacia di stimolo e di incoraggiamento? Se le aspettative sono, per lo più, desideri o attese di desideri, sogni o mire, obiettivi o scopi dai quali dipende (o facciamo dipendere) la soddisfazione di gran parte dei nostri bisogni e dei nostri interessi o, tout court, la felicità… perché avvertiamo l’esigenza di fissare, di tanto in tanto, delle mète o dei traguardi per i quali non facciamo altro che aspettarne i frutti, come per qualcosa che ci è dovuto, come un premio o il riconoscimento delle nostre speranze e dei nostri vagheggiamenti?… È più facile porre queste domande che trovare le loro risposte: un po’ perché le risposte non dipendono da noi e un po’ perché le vorremmo, queste risposte, magiche e improvvise, risolutive e totalizzanti.

    Da una certa età in poi, da un certo numero di anni e di esperienze, di successi o di fallimenti, non si nutrono più le aspettative come solitamente nei nostri periodi migliori e tuttavia, di quelle attese e di quelle speranze, non si sono perse le tracce. Tuttora vivono o sopravvivono quei propositi beneauguranti ed entusiastici che reggono la nostra voglia di fare ma per uno scrittore, o per un artista, non esiste tempo che non sia già di per sé futuro.

    Anche quando si scrive al passato o del passato, si scrive in realtà pensando al futuro, a quello che succederà, a quello che deve ancora succedere. In questa “necessità” del futuro sta, forse, l’aspettativa di uno scrittore: ritenere che non tutto sia stato ancora espresso (e che quindi debba essere ancora realizzato) ma, parimenti, che non tutto potrà essere espresso per cui, sperimentando “fabulae” e sentimenti, passioni e desideri, si arriva ad una conclusione fredda e insensata all’apparenza: continuare a scrivere è l’unica aspettativa che uno scrittore ha per essere sempre più partecipe del suo mondo, sempre più vigile e responsabile del mondo dove vive.

 

   

 Il poeta americano Robert Frost scriveva nella poesia “Riluttanza”:

 

Ah, quando al cuore dell’uomo

fu meno che un tradimento

andar con la deriva delle cose,

cedere con grazia alla ragione,

e piegarsi e accettare la fine

d’un amore o d’una stagione?

 

ROBERT FROST,  Conoscenza della notte, Einaudi, Torino 1965

Traduzione di Giovanni Giudici

 

                

    Come si vede, non è facile pensare di scrivere, o allo scrivere, e poi scrivere, come non è semplice che qualcuno (uno, dieci, cento, mille) ti sbatta le mani solo perché si è avuta l’impressione che qualcun altro, lì sulla scena o sulla pagina, ti abbia sul serio comunicato qualcosa.

    Antonio Machado nei suoi “Consejos” invitava ad attendere, a sperare, perché el arte es largo y, además, no importa. E così continuiamo a sbattere le mani, per abitudine o sollecitazione di folla: quegli applausi, che pure incoraggiamo, sarebbero dunque i segni finali e certi delle nostre aspettative? Tutto lì?

    In “Satura II” Montale ammoniva :

                              

                               Attendo con fiducia di non sapere

                               perché chi sa dimentica persino

                               di essere stato in vita.

 

    Il futuro di uno scrittore o di un lettore resta la più aperta, la più solare, la più intrigante delle aspettative.

 

 

 

 

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