Spesso il monologo è una scelta forzata, io l’ho chiamata spesso “una scelta superstite”. Ci sono ragioni oggettive (non teatrali e non letterarie) perché un autore scriva un monologo o gli venga chiesto di scriverlo. Un monologo costa molto meno di un allestimento medio e non solo perché si risparmia sul cachet degli attori (ma l’attore monologante è comunque sotto-pagato), ma anche perché l’idea stessa di una sola voce recitante fa ritenere di poter ridurre notevolmente tutti gli altri costi, dalla scenografia ai costumi.

    Negli ultimi anni c’è stata indubbiamente una dilatazione del monologo teatrale: da soliloquio isolato si è ingrandito fino ad occupare l’intero spazio di una recita, qualificandosi come genere e non solo come strumento occasionale di una particolare ricerca drammaturgica.

    Le ragioni estetiche si sono sposate per interesse a quelle pratiche e i monologhi hanno avuto il loro momento di successo giacché riuscivano a mediare tra costi e ricavi e tra spettacolo e fruizione. Hanno tirato di più, e di solito tirano di più, i monologhi da cabaret (con il comico, o chi si considera tale, che snocciola il suo campionario di battute), ma ci sono stati anche monologhi “drammatici”, che avevano o auspicavano di avere il peso e il senso di uno spettacolo completo, di una recita intrigante e accurata. C’è stata così una sorta di specializzazione, che ha conferito agli autori di monologhi una competenza o un’esclusiva mai pienamente riconosciuta, per esempio dalla critica, come autonoma e fondante.

 

                                                                              

 

    D’altra parte, gli stessi autori di monologhi rifiutano questa specializzazione perché la giudicano lesiva e discriminante.

    Vilipeso e richiesto, sminuito ed esaltato, esclusivo o comune,  il monologo è anche il segno di una difficoltà, di una necessità che non vorrebbe farsi virtù: soprattutto per la nuova drammaturgia, più che la presenza di un solo attore sulla scena, il monologo designa senza giri di parole la solitudine di un autore teatrale costretto a scrivere come davanti a uno specchio, monologando col suo onnipotente ma dimezzato alter ego. 

 

                      

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