Carta dei Servizi | Notizie Utili | Servizi | Capitolato | Soci | Notiziari | Link | Appuntamenti |
L. Bellagamba (12/3/2004)
L’illuminazione votiva e la qualificabilità della concessione come di lavori pubblici: analisi di una fattispecie reale. Elementi oggettivi per la naturale configurabilità della concessione come di lavori
Il presente articolato intervento costituisce sviluppo di una tesi contenuta in volume di imminente uscita: LINO BELLAGAMBA, "L’affidamento di forniture e servizi dopo la finanziaria 2004", Maggioli editore, marzo 2004. La tesi sostenuta nel volume è che solo eventualmente l’illuminazione votiva costituisce concessione di servizio pubblico.
1. Premesse giuridiche: i motivi di una questione aperta.
La differenza rilevante da cogliere è quella fra
concessione di servizi pubblici e concessione di lavori pubblici.
Si richiama in proposito, come base di analisi, il "Progetto di
comunicazione interpretativa" sulle "concessioni nel diritto comunitario degli
appalti pubblici" (Commissione Europea, 24 febbraio 1999).
"Per la Commissione l’elemento determinante consiste nell’accertare se il
contratto riguarda o meno la costruzione di un’opera per conto del concedente.
(…) Viceversa un contratto di concessione che non comporti alcuna
realizzazione di lavori, o che riguardi esclusivamente la gestione di un’opera
esistente, va considerato come una concessione di servizi in quanto, in entrambi
i casi, non vi è costruzione di un’opera".
Si tratta di un’affermazione di principio già essenziale e decisiva: non è
il nomen del servizio pubblico a dare automaticamente caratteristica di
servizio stesso alla concessione. Se non c’è alcuna realizzazione né di opera
pubblica né comunque di lavori pubblici, se cioè la concessione
riguarda "esclusivamente la gestione" – in quanto vi è già "un’opera
esistente", sostiene la Commissione – solo in questo caso vi sarebbe
concessione di pubblico servizio.
In realtà, per quanto comunque significativa,
l’interpretazione prospettata dall’organo comunitario non è ancora sufficiente a
fondare un più sicuro criterio discretivo. Quest’ultimo, piuttosto, è da
rinvenirsi nella priorità della prestazione da conseguirsi.
La concessione è pertanto di lavori e non di servizio quando si ha
anzitutto la realizzazione di un’opera pubblica.
"La linea di demarcazione tra i due istituti va individuata avendo di mira
la direzione del nesso di strumentalità che lega gestione del servizio ed
esecuzione dei lavori. Nel senso che laddove la gestione dell’opera
sia strumentale alla sua costruzione, in quanto consente il
reperimento dei mezzi finanziari necessari alla realizzazione, è configurabile
l’ipotesi della "concessione di costruzione ed esercizio", mentre nel caso
inverso, quando cioè l’espletamento dei lavori pubblici sia strumentale, sotto i
profili della manutenzione e dell’implementazione, alla gestione di un
servizio pubblico il cui funzionamento è già assicurato da un’opera esistente,
è configurabile l’ipotesi della "concessione di servizi" (Cons. Stato, V, 11
settembre 2000, n. 4795).
Qui il criterio delineato dalla Commissione acquista più pieno significato.
Se l’opera esiste già, la concessione è di pubblico servizio. Se l’opera
pubblica non esiste e deve quindi implementarla il concessionario, la
concessione è di lavori.
Il percorso interpretativo delineato dalla Commissione e
dalla citata giurisprudenza è confermato, in modo rovesciato, da recentissima
giurisprudenza: Cons. Stato, V, 30 ottobre 2003, n. 6768.
Si enuclea una fattispecie concreta in cui proprio l’illuminazione votiva
cimiteriale – in quanto non definita expressis verbis
dall’ordinamento giuridico positivo come concessione sempre e comunque di
pubblico servizio – viene singolarmente considerata concessione non di lavori
pubblici.
Ciò che qui conta rilevare, attenzione, non è tanto l’esito della pronuncia
del collegio giudicante, quanto la conferma dell’irriducibilità della coppia
opposizionale sin qui delineata, a prescindere se poi debba trattarsi di
pubblico servizio ovvero di lavori. La distinzione da operarsi è, cioè, una
questione sussistente e incomprimibile, comunque non risolvibile in base al mero
nomen dato al servizio. Il nomen, cioè, non crea il
servizio pubblico una volta per tutte: ciò che, parimenti, vale anche per i
lavori.
Nel caso concreto si trattava di eseguire lavori impiantistici, "per
l’adeguamento alla legge n. 46/1990" (già qui è in nuce che non poteva che
trattarsi di concessione di servizio, in quanto l’opera principale, l’impianto
seppur vetusto, esisteva già).
Da notare una preliminare importante affermazione. "Nei casi in cui le
prestazioni contrattuali siano di diversa e commista specie, le discipline in
materia di appalti pubblici di servizi e di lavori indicano quale essenziale
criterio risolutore quello della "prevalenza", con riferimento al valore
economico delle prestazioni. Trattandosi, peraltro, di un criterio che nella
concreta applicazione può rilevarsi fuorviante e considerato che nei contratti
delle Amministrazioni pubbliche l’elemento soggettivo della volontà delle parti
ai fini dell’individuazione delle prestazioni rilevanti ha minor rilievo di
quanto possa averne in ambito privato (…) detto parametro va interpretato,
possibilmente, non sulla base del solo dato meramente quantitativo bensì alla
luce anche del criterio funzionale". La pregevolissima affermazione è in
linea con i principi comunitari (si tenga conto, del resto, della procedura
d’infrazione a carico dell’Italia, in relazione al disapplicando principio posto
dalla legge "Merloni"). Non conta la prestazione economicamente prevalente, al
fine di distinguersi fra concessione di pubblico servizio ovvero di lavori, ma
quella che l’Amministrazione intende anzitutto conseguire: l’opera
pubblica o comunque i lavori da farsi ex novo, ovvero il servizio da
gestirsi su un’opera-impianto già sussistente. Costituisce senza alcun dubbio
concessione di servizio e non di lavori, pertanto, quella in cui non si tratti
di implementare l’opera-impianto ex novo, ma solo di mantenerlo ovvero di
adeguarlo allo jus superveniens.
"Nella specie, il rapporto concessorio in argomento è sorto,
incontestabilmente, per la gestione del pubblico servizio di illuminazione
votiva dei cimiteri comunali e non può ritenersi riqualificato nella sua natura
giuridica dal sopravvenuto patto contrattuale inerente all’adeguamento
dell’impianto medesimo alle norme della legge n. 46/1990. Ciò (…), soprattutto,
perché il patto aggiunto recante l’adeguamento alla legge n. 46/90 ha carattere
comunque accessorio e quindi non ha valenza tale da incidere sulla causa del
contratto, che rimane appunto volto all’esigenza primaria del pubblico servizio
di illuminazione cimiteriale, laddove i lavori di adeguamento si rendono
necessari proprio e soltanto per consentire l’espletamento del servizio in
condizioni di assoluta sicurezza (…). Non può trovare spazio, dunque, nel caso
di specie l’istituto della concessione di costruzione e di gestione di opera
pubblica, e quindi la concessione di lavori pubblici di cui all’art. 19 della l.
109/94".
Ma attenzione. Ciò dà proprio la conferma, implicita ma inequivocabile,
che la questione inerente alla "coppia opposizionale" di cui si tratta è sempre
aperta e soprattutto che, qualora il contratto sia stato stipulato per affidare
l’esecuzione di un’opera-impianto fino ad allora inesistente in modo assoluto,
lì si è un presenza di una concessione (in primis) di lavori, in cui la
gestione del servizio rappresenta la remunerazione dell’esecuzione dell’opera
stessa e ad un tempo esecuzione anche del servizio pubblico.
"La tipicità della concessione di lavori pubblici risiede nell’interesse
(pubblico) di conseguire un bene di natura mista costituito dalla realizzazione
dei lavori e dalla loro gestione funzionale ed economica. Ciò è posto in
evidenza dal tenore dell’art. 19 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (…), che
definisce la "gestione funzionale ed economica" nell’ambito dell’oggetto della
concessione di lavori pubblici. Dalla definizione normativa emerge la natura
ambivalente della gestione, che è, nello stesso tempo, una
componente del bene su cui si incentra l’interesse pubblico perseguito e,
contemporaneamente, "controprestazione" a favore del concessionario, per il
quale costituisce, per tale profilo, un "diritto"" (Cons. Stato, VI, 19 dicembre
2000, n. 6838). Non osta dunque alla sussistenza della concessione di lavori
il fatto che venga in co-evidenza anche un servizio pubblico locale. Ciò è del
resto oggi esplicitamente confermato dalla L. 109/1994 (così come da ultimo
modificata dalla L. 166/2002), art. 19, comma 2-ter: "Le amministrazioni
aggiudicatrici possono affidare in concessione opere (…), in quanto funzionali
alla gestione dei servizi pubblici".
Per converso, per una diversa fattispecie in cui invece la gestione di un impianto rientra in una concessione di lavori, cfr. T.A.R. Toscana, II, 8 gennaio 2004, n. 5: La "concessione di costruzione e gestione di un impianto pubblico (…) comprende, come un unicum, sia la fase della costruzione dell’opera sia quella della gestione del relativo servizio pubblico. Ed è anche vero che il rapporto tra concedente e concessionario non si esaurisce con la fase di esecuzione della concessione ma prosegue nella fase della sua gestione (dalla quale il concessionario trae il proprio corrispettivo)".
T.A.R. Puglia, Bari, II, 23 aprile 2003, n. 1785, dopo aver diffusamente parlato di pubblico servizio ai sensi del T.U.E.L., non può non finire col riconoscere che, se l’impianto deve essere implementato ex novo, ivi si applica la normativa-lavori. Si prende proprio in considerazione (a parte gli errori soltanto materiali nell’identificazione della normativa) "la circostanza (art. 1, comma IV, legge n. 10/91) che la realizzazione della centrale eolica (intesa, qui, come impianto di produzione) è considerata opera di pubblica utilità talché ne deriva, in parte qua, l’applicazione alla fattispecie degli artt. 2, comma II, lett. b), 19, comma II e segg. e 20, comma II, della legge 415/98" che, più esattamente, è la c.d. Merloni-ter che ha innovato la L. 109/1994.
Che non prevalga mai il nomen del servizio in
quanto tale, al fine di definire l’afferenza della concessione ai lavori
pubblici ovvero al pubblico servizio, ciò è confermato dall’esperienza
statistica della finanza di progetto ex artt. 37-bis e segg. della
L. 109/1994. Si tratta del project financing oggi più sperimentato in
Italia.
Sempre è stato pacifico che la gestione dell’illuminazione votiva – pur
costituendo oggettivamente quest’ultima un servizio pubblico locale – sia
stata affidata nell’àmbito di una concessione di lavori, in quanto la funzione
prevalente era quella di avere la doppia opera pubblica, principale ed
accessoria: il nuovo cimitero, con annesso nuovo impianto.
Non si può incidentalmente trascurare, proprio per quanto riguarda la
concessione di pubblico servizio, l’art. 3, comma 8 della L. 415/1998 (c.d.
Merloni-ter): "alle concessioni di servizi pubblici si applicano, ove
compatibili, le disposizioni di cui all’art. 19, comma 2-bis, della legge
n. 109".
La L. 109/1994, art. 19, comma 2-bis, così tra l’altro recita: "norme
legislative e regolamentari che stabiliscano (…) nuove condizioni per
l’esercizio delle attività previste nella concessione, qualora determinino una
modifica dell’equilibrio del piano, comportano la sua necessaria revisione da
attuare mediante rideterminazione delle nuove condizioni di equilibrio, anche
tramite la proroga del termine di scadenza delle concessioni, ed in mancanza
della predetta revisione il concessionario può recedere dalla concessione. (…)
Nel caso di recesso del concessionario si applicano le disposizioni
dell’articolo 37-septies, comma 1, lettere a) e b), e comma
2".
Cioè il concessionario, in mancanza di revisione a proprio favore, può
esercitare il diritto potestativo di recedere dalla concessione. In tal caso gli
sono rimborsati: 1) i costi effettivi sostenuti (se l’opera non è stata ancora
collaudata), o il valore delle opere realizzate più gli "oneri accessori" al
netto degli ammortamenti; 2) penali e costi sostenuti o comunque certamente da
sostenere a seguito della risoluzione.
In sostanza, questo significa che anche il concessionario di pubblico
servizio gode già ex lege, a prescindere dalla mancata previsione
contrattuale, del diritto del "perseguimento dell’equilibrio economico
finanziario degli investimenti" (cit. comma 2-bis, primo periodo). Tale
diritto per converso, costituisce anche oggetto di un interesse pubblico, in
relazione sia al fatto primario che il pubblico servizio stesso venga (traslativamente)
effettivamente reso e che venga reso inoltre in condizione di ottimalità
di standard qualitativo.
Il richiamo normativo qui operato all’art. 3, comma 8 della L. 415/1998 ha
un senso essenziale, non tanto perché si tratti di norma tuttora vigente, ma
soprattutto perché conferma ad abundantiam che, qualora trovi
applicazione la fattispecie di cui al D.Lgs. 267/2000, art. 113, comma 15-bis,
primo periodo ("Nel caso in cui le disposizioni previste per i singoli settori
non stabiliscano un congruo periodo di transizione, ai fini dell’attuazione
delle disposizioni previste nel presente articolo, le concessioni rilasciate con
procedure diverse dall’evidenza pubblica cessano comunque e non oltre la data
del 31 dicembre 2006, senza necessità di apposita deliberazione dell’ente
affidante"), trova applicazione anche l’art. 35, comma 7, della L. 448/2001,
così come modificato dall’art. 14, comma 3, della L. 326/2003 (di conversione
del D.L. 269/2003): "Le imprese concessionarie cessanti al termine
dell’affidamento reintegrano gli enti locali nel possesso delle reti, degli
impianti e delle altre dotazioni utilizzati per la gestione dei servizi. Ad
esse è dovuto dal gestore subentrante un indennizzo stabilito secondo le
disposizioni del comma 9 dell’articolo 113 del (…) testo unico di cui al decreto
legislativo n. 267 del 2000 (…)".
Così recita il D.Lgs. 267/2000, art. 113, comma 9, secondo e terzo periodo:
"Sono, inoltre, assegnati al nuovo gestore le reti o loro porzioni, gli impianti
e le altre dotazioni realizzate, in attuazione dei piani di investimento di cui
al comma 7, dal gestore uscente. A quest’ultimo è dovuto da parte del
nuovo gestore un indennizzo pari al valore dei beni non ancora ammortizzati,
il cui ammontare è indicato nel bando di gara".
2. Analisi di una fattispecie reale: il servizio di illuminazione votiva come contenuto oggettivo di una concessione in primis di lavori.
La fattispecie reale che si esamina rinvia a un rapporto concessorio che si è formato nel tempo e che spiega tuttora la sua efficacia.
La prima deliberazione consiliare reca nell’ordine i seguenti contenuti:
La convenzione stipulata a seguito della predetta deliberazione reca nell’ordine i seguenti contenuti:
Emerge, in tutta oggettiva evidenza, che il concessionario ha eseguito anzitutto un’opera pubblica-impianto prima inesistente.
La convenzione stipulata a seguito di seconda
deliberazione, reca il seguente contenuto:
"prorogare (…) la scadenza (…) della concessione (…) per la esecuzione
dell’impianto e per la gestione del servizio di illuminazione elettrica votiva
(…). Per contro la Società concessionaria dovrà provvedere, a sue cure e spese,
all’estensione dell’impianto per la illuminazione elettrica votiva delle
sepolture, alla parte nuova dei cimiteri comunali".
Qui addirittura l’articolo di convenzione (il cui schema è stato
predisposto e deliberato dal Comune) è talmente orientato a parlare proprio e
solo di "estensione dell’impianto", cioè di esecuzione anzitutto di una nuova
opera pubblica, che si omette del tutto di aggiungere quella che appare una
clausola di stile: "e relativa gestione"!
La convenzione, stipulata a seguito di terza e di quarta deliberazione consiliare, reca nell’ordine i seguenti contenuti:
La cit. premessa di narrativa appare ante litteram
l’enucleazione dei principii di cui alla L. 109/1994, art. 37-septies,
comma 1.
Inoltre, con l’art. 2 di convenzione, continuandosi a parlare di concessione
di esecuzione e gestione, si affida ancora chiaramente (per la terza volta)
l’esecuzione di nuove opere pubbliche, ciò che rende necessario – al fine del
rientro dall’investimento – la dilazione nel tempo dell’unico rapporto
contrattuale (al fine di consentire al concessionario-esecutore dei lavori di
remunerarsi adeguatamente con i proventi derivanti dalla gestione del pubblico
servizio, connesso alla nuova opera pubblica).
Da notare che, se si fosse trattato di affidare la concessione di un
servizio, le ipotesi contrattualmente considerate sarebbero state diverse: ad
esempio, "concessione per la gestione del servizio di illuminazione votiva
elettrica e per la manutenzione degli impianti", ovvero "concessione per la
gestione del servizio di illuminazione votiva elettrica e per l’adeguamento
degli impianti alla L. 46/1990", ovvero ancora "concessione per la gestione del
servizio di illuminazione votiva elettrica e per l’esecuzione di lavori
accessori all’impianto già esistente".
Le conclusioni da trarre per la fattispecie reale esaminata sono le seguenti.
3. Elementi oggettivi per la configurabilità preferenziale del servizio di illuminazione votiva come oggetto di una concessione di lavori.
Va resa un’oggettiva differenza della concessione di
illuminazione votiva rispetto alla gestione di impianti di diversa tipologia,
quali, ad esempio, quelli inerenti ai servizi pubblici di distribuzione di
gas-metano ovvero di acqua potabile. Gli impianti generali di questi ultimi,
proprio per intrinseca caratteristica, nel periodo gestionale concesso non
subiscono quasi mai interventi straordinari di rilievo.
Al contrario, l’impianto di illuminazione votiva elettrica sopporta, per
struttura e contingenza del luogo dove insiste, continue manomissioni e rotture
delle linee principali. Statisticamente, secondo il criterio dell’id quod
plerumque accidit, nel corso della gestione il concessionario è
continuitativamente necessitato a porre in essere lavori di rifacimento
completo dell’impianto (ovvero di sue larghe porzioni). Tali lavori sono
originati da massicce esumazioni, da tumulazioni, dal riposizionamento dei
viali, ovvero da altre cause legate a determinazione del soggetto concedente.
Non si tratta soltanto, dunque, della semplice sostituzione della lampadina
bruciata o del portalampada usurato nel tempo, questo è il punto.
Ai lavori primari, riferiti alla costruzione vera e propria dell’impianto,
si accorpa quindi una rilevante e persistente quantità di lavori straordinari
rispetto al mero profilo della gestione (che di fatto si riduce al
lavoro di ufficio della riscossione annuale del cànone e alla conservazione del
registro degli utenti…).
Ora, anche se per principio comunitario quello della prevalenza quantitativa
dei lavori sul servizio non può certamente costituire criterio dirimente della
questione principale, è tuttavia vero che, quando alla prevalenza quantitativa
stessa si accompagna anche quella funzionale – far eseguire lavori pubblici
che nel contempo danno sia l’offerta al pubblico del servizio, sia la
remunerazione di chi esegue i lavori stessi senza soluzione di continuità –
diventa ipotizzabile la naturale configurabilità del servizio di
illuminazione votiva come oggetto di una concessione appunto di lavori.
Per riprendere la parametrazione empirica di inizio paragrafo, mentre nella
costruzione di impianti di gas-metano o di acqua potabile – una volta operati
l’interramento e l’asfaltatura delle strade sotto le quali insistono le linee
principali – solo in casi eccezionali occorrono nuovi lavori, nell’illuminazione
votiva è proprio la caratteristica del luogo a richiedere invece, naturaliter,
un continuum di lavori pubblici in senso proprio.