Online Utenti Main site mappa sito pagina gratis e-mail gratis guadagna blog (?)
 goto english version
translate
Home
Aggiorna pagina
Aggiungi ai preferiti
Cerca nel sito
Aggiungi link a
questa pagina
Pagina iniziale
Guestbook
Stampa pagina
contatta AOL - ICQ
Compra da
Astalalista
Inserisci annuncio
Aggiungi Link
Dì ad un amico
di questo sito
Aiuta la battaglia contro lo Spam!
powered by astalalista
Random Link!
Hosted By
HostedScripts.com
preleva - bambini - incontri - meta - altre

CUCCHI Francesco Luigi - pagina 6


indietro

20. - La morte di Garibaldi .
Il 2 giugno del 1882 si spegneva a Caprera Garibaldi . L'uomo che compendiava nella sua persona le aspirazioni, le grandezze e le realizzazioni di un'epoca, spariva dalla scena politica quando ormai il Risorgimento della nazione era quasi intieramente compiuto.
I suoi fidi, tra i quali il Cucchi, al primo annunzio non sembravano credere alla sua scomparsa; per loro Garibaldi era più di un uomo, più di un condottiero, più di un eroe: il simbolo vivente della Patria, la grande anima democratica della nazione, l'espressione autentica e genuina del popolo italiano risorto a vita libera e civile.
Quantunque, Garibaldi , gravato dagli anni e afflitto da malattie, si fosse appartato, negli ultimi anni, dalla vita politica ( 1 ), rimaneva ancora, per l'aureola di gloria del suo nome, il capo morale e la guida illuminata di coloro che con lui avevano combattuto le battaglie fortunose della liberazione e credevano ad una continuazione, sul piano morale e sociale, della lotta per l'affrancazione del Paese dai malanni che l'affliggevano.
Il prestigio della sua eccezionale personalità, nonché sminuire cogli anni, era andato crescendo nella misura che gli uomini politici si erano dimostrati incapaci di esprimere e tradurre in pratica i sogni, le speranze e gli ardori patriottici degli italiani. Repubblicano per convinzione e monarchico per necessità, religioso d'ispirazione e anticonfessionale di volontà, nazionalista nell'azione e cosmopolitico nel pensiero, umanitario e individualista, libertario e autoritario, spirito pratico ed utopista insieme, Garibaldi riassumeva, nell'unita del suo essere, le antinomie e le contraddizioni degli uomini del suo tempo che in lui trovavano rispecchiata tanta parte delle loro anime agitate e tormentate.
La sua scomparsa lasciò perciò un vuoto incolmabile, diffuse intorno un senso di scoramento e di sconforto come una grave calamità avesse colpito l'Italia. Una calamità irrimediabile come la sua morte.
A Caprera, mentre le spoglie mortali dell'Eroe giacevano ancora insepolte, affluirono, in mesto pellegrinaggio, amici ed autorità.
Anche il nostro Cucchi, accompagnato dal fratello, accorse a rendere l'estremo omaggio al grande Capo. Il fratello Luigi, a nome della città di Bergamo, firmò l'atto di morte che sottoscrissero i rappresentanti di tutte le città italiane ( 2 ).
Fu l'ultimo sbarco del Cucchi a Caprera ed egli avrà ricordato le innumerevoli volte che, vivo il Condottiero, era sceso nell'isola per recare un'ambasciata, ricevere un ordine, sentire una parola di incoraggiamento o di sprone, di plauso o di rampogna. La vita intera di Garibaldi , come in una visione sola, sarà passata davanti alla memoria evocatrice di lui, nelle sue ore più decisive e nei suoi aspetti più segreti, nelle sue grandezze e nelle sue miserie.
Qui, sulla tomba di Garibaldi , egli avrà promesso a se stesso d'essere un degno discepolo del grande maestro, un fedele continuatore della sua opera e di agire al fine stesso che si era proposto negli ultimi anni: cioè alla redenzione sociale del Paese, al trionfo degli ideali del partito d'azione sul piano politico.
Ed egli si mise tosto all'opera per raggiungere il nobile scopo che si era prefisso.
Con Depretis , al potere, la causa garibaldina non poteva dirsi trionfante: troppi gli accomodamenti, le transazioni, le rinunce.
Stavano anzi attenuandosi perfino le diversità ideologiche fino a sparire in un anodino e grigio conformismo politico. Cucchi non potò accettare una situazione che si risolveva in un vero tradimento verso l'ideale a mero vantaggio di alcune persone più abili che valenti, più ambiziose che capaci di interpretare l'anima risorgimentale della nazione, e si mise in moto per appoggiare quelle persone che riteneva degne della grande missione morale da compiere.
Egli diventò così uno dei fautori dell'elezione al governo di Francesco Crispi .

21. - La Sinistra al potere.
Soltanto con l'avvento al potere di Francesco Crispi , Cucchi può considerare di aver raggiunto la mèta che si era prefissa: aver portato al Governo, non soltanto un compagno di partito, ma un commilitone, un tipico esponente della generazione garibaldina, il liberatore della Sicilia, l'uomo che aveva trascinato, con il suo entusiasmo lo stesso Garibaldi , verso l'inosabile. Dal 1887 al 1890, con limitata parentesi dei due ministeri Rudini (1891-1892) e Giolitti (1892), il Crispi ebbe la direzione del Governo e impresse alla Nazione intera un'anima nuova, fatta di energia e di ardimento, di vitalità  e di rinnovate aspirazioni alla grandezza. Con Crispi la rivoluzione garibaldina e giunta al potere, con le sue virtù e con le sue debolezze, con i suoi pregi ed i suoi difetti, ed il processo fatale della storia di tutta un'epoca si chiude con lui, di un'epoca romantica in cui tutti i sogni si erano realizzati, in cui l'Italia era divenuta libera e indipendente e si apprestava a svolgere il suo particolare ruolo nel consesso delle nazioni, quel ruolo che fu chiamato idealmente la sua « missione » nel mondo. Sorta « non soltanto per sè ma per il mondo » a libertà, come auspicarono i precursori del Risorgimento, l'Italia, con Crispi , fa il primo esperimento di una politica di espansione; esperimento infelice sulle sue realizzazioni pratiche, ma il cui contenuto è stato e rimane, nell'intenzionalità di chi lo volle e lo perseguì, di serio impegno e di indubbia grandezza.
E questo periodo coincide colla maggiore attività politica diplomatica e sociale del nostro Cucchi. Se non è propriamente al Governo, egli governa attraverso gli amici più fedeli e più cari: Giuseppe Zanardelli, che fu più volte Ministro di Grazia e di Giustizia, degli Interni ed infine Capo del Governo (1901), Giulio Adamoli, l'amico dell'insurrezione del '67, che fu Sottosegretario agli Esteri nel secondo Gabinetto Crispi .
Francesco Crispi , quale Capo del Governo, si impegnò subito a risolvere quelli che erano i problemi di fondo della nazione, imprimendo una nuova direttiva alla politica interna ed estera dell'Italia.
Nella politica interna rinnova l'amministrazione con la riforma della legge comunale e provinciale, con l'istituzione del Sindaco elettivo e del Presidente della Deputazione provinciale, con l'istituzione della quarta sezione del Consiglio di Stato, promulga un nuovo Codice Penale, unifica la Cassazione, regola l'ammissione alla magistratura; il senso dello Stato e della Legge, e l'autorità sotto la sua guida, acquistano nuovo prestigio.
Nella politica estera, dopo l'accostamento agli Imperi centrali con la triplice alleanza, stipulata nel '82 dal Depretis e dal Di Robilant , Crispi rinsalda l'amicizia con la Prussia per neutralizzare l'ostilità, tradotta in offensiva economica, della Francia ai nostri danni.
All'uopo nel 1° ottobre del 1887 egli ha con Bismarck i celebri colloqui di Friedrichsrhue, colloqui nei quali Bismarck chiede notizie del nostro Cucchi. Questi colloqui servirono a scongiurare qualsiasi manovra avventata della Francia contro l'Italia e portarono ad una convenzione militare italo-germanica, firmata il 1° febbraio 1888 a Berlino tra gli Stati Maggiori delle due Potenze. A tutte queste trattative non deve essere stato estraneo il Cucchi che fu il più informato consigliere militare del Crispi , tanto o vero che nel luglio del 1889, quando si temette di un attacco in forze alla frontiera italiana e di uno sbarco di truppe francesi sulle coste meridionali, il Crispi scelse proprio il Cucchi, come suo ambasciatore straordinario, per inviarlo a Berlino presso Bismarck.

22. - Missione in Germania contro gli ultramontani francesi.
Era la terza volta che il Cucchi si recava dal grande Cancelliere germanico, che, dopo aver provocato vari conflitti in Europa, ora si faceva paladino della pace, di una pace assicurata da una sapiente rete di alleanze, di contrappesi e garanzie costituenti tra loro uno stabile equilibrio tra le Potenze.
Una siffatta pace era nell'interesse stesso della Germania che, attorno alla Prussia, stava costituendo una grande nazione unitaria nel corpo stesso di quello che era stata la Confederazione germanica. La missione del Cucchi trovava in verità terreno favorevole e Bismarck era pronto a minacciare l'intervento tedesco in un eventuale tentativo francese di rompere a proprio vantaggio l'equilibrio europeo.
Cucchi arrivò a Berlino il 20 luglio, 23° anniversario di Bezzecca. Egli ricorda questa felice coincidenza in una lettera al fratello Luigi che con lui in questa battaglia si era gloriosamente distinto.
A Berlino ha colloquio con Von Holstein, Ministro della Guerra, con Ebert Bismarck e Very Da Venois, Ministro della Guerra.
Il Principe, nella sua residenza, al Castello di Varzin, viene avvertito telegraficamente dal figlio dell'arrivo di Cucchi e si appresta a riceverlo la sera del giorno dopo. Rimane ospite di Bismarck per due giorni « in mezzo a mille cortesie » come scrive il 24 al fratello ( 3 ).
Fanno gli onori di casa la moglie del Principe e la di lui figlia contessa di Rantzau con il marito. Il Cucchi ha la possibilità di parlare a lungo con il Principe e la conversazione tocca i più svariati argomenti. Bismarck non crede che sia imminente un attacco della Francia all'Italia: le sue informazioni Io escludono.
Anzi aggiunse — rivelando il suo stato d'animo, d'allora — di rifituarsi di credere che potesse esistere in Europa una nazione o un Capo di Governo « così demente da assumersi la responsabilità di una guerra, che — oggi — coi formidabili mezzi di distruzione, rappresenterebbe la rovina dello stesso vincitore ». I Principi, in
in quei giorni, gli parlarono anche del loro viaggio di nozze in Italia, nel 1847, quando visitarono anche Bergamo. E di Bergamo dissero di serbare un grato ricordo: rammentavano di aver veduto la città in un grande movimento festivo (era la stagione della fiera) ( 4 ).
Quando il Cucchi lasciò il Castello di Varzin, con le sue grandi querce annose, sapeva di aver lasciato non soltanto un prezioso alleato d'Italia, ma anche un amico sincero.
Ritornato a Berlino si appresta a scrivere una lettera a Crispi . Più che una lettera o una vera relazione diplomatica, circonstanziata e precisa, della situazione politico-militare di quel tempo, testimonio nella lucidità mentale del nostro e del suo acuto spirito di osservazione ( 5 ).
Crispi , che nel suo irrequieto temperamento era portato ad essere pessimista della situazione internazionale e a drammatizzare i fatti, dopo le parole del Cucchi, si tranquillizza e pensa al modo di rafforzare la triplice per scongiurare qualsiasi altra possibile impresa della Francia, anche coloniale, ai danni della nazione.
Egli ha tanta fiducia nella perspicacia del suo collaboratore che gli propone la nomina a Ministro plenipotenziario d'Italia a Berna ( 6 ). Ma Francesco Cucchi non accetta l'incarico: egli è di quegli uomini che rifuggono istintivamente dagli onori, che preferiscono più essere potenti che apparirlo di fronte agli altri. L'influenza, in politica, infatti, non è direttamente proporzionale alle pubbliche cariche ricoperte, ma alla personale possibilità di influire con il proprio consiglio e di imporsi con la propria autorevolezza. E' sempre l'intimo spirito degli uomini superiori che prepara e guida gli eventi storici non le macchine esterne, per quanto potenti, o i cosiddetti moderni « apparati di partito » che ricevono e rasmettono, spesso supinamente, soltanto ordini di scuderia impartiti dai capi.

23. - L'europeo.
La carica di rappresentante diplomatico a Berna oltre che essere meritata sarebbe stata per il Cucchi l'occasione favorevole dove avrebbe potuto manifestare i talenti di cui era dotato ed allargare su più vasto orizzonte quella missione di italianità che fu la costante mira della sua vita.
Egli operò infatti sempre in funzione di una visione unitaria europea, in cui le nazioni, pervenute a maturità attraverso la riconquistata indipendenza dalle tirannidi autocratiche e dittatoriali, avrebbero potuto godere, nella libertà, i frutti di una vita evoluta e civile.
Nella politica interna come nella politica estera egli fu coerente a questa idea. Garibaldi , nel romanzo « Clelia », parla di lui, come di una delle più squisite individualità della rivoluzione ( 7 ).
Ma di quale rivoluzione egli fu veramente l'espressione vivente? In vero la cosiddetta « rivoluzione garibaldina » non ebbe un significato univoco e coerente e si incentrò più sulla persona di Garibaldi che sulle sue idee.
La rivoluzione, a cui il Cucchi si mantenne fedele, nel pensiero e nelle opere, fu quella democratico-liberale. Infatti il « garibaldismo » nella sua forma più autentica, non è stato se non un moto di affrancazione di uomini e popoli, sulla via della civiltà, cioò un moto democratico, nel senso concreto della parola. E democratico fu il moto garibaldino in quanto e nella misura in cui non si limitò ad isterilirsi in vacuo parlamentarismo ma aspirò a tradursi, ed in effetti si tradusse, attraverso la conquista del suffragio universale, in una diretta partecipazione del popolo al Governo. Partecipazione che non fu soltanto formale ed astratta, ma concreta e morale, cioè un impegno costruttivo di Governo non limitato ad un solo popolo ma esteso alla comunità dei popoli civili. Operando per l'assetto democratico-liberale della nazione italiana nella sua strutturazione e nei suoi organismi funzionali, il Cucchi lavorò non soltanto per la liberazione della sua Patria, ma di tutte le Patrie.
Ebbe infatti amici di ogni nazionalità, e aiutò, per quanto le circostanze lo comportassero, nella loro lotta di liberazione, i Greci, come gli Ungheresi, i Serbi come i Croati.
Nella sua vita parlamentare egli si fece promotore di un disegno di legge per la concessione della naturalità italiana al grande patriota ungherese Luigi Kossuth ( 8 ) e si battè ancora perché al Türr fosse riconosciuta la cittadinanza italiana ( 9 ). La cittadinanza di un Paese, per lui, doveva essere considerata prima che un diritto costituzionale un premio da concedere a chi avesse saputo meritarla combattendo per la libertà di un popolo, per quella libertà che è una forma universale e civile, una categoria morale da riconoscere e rispettare ovunque.
Egli non teorizzò intorno alla libertà ed alla sua specie, ma fece di più, operò per essa. Fu uomo d'azione più che di pensiero, ma un uomo in cui l'ardimento si congiunse mirabilmente ad una fede ideale.
Potremo dire che la fede ideale e la concezione politica, cui il Cucchi si ispirò in tutta la sua vita, e quella che, con felice intuito dell'avvenire, gli additava Stefano Türr , il suo commilitone di un tempo, in una lettera da Parigi, del 14 marzo 1888 con unita una sua intervista, pubblicata sul giornale « Egyetértés
» di Budapest: la unificazione degli Stati europei. Dopo aver identificato nella « unita e libertà delle nazioni » la divisa dell'Occidente civile e deprecato che questo principio fosse stato tradito, sia da Napoleone che mentre aveva aiutato gli italiani a realizzare l'unificazione della loro Patria impedì poi di portarla a compimento opponendosi con la forza all'occupazione della loro capitale, sia da Bismarck che l'adoperò per creare la grande Germania a scapito di territori francesi, il Türr esortava i Paesi ed i popoli europei ad unirsi tra loro in concordia per non essere domani preda della Russia o della Prussia o della nuova Potenza americana che oltre i mari andava sviluppando i suoi traffici, con queste parole che non hanno perso neppure oggi d'attualità : « Quale esempio quello dei piccoli Stati greci dell'antichità che si confederarono  e congiunsero tra loro gli eserciti per opporre una infrangibile barriera alle masse di Dario e di Serse, arrestando così le forze riunite di tutta l'Asia. Speriamo che l'Europa Io sappia seguire per respingere l'invasione russa. Per l'Europa, sia che fosse la supremazia della Russia o quella della Prussia, sarebbe sempre la sua rovina. Al contrario la salvezza o l'unione degli Stati europei in una comune economia politica ».
Nel 1896 il Cucchi è presente a Budapest all'inaugurazione del VII Congresso internazionale per la pace, presieduto dal generale Türr , accompagnato dalla superba bellezza ventenne di sua figlia Paola.
Il Cucchi ha ormai chiuso la sua operosa giornata di combattente per la libertà, l'animo suo anela veramente ad una pace universale in cui gli uomini come le nazioni, affratellate finalmente nel godimento dei comuni diritti, sappiano garantire a tutti, nel progresso, un alto tenore di vita spirituale e civile.
Stefano Türr , in quel Congresso, ebbe parole di alto e nobile sentire: « Ci chiamano utopisti perché giriamo il mondo predicando la pace. E sia: utopisti, ma a fin di bene; utopisti, ma per impedire, se possibile, che le conquiste del progresso vengano quasi esclusivamente rivolte alla distruzione degli uomini. D'altronde quante utopie non sono diventate realtà! Basta interrogare la storia dei nostri singoli Paesi per persuadersi ».

24. - L'umanitario.
Se il Cucchi aveva preciso il concetto della politica da seguire, non volle però intraprendere una carriera diplomatica, come, in effetti, non perseguì neppure una carriera politica.
Idealista di temperamento, egli sdegnò le carriere tutte, come spoglie inutili, come effimere apparenze, vuote forme senza contenuto.
Arrivò perfino ad essere sdegnoso degli stessi onori che pur si meritò per il suo ardimento e per le sue civili virtù: rifiutò le medaglie al valore, come tutte le altre onorificenze che gli vennero offerte.
Anzi egli era profondamente convinto che tali distintivi dell'onore servissero più a soddisfare la vanità degli uomini che a compensarne i meriti, fossero idonei, cioè più a corrompere che a moralizzare. Giunse anche a rifiutare, verso l'età matura, lo stesso mandato elettorale, tanto che nell'ottobre del 1890, deciso a non più presentarsi al suffragio degli elettori, propose a suo successore nel Collegio di Sondrio, il grande poeta romagnolo Giosuè Carducci. Ma Carducci, altrettanto sdegnoso di onori, scrisse e fece pubblicare la seguente dichiarazione -
« Non credo possa mai toccarmi un onore più grande e più caro che l'essere come designato da Francesco Cucchi ai voti del Collegio di Sondrio. Ma io conosco e stimo il bravo popolo di Valtellina tanto, da esser certo che esso non permetterà mai al veterano di tutte le patrie battaglie, al nobilissimo cittadino, di ritirarsi dagli offici politici nei quali egli onora la Patria e la Patria onora lui.
La vita di Francesco Cucchi fu e deve essere sempre e tutta devota all'Italia,
Roma, 31 ottobre 1890 » ( 10 ).
Ma Cucchi persistette nella sua rinuncia. Venne però, sotto il Governo Giolitti, proposto e nominato senatore il 10 ottobre del 1892 e in tale carica rimase fino alla morte in modo che il voto espresso dal poeta romagnolo, ebbe lo stesso ad avverarsi: il Cucchi fino alla morte fu al servizio della nazione.
Ed il servizio alla nazione egli l'intese e lo concepì in maniera particolarmente nobile : essere sempre pronto a servire i concittadini, il prossimo, tutti coloro che a lui si rivolgessero per ottenere un consiglio od un aiuto. Chi ha avuto occasione di far ricerche tra le sue carte personali sa quale e quante furono le pratiche, le suppliche, le raccomandazioni da lui inoltrate a ministri, ad uffici e autorità sempre in favore di povera gente, per sollecitare la pensione di una vedova o per aiutare la promozione di un combattente dimenticato o di un fedele impiegato senza mezzi o di umili lavoratori abbandonati. Tutti trovarono, nel suo grande cuore, una corrispondenza pronta, devota, disinteressata. E mentre  con i suoi consigli aveva fatto la fortuna degli amici e dei conoscenti, egli si era spogliato di tutto il suo per arricchire la Patria.
Così non solo prodigò tutte le sue forze morali per la causa della libertà della sua nazione e delle nazioni sorelle, ma anche consumò e profuse le sue sostanze private e lo stesso patrimonio avito fino a ridursi in estrema povertà. Non volle neppure essere indennizzato per le sue pubbliche prestazioni. Infatti quando Vittorio Emanuele II si offerse di fargli rimborsare tutte le spese sostenute di tasca propria nelle sue lunghe e reiterate peregrinazioni per l'Europa, egli sdegnosamente rifiutò : se per altri la politica poteva tradursi in un lucro, per lui doveva essere e restare un'offerta, un sacrificio, un olocausto.
Mai nessuno forse maneggiò tanto danaro nel condurre a compimento le missioni segrete che gli furono affidate, ma nessuno fu come lui tanto parsimonioso e scrupoloso amministratore del pubblico denaro. I nemici osarono più volte insinuare dubbi su questa onestà diamantina, avanzare sospetti sul suo rigore morale, per colpirlo subdolamente nell'onore. Abbiamo delle parole di Garibaldi che sono un grido di ribellione a tanta viltà dei calunniatori e si traducono in una splendida esaltazione del Nostro :
« Mio caro Cucchi, a voi, anima antica, hanno voluto dare di ladro i ladri ed avete dovuto sorridere di compassione. Io vi amo e stimo come figlio e di voi vado superbo... sono per la vita vostra
G. Garibaldi . Caprera, 21 settembre 1869 » ( 11 ).
Quando scoppiò lo scandalo per il fallimento della Banca Romana di sconto, il Crispi venne accusato di aver raccomandato i suoi amici, tra cui il Cucchi ( 12 ), al Tanlongo, presidente della Banca per lo sconto di titoli di credito di favore. In verità si trattava di normali cambiali commerciali inerenti all'attività che il Cucchi svolgeva regolarmente come proprietario di un piccolo fondo di calce nei pressi di Roma ( 13 ).
A queste calunnie risponde la veramente squallida povertà in cui versò gli ultimi anni, quando avendo famiglia, dovette faticare non poco a sostenerla, lui che, come organizzatore furiere, aveva vettovagliato i Mille e, come mandatario segreto dei Governi, aveva amministrato patrimoni vistosi. Benché gli fossero stati offerti anche aiuti cospicui per superare le ristrettezze economiche egli costantemente li rifiutò. Valga, per tutti, l'esempio del suo parente genovese avvocato Domenico Cucchi, che non avendo prole maschile, volle con testamento regolare, rogato dal notaio Gaetano Gambara di Genova del 15 marzo 1803, istituirlo erede universale delle sue sostanze, perché i discendenti maschi di tanto nome avessero anche adeguati beni.
Quando nell'aprile del '73, a seguito della morte del testatore, venne al Cucchi comunicata per l'accettazione l'eredità, egli sdegnosamente la rifiutò a vantaggio dei parenti più prossimi del defunto: la moglie e le tre figlie ( 14 ).
Nè gli mancarono le disgrazie, nella sua vita familiare in Roma, dove in modesta e dignitosa dimora, soggiornò a lungo.
Si era sposato, in età maura, con Maria Ghidini, nel maggio del 1874 e da essa aveva avuto quattro figli di cui soltanto due gli sopravvissero: Paola e Mario; gli altri, due maschi, morirono, all'età di quattro e di cinque anni e furono, per il suo sensibile cuore, inconsolabili perdite.
Anche la moglie, fedele e silenziosa compagna della sua vita, morì immaturamente in Roma il 7 giugno del 1903, proprio quando il Cucchi, cagionevole di salute e quasi infermo per la ferita di guerra, aveva più bisogno di aiuto e di assistenza.
Passò, così, gli ultimi anni di sua vita ritirato ed in gravi angustie.
Talvolta raggiungeva Palazzo Madama per partecipare alle sedute parlamentari ed i romani di Transtevere, al suo passaggio, salutavano ed acclamavano al venerando superstite delle patrie battaglie, all'eroe del Risorgimento, al difensore inflessibile dei diritti del popolo. Si era stabilita tra questo vecchio, che conservò sino all'ultimo una lucidità e freschezza di mente giovanili, e l'umile popolazione romana dei quartieri poveri, un'ammirabile rispondenza di affetto, di vicendevole comprensione e di mutua stima.
Agli occhi del popolo il Cucchi rappresentava la grande epopea dimenticata dai governanti, l'espressione vivente dell'eroismo non ricompensato e disprezzato dall'italietta degli scandali, delle truffe e dei ricatti, che, immemore di una grande tradizione, andava impoverendosi ed isterilendosi, di giorno in giorno, in vuote logomachie ed in vane pompe.
E questo popolino, quando fu il momento di dimostrare la sua volontà, seppe, ancora una volta, ricompensare Francesco Cucchi, portandolo, con una plebiscito unanime, al Consiglio Comunale di Roma, in Campidoglio, come suo autentico rappresentante. Ma la forte fibra alpigiana e bergamasca, che aveva resistito a tante prove, piegò, all'età di 79 anni, il 1° ottobre del 1913, trovando nella morte, pace e liberazione ( 15 ).
L'ultima consolante visione che ammirarono i suoi occhi spegnendosi, fu la città di Roma, finalmente unita e restituita all'Italia, per cui egli aveva sofferto e combattuto in vita.
I funerali furono solenni: tutta Roma, autorità e popolo, accompagnarono Francesco Cucchi all'estrema dimora.
La sua salma venne composta, in umile tumulo, nel cimitero del Verano.
« La memoria della parte migliore della sua vita, che durerà nella storia del Risorgimento italiano, fa onoranda la sua tomba », disse Giuseppe Manfredi, Presidente del Senato, a chiusa dell'orazione funebre commemorativa, pronunciata in Senato, dopo aver inneggiato « al cospiratore contro l'Austria e i Borbonici », al « fido del gran Duce popolare », « al milite della libertà ».
La città di Roma volle erigergli un'erma che fu posta tra quelle dei prodi che circondano, degna scolta d'onore, il monumento di Anita Garibaldi, sul Gianicolo.
La sua Bergamo gli dedicava un monumento, proprio nel centro della città, monumento che venne inaugurato solennemente il 30 maggio del 1920, con discorsi celebrativi del senatore Attilio Rota e dell'onorevole Bortolo Belotti ( 16 ).
Ma l'altezza dell'ingegno del grande bergamasco, le sue eroiche virtù, il suo carattere indomito, il suo animo integerrimo, vivono e vivranno perenni nel Pantheon della Patria, accanto a Garibaldi , a Vittorio Emanuele II , a Giuseppe Mazzini , a Francesco Crispi , a Benedetto Cairoli , a tutti i maggiori artefici del nostro Risorgimento, cui egli debitamente appartiene nella storia e nella riconoscenza indefettibile degli Italiani ( 17 ).

PIERO CAPUANI
--------------
NOTE
(1) Garibaldi negli ultimi anni della sua vita, ormai invecchiato, veniva però guidato da alcuni amici, che cercarono di sfruttarne la popolarità per perseguire i loro disceni ambiziosi. A questo sfruttamento dell'Eroe a fini particolaristici, il Cucchi si ribellò, con sdegno e con veemenza, per mantenere incorrotti al suo Capo il prestigio e la fama. A tale proposito è significativa la lettera a lui indirizzata di Guerzoni da Padova il 20 settembre 188O, in cui allude sia ad una biografia in preparazione sulla figura di Garibaldi , sia alla penosa condizione di salute dell'Eroe.

« Carissimo amico,
rispondo subito e purtroppo no. Io degli sbandati a Talamone ne ricordo pochissimi, sia perchè io sbarcai solo dopo gli altri, sia perché sino al momento del combattimento non ebbi comando effettivo d'alcuna gente. Peròp se il Panserini potesse, con una testimonianza indiretta, con i segni od indizi rassicurare la mia coscienza io gli farei molto volentieri il certificato di cui abbisogna, che per questo è necessario che qualcuno dei suoi compagni che l'abbia realmente veduto e si ricordi lui sì me lo attesti; e s'intende da sé che il testimonio meriti fede.
Il mio Garibaldi va avanti: ho già superato la parte più difficile (il 1860) e ciò nonostante « il prometter lungo e l'attender corto » di quasi tutti i miei vecchi amici. E la botta, caro Checco, viene anche a te; come risale all'alto capo del nostro Benedetto [Cairoli]
L'altro Garibaldi poi, il vero — non quello di carta —, l'ho visto a Milano. Fa pietà!
Ed ho detto anch'io press'a poco come te che e una vera crudeltà sfruttarne a quel modo l'agonia!
Per che cosa poi? Per fare Canzio Presidente della Repubblica? Oh che giornata tragicomica sarà quella ! Addio, resto, con molta coda, ma con molto cuore il tuo aff.mo amico
GUERZONI ».
Giuseppe Guerzoni, mantovano di nascita, laureato in filosofia e lettere.
Perseguitato nel 1856 dovette esulare in Piemonte dove si dedicò all'insegnamento ed al giornalismo. Nel '59 si arruolò nei « Cacciatori delle Alpi ». Fu ferito e decorato al valore a San Fermo. Parti da Genova con Garibaldi e sbarcò a Talamone per seguire la seconda Spedizione Medici . Combatte a Milazzo dove guadagnò altra medaglia al valore e la promozione a maggiore. Sciolto a Napoli l'Esercito dei Volontari, passò alla politica. Fu segretario di Depretis e di Garibaldi ed onorevole al Parlamento. Prese parte alla Campagna del '66 e fu a Montana nel ‘67. Fu scrittore fecondo di libri storici, tra i quali eccelle la biografia di Garibaldi . Cfr.: L. RANGONI MACHIAVELLI, in « Dizionario del Risorgimento Nazionale », Vol. III, Vallardi, Milano, 1933, pag. 278.
Stefano Canzio, a cui allude il Guerzoni nella sua lettera, è genovese.
Nel 1859 militò tra i « Cacciatori delle Alpi » e partecipò alla Spedizione dei Mille nell'eletta schiera dei « Carabinieri Genovesi ». Fu ferito a Palermo.
Partecipò a tutte le imprese garibaldine: Sarnico, Aspromonte, Trentino. A Bezzecca si guadagnò la medaglia d'oro al valore militare. Comandò in Francia la 5° Brigata ed a Digione dimostrò eroico coraggio. Fu elevato da Garibaldi , di cui aveva sposato la figlia Teresita, al grado di Generale dei volontari.
Cfr.: E. MICHEL, in « Dizionario del Risorgimento Nazionale », Vol. II, Vallardi, Milano, pag. 526.
(2) Presso il Museo del Risorgimento in Bergamo si conserva ancora la penna con cui Luigi Cucchi vergò l'atto di morte di Garibaldi in Caprera.
(3) Le lettere citate fanno parte della raccolta delle lettere di F. Cucchi conservate dalla famiglia Cucchi in Bergamo.
(4) Intervista di Francesco Cucchi a Emilio Facili (Cimone) e pubblicata sul « Don Chisciotte » del 17 agosto 1898.
(5) Data l'importanza della lettera a Crispi , interamente riportata sul « Giornale d'Italia » e sulla « Stampa » del 3 ottobre 1913, segnaliamo i brani più significativi
« Riassumo i discorsi che ebbi col Principe. Non crede assolutamente alla possibilità di un attacco contro l'Italia, quale sarebbe indicato dalle tue informazioni ch'io ho riferito. Dice che tale fatto ecciterebbe l'indignazione del mondo civile.
La responsabilità d'aver provocata la guerra in Europa, con un fatto da briganti (testuale), costerebbe immensamente cara alla Francia.
Sarebbe il caso del finis Galliae (testuale), e ci vorrebbe ben altro che i cinque miliardi del 1871. Aggiunge che dal punto di vista puramente utilitario e materiale sarebbe quasi da desiderarsi questa pazza aggressione. Nelle alte sfere militari in Germania si preferirebbe la guerra subito, od alla prossima primavera, piuttosto che fra due anni, epoca nella quale la Francia avrà al completo i suoi quadri, gli armamenti e le fortificazioni... Tutto ciò dopo essersi premuniti in modo da non temere qualunque attacco dal lato della Russia; colla quale spera ancora il Principe che non si venga ad una rottura, od almeno che possa entrare nella lotta solamente dopo una prima sconfitta della Francia...
Il Principe ha fiducia non solo nella benevolenza dell'Inghilterra, ma nel suo concorso, qualora la Francia rompesse prima in guerra.
E' lieto di edere come tu coltivi abilmente l'amicizia inglese, senza badare se sia al potere Salishury piuttoso che Gladstone. Nel caso probabile di avere l concorso attivo dell'Inghilterra, l'azione delle tre flotte combinate paralizzerebbe ompletamente quella della flotta francese, obbligandola a rifugiarsi egli arsenali.
Molte idee del Principe sulla politica dell'Inghilterra, della Russia, dell'Austria e della Turchia, e sul contegno di queste Potenze nel caso di un primo attacco della Francia contro la Germania e l'Italia, oppure della Russia contro l'Austria e la Turchia, sarebbe troppo lungo esperie per scritto.
Ti riferirò a voce...
Il Principe non crede affatto alla partenza di Leone XIII da Roma. Per lui il prestigio del Papa proviene dalla storia e dalla tradizione di Roma, dai tesori e dalle pompe di San Pietro e del Vaticano. Fuori di Roma il Papa non li sembrerebbe più il rappresentante di una grande, potente, antica istituzione, come il cattolicismo, ma uno Schah di Persia qualunque in viaggio attraverso l'Europa a spese altrui. Per le Potenze cattoliche e per li stessa Francia, sarebbe un grande imbarazzo avere ospite il Papa. Mi disse che l'ambasciatore tedesco in Ispagna aveva giorni or sono telegrafato una notizia che il Papa era quanto prima atteso a Madrid. Il Principe rispose all'ambasciatore che gli proibiva di telegrafare simili bestialità (sic). Egli informato che anche da Vienna si consiglia al Papa a non muoversi da Roma, a meno che non gli si usassero violenze dalla piazza, il che, egli ne e conventissimo, tu non permetteresti ».
(6) Cfr.: « La Gazzetta di Bergamo del 23 novembre e del 3 dicembre 1889. Si parlò anche di una sua nomina a rappresentante dell'Italia nella Commissione Internazionale del debito pubblico egiziano, in sostituzione dell'on.le Morana che morì in quel tempo.
(7) « Cucchi da Bergamo, una delle più squisite individualità che la rivoluzione abbia dato all'Italia, bello, giovane, ricchissimo e d'una delle prime famiglie di Lombardia ». Cfr.: G. GARIBALDI , Clelia, ovvero Roma nel secolo XIX, F.lli Rechiedei, Milano, 1870, pag. 431.
(8) Cfr.: Atti Parlamentari della sessione 1887- -1888, pag. 1585.
(9) A dimostrazione dell'interessamento del Cucchi onde far riconoscere all'amico la cittadinanza, riportiamo due lettere di Stefano Türr , dove si appalesa il contrasto insorto tra lui e Garibaldi

« Caro Cucchi,
nella mia di ieri vi ho esposto che ho bisogno che sia dichiarato dal Ministero Esteri (se non l'ha già fatto) che io sono sempre rimasto italiano.
A me sembra Cialdini , che e geloso di tutti, avrà preso male anche la raccomandazione che gli fu fatta dal Re di voler presentarmi al Maresciallo Mac Mahon e di raccomandargli caldamente il mio affare del Darien e perciò egli fece la domanda al Melegari se io delibo essere considerato come italiano o no. Povero Melegari non conoscendo nulla avrà sentito che io sono Deputato (poteva anche sentire clic mi hanno offerto di essere Ministro). Egli disse molti elogi sopra di me, ma per la suddetta qualità di Deputato ungherese io non posso essere considerato come italiano, dice Melegari... Oltre le raccomandazioni di ieri vi prego di parlare con

Depretis onde egli dica al ministro Mezzacano che io sia messo nella riserva avendo io presentato la mia dimissione colla facoltà di portare la divisa di tenente generale e di mantenere il titolo di aiutante di campo riconosciuto da S. M. cosi io posso ora essere messo nel numero della riserva. Non ho mai domandato nessuna riconoscenza, ma mi ha fatto pena di vedere la piccolezza di quel duce che deve il suo titolo a quelli che erano a Marsala, Palermo e Volturno ecc. La situazione è molto grave in Europa. Ed ora col mezzo clic ha enunciato il maresciallo non so se arriverà. Vi terrò informato. Salutatemi gli amici e credetemi ancora
vostro aff.mo
TURR .

P. S. —
Non vorrei avere ancora un incontro col Duce, giacché non rispondo di me, se avesse a dirmi che egli ha l'ordine di non riguardarmi come italiano.
Parigi, 22-VIII-1887 ».
« Caro Cucchi,
spero che sarete arrivato senza essere troppo sconquassato a Roma, se io avessi avuto la vostra lettera a Dieppe presto non vi avrei detto di venire, ma io spero che potrete far qualche cosa con la conversione dei titoli turchi, e poi su la ferrovia Renifeld; peraltro l'amico Zanardelli dovrebbe aver un poco di riguardo per voi. E vostro fratello lo avete trovato?
Mi dispiace che durante la mia assenza il mio amico generale Seismit Doda è venuto a Pest di treno in treno, sarebbe bene se venisse qualcheduno degli amici italiani, e soprattutto del Parlamento. Fate venire se possibile uno dei Vice Presidenti. Se Crispi volesse muoversi questo sarebbe bene; insomma non bisogna troppo negligere gli amici; voi sapete, una conversazione potrebbe dissipare tante cose, ed io prometto, farci tutto per agevolare ogni cosa.
Avete visto Melegari, io mi contentavo. Anche egli mi informa con una sommaria lettera che il Ministro degli Esteri ha scritto all'Ambasciata a Parigi assicurandogli del mio diritto sulla cittadinanza... Ho scritto ed anche ricevuto lettera di Poujad. Porgo i miei saluti alla vostra cara signora, e con una stretta di mano sono
vostro aff.mmo

TURR .
P. S. — Scrivetemi e rimandatemi la lettera CHE vi ho scritto.
Buda Pest, 26-VIII-1877 - E' Gisela Platz ».
(10) La lettera autografa del poeta romagnolo è conservata nell'archivio della famiglia Cucchi in Bergamo.
(11) Lettera dell'archivio di famiglia Cucchi in Bergamo.
(12) G. CASTELLINI: Francesco Cucchi, op. cit., pag. 247.
(13) In una lettera del luglio 1893 ad un amico onorevole, in merito a questa calunnia, cosi scrive il Cucchi :
« Mi viene mostrato un giornaletto settimanale uscito ieri in Roma nel quale, in un primo elenco di sofferenze della Banca Romana, vedo pubblicato anche il mio nome sotto tre differenti titoli. Onde si veda quali influenze e tenebrosi maneggi siano stati in gioco a mio vantaggio ceco di che si tratta:
1°) L. 5.883,15. Quale proprietario di forni di calce io vendevo ai costruttori lombardi, Clauditi e Sforza, che sono abbastanza noti, tanta mercé per il valore di detta somma, a pagamento della quale mi rilasciavano un titolo cambiario che io presentava per lo sconto alla Banca Romana. Da quell'epoca (e rimontiamo a circa 15 anni or sono) io nulla più seppi, ne mi spettava occuparmi di tali titolo, che del resto era prettamente commerciale e non creato da me, ma tratto a mio favore per mercé affettivamente consegnata.
2°) L. 1.600 a carico principale del signor Placido Baccelli, al quale por rendere servizio, diedi la mia firma. Qui trattasi di un titolo tratta altro che da potersi dire insofferenza, perchè invece venne ed fu tenuto sempre dal vero debitore in perfetta regola, sia riguardo ad interessi che a graduale diminuzione.
3°) L. 1.943,30 a principale carico del signor Francesco Comini ex Deputato di Brescia, del quale sono amico, ma che si chiama Onorato e non Francesco e non ebbe mai con me affari cambiari di sorta.
Qui trattandosi di qualche granchio colossale del quale non saprei trovare Spiegazione alcuna, nulla mi e dato di poter contrapporre. Con i più cordiali saluti credimi ».
La lettera è conservata nell'archivio di famiglia Cucchi.
(14) La denuncia sottoscritta del Cucchi è la seguente:
» Io sottoscritto all'atto presente dichiaro di rinunciare ampiamente alle disposizioni testimentarie emesse a mio favore dall'avv.to Domenico Cucchi, abitante in Borgio, provincia di Genova, e redatto dal notaio Giovanni Gaetano Gambaro con suo rogito in data 15 marzo 1873. Detta rinuncia dichiaro farla in tutto vantaggio della moglie del testatore signora Gabriella Federici-Cucchi e figlie della stessa Luigia, Antonietta e Vittoria.
Firmato: FRANCESCO CUCCHI fu ANTONIO».
(Documento dell'Archivio della famiglia Cucchi in Bergamo).
(15) La « Neue Freie Presse » di Vienna del 9 ottobre 1913 così annunciava la morte del Cucchi -
« Die Menschen kummerten sich nicht um ihn under nicht um die Menschen, noch um ihre Intrigen und berechneten Erriengen. Nachdem er fur die Ehre und Freiheit Italiens sein Gut und Blut eingestanden war, an allen Kriegen teilnommen, sein vaterliches Vermógen dahingegeben hatte, so das Vaterland ihn darben. Der Tod hat ihn erlost ».
«Gli uomini non si occuparono di lui, nè egli si curò degli uomini, nemmeno si occupò dei loro intrighi e dei loro calcoli. Dopo che egli diede opera e sangue per la libertà d'Italia, prendendo parte ad ogni guerra ed offrendo tutto il suo avere, la Patria lo lasciò vivere nelle privazioni. La morte l'ha liberato ».
(16) Il testo dei discorsi è riportato sul giornale « Il Popolo », di Bergamo del 31 maggio 1920.
(17) Il presente studio biografico e stato condotto, in gran parte, su documenti inediti che ci sono stati offerti in esame, con squisita cortesia, dalla famiglia Cucchi. Di ciò siamo grati alla signora Carla Fagioli Bordogna ed alla contessa Piera Fagioli Bellavitis, pronipoti dell'illustre patriota. Dato l'interesse particolare della corrispondenza di Francesco Cucchi con il fratello Luigi, ci siamo permessi di riportare ampiamente dei brani nella speranza che le lettere del Cucchi possano un giorno essere tutte raccolte e pubblicate quali fonti d'importanti notizie storiche.
--------------

torna all'inizio
www.tuttonet.com - hits exchange
Alert Me When This Page Changes:
Powered by changeAlarm
Creato da: Astalalista - Ultima modifica: 25/Apr/2004 alle 12:38 Etichettato con ICRA
copyright © 2004 www.astalalista.tk
This page is powered by Copyright Button(TM).
Click here to read how this page is protected by copyright laws.


All logos and trademarks in this site are property of their respective owner.

Manda qualunque
commento al

Webmaster


Free-Banners

KingsClick Sponsor - Click Here
KingsClick-Your Website Deserves to be King