Capitolo settimo
DELLA MILIZIA
Ma, o regni il tiranno stesso, o regni il ministro, a ogni modo sempre i difensori
delle loro inique persone, gli esecutori ciechi e crudeli delle loro assolute volontà,
sono i mercenarj soldati. Di questi ve ne ha nei moderni tempi di più specie; ma tutte
però ad un medesimo fine destinate.
In alcuni paesi d'Europa si arruolano gli uomini per forza; in altri, con minor
violenza, e maggior obbrobrio per quei popoli, si offrono essi spontaneamente di perdere
la lor libertà, o (per meglio dire) ciò che essi stoltamente chiamano di tal nome.
Costoro s'inducono a questo traffico di se stessi, spinti per lo più dalla lor
dappocaggine e vizj, e lusingati dalla speranza di soverchiare ed opprimere i loro eguali.
Molti tiranni usano anche d'avere al lor soldo alcune milizie straniere, nelle quali
maggiormente si affidano. E, per una strana contraddizione, che molto disonora gli uomini,
gli Svizzeri, che sono il popolo quasi il più libero dell'Europa, si lasciano
prescegliere e comprare, per servir di custodi alla persona di quasi tutti i tiranni di
essa.
Ma, o straniere siano o nazionali, o volontarie o sforzate, le milizie a ogni modo son
sempre il braccio, la molla, la base, la ragione sola, e migliore, delle tirannidi e dei
tiranni. Un tiranno di nuova invenzione cominciò in questo secolo a stabilire e mantenere
un esercito intero e perpetuo in armi. Costui, nel volere un esercito, allorché non avea
nemici al di fuori, ampiamente provò quella già nota asserzione; che il tiranno ha
sempre in casa i nemici.
Non era però cosa nuova, che i tiranni avessero per nemici i loro sudditi tutti; e non
era nuovo neppure, che senza aver essi quei tanto formidabili eserciti, sforzassero
nondimeno i lor sudditi ad obbedire e tremare. Ma, tra l'idea che si ha delle cose, e le
cose stesse, di mezzo vi entrano i sensi; ed i sensi, nell'uomo, son tutto. Quel tiranno
che nei secoli addietro se ne stava disarmato, se gli sopravveniva allora il capriccio o
il bisogno di aggravare oltre l'usato i suoi sudditi, soleva per lo più astenersene;
perché mormorandone essi o resistendogli, pensava che gli sarebbe necessario di armarsi
per fargli obbedire e tacere. Ma ai tempi nostri, quell'autorità e forza, che il padre o
l'avo del presente tiranno sapeano bensì d'avere, ma non se la vedeano sempre sotto gli
occhi; quell'autorità e forza viene ora ampiamente dimostrata al regnante da quelle tante
sue schiere, che non solo lo assicurano dalle offese dei sudditi, ma che ad offenderli
nuovamente lo invitano. Onde, fra l'idea del potere nei passati tiranni, e la effettiva
realità del potere nei presenti, corre per l'appunto la stessa differenza, che passa tra
la possibilità ideale d'una cosa, e la palpabile esecuzione di essa.
La moderna milizia, colla sua perpetuità, annulla nelle moderne tirannidi l'apparenza
stessa del viver civile; di libertà seppellisce il nome perfino; e l'uomo invilisce a tal
segno, che cose politicamente virtuose, giuste, giovevoli, ed alte, non può egli né
fare, né dire, né ascoltar, né pensare. Da questa infame moltitudine di oziosi soldati,
vili nell'obbedire, insolenti e feroci nell'eseguire, e sempre più intrepidi contro alla
patria che contro ai nemici, nasce il mortale abuso dell'esservi uno stato di più nello
stato; cioè un corpo permanente e terribile, che ha opinioni ed interessi diversi e in
tutto contrarj a quelli del pubblico; e un corpo, che per la sua illegittima e viziosa
istituzione, porta in se stesso la impossibilità dimostrata di ogni civile ben vivere.
L'interesse di tutti o dei più, fra i popoli di ogni qualunque governo, si è di non
essere oppressi, o il meno che il possono: nella tirannide i soldati, che non debbono aver
mai interesse diverso da quello del tiranno che li pasce e che la loro superba pigrizia
vezzeggia; i soldati, hanno necessariamente interesse di opprimere i popoli quanto più il
possono; poiché quanto più opprimono, tanto più considerati sono essi, e necessarj, e
temuti.
Non accade nella tirannide, come nelle vere repubbliche, che le interne dissensioni
vengano ad esservi una parte di vita; e che, saggiamente mantenutevi ed adoprate, vi
accrescano libertà. Ogni diversità di interesse nella tirannide, accresce al contrario
la pubblica infelicità, e la universal servitù: e quindi bisogna che il debole per così
dire si annichili, e che il forte si insuperbisca oltre ogni misura. Nella tirannide
perciò le soldatesche son tutto, ed i popoli nulla.
Questi prepotenti, o siano volontariamente o sforzatamente arruolati, sogliono essere,
quanto ai costumi, la più vile feccia della feccia della plebe: e sì gli uni che gli
altri, appena hanno investita la livrea della loro duplicata servitù, fattisi orgogliosi,
come se fossero meno schiavi che i loro consimili; spogliatisi del nome di contadini di
cui erano indegni, sprezzano i loro eguali, e li reputano assai da meno di loro. E in
fatti, i veri contadini coltivatori nella tirannide si dichiarano assai minori dei
contadini soldati, poiché sopportano essi questa genia militante, che ardisce
disprezzargli, insultargli, spogliargli, ed opprimerli. E a questa sì fatta genia
potrebbero lievemente resistere i popoli, se volessero pure conoscere un solo istante la
loro forza, poiché si troverebbero tuttavia mille contr'uno.
E se tanta pur fosse la viltà degli oppressi, che colla forza aperta non ardissero
affrontare questi loro oppressori, potrebbero anche facilmente con arte e doni
corrompergli e comprarli; che quel loro valore sta per chi meglio lo paga. Ma da un sì
fatto mezzo ne ridonderebbero in appresso più mali; tra cui non è il menomo, il
ritrovarsi poscia fra il popolo una sì gran moltitudine d'enti, che soldati non
potrebbero esser più, e che cittadini (ove anco il volessero) divenir non saprebbero.
Vero è, che il popolo li teme e quindi gli odia; ma non gli odia pur mai quanto egli
abborrisce il tiranno, e non quanto costoro sel meritano. Questa non è una delle più
leggiere prove, che il popolo nella tirannide non ragiona, e non pensa: che se egli
osservasse, che senza codesti soldati non potrebbe oramai più sussistere tiranno nessuno,
gli abborrirebbe assai più; e da quest'odio estremo perverrebbe il popolo assai più
presto allo spegnere affatto cotali soldati.
E non paja contraddizione il dire; che senza soldati non sussisterebbe il tiranno, dopo
aver detto di sopra, che non sempre i tiranni hanno avuto eserciti perpetui.
Coll'accrescere i mezzi di usare la forza, hanno i tiranni accresciuta la violenza in tal
modo, che se ora quei mezzi scemassero, verrebbe di tanto a scemare nei popoli il timore,
che si distruggerebbe forse la tirannide affatto. Perciò quegli eserciti, che non erano
necessarj prima che si oltrepassassero certi limiti, e prima che il popolo fosse
intimorito e rattenuto da una forza effettiva e palpabile, vengono ad essere
necessarissimi dopo: perché natura dell'uomo è, che chiunque per molti anni ha avuto
davanti agli occhi e ceduto ad una forza effettiva, non si lasci più intimorire da una
forza ideale. Quindi, nel presente stato delle tirannidi europee, al cessare dei perpetui
eserciti, immantinente cesseran le tirannidi.
Il popolo non può dunque mai con verisimiglianza sperare di vedersi diminuito o tolto
questo continuo aggravio ed obbrobrio, dello stipendiare egli stesso i suoi proprj
carnefici, tratti dalle sue proprie viscere, e così tosto immemori affatto dei loro più
sacri e naturali legami. Ma il popolo ha pur sempre, non la speranza soltanto, ma la piena
e dimostrata certezza di torsi egli stesso questo aggravio ed obbrobrio, ogniqualvolta
egli veramente volendolo non chiederà ad altrui ciò che sta soltanto in sua mano di
prendersi.
Ogni tiranno europeo assolda quanti più può di questi satelliti, e più assai che non
può; egli se ne compiace, se ne trastulla, e ne va oltre modo superbo. Sono costoro il
vero e primo giojello delle loro corone: e, mantenuti a stento dai sudori e digiuni del
popolo, preparati son sempre a beverne il sangue, ad ogni minimo cenno del tiranno. Si
accorda, in ragione del numero dei loro soldati, un diverso grado di considerazione ai
diversi tiranni. E siccome non possono essi diminuire i satelliti loro senza che scemi
l'opinione che si ha della loro potenza; e siccome una persona abborrita, ove ella mai
cessi di essere temuta, apertamente si dileggia da prima, e tosto poscia si spegne; egli
è da credersi, che i tiranni non aspetteranno mai questo manifesto disprezzo precursore
infallibile della loro intera rovina, e che sempre dissangueranno il popolo per mantenere
coi molti soldati se stessi.
I tiranni, padroni pur anche per alcun tempo dell'opinione, hanno tentato di persuadere
in Europa, ed hanno effettivamente persuaso ai più stupidi fra i loro sudditi, così
plebei come nobili, che ella sia onorevole cosa la loro milizia. E col portarne essi
stessi la livrea, coll'impostura di passare essi stessi per tutti i gradi di quella,
coll'accordarle molte prerogative insultanti ed ingiuste sopra tutte le altre classi dello
stato, e massime sopra i magistrati tutti, hanno con ciò offuscato gl'intelletti, ed
invogliato gli stoltissimi sudditi di questo mestiere esecrabile.
Ma una sola osservazione basta a distruggere questa loro scurrile impostura. O tu
reputi i soldati come gli esecutori della tirannica volontà al di dentro; e allora può
ella mai parerti onorevol cosa lo esercitare contra il padre, i fratelli, i congiunti, e
gli amici, una forza illimitata ed ingiusta? O tu li reputi come i difensori della patria;
cioè di quel luogo dove per tua sventura sei nato; dove per forza rimani; dove non hai
né libertà, né sicurezza, né proprietà nessuna inviolabile; e allora, onorevol cosa
ti può ella parere il difendere codesto tuo sì fatto paese, e il tiranno che
continuamente lo distrugge ed opprime quanto e assai più, che nol farebbe il nemico? e
l'impedire in somma un altro tiranno di liberarti dal tuo? Che ti può egli togliere
oramai quel secondo, che non ti sia stato già tolto dal primo? Anzi, potrà il nuovo
tiranno, per necessaria accortezza, trattarti da principio molto più umanamente che il
vecchio.
Conchiudo adunque; Che, non si potendo dir patria là dove non ci è libertà e
sicurezza, il portar l'armi dove non ci è patria riesce pur sempre il più infame di
tutti i mestieri: poiché altro non è, se non vendere a vilissimo prezzo la propria
volontà, e gli amici, e i parenti, e il proprio interesse, e la vita, e l'onore, per una
causa obbrobriosa ed ingiusta.
Capitolo ottavo
DELLA RELIGIONE
Quella qualunque opinione che l'uomo si è fatta o lasciata fare da altri, circa alle
cose che egli non intende, come sarebbero l'anima e la divinità; quell'opinione suol
essere anch'essa per lo più uno dei saldissimi sostegni della tirannide. L'idea che dal
volgo si ha del tiranno viene talmente a rassomigliarsi alla idea da quasi tutti i popoli
falsamente concepita di un Dio, che se ne potrebbe indurre, il primo tiranno non essere
stato (come supporre si suole) il più forte, ma bensì il più astuto conoscitore del
cuore degli uomini; e quindi il primo a dar loro una idea, qual ch'ella si fosse, della
divinità. Perciò, fra moltissimi popoli, dalla tirannide religiosa veniva creata la
tirannide civile; spesso si sono entrambe riunite in un ente solo; e quasi sempre si sono
l'una l'altra ajutate.
La religion pagana, col suo moltiplicare sterminatamente gli Dei; e col fare del cielo
una quasi repubblica, e sottomettere Giove stesso alle leggi del fato, e ad altri usi e
privilegj della corte celeste; dovea essere, e fu in fatti, assai favorevole al viver
libero. La giudaica, e quindi la cristiana e maomettana, coll'ammettere un solo Dio,
assoluto e terribile signor d'ogni cosa, doveano essere, e sono state, e sono tuttavia
assai più favorevoli alla tirannide.
Queste cose tutte, già dette da altri, tralascio come non mie; e proseguendo il mio
tema, che della moderna tirannide in Europa principalissimamente tratta, non esaminerò
tra le diverse religioni se non se la nostra, ed in quanto ella influisce su le nostre
tirannidi.
La cristiana religione, che è quella di quasi tutta la Europa, non è per se stessa
favorevole al viver libero: ma la cattolica religione riesce incompatibile quasi col viver
libero.
A voler provare la prima di queste proposizioni, basterà, credo, il dimostrare che
essa in nessun modo non induce, né persuade, né esorta gli uomini al viver liberi. Ed il
primo, e principale incitamento ad un effetto così importante, dovrebbero pur gli uomini
riceverlo dalla lor religione; poiché non vi è cosa che più li signoreggi; che
maggiormente imprima in essi questa o quella opinione; e che maggiormente gli infiammi
all'eseguire alte imprese. Ed in fatti, nella pagana antichità, i Giovi, gli Apollini, le
Sibille, gli Oracoli, a gara tutti comandavano ai diversi popoli e l'amor della patria e
la libertà. Ma la religion cristiana, nata in un popolo non libero, non guerriero, non
illuminato, e già intieramente soggiogato dai sacerdoti, non comanda se non la cieca
obbedienza; non nomina né pure mai libertà; ed il tiranno (o sacerdote o laico sia
egli), interamente assimila a Dio.
Se si esamina in qual modo ella si propagasse, si vedrà che sempre si procacciò più
facilmente l'ingresso nelle tirannidi, che nelle repubbliche. Al cadere dell'imperio
romano, (in cui ella non poté trovar seggio, se non quando la militare tirannide v'ebbe
intieramente annullato ogni vivere civile) quelle tante nazioni barbare che l'occuparono,
stabilite poi nella Italia, nelle Gallie, nelle Spagne, e nell'Africa, sotto i loro
diversi condottieri abbracciarono indi a non molto la religion cristiana. E la ragione mi
par ne sia questa. Quei loro condottieri volendo rimanere tiranni; e quei lor popoli,
avvezzi ad esser liberi quando non erano in guerra, non volendo obbedire se non come
soldati a capitano, e non mai come schiavi a tiranno; in questa disparità di umori
frapponendosi il cristianesimo, egli vi appariva introduttore di una certa via di mezzo,
per cui si andava persuadendo ai popoli l'obbedire, e ai capitani fatti tiranni si veniva
assicurando l'imperio; ove questi una parte della loro autorità divider volessero coi
sacerdoti. In prova di che, si osservi quell'altra parte di quelle stesse nazioni boreali
rimastasi povera, semplice, e libera nelle natie sue selve, essere poi stata l'ultimo
popolo d'Europa che ricevesse, più assai per violenza che per via di persuasione, la
religion cristiana.
Le poche nazioni che fuori d'Europa la ricevettero, vi furono per lo più indotte dal
timore e dalla forza, come le diverse piagge di America e d'Affrica; ma dallo stesso
ferocissimo fanatismo con cui veniva abbracciata nella Cina, e più nel Giappone, si può
manifestamente dedurre quanto ella volentieri si alligni, e prosperi, nelle tirannidi.
I troppi abusi di essa sforzarono col tempo alcuni popoli assai più savj che
imaginosi, a raffrenarla, spogliandola di molte dannose superstizioni. E costoro, distinti
poi col nome di eretici, si riaprirono con tal mezzo una strada alla libertà, la quale
fra essi rinacque dopo essere stata lungamente sbandita d'Europa, e bastantemente vi
prosperò; come gli Svizzeri, la Olanda, molte città di Germania, la Inghilterra, e la
nuova America, ce lo provano. Ma i popoli, che, non la frenando, vollero conservarla
intera, (non però mai quale era stata predicata da Cristo, ma quale con arte, con
inganno, ed anche con la violenza l'aveano i suoi successori trasfigurata) si chiusero
essi sempre più ogni strada al riprocrear libertà. Addurrò ora, non tutte, ma le
principali ragioni, per cui mi pare quasi impossibile che uno stato cattolico possa o
farsi libero veramente, o rimaner tale, rimanendo cattolico.
Il culto delle immagini, la presenza effettiva nella eucaristia, ed altri punti
dogmatici, non saranno per certo mai quelli, che, creduti o no, verranno ad influire sopra
il viver libero politico. Ma, IL PAPA, ma, LA INQUISIZIONE, IL PURGATORIO, LA CONFESSIONE,
IL MATRIMONIO FATTOSI INDISSOLUBILE SACRAMENTO e IL CELIBATO DEI RELIGIOSI; sono queste le
sei anella della sacra catena, che veramente a tal segno rassodano la profana, che ella di
tanto ne diventa più grave ed infrangibile. E, dalla prima di queste sei cose
incominciando, dico: Che un popolo, che crede potervi esser un uomo, che rappresenti
immediatamente Dio; un uomo, che non possa errar mai; egli è certamente un popolo
stupido. Ma se, non lo credendo, egli viene per ciò tormentato, sforzato, e perseguitato
da una forza superiore effettiva, ne accaderà che quella prima generazione d'uomini
crederà nel papa, per timore; i figli, per abitudine; i nepoti, per stupidità. Ecco in
qual guisa un popolo che rimane cattolico, dee necessariamente, per via del papa e della
inquisizione, divenire ignorantissimo, servissimo, e stupidissimo.
Ma, mi dirà taluno: "Gli eretici credono pure nella trinità; e questa al senso
umano pare una cosa certamente ancora più assurda che le sopraccennate: non sono dunque
gli eretici meno stupidi dei cattolici". Rispondo; che anche i Romani credevano nel
volo e nel beccar degli augelli, cosa assai più puerile ed assurda; eppure erano liberi e
grandi; e non divennero stupidi e vili, se non quando, spogliati della lor libertà,
credettero nella infame divinità di Cesare, di Augusto, e degli altri lor simili e
peggiori tiranni. Quindi, la trinità nostra, per non essere cosa soggetta ai sensi, si
creda ella o no, non può influire mai sopra il viver politico: ma, l'autorità più o
meno di un uomo; l'autorità illimitata sopra le più importanti cose, e velata dal sacro
ammanto della religione, importa e molte, e notabili conseguenze; tali in somma, che ogni
popolo che crede od ammette una tale autorità, si rende schiavo per sempre.
Lo ammetterla senza crederla, che è il caso nostro presente in quasi tutta l'Europa
cattolica, mi pare una di quelle umane contraddizioni sì stranamente ripugnanti alla sana
ragione, ch'elle non possono essere gran fatto durevoli; e quindi non occorre maggiormente
parlarne. Ma i popoli che l'autorità del papa ammettono perché la credono, come erano i
nostri avi, ed alcune presenti nazioni, necessariamente la credono o per timore, o per
ignoranza e stupidità. Se per queste ultime ragioni la credono, chiaro è che una nazione
stupida ed ignorante affatto, non può, nel presente stato delle cose, esser libera: ma,
se per timore la credono i popoli, da chi vien egli in loro inspirato codesto timore? non
dalle papali scomuniche certamente, poiché in esse non hanno fede costoro; dalle armi
dunque e dalla forza spaventati saranno, ed indotti a finger di credere. E da quali armi
mai? da qual vera forza? dalle armi e forza del tiranno, che politicamente e
religiosamente gli opprime. Dunque, dovendo i popoli temere l'armi di chi li governa, in
una cosa che dovrebbe essere ad arbitrio di ciascuno il crederla o no, ne risulta che chi
governa tai popoli, di necessità è tiranno; e che essi, attesa questa loro sforzata
credenza, non sono, né possono farsi mai liberi. Ed in fatti, né Atene, né Sparta, né
Roma, né altre vere ed illuminate repubbliche, non isforzarono mai i lor popoli a credere
nella infallibilità degli oracoli; né, molto meno, a rendersi tributarj e ciecamente
obbedienti a niuno lontano sacerdozio.
LA INQUISIZIONE, quel tribunale sì iniquo di cui basta il nome per far raccapricciare
d'orrore, sussiste pur tuttavia più o meno potente in quasi tutti i paesi cattolici. Il
tiranno se ne prevale a piacer suo; ed allarga, o ristringe la inquisitoria autorità,
secondo che meglio a lui giova. Ma, questa autorità dei preti e dei frati (vale a dire,
della classe la più crudele, la più sciolta da ogni legame sociale, ma la più codarda
ad un tempo) quale influenza avrebbe ella per se stessa, qual terrore potrebbe ella
infondere nei popoli, se il tiranno non la assistesse e munisse colla propria sua forza
effettiva? Ora, una forza che sostiene un tribunale ingiusto e tirannico, non è
certamente né giusta né legittima: dove alligna l'Inquisizione, alligna indubitabilmente
la tirannia; dove ci è cattolicismo, vi è o vi può essere ad ogni istante
l'Inquisizione: non si può dunque essere a un tempo stesso un popolo cattolico veramente,
e un popolo libero.
Ma, che dirò io poi della CONFESSIONE? Tralascio il dirne ciò che a tutti è ben
noto; che la certezza del perdono di ogni qualunque iniquità col solo confessarla, riesce
assai più di sprone che di freno ai delitti; e tante altre cose tralascio, che dall'uso,
o abuso di un tal sacramento manifestamente ogni giorno derivano. Io mi ristringo a dire
soltanto; che un popolo che confessa le sue opere, parole, e pensieri ad un uomo, credendo
di rivelarli per un tal mezzo a Dio; un popolo, che fra gli altri peccati suoi è
costretto a confessare come uno dei maggiori, ogni menomo desiderio di scuotere l'ingiusto
giogo della tirannide, e di porsi nella naturale ma discreta libertà; un tal popolo non
può esser libero, né merita d'esserlo.
La dottrina del PURGATORIO, cagione ad un tempo ed effetto della confessione,
contribuisce non poco altresì ad invilire, impoverire, e quindi a rendere schiavi i
cattolici popoli. Per redimere da codesta pena i loro padri ed avi, colla speranza di
esserne poi redenti dai loro figli e nipoti, danno costoro ai preti non solamente il loro
superfluo, ma anche talvolta il lor necessario. Quindi la sterminata ricchezza dei preti;
e dalla loro ricchezza, la lor connivenza col tiranno; e da questa doppia congiura, la
doppia universal servitù. Onde, di povero che suol essere in ogni qualunque governo il
popolo, fatto poverissimo per questo mezzo di più nella tirannide cattolica, egli vi dee
rimanere in tal modo avvilito, che non penserà né ardirà mai tentare di farsi libero. I
sacerdoti all'incontro, di poveri (benché non mendici) che esser dovrebbero, fatti per
mezzo di codesto lor purgatorio ricchissimi, e quindi moltiplicati e superbi, sono sempre
in ogni governo inclinati, anzi sforzati da queste loro illegittime sterminate ricchezze,
a collegarsi con gli oppressori del popolo, e a divenire essi stessi oppressori per
conservarle.
Dalla indissolubilità del MATRIMONIO FATTOSI SACRAMENTO, ne risultano palpabilmente
quei tanti politici mali, che ogni giorno vediamo nelle nostre tirannidi: cattivi mariti,
peggiori mogli, non buoni padri, e pessimi figli: e ciò tutto, perché quella sforzata
indissolubilità non ristringe i legami domestici; ma bensì, col perpetuarli senza
addolcirli, interamente li corrompe e dissolve.
E finalmente poi, siccome dall'essere i popoli cattolici sforzatamente perpetui
conjugi, non sogliono esser essi fra loro né mariti veri, né mogli, né padri; così,
dall'essere i preti cattolici sforzatamente PERPETUI CELIBI, non sogliono mostrarsi né
fratelli, né figli, né cittadini; che per conoscere e praticare virtuosamente questi tre
stati, troppo importa il conoscere per esperienza l'appassionatissimo umano stato di padre
e marito.
Da queste fin qui addotte ragioni, mi pare che ne risulti chiaramente (oltre la maggior
ragione di tutte, che sono i fatti) che un popolo cattolico già soggiogato dalla
tirannide, difficilissimamente può farsi libero, e rimanersi veramente cattolico. E per
addurne un solo esempio, che troppi addurne potrei, nella ribellione delle Fiandre, quelle
provincie povere, che non avendo impinguati i lor preti si erano potute far eretiche,
rimasero libere; le grasse e ridondanti di frati, di abati, e di vescovi, rimasero
cattoliche e serve. Vediamo ora, se un popolo che già si ritrovi libero e cattolico, si
possa lungamente mantener l'uno e l'altro.
Che un popolo soggiogato da tanti e sì fatti politici errori, quanti ne importa il
viver cattolico, possa essere politicamente libero, ella è cosa certamente molto
difficile: ma, dove pure ei lo fosse, io credo che il conservarsi tale, sia cosa
impossibile. Un popolo, che crede nella infallibile e illimitata autorità del papa, è
già interamente disposto a credere in un tiranno, che con maggiori forze effettive e
avvalorate dal suffragio e scomuniche di quel papa istesso, lo persuaderà, o sforzerà ad
obbedire a lui solo nelle cose politiche, come già obbedisce al solo papa nelle
religiose. Un popolo, che trema della Inquisizione, quanto più non dovrà egli tremare di
quell'armi stesse che la Inquisizione avvalorano? Un popolo, che si confessa di cuore,
può egli non essere sempre schiavo di chi può assolverlo o no? Dico di più; che dal
ceto stesso dei sacerdoti, (ove un laico tiranno non vi fosse) ne insorgerebbe uno
religioso ben tosto; o se da altra parte insorgesse un tiranno, lo approverebbero e
seconderebbero i sacerdoti, sperandone il contraccambio da lui. Ed è cosa anche provata
dai fatti; si veda perfino nelle semi-repubbliche italiane, i sacerdoti esservi saliti
assai meno in ricchezza e in potenza, che nelle tirannidi espresse di un solo. Un popolo
finalmente, che si spropria dell'aver suo, togliendolo a se stesso, a' suoi congiunti, e
ai proprj suoi figli, per darlo ai sacerdoti celibi, diventerà coll'andar del tempo
indubitabilmente così bisognoso e mendico, che egli sarà preda di chiunque lo vorrà
conquistare, o far servo.
Non so se al sacerdozio si debba la prima invenzione del trattare come cosa sacrosanta
il politico impero, o se l'impero abbia ciò inventato in favore del sacerdozio. Questa
reciproca e simulata idolatria, è certamente molto vetusta; e vediamo nell'antico
testamento a vicenda sempre i re chiamar sacri i sacerdoti, e i sacerdoti i re; ma da
nessuno mai dei due udiamo chiamare, o reputare mai sacri, gl'incontestabili naturali
diritti di tutte le umane società. Il vero si è, che quasi tutti i popoli della terra
sono stati, e sono (e saranno sempre, pur troppo!) tolti in mezzo da queste due classi di
uomini, che sempre fra loro si sono andate vicendevolmente conoscendo inique, e che con
tutto ciò si sono reciprocamente chiamate sacre: due classi, che dai popoli sono state
spesso abborrite, alcuna volta svelate, e sempre pure adorate.
È il vero altresì, che in questo nostro secolo i presenti cattolici poco credono nel
papa; che pochissimo potere ha la inquisizion religiosa; che si confessano soltanto
gl'idioti; che non si comprano oramai le indulgenze, se non dai ladri religiosi e volgari:
ma, al papa, alla Inquisizione, alla confessione, e all'elemosine purgatoriali, in questo
secolo, fra i presenti cattolici, ampiamente supplisce la sola MILIZIA; e mi spiego. Il
tiranno ottiene ora dal terrore che a tutti inspirano i suoi tanti e perpetui soldati,
quello stesso effetto che egli per l'addietro otteneva dalla superstizione, e dalla totale
ignoranza dei popoli. Poco gl'importa oramai che in Dio non si creda; basta al tiranno,
che in lui solo si creda; e di questa nostra credenza, molto più vile e assai meno
consolatoria per noi, glie n'entrano mallevadori continui gli eserciti suoi.
Vi sono nondimeno in Europa alcuni tiranni, che volendo con ipocrisia mascherare tutte
l'opere loro, pigliano a sostenere le parti della religione, per farsi pii reputare, e per
piacere al maggior numero che pur tuttora la rispetta, e la crede. Ogni savio tiranno, ed
accorto, così dee pure operare; sia per non privarsi con una inutile incredulità di un
così prezioso ramo dell'autorità assoluta, quale è l'ira dei preti amministrata da lui,
e viceversa, la sua, amministrata da essi; sia perché usando altrimenti, potrebbe egli
avvenirsi in un qualche fanatico di religione, il quale facesse le veci di un fanatico di
libertà: e quelli sono e men rari e più assai incalzanti, che questi. E perché mai sono
quelli men rari? attribuir ciò si dee all'essere il nome di religione in bocca di tutti;
e in bocca di pochissimi, e in cuore quasi a nessuno, il nome di libertà.
Il più sublime dunque ed il più utile fanatismo, da cui veramente ne ridonderebbero
degli uomini maggiori di quanti ve ne siano stati giammai, sarebbe pur quello, che creasse
e propagasse una religione ed un Dio, che sotto gravissime pene presenti e future
comandassero agli uomini di esser liberi. Ma, coloro che inspiravano il fanatismo negli
altri, non erano per lo più mai fanatici essi stessi; e pur troppo a loro giovava
d'inspirarlo per una religione ed un Dio, che agli uomini severamente comandassero di
essere servi.
Capitolo nono
DELLE TIRANNIDI ANTICHE, PARAGONATE COLLE MODERNE
Le cagioni stesse hanno certamente in ogni tempo e luogo, con piccolissime differenze,
prodotto gli stessi effetti. Tutti i popoli corrottissimi hanno soggiaciuto ai tiranni,
fra' quali ve ne sono stati dei pessimi, dei cattivi, dei mezzani, e perfino anco dei
buoni. Nei moderni tempi i Caligoli, i Neroni, i Dionigi, i Falaridi, ecc., rarissimi
sono: e se anche vi nascono, assumono costoro fra noi una tutt'altra maschera. Ma meno
feroce d'assai è anche il popolo moderno: quindi la ferocia del tiranno sta sempre in
proporzione di quella dei sudditi.
Le nostre tirannidi, in oltre, differiscono dalle antiche moltissimo; ancorché di
queste e di quelle la milizia sia il nervo, la ragione, e la base. Né so, che questa
differenza ch'io sto per notare, sia stata da altri osservata. Quasi tutte le antiche
tirannidi, e principalmente la romana imperiale, nacquero e si corroborarono per via della
forza militare stabilita senza nessunissimo rispetto su la rovina totale d'ogni preventiva
forza civile e legale. All'incontro le tirannidi moderne in Europa sono cresciute e si
sono corroborate per via d'un potere, militare sì e violento, ma pure fatto, per così
dir, scaturire da quell'apparente o reale potere civile e legale, che si trovava già
stabilito presso a quei popoli. Servirono a ciò di plausibil pretesto le ragioni di
difesa d'uno stato contro all'altro; la conseguenza ne riuscì più sordamente tirannica
che fra gli antichi; ma ella ne è pur troppo più funesta e durevole, perché in tutto è
velata dall'ammanto ideale di una legittima civile possanza.
I Romani erano educati fra il sangue; i loro crudeli spettacoli, che a tempo di
repubblica virtuosamente feroci li rendevano, al cessar d'esser liberi non li faceano
cessare per ciò di essere sanguinarj. Nerone, Caligola, ecc., ecc., trucidavano la madre,
la moglie, i fratelli, e chiunque a lor dispiacesse: ma Nerone, Caligola, e i simili a
loro, morivano pur sempre di ferro. I nostri tiranni non uccidono mai apertamente i loro
congiunti; rarissimamente versano senza necessità il sangue dei sudditi, e ciò non fanno
se non sotto il manto della giustizia: ma anche i tiranni nostri se ne muojono in letto.
Non negherò, che a raddolcire gli universali costumi non poco contribuisse la
religione cristiana; benché da Costantino fino a Carlo VI tanti tratti di stupida
ignorante e non grandiosa ferocia si possono pur leggere nelle storie di tutti quei popoli
intermediarj, che storia a dir vero non meritavano. Nondimeno attribuire si debbe in
qualche parte il raddolcimento universale dei costumi, e una certa urbanità nella
tirannide diversamente modificata, alla influenza della cristiana religione. Il tiranno,
anch'egli ignorante per lo più e superstizioso, e sempre codardo, il tiranno anch'egli si
confessa; e benché sempre vada assolto dalle oppressioni e dalle angarie fatte ai suoi
sudditi, non lo sarebbe forse poi in questi nostri tempi dell'aver trucidato apertamente
la madre e i fratelli, o dell'aver messo a fuoco e a sangue una propria città e
provincia, se non se ricomprando con enorme prezzo, e con una total sommissione ai
sacerdoti, la disusata enormità di un tanto misfatto.
Se sia un bene od un male, che dall'essere raddolciti tanto gli universali costumi ne
risultino queste nostre tirannidi assai meno feroci, ma assai più durevoli e sicure che
le antiche, ne può esser giudice chiunque vorrà paragonare gli effetti e le influenze di
queste e di quelle. Quanto a me, dovendone brevissimamente parlare, direi; che
difficilmente può nascere ai tempi nostri un Nerone ed esercitar l'arte sua; ma che assai
più difficilmente ancora può nascere un Bruto, e in pubblico vantaggio la mano adoprare
ed il senno.
Capitolo decimo
DEL FALSO ONORE
Ma, se le antiche tirannidi e le moderne si rassomigliano nell'aver esse la paura per
base, la milizia e la religione per mezzi, differiscono alquanto le moderne dalle antiche
per aver esse nel falso onore, e nella classe della nobiltà ereditaria permanente,
ritrovato un sostegno, che può assicurarne la durata in eterno. Ragionerò in questo
capitolo del falso onore; e alla nobiltà, che ben se lo merita, riserberò un capitolo a
parte.
L'onore, nome da tanti già definito, da tutti i popoli, e in tutti i tempi
diversamente inteso, e a parer mio indefinibile; l'onore verrà ora da me semplicemente
interpretato così: La brama, e il diritto, di essere onorato dai più. Ed il falso
distinguerò dal vero, falsa chiamando quella brama d'onore, che non ha per ragione e per
base la virtù dell'onorato, e l'utile vero degli onoranti; e vera all'incontro chiamerò
quella brama di onore, che altra ragione e base non ammette se non la utile e praticata
virtù. Ciò posto, esaminiamo qual sia questo onore nelle tirannidi, chi lo professi, a
chi giovi, da qual virtù nasca, e qual virtù ed utile egli promuova.
L'onore nelle tirannidi si va spacciando egli stesso come il solo legittimo impulso,
che spinge tutti coloro che pretendono di non operar per paura. Il tiranno, contento oltre
ogni credere, che la paura mascherata sotto altro titolo venga nondimeno a produrre un
medesimo, anzi un maggior effetto in suo pro, straordinariamente seconda questa volgare
illusione. Col semplice nome di onore, che sempre gli sta tra le labbra, egli riesce pure
a spingere i suoi sudditi a coraggiose e magnanime imprese, le quali veramente onorevoli
sarebbero, se fatte non fossero in suo privato vantaggio, ed in pubblico danno. Ma, se
onore vuol dire; Il giusto diritto di essere veramente onorato dai buoni ed onesti, come
utile ai più; e se la virtù sola può essere base a un tal dritto; come può egli il
tiranno profferire mai un tal nome? Lo ripetono anche i sudditi a gara; ma se la loro
brama e diritto d'essere onorati si fondasse su la pratica della vera virtù, potrebbero
eglino servire, obbedire, e giovare a un tiranno che nuoce a tutti? E noi stessi schiavi
moderni, ove ricordare pure vogliamo la memoria d'un uomo giustamente onorato per molte
età da molti e diversi popoli, e che quindi moltissimo onore abbia avuto nel cuore,
facciamo noi menzione di un Milziade, di un Temistocle, di un Regolo, ovvero d'uno
Spitridate, di un Sejano, o di altro prepotente schiavo di tiranno? Noi stessi dunque (e
senza avvedercene) sommamente onorando quegli uomini liberi, grandi, e giustamente
onorevoli ed onorati, veniamo manifestamente a mostrare, che il vero onore era il loro; e
che il nostro, il quale in tutto è l'opposto di quello, è il falso; poiché niente
onoriamo la memoria di quei pretesi grandi in tirannide.
Ma, se l'onore nelle tirannidi è falso, e se, immedesimatosi colla paura, egli è pure
la principalissima molla di un tal governo, da un falso principio falsissime conseguenze
risultar ne dovranno; e ne risultano in fatti. L'onore nella tirannide impone, che mai non
si manchi di fede al tiranno. Impone l'onore nella repubblica, che chiunque volesse farsi
tiranno, sia spento. Per giudicare qual sia tra questi due onori il verace, esaminiamo
alla sfuggita questa fede, che il servo non dee rompere al tiranno. Il rompere la data
fede, è certamente cosa, che dee disonorar l'uomo in ogni qualunque governo: ma la fede
dev'essere liberamente giurata, non estorquita dalla violenza, non mantenuta dal terrore,
non illimitata, non cieca, non ereditaria; e, sovra ogni cosa, reciproca dev'esser la
fede. Ogni moderno tiranno, al riappiccarsi in fronte la corona del padre, anch'egli ha
giurato una fede qualunque ai suoi sudditi, che già rotta e annullata dal di lui padre,
lo sarà parimente e doppiamente da esso. Il tiranno è dunque di necessità sempre il
primo ad essere spergiuro, e fedifrago: egli è dunque il primo a calpestarsi fra' piedi
il proprio onore, insieme con le altrui cose tutte. Ed i suoi sudditi perderebbero l'onor
loro, nel romper essi quella fede che altri ha manifestamente già rotta? La pretesa
virtù, in questo caso frequente pur tanto nelle tirannidi, sta dunque direttamente in
opposizione coll'onor vero; poiché, se un privato ti manca di fede, anche l'onore stesso
delle tirannidi t'impone di fargliela a forza osservare, per vendicare in tal modo il
disprezzo ch'egli ha mostrato espressamente di te nell'infrangerla. Manifestamente dunque
falso è quell'onore che comanda di serbar rispetto, ed amore, e fede a chi non serba, o
può impunemente non serbare, alcuna di queste tre cose a nessuno. Da questo falso onore
nasce poi la falsissima conseguenza, che si venga a credere legittima infrangibile e sacra
quell'autorità, che l'onore stesso costringe a mantenere e difendere.
A questo modo, nella tirannide, guasti essendo e confusi i nomi di tutte le cose, i
capricci del tiranno messi in carta, col sacro nome di leggi s'intitolano; e si
rispettano, ed eseguiscono, come tali. Così, a quella terra dove si nasce, si dà nella
tirannide risibilmente il nome di patria; perché non si pensa che patria è quella sola,
dove l'uomo liberamente esercita, e sotto la securtà d'invariabili leggi, quei più
preziosi diritti che natura gli ha dati. Così, si ardisce nella tirannide appellare
senato (col nome cioè dei liberi scelti patrizj di Roma) una informe raccolta di giudici
trascelti dal principe, togati di porpora, e specialmente dotti in servire. Così
finalmente, si viene a chiamare nella tirannide col titolo sacro d'onore la dimostrata
impossibilità di essere giustamente onorato dai buoni, come di essere utile ai molti.
Ma, per maggiormente accertarci, che l'onor nostro sia il falso, paragoniamolo alquanto
più lungamente a quello delle repubbliche antiche, nelle sue cagioni, mezzi, ed effetti;
e certo arrossiremo noi tosto di profferire un tal nome; che se dicessimo non essere egli
a noi noto affatto, con una tale ignoranza escuseremmo almeno la infamia nostra in gran
parte. Comandava l'onore antico a quei popoli liberi, di dar la vita per la libertà; vale
a dire pel maggior vantaggio di tutti: ci comanda il moderno onore di dar la vita pel
tiranno; vale a dire per colui che sommamente nuoce a noi tutti. Voleva l'antico onore,
che le ingiurie private cedessero sempre alle pubbliche: vuole il moderno che si abbiano
le pubbliche per nulla, e che atrocemente si vendichino le private. Voleva l'antico, che i
suoi seguaci serbassero amore e fede inviolabile alla patria sola: il nostro la vuole e
comanda pel solo tiranno. E non finirei, se i precetti di questo e di quello, in tutto
contrarj fra loro, annoverare volessi.
Ma i mezzi per essere onorato, non meno dai popoli servi che dai liberi, sono pur
sempre il coraggio e una certa virtù: colla somma differenza nondimeno, che l'onore nelle
repubbliche, scevro da ogni privato interesse, riesce di pura ricompensa a se stesso; ma
nelle tirannidi questo onore impiegatosi in pro del tiranno, vien sempre contaminato da
mercedi e favori, che più o meno distribuiti dal principe, accrescono, minorano, o anche,
negati, spengono affatto l'onore nel cuore de' suoi servi.
Le conseguenze poi di questi due diversi onori, facilissime sono a dedursi. Libertà,
grandezza d'animo, virtù domestiche e pubbliche, il nome e il felice stato di cittadino;
ecco quali erano i dolci frutti dell'antico onore: tirannia, ferocia inutile, vil
cupidigia, servaggio, e timore; ecco innegabilmente quali sono i frutti del moderno. I
Greci e' Romani erano in somma il prodotto del vero onor ben diretto; i popoli tutti
presenti d'Europa, (meno gl'Inglesi) sono il prodotto del falso onore moderno. Paragonando
fra loro questi popoli, la diversa felicità e potenza da essi acquistata, le diverse cose
operate da loro, la fama che ottengono, e quella che meritano, si viene ad avere un'ampia
e perfetta misura di ciò che possa nel cuor dell'uomo questa divina brama di essere
giustamente onorato, allorché dai saggi governi ella è bene indrizzata e accresciuta, o
allorché dai tirannici ella viene diminuita, o traviata dal vero.
Mi si dirà che, o buono sia o cattivo il principio, a ogni modo il sagrificar la
propria vita, il mantenere la data fede a costo di essa, l'esporla per vendicare le
ingiurie private, tutto ciò suppone pur sempre una somma virtù. Né io imprendo
stoltamente a negare, che nelle tirannidi vi sia moltissima gente capace di virtù, e nata
per esercitarla: piango solamente in me stesso di vederla falsamente adoprarsi nel
sostenere, e difendere il vizio, e quindi nello snaturare, e distruggere se stessa. E
niuno politico scrittore ardirà certamente chiamare virtù uno sforzo, ancorché
massimamente sublime, da cui, in vece del pubblico bene, ne debba poi ridondare un male
per tutti, e la prolungazione del pubblico danno.
Ora, perché dunque quella stessa vita, che tanti e sì fatti uomini ripieni di falso
onore vanno così prodigamente spendendo pel tiranno, perché quella vita stessa non vien
ella da loro sagrificata, con più ragione e con ugual virtù, per togliere a colui la
tirannide? E quel valore inutile (poiché non ne ridonda alcun bene) quell'efferato
valore, con cui nelle tirannidi si vendicano le private offese, perché non si adopera
tutto contro al tiranno, che tutti, e in più supremo grado, non cessa pur mai un momento
di offendere? E quella fede che così ostinatamente cieca si osserva verso il nemico di
tutti, perché, con egual pertinacia e con più illuminata virtù, non si giura ella ed
osserva inverso i sacri ed infranti diritti dell'uomo?
Nelle tirannidi dunque, a tal segno ridotti son gl'individui, che, qualunque impulso
dalla natura abbiano ricevuto all'operar cose grandi, essi edificano pur sempre sul falso,
ogniqualvolta non sanno o non osano calpestare il moderno onore, e riassumere l'antico.
Capitolo undecimo
DELLA NOBILTÀ
Havvi una classe di gente, che fa prova e vanto di essere da molte generazioni
illustre, ancorché oziosa si rimanga ed inutile. Intitolasi nobiltà; e si dee, non meno
che la classe dei sacerdoti, riguardare come uno dei maggiori ostacoli al viver libero, e
uno dei più feroci e permanenti sostegni della tirannide.
E benché alcune repubbliche liberissime, e Roma tra le altre, avessero anch'elle in
sé questo ceto, è da osservarsi, che già lo avevano quando dalla tirannide sorgeano a
libertà; che questo ceto era pur sempre il maggior fautore dei cacciati Tarquinj; che i
Romani non accordarono d'allora in poi nobiltà, se non alla sola virtù; che la costanza
tutta, e tutte le politiche virtù di quel popolo erano necessarie per impedire per tanti
anni ai patrizj di assumere la tirannide; e che finalmente poi dopo una lunga e vana
resistenza, era forza che il popolo credendo di abbattergli, ad essi pur soggiacesse. I
Cesari in somma erano patrizj, che mascheratisi da Marii, fingendo di vendicare il popolo
contra i nobili, amendue li soggiogarono.
Dico dunque; che i nobili nelle repubbliche, ove essi vi siano prima ch'elle nascano, o
tosto o tardi le distruggeranno, e faran serve; ancorché non vi siano da prima più
potenti che il popolo. Ma, in una repubblica, in cui nobili non vi siano, il popolo libero
non dee mai creare nel proprio seno un sì fatale stromento di servitù, né mai staccare
dalla causa comune nessuno individuo, né (molto meno) staccarne a perpetuità, nessuna
intera classe di cittadini. Pure, per altra parte moltissimo giovando alla emulazione, e
non poco alla miglior discussione dei pubblici affari, l'aver nella repubblica un ceto
minore in numero, e maggiore in virtù al ceto di tutti, potrebbe un popolo libero a ciò
provvedere col crearsi questo ceto egli stesso, e crearlo a vita od a tempo, ma non
ereditario giammai; affinché possano costoro operare nella repubblica quel tal bene che
vi oprerebbe forse la nobiltà, senza poterne operare mai niuno dei mali, che ella tutto
giorno pur vi opera.
Natura dell'uomo si è, che quanto egli più ha, tanto desidera più, e tanto
maggiormente in grado si trova di assumersi più. Al ceto dei nobili ereditarj, avendo
essi la primazìa e le ricchezze, altro non manca se non la maggiore autorità, e quindi
ad altro non pensano che ad usurparla. Per via della forza nol possono, perché in numero
si trovano pur sempre di tanto minori del popolo. Per arte dunque, per corruzione, e per
fraude, tentano di usurparla. Ma, o fra loro tutti si accordano, e, per invidia l'uno
dell'altro, rimanendo la usurpata autorità nelle mani di loro tutti, ecco allora creata
la tirannide aristocratica: ovvero tra quei nobili se ne trova uno più accorto, più
valente, e più reo degli altri, che parte ne inganna, parte ne perseguita o distrugge, e
fingendo di assumere le parti e la difesa del popolo, si fa assoluto signore di tutti; ed
ecco, come sorge la tirannide d'un solo. Ed ecco, come ogni tirannide ha sempre per
origine la primazìa ereditaria di pochi: poiché la tirannide importando necessariamente
sempre lesione e danno dei più, ella non si può mai originare né lungamente esercitare
da tutti, che al certo non possono mai volere la lesione ed il danno di se stessi.
Conchiudo adunque, quanto alla ereditaria nobiltà, che quelle repubbliche, in cui ella
è già stabilita, non possono durar libere di vera politica libertà; e che nelle
tirannidi questa vera libertà non vi si può mai stabilire, o stabilita durarvi, finché
vi rimangono de' nobili ereditarj: e le tirannidi nelle loro rivoluzioni non muteranno
altro mai che il tiranno, ogniqualvolta non abbatteranno con esso ad un tempo la nobiltà.
Così Roma, benché cacciasse i tiranni Tarquinj, rimanendovi pure, dopo svanito il comune
pericolo, assai più potenti i patrizj che il popolo, Roma non fu veramente libera e
grande, che alla creazione dei tribuni. Questo popolar magistrato, contrastando di pari
colla potenza patrizia, ed essendo abbastanza potente per tenerla a freno, e non
abbastanza per distruggerla affatto, per molto tempo sforzava i nobili a gareggiare col
popolo in virtù; e ne nacque perciò per gran tempo il bene di tutti. Ma il mal seme pur
rimaneva, e all'accrescersi della universale potenza e ricchezza, rigermogliò più che
mai rigogliosa ogni superbia e corruzione nei nobili; e questi poi, così guasti, in breve
la repubblica spensero.
Fu dottamente e con sagace verità osservato, prima dal nostro gran Machiavelli, e con
qualche maggior ordine poi da Montesquieu, che quelle gare stesse fra la nobiltà ed il
popolo erano state per più secoli il nerbo, la grandezza, e la vita, di Roma: ma la sacra
verità comandava pur anco, che si osservasse da codesti due grandi, che quelle
dissensioni stesse ne erano state poi la intera rovina; e il come, e il perché,
ampiamente da essi indagar si dovea. Ed io mi fo a credere, che se tali due sommi avessero
voluto, od osato spingere alquanto più oltre il loro riflessivo ragionamento, avrebbero
essi indubitabilmente assegnato per principalissima cagione di una tale intera rovina la
ereditaria nobiltà. Che se le dissensioni, o per dir meglio le disparità di opinioni,
sono necessarie in una repubblica per mantenervi la vita e la libertà, bisogna pur
confessare che le disparità d'interessi dannosissime vi riescono, e di necessità
mortifere ogniqualvolta l'uno dei due diversi interessi interamente la vince. Ora, mi pare
innegabile, che ogni primazìa ereditaria di pochi genera per forza in quei pochi un
interesse di conservazione e di accrescimento, diverso ed opposto all'interesse di tutti.
Ed ecco il vizio radicale, per cui ogniqualvolta in uno stato esisterà una classe di
nobili e di sacerdoti, a parte dal popolo, saranno questi lo scandalo, la corruzione, e la
rovina di tutti: e i nobili, per essere ereditarj, riusciranno quasi più dannosi che i
sacerdoti, i quali sono elettivi soltanto: ma, per dire il vero, abbondantemente
suppliscono a ciò i sacerdoti, colle loro ereditarie impolitiche massime, che da ogni
loro individuo in un colla tonaca e col piviale si assumono; oltre che, per maggiormente
perfezionare questo comune danno, le più cospicue sacerdotali dignità sogliono anche
cadere esclusivamente nelle mani dei nobili: dal che ne risulta, che i sacerdoti
doppiamente dannosi riescono al pubblico bene.
E benché in Inghilterra vi siano per ora, e nobili e libertà, non mi rimuovo io
perciò in nulla da questo mio su mentovato parere. Si osservi da prima, che in
Inghilterra i veri nobili antichi, nelle spesse e sanguinose rivoluzioni erano presso che
tutti spenti; che i nuovi nobili, usciti di fresco dal popolo per favor del re, non
possono in un paese libero assumere né in una né in due generazioni quella superbia e
quello sprezzo del popolo stesso, fra cui serbano essi ancora i loro parenti ed amici;
quella superbia, dico, che vien bevuta col latte dai nobili antichi, interamente staccati
nelle nostre tirannidi da tempo immemorabile dal popolo, di cui sono lungamente stati gli
oppressori e tiranni. Si osservi in oltre, che i nobili in Inghilterra, presi in se
stessi, sono meno potenti del popolo; e che, uniti col popolo, sono più che il re; ma
che, uniti col re, non sono però mai più che il popolo. Si osservi in oltre, che se in
alcuna cosa la repubblica inglese pare più saldamente costituita che la romana, si è
nell'essere in Inghilterra la dissensione permanente e vivificante, non accesa fra i
nobili e il popolo come in Roma, ma accesa bensì fra il popolo e il popolo; cioè, fra il
ministero e chi vi si oppone. Quindi, non essendo questa dissensione generata da
disparità di ereditario interesse, ma da disparità di passeggera opinione, ella vien
forse a giovare assai più che a nuocere; poiché nessuno talmente aderisce a una parte,
ch'egli non possa spessissimo passare dalla contraria; nessuna delle due parti avendovi
interessi permanentemente opposti, e incompatibili col vero bene di tutti. Una nobiltà
dunque così felicemente rattemperata, come la inglese lo pare, per certo riesce assai
meno nociva che ogni altra; e al potersi veramente far utile al pubblico, altro forse non
le mancherebbe che di non essere ereditaria. Una classe di uomini principali, e non
amovibili membri del governo, ov'ella fosse creata dalla vera virtù e dai liberi suffragj
di tutti, vi riuscirebbe veramente onorevole, e giustamente onorata; e grandissima
emulazione di virtù si verrebbe ad accendere fra i concorrenti ad essa. Ma, se
disgraziatamente ereditaria una tal classe si ammette, ancorch'ella si creasse da liberi e
virtuosi suffragj, tuttavia ad ogni individuo inglese che verrà creato nobile ereditario,
si perderà per tal mezzo una intera stirpe, che così viene staccata dall'interesse
comune, deviata dal vantaggio di tutti, e privata di ogni emulazione al ben fare. Quindi
è, che i nobili in Inghilterra, ancorché alquanto meno dannosi che nelle tirannidi,
potendovi pure essere moltiplicati dal re ad arbitrio suo, e senza alcun limite;
credendosi essi maggiori del popolo; essendovi e più ricchi, e più sazj, e più oziosi,
e più guasti assai che non è il popolo; i nobili in Inghilterra saranno in ogni tempo
maggiormente propensi all'autorità del re, il quale creati gli ha e spegnerli non
potrebbe, che non all'autorità del popolo, il quale non può creargli e li potrebbe pure
distruggere. In Inghilterra perciò (come sempre sono stati altrove) i nobili saranno, o
già sono, i corrompitori della libertà; ove, prima di ciò, abbattuti maggiormente non
siano dal popolo. Ma, non essendo la repubblica il mio tema, abbastanza, e troppo
lungamente forse, ho io parlato fin qui dei nobili nelle repubbliche. Mi convien dunque
ora lungamente ragionare dei nobili nelle moderne nostre tirannidi.
Distrutto il romano imperio, ne furono, come ognun sa, divise le provincie fra diversi
popoli; ed infiniti stati da quell'immenso stato nascevano. Ma, in tutti insorgeva una
nuova specie di governo fino allora ignota, in cui molti piccioli tiranni rendendo omaggio
ad un solo e maggiore, teneano, sotto il titolo di feudatarj, nella oppressione e servitù
i varj lor popoli. Alcuni di questi tiranni feudatarj divennero così potenti, che
ribellatisi al loro sovrano, si crearono stato a parte; e non pochi dei presenti tiranni
d'Europa son della stirpe di quei signorotti. E, per contraria vicenda, molti dei tiranni
sovrani si fecero altresì col tempo abbastanza potenti, per distruggere o spodestare
affatto quei secondi tiranni, e rimanere essi soli sovrani. Comunque ciò fosse, il
soggiacere al tiranno maggiore, o ai tirannelli, non sollevò mai il popolo dal peso delle
sue catene: anzi, è verisimile che, assicurato ed ingrandito il loro stato, i tiranni
maggiori, avendo meno rispetti, più illimitata potenza, e minori nemici, ne divennero con
molta più impunità e sicurezza oppressori del loro misero gregge.
Ma, quanto erano stati da temersi pel tiranno quei nobili feudatarj, finché aveano
avuto autorità e forza; quanto erano stati ostacolo, e in un certo modo freno, alla
compiuta tirannide di quel solo, altrettanto poi ne divennero essi la base e il sostegno,
tosto che rimasero spogliati dell'autorità e della forza. I tiranni si prevalsero da
prima del popolo stesso per abbassare i signorotti; ed il popolo che avea da vendicar
tante ingiurie, volonteroso seguitò l'animosità di quel solo e maggior tiranno contro ai
tanti e minori. Allora, qual dei signorotti si dette per accordo al tiranno, e quale
contr'esso rivolse le armi. Ma, o patteggiati, o vinti ch'ei fossero, tutti, od i più,
coll'andar del tempo soggiacquero. Non si estinse tuttavia interamente mai quel male che
ridondava da questa secondaria tirannide feudale; non si scemò punto la servitù per il
popolo; notabilmente si accrebbe bensì l'autorità e la forza del tiranno. Conobbero i
tiranni la necessità di mantenere una classe fra essi ed il popolo, che paresse alquanto
più potente che il popolo, e fosse assai meno potente di loro: e benissimo conobbero che
distribuendo fra costoro gli onori tutti e le cariche, diverrebbero questi col tempo i
più feroci e saldi satelliti della loro tirannide.
Né s'ingannarono in tal fatto i tiranni. I nobili, spogliati affatto della loro
autorità e forza, ma non interamente delle loro ricchezze e superbia, manifestamente
conobbero che non potevano essi nella tirannide continuare ad essere tenuti maggiori del
popolo, se non se risplendendo della luce del tiranno. L'impossibilità di riacquistare
l'antica potenza li costrinse ad adattare la loro ambizione alla necessità ed ai tempi.
Dal popolo, che non s'era certamente scordato delle loro antiche oppressioni; dal popolo,
che gli abborriva perché li credeva ancora troppo più potenti di lui; dal popolo in
somma, troppo avvilito per soccorrergli ancor che il volesse, videro chiaramente i nobili
che non v'era luogo a sperarne mutazione alcuna favorevole a loro. Si gittarono dunque
interamente in braccia al tiranno; ed egli non li temendo oramai, e vedendo quanto
potevano riuscire utili alla propagazione della tirannide, li prelesse ad essere i
depositarj e il sostegno.
E questa è la nobiltà, che nelle tirannidi d'Europa tutto giorno poi vedesi così
insolente col popolo, e così vil coi tiranni. Questa classe, in ogni tirannide, è sempre
la più corrotta; ella è perciò l'ornamento principalissimo delle corti, il maggior
obbrobrio della servitù, e il giusto ludibrio dei pochi che pensano. Degeneri dai loro
avi nella fierezza, i nobili sono gl'inventori primieri d'ogni adulazione, d'ogni più
vile prostituzione al tiranno: ma non tralignano già essi nella superbia e crudeltà
contro al popolo. Anzi, vie più inferociti per la loro perduta potenza effettiva, lo
tiranneggiano quanto più sanno e possono con i flagelli stessi del tiranno, se egli lo
permette; e se egli lo vieta, (il che di rado accadeva fino allo stabilimento della
perpetua milizia) non lasciano pure di opprimere il popolo di furto con quanta prepotenza
più possono.
Ma, dallo stabilimento in poi dei perpetui eserciti in Europa, i tiranni vedendosi
armati e effettivamente potenti, hanno incominciato a tenere in assai minor conto la
nobiltà, e a sottoporla anch'essa alla giustizia non meno che il popolo, allor quando ad
essi così giova, o piace, di fare. La vista politica del tiranno nel volersi mostrare
imparziale pe' nobili, è stata di riguadagnarsi il popolo, e di riaddossare ai nobili
l'odiosità degli antecedenti governi. Ed io mi fo a credere, che se il tiranno potesse
amare una qualche classe dei sudditi suoi, ove fossero egualmente vili e obbedienti i
nobili ed il popolo, egli pure inclinerebbe più per il popolo; ancorché pur sempre
sentisse, che a tenere il popolo a freno egli è, in un certo modo, necessarissimo il
naturale argine della nobiltà, cioè, dei più ricchi ed illustri. E di questo semiamore,
o sia minore odio del tiranno pel popolo, ne assegnerei la seguente ragione. La nobiltà,
per quanto sia ignorante e mal educata, pure, come alquanto meno oppressa e più agiata,
ella ha il tempo ed i mezzi di riflettere alquanto più che il popolo; ella si avvicina
molto più al tiranno; ella ne studia e ne conosce più l'indole, i vizj, e la nullità.
Si aggiunga a questa ragione, il bisogno che il tiranno ancora pur crede di aver talvolta
dei nobili; e da questo tutto si verrà facilmente ad intendere quell'innato odio
contr'essi, che sta nel cuor del tiranno; il quale non può né dee voler che si pensi;
né può, molto meno, aggradire chiunque lo spia e conosce. Nasce da questo intrinseco
odio quella pompa di popolarità, che molti dei moderni tiranni europei van facendo; come
anche le tante mortificazioni, che vanno compartendo ai lor nobili. Il popolo, soddisfatto
di vedere abbassati i suoi signorotti, ne sopporta più volentieri il comune oppressore, e
la divisa oppressione. I nobili rodono la catena; ma troppo corrotti, effemminati e deboli
sono, per romperla. Il tiranno se ne sta fra' due, distribuendo ad entrambi a vicenda,
frammiste a molte battiture, alcune fallaci dolcezze; e così vie più sempre corrobora
egli e perpetua la tirannide. Non distrugge egli i nobili, se non se a minuto i più
antichi, per riprocrearne dei nuovi, non meno orgogliosi col popolo, ma più soggetti e
arrendevoli a lui: e non li distrugge il tiranno, perché li crede (ed il sono)
essenzialissima parte della tirannide. Non gli teme, perch'egli è armato: non gli stima,
perché li conosce: non gli ama, perché lo conoscono. Il popolo non mormora dei gravosi
eserciti, perch'egli non ragiona, e ne trema: ma con molta gioja bensì per via degli
eserciti vede i nobili starsi non meno soggetti e tremanti di lui.
I nobili ereditarj son dunque una parte integrante della tirannide, perché non può
allignar lungamente libertà vera, dove esiste una classe primeggiante, che tale non sia
per virtù ed elezione. Ma la milizia perpetua, fattasi oramai parte della tirannide più
integrante ancora di quel che lo sia la nobiltà, ha tolto ai nobili la possibilità di
far fronte al tiranno, e diminuita in loro quella di opprimere il popolo.
Capitolo duodecimo
DELLE TIRANNIDI ASIATICHE, PARAGONATE COLL'EUROPEE
Pare, che molte tirannidi d'oriente smentiscano quanto ho detto finora circa alla
necessità dei nobili inerente all'essenza della tirannide; non vi essendo in esse alcuna
nobiltà ereditaria; né ammettendo esse a prima vista altra distinzione di ordini, che un
signor solo e tutti gli altri servi egualmente. E, a dir vero, l'Asia in ogni tempo non
solo non conobbe libertà, ma soggiacque quasi sempre tutta a tirannidi inaudite,
esercitate in regioni vastissime; in cui non si scorge nessun viver civile, nessuna
stabilità, e nessune leggi, che non soggiacciano al capriccio del tiranno, eccettuatene
tuttavia le religiose. Ma io, con tutto ciò, non dispero di poter dimostrare che la
tirannide in ogni tempo e luogo è tirannide; e che usando ella gli stessi mezzi per
mantenersi, produce, ancorché sotto diverso aspetto, gli stessissimi effetti.
Non esaminerò perché siano tali i popoli dell'oriente; le ragioni, che riuscirebbero
assai più congetturali che dimostrative, o ne sono state assegnate, o lo verranno da
altri più dotti e profondi che non son io. Ma, partendo dal dato, io dico; che la paura,
la milizia, e la religione, innegabilmente sono esse pure le tre basi e molle delle
tirannidi asiatiche, come delle europee; e che sono esse il più saldo appoggio di quelli
e di questi tiranni. Il falso onore, di cui ampiamente ho parlato, non pare da prima
occupare alcun luogo nella mente e nel cuore degli orientali; ma pure, se bene si esamina,
si vedrà che lo conoscono anch'essi e lo praticano. Per quei popoli il tiranno è un
articolo vero di fede; essi tengono la religione assai più in pregio di noi: quindi in
tutto ciò che spetta all'uno o all'altra dimostrano d'avere moltissimo onore. Non ci è
esempio di maomettani che si facciano cristiani come tutto dì v'è esempio di cristiani
che rinnegano.
In tal modo, a tutto ciò che la nobiltà ereditaria, e la milizia perpetua (quali le
abbiamo in Europa) potrebbero operare di più in favore delle orientali tirannidi, vi
suppliscono dunque ampiamente le asiatiche religioni; e massime la maomettana, ch'è più
creduta, più osservata, e assai più potente ancora, che non lo sia oramai in nessun
luogo la nostra.
Ma, ancorché la nobiltà ereditaria non sussista in gran parte d'oriente (toltine
però la Cina, il Giappone, e molti stati dell'Indie, il che certamente non è picciola
parte dell'Asia) nondimeno nei paesi maomettani gli strumenti principali della tirannide
sono, come nella cristianità, i sacerdoti, i capi della milizia, i governatori delle
provincie, e i barbassori di corte: e costoro tutti, benché non vi siano nati nobili, si
debbono pure riputare come una classe, che essendo più che il popolo e meno che il
tiranno, e accattando dal tiranno il lustro e l'autorità, viene per l'appunto ad occupare
lo stessissimo luogo nelle tirannidi asiatiche, che occupa la nobiltà ereditaria nelle
europee. Vero è, che fra quei nobili d'Asia, morendo essi di morte naturale o violenta,
cessa nei loro figli la nobiltà: ma tosto pure alle loro cariche ne sottentran degli
altri, e quanti mai ne verranno, tutti, ancorché d'origine plebea, assumeranno tosto il
pensare dei nobili; il quale non è altro che di opprimere i popoli, e tenersi col
tiranno. Ed anzi, questi nobili recenti, di tanto più feroci saranno, quanto l'uomo che
è nato più vile, che è stato più oppresso, e che ha conosciuto più eguali, diviene
assai più superbo e feroce ogniqualvolta egli, per altra via che quella della virtù,
perviene ad innalzarsi sovr'essi. Ma certamente la virtù non potrà essere mai la scala
agli onori e all'autorità, in nessuna tirannide.
L'effetto vien dunque ad essere lo stesso in oriente come in occidente; poiché fra il
popolo e il tiranno entrano pur sempre di mezzo i nobili (o ereditarj siano o fattizj) e
la permanente milizia: due classi, senza di cui non v'è né vi può esser tirannide; e
colle quali non v'è, né vi può essere lungamente mai libertà.
Ma mi si dirà forse, che in ogni democrazia, od in qualsivoglia mista repubblica, i
sacerdoti, i magistrati, ed i capi della milizia, sono parimente sempre maggiori del
popolo. A ciò è da rispondersi, distinguendo: Costoro nella repubblica sono ciascuno
maggiori d'ogni privato individuo; ma minori dell'universale, essendo eletti da tutti, o
dal più gran numero; essendo eletti per lo più a tempo, e non a vita; sottoposti alle
leggi, e costretti a dare, quando che sia, un rigido conto di se stessi. Ma costoro, nella
tirannide, sono maggiori, e d'ogni individuo, e dell'universale; perché sono eletti da un
solo che può più di tutti; perché non danno conto del loro operare, se non a lui; e
perché in somma niun'altra cosa vien loro apposta a delitto dal tiranno, fuorché l'aver
dispiaciuto, o arrecato danno a lui solo: il che chiaramente vuol dire per lo più, l'aver
giovato, o tentato di giovare, a tutti od ai più.
Ma, se io abbastanza ho dimostrato (come a me pare) che nelle tirannidi dell'oriente i
tiranni adoperano gli stessi mezzi che in queste, esaminiamo ora quali siano le apparenti
differenze tra gli effetti; perché vi siano; e se elle siano in favore o in disfavore
degli europei.
Mostransi di rado al pubblico gli orientali tiranni, e inaccessibili sono in privato; i
nostri veggiamo ogni giorno: ma il vederli non scema però in noi la paura, né in essi la
potenza; e benché lo avvezzarci a quell'oggetto diminuisca alquanto la stupida
venerazione per esso, l'odio nondimeno dee pur sempre rimanere il medesimo, e di gran
lunga maggiore il fastidio e la noja.
Difficilissimo è l'accostarsi ai tiranni d'oriente; ai nostri, a qual con lettere o
suppliche, a quale in persona, possiamo assai facilmente ogni giorno accostarci: ma, e che
ne ridonda? son forse fra noi meno oppressi gl'innocenti ed i buoni? son forse più
conosciuti i rei, allontanati, o puniti?
Gl'impieghi, gli onori, le dignità si conferiscono in oriente agli schiavi più
graditi al padrone. Il solo capriccio li dona, e il solo capriccio li ritoglie; ma un
ministro o qualunque altro, che spogliato venga di alcuno importante impiego, viene
altresì privato per lo più della vita. E lo stesso capriccio conferisce nel nostro
occidente gli stessi onori e dignità a quegli schiavi più dotti nell'arte di piacere e
compiacere al tiranno: e tanto più vili schiavi costoro, e degni in ciò veramente di
esserlo, quanto, non essendo gli europei, come gli orientali, nati nella servitù
effettiva dei serragli, di buon animo spontaneamente vanno porgendo le mani ed il collo al
più obbrobrioso di tutti i gioghi. Ma, se i nostri tiranni, nel toglier loro la carica
non li privano a un tempo della vita, ciò forse non accade per altra ragione, se non
perché questi scelti servi europei, a sì manifeste prove si sono dimostrati per vili,
che i tiranni nostri in nessun modo non possono, né debbono, in nulla temerli.
Nelle tirannidi dell'oriente, pochissime leggi, oltre alle religiose, vi sussistono:
moltissime se ne ha nelle nostre; ma ogni giorno si mutano, s'infrangono, si annullano, e
per fin si deridono. Qual è men vergognosa ed infame a soffrirsi delle due seguenti
usurpazioni? o d'uno che ti oltraggia e ti opprime, perché tu, non credendo che
altrimenti una società esistere potesse, glie ne hai conceduto illimitatamente la
signoria, né hai provveduto in nessuna maniera a moderargliela; o d'uno che ti fa lo
stesso e anche peggio, benché tu abbi provveduto con impotenti leggi, e con gl'inutili
suoi giuramenti, che egli opprimere ed oltraggiare non ti potesse?
Negli orientali governi nulla vi ha di sicuro, se non la sola servitù: ma, che v'ha
egli di sicuro nei nostri? I tiranni europei sono di gran lunga più umani? cioè, hanno i
tiranni europei molto minore il bisogno di essere crudeli. Nell'oriente, le scienze e le
lettere proscritte, i regni spopolati, la stupidità e miseria del popolo, nessuna
industria, nessun commercio; non son tutte queste, e tante altre, le innegabili prove del
vizio distruttivo, che sta in quei governi? Rispondo, distinguendo di nuovo. La religion
maomettana, come più inerte e meno curante della nostra, riesce altresì molto più
distruttiva di essa. Ma in quelle parti d'oriente, dove non ci è maomettismo, come
specialmente alla Cina e al Giappone, tutti questi soprammentovati lagrimevoli effetti,
che stoltamente noi assegniamo alla sola orientale tirannide, in un'altra orientale e
niente minore tirannide, vi si vedono cessare; o almeno non v'esistere maggiori che nelle
tirannidi europee.
Parmi adunque, che sia da conchiudere; che la tirannide nell'Asia, e principalmente nel
maomettismo, suol riuscire più oppressiva che nell'Europa: ma bisogna ad un tempo stesso
confessare; che il tiranno e quelli che fan le sue parti, assai meno sicuri vivono in Asia
che non in Europa. Quindi dall'essere le nostre tirannidi alquanto più miti, se a noi ne
ridonda pure qualche vantaggio, amaramente ci vien compensato dalla maggiore infamia che
sta nel servire, sapendolo; e dalla quasi impossibilità, in cui il nostro effemminato
vivere ci pone, di distruggere, di mutare o di crollare almeno d'alquanto le nostre
tirannidi. Noi coltiviamo le scienze, le lettere, il commercio, le arti tutte, ed ogni
civile costume; negar non si può: ma noi colti, noi dotti, noi in somma che siamo il
fiore degli abitanti di questo globo, noi soffriam pure tacitamente quello stesso tiranno,
che soffrono (è vero) ma che pur anche talvolta robustamente distruggono quegli asiatici
popoli, rozzi, ignoranti, e, a parer nostro, di tanto più vili di noi. Chi non sa che vi
è stata, e che vi può essere libertà, non conosce e non sente la servitù; e chi questa
non sente, scusabilissimo è se la soffre. Ma che direm noi di que' popoli, che sanno, e
sentono, e fremono di essere servi; e la servitù pure si godono, e tacciono?
La differenza dunque, che passa fra l'Asia e l'Europa, si è; che i tiranni orientali
tutto possono, e tutto fanno; ma sono anche spesso privati del trono ed uccisi: gli
occidentali tiranni possono tutto, fanno soltanto ciò che a loro occorre di fare, e
stanno quasi sempre inespugnabili, securi, e impuniti. I popoli d'Asia di niuna loro cosa
sicuri possessori sen vivono; ma credono in parte che così debba essere; e dove in certo
modo contro all'universale si ecceda, si vendicano almeno del tiranno, benché mai non
ispengano, né minorino, la tirannide. I popoli d'Europa niuna cosa possedono con maggior
sicurezza che quelli dell'Asia, benché vengano spogliati del loro in una diversa e più
cortese maniera; ma questi sanno quali siano i dritti dell'uomo; ed ignorar non li
possono, poiché li vedono felicemente esercitati da alcune pochissime nazioni, che vivono
libere in mezzo alla universal servitù: e benché ogni giorno si veda nelle tirannidi
europee (massime in quanto spetta alle pecuniarie gravezze) eccedere dal tiranno ogni
modo, nondimeno per codardia e viltà dei nostri popoli non si ardisce mai tentare nessuna
lodevol vendetta, non che si ardiscano tentare di riassumere i naturali diritti, così
inutilmente da lor conosciuti.
(continua...)
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