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PASQUINELLI Agostino


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Pasquinelli Agostino

 

Agostino Carlo Francesco Pasquinelìi nacque a Zogno il 1° maggio 1840 da Giacomo e Benedetta Cameroni, morì ivi il 28 febbraio 1919. Era il settimo figlio d'un geometra ben noto per i suoi sentimenti d'italianità, che aveva avuto modo di esplicare durante i moti del '48 e del '49, accorrendo in soccorso di Brescia; ed era stato destinato a compiere gli studi nel Seminario Vescovile di Bergamo, forse perchè seguisse l'esempio dello zio, l'abate Carlo Cameroni, uomo eminente a Milano e in seguito a Torino Ma il giovane ammirava più il caldo patriottismo dello zio che non la sua carriera e, quando scoppiò la guerra del '59, diede un addio al Seminario e s'arruolò tra i Cacciatori delle Alpi .

Scioltosi il Corpo, alla fine della campagna, egli iniziò gli studi superiori di matematica presso l'Università di Pavia, ma ben presto troncò anche questi per accorrere nuovamente al seguito di Garibaldi - Chi aveva conosciuto l'Eroe non poteva esser sordo all'invito, anche se la famiglia s'opponeva e se bisognava fuggire. Non e il caso di credere, come osserva anche Bortolo Belotti nel suo articolo sui e Cinque Zogne dei Mille", che il padre fosse contrario alla sua partenza per divergenza di sentimenti, ma piuttosto perchè l'impresa di Sicilia, progettata e divulgata in un baleno, nonostante il nome del Duce, parve agli uomini gravi e ragionatori una temerarietà, per non dire una pazzia. Arruolatesi, fu assunto nella 7ª Compagnia. A Calafatimi il Pasquinelli combatte da forte ed una palla gli portò via la giberna, ma lo lasciò incolume. Entrò in Palermo con Garibaldi , accolto dal popolo festante sulle barricate e dal fuoco dei cannoni borbonici che dal Palazzo Reale, ultimo baluardo, bombardavano la città. " Giorno di letizia e di sgomento! " come egli scriveva al padre il giorno dopo, 28 maggio 1860. Indi proseguì la marcia per Caltanissetta e Catania dove fu promosso furiere maggiore all'Intendenza: accettò volentieri la nomina, mn un dubbio lo rattristava: " Increscemi puramente perche ora ripartirà per Messina, Calabria e contemporaneamente per Napoli, ed a noi dell'Intendenza toccherà fermarci qui mentre ogn'altro sarà al fuoco " e finiva la lettera con una preghiera : " Mandate in Sicilia l'Achille e l'Annibale che la Patria ha bisogno di gente. Mandatene quante ne potete, che la patria lo esige ". E lo stesso nobile appello ripeteva al padre, l'8 agosto, da Messina, alla vigilia d'imbarcarsi per attraversare lo Stretto ed intraprendere la liberazione del Napoletano: " Animatore, fate animare la èègioventù perchè venga in Sicilia, c""he ce n'è assoluto bisogno " ed aggiungeva " Dio mi conservi almeno fino a tanto che possa vedere l'Italia libera, e per vendicare il tutto... Viva l'Italia, Viva Garibaldi " ". Uno dei fratelli, Annibale, infatti lo raggiunse ed egli non fu lasciato, come temeva, all'Intendenza di Catania, ma gli fu concesso di partecipare anche all'ultima fase della spedizione: tu qui che gli conferito, il 16 ottobre 1860, il grado di sottotenente E in data 8 aprile 1863 la menzione onorevole pei fatti d'armi di Calatafimi e Palermo. Egli aveva chiamato Garibaldi " l'uomo, al dire dei Napoletani, ammaliato e fata"o " e questa malia, unita ad una fiducia illimitata, lo spinse a prender parte anche alla terza impresa garibaldina nel 1866. Qui risulta alla data del 13 giugno sottotenente al 1° Reggimento Volontari Italiani; in data 28 novembre 1866 fu licenziato dal servizio a far tempo dal 25 settembre. Intanto aveva conosciuto molti uomini illustri, come Francesco Crispi e Benedetto Cairoli e con alcuni aveva stretto fraterna amicizia; fra lutti carissimo gli fu Daniele Piccinini , l'amico e il commilitone dei Mille. Fu appunto in seguito a queste influenti conoscenze, che si recò, finita la guerra, a Roma, ove dapprima fu assunto come scrivano straordinario al protocollo divisione bassa forza del Ministero della guerra (30 settembre 1861). Si diede poi al giornalismo, scrivendo per "a " Tribu"a " e con tale professione lo da l'elenco dei Mille del 1878. Nel 1885 fu poi Segretario del Comitato Ufficiale, composto da Benedetto Cairoli , Francesco Crispi e Menotti Garibaldi , incaricato di distribuire le tessere ai superstiti dei Mille, per la celebrazione del primo venticinquennio della spedizione. A poco a poco gli amici lo abbandonarono; Benedetto Cairoli moriva nel 1889 e mentre egli si recava a Napoli per assistere ai funerali, gli giungeva la notizia della morte del Piccinini con cuore commosso ne scrisse il necrologio sul"a " Tribu"a "; poi, caduto definitivamente dopo Adua anche il Crispi
", " che lo ebbe caro e lo protesse, tenendolo a Ro"a ", ritornò tristemente a Bergamo. Copri la carica di Direttore delle Carceri cittadin": "Gli ultimi suoi anni - come dice il Belotti - furono così solitari e anzi scontenti: e ciò non soltanto perché rimase senza l'appoggio dei suoi amici e compagni, ma perché egli fu di quei sopravissuti a un'epoca di entusiasmi nazionali e di agitazioni tipicamente politiche, che, forse per ciò stesso, non poterono adattarsi ai momenti nuovi, determinati dalla sopraggiunta agitazione sociale delle classi, per cui nuovi ideali e non sempre eletti, si crearono e gli antichi furono, talvolta indegnamente, velati d'ombra e d'obl"o ". Pètè però rivivere la nuova epoca di entusiasmi nazionali, durante l'ultima guerra e mori dopo aver visto l'Italia libera, come aveva voluto. La morte lo colse improvvisamente il 28 febbraio 1919 a Zogno, dove il vecchio garibaldino aveva voluto onorare la memoria dei nuovèèi eroi, assistendo àalla comàmemorazione dei Caduti, che """"per la prima volta si teneva nel suo paese. Cosi scrive di lui Renato Simoni: "Un garibaldino genovese discute irritato con un commilitone : un altro si è già insediato corpo e spirito nel piroscafo. E' il bergamasco Pasquinelli, dal viso roseo, dal bel pizzo luzzattesco, bianco, abbondante, profuso. Indossa un lungo e vasto soprabito nero, e si è messa in testa una papalina di velluto nero ricamata. E' massiccio, grandioso; ha una fisionomia piena di arguzia e di bonaria malizia; cammina lento, pettoruto, si burla di tutti; parla tutti i dialetti, dal rude bergamasco ad un veneto grassoccio e colorito, e ogni tanto manda una certa sua esclamazione senza senso, ma piena di colore " Mosca, Tomaso! ", strizzando l'occhio e scuotendo il pizzo ".

BIBLIOGRAFIA. - Elenco Uff., N. "35. - " Illustr."Ital. ", p. 436, con fotografia. - 27 Maggio 1860, Appendice, p. 6. -
G. SYLVA , L'VIII Compagnia dei Mille, S.E.S.A. Bergamo, 1959, p. 113. - BORTOLO BELOTTI, I cinque Zognesi dei Mil"e, in " Rivista di B"rgamo ". - Notizie tolte dalle memorie inedite del cav. Santo Casari, Segretario di Pradalunga e poi d'Albino. - Notizie dall'Anagrafe Comunale di Zogno. - Il SYLVA in 1860, Lanzani, Milano, 1913, annota di sua mano: morto il 3 marzo 1919. Abitava a Bergamo, in via Rocca. - Archivio di Stato di Torino. - R. SIMONI: Da Genova a Civitavecchia con la carovana dei "ille, " Corriere dell" Sera " (25-V-1910).

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Creato da: Astalalista - Ultima modifica: 26/Apr/2004 alle 23:36 Etichettato con ICRA
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