Genere:
non-yaoi, fantascienza
Raiting:
NC-17, angst
Pairing:
GaryXJennifer
Disclaimers: i personaggi di questa storia li ho creati io, quindi mi appartengono.

Genesis

di Bombay

 

Missione #01#

L’attico era buio, silenzioso, vuoto.

Le luci di New York illuminavano un poco l’immenso e moderno soggiorno.

La ragazza scivolò all’interno silenziosa e sinuosa come un gatto.

Il giovane si appoggiò allo stipite della porta con un sospiro sofferente, strinse gli occhi infastidito alla luce della lampada.

“Carino qui. Un po’ grande per una persona sola, ma non male Jenny”

La ragazza lo ignorò abbassando l’intensità della lampada.

“Vieni” ordinò superando una porta, lo condusse nella stanza da bagno: immensa anche quella.

Gary Wilson si sedette sul bordo della vasca da bagno in attesa che Jennifer McDonovan lo medicasse.

La osservava muoversi nella stanza per prendere l’occorrente, sinuosa ed elegante nell’aderentissima tuta nera.

I lunghi capelli bianchi, sciolti sulle spalle, creavano uno strano contrasto. Un manto candido e setoso dove Gary avrebbe voluto affondare le dita, per perdersi in quella morbidezza.

La ragazza si volse scrutandolo con penetranti occhi azzurri come il ghiaccio ed altrettanto freddi.

“Ti togli la tuta o devo farlo io?” sbottò.

“Beh sarebbe interessante se lo facessi tu, ma…”

Un’occhiataccia lo folgorò.

“Faccio da solo!” esclamò.

La spalla gli pulsava inclemente, era più grave di quello che credeva e voleva far credere. Aveva esaurito tutta la sua forza di volontà per non crollare, ma adesso era arrivato proprio al limite e cominciava a vacillare.

Fece scivolare la cerniera e quel rumore sembrò dilatarsi in quel silenzio assoluto. Tentò di sfilarsi la tuta, ma il dolore lancinante lo trafisse provocandogli un violento spasmo di nausea e, se pur aveva gli occhi aperti, non vedeva nulla. Li strinse con forza era sul punto di perdere i sensi. Mille lucciole gli danzavano davanti e ringraziò di essere a stomaco vuoto.

Dopo poco si rese conto di avere la fronte appoggiata al seno di Jennifer e se ne beò fino a quando la voce severa della donna non lo riportò bruscamente alla realtà.

“Potevi evitare di fare l’eroe” sentenziò gelida.

“Ah sì scusa se ti ho salvato la vita, Jenny, farò più attenzione la prossima volta” rospose sarcastico.

“Avevo tutto sotto controllo” ribatté piccata.

“Sì, certo, come no!”

Con uno strattone Jennifer gli liberò il braccio ferito dalla stretta manica della tuta.

Gary per poco non svenne dal dolore e subito dopo imprecò contro di lei.

La ragazza ignorò le invettive del giovane ed esaminò la ferita alla spalle “Sopravvivrai e non perderai nemmeno l’uso del braccio” lo rassicurò con freddezza.

“Oh che lieta notizia” sbuffò lui infastidito.

Senza dire altro, Jennifer, lavò e medicò con cura la spalla di Gary che grugniva e imprecava ad ogni sua azione, infine lo fasciò stretto.

Gli passò una mano tra i corti capelli neri. Lui sollevò la testa fissandola con occhi neri profondi come pozzi senza fondo.

Da quanto tempo lei e lui si rincorrevano? Da sempre, da quando si erano conosciuti.

“Posso dormire qui?” chiese non sopportando più quel silenzio.

“Se proprio devi…”

“Casa mia e dall’altra parte della città e…” iniziò.

“So dove abiti…”

Già lo sapeva. In una topaia rispetto a dove stava lei.

“Non ho due letti…”

“Il divano andrà benissimo” sussurrò allo stremo delle forze, avrebbe dormito anche nella vasca da bagno. Doveva recuperare le forze e quello era l’unico modo che conosceva.

Jennifer lo aiutò a sistemarsi sul divano, l’ultima cosa che avvertì fu il peso della coperta sul petto.

 

Jennifer si mosse silenziosa, era abituata a non fare rumore ad essere silenziosa e discreta, a non esistere.

Si preparò del the e lo sorseggiò osservando Gary profondamente addormentato sul divano.

Le aveva salvato la vita e lei come lo aveva ringraziato, con parole dure e fredde, ma con Gary era sempre stato così. Un continuo rincorrersi, missione dopo missione, giorno dopo giorno.

Squadre diverse, vite diverse, ma di tanto intanto le loro strade si incrociavano.

Gary la stuzzicava e lei gli rispondeva male e lo faceva anche quando gli riservava parole gentili.

Il giovane si mosse nel sonno e mormorò il suo nome. Era bello, Gary, molto e lo sapeva. Parecchie ragazze sospiravano al suo passaggio, Jennifer lo sapeva fin troppo bene.

Alto, snello, muscoloso, ma non troppo. Corti capelli neri ed occhi altrettanto neri in un viso affilato, ma elegante.

La notte di capodanno si erano baciati sotto il vischio, Jennifer si era persa in quel bacio ed era stata la cosa più meravigliosa che aveva mai provato. Era stata la prima volta ed anche l’ultima.

Da quella notte erano passati quasi tre anni. Accompagnata da quei pensieri finì il the ed andò a letto.

 

La luce del sole che entrava dalle vetrate, ed il suo stomaco che brontolava, svegliarono Gary. Dimentico della spalla ferita si stiracchiò come un gatto per poi guaire come un cane bastonato.

Lentamente riprese il controllo di sé, piegò la testa di lato e lesse sul lettore DVD l’ora: 06:35.

Un instante dopo una porta si aprì e ne emerse Jennifer assonnata e spettinata, con addosso una corta sottoveste di seta bianca.

Meravigliosa!

Incrociò il suo sguardo piegando il viso di lato “Buongiorno” lo salutò sorridendo appena. Quel semplice gesto le illuminò il volto pallido.

“Come va?”

Meglio… ho fame!”

“E’ un buon segno. Preparo la colazione. Hai qualche preferenza?”

“No”

Il giovane si mise a sedere, la testa gli girava, ma era normale: era digiuno da troppo tempo ed aveva anche perso sangue.

Si alzò e raggiunse la cucina, solo allora si accorse di indossare solo i boxer neri.

“Mi hai spogliato tu?” domandò improvvisamente imbarazzato.

“Sì, vedi qualcun altro?”

Lui scosse la testa, osservandola mentre preparava due spremute d’arancia, il caffè e le uova strapazzate.

Era una scena domestica che parecchie famiglie ripetevano nel quotidiano.

Non loro.

Quella non era la loro realtà.

Senza riflettere si avvicinò a Jennifer…

“Come le vuoi le uova? Ben cotte…”

E le cinse la vita con le braccia, la sentì irrigidirsi.

Gary…” bisbigliò posando la padella, la forchetta e spegnendo il fuoco.

Il giovane le pose un lieve bacio sulla guancia, stringendola dolcemente a sé, facendo aderire il suo corpo, condividendo con lei il suo calore.

Gary…” mormorò lei piegano la testa di lato scoprendo il collo che lui baciò piano facendo scorrere le labbra sulla pelle di lei provocandole un brivido.

Il bollitore fischiò pretendendo attenzione. Jennifer si divincolò e lo tolse dal fuoco. I capelli le adombravano il viso.

“La colazione è pronta!” annunciò.

Senza una parola si sedettero e consumarono in silenzio un’abbondante colazione.

“Posso farmi una doccia e poi me ne vado?”

“Sì certo. Dopo ti rifarò la fasciatura”

 

Seduta sul letto attendeva che Gary uscisse dal bagno. Avrebbe rifatto la medicazione e lui se ne sarebbe andato e tutto sarebbe tornato come prima.

Si passò una mano sul collo dove poco prima si era posata la bocca calda di lui.

Rabbrividì avvertendo il cuore accelerare ed il rossore colorarle le guance.

Sussultò quando il giovane uscì con un telo bianco legato ai fianchi, mentre con un altro si asciugava i capelli ed il corpo.

“Siediti” gli ordinò Jennifer alzandosi. Come poche ore prima lo curò in brevi e pratici gesti.

Gary trattenne il fiato quando lei si piegò in avanti e lui poté intravedere il suo seno sotto il tessuto di seta.

“E’ troppo stretta?”

“No va bene così” rispose e con il braccio sano le cinse la vita affondando il viso sul suo ventre.

“Gary…” sussurrò posandogli le mani sulla testa scompigliandogli i capelli dolcemente.

“Jennifer, fermami ora… se non vuoi…” sussurrò le parole attutite dalla posizione.

Lei non rispose, non si mosse, solo il suo respiro, più rapido, tradiva il trambusto del suo cuore.

Gary sollevò il viso, quindi si alzò non sapendo interpretare quel silenzio.

Era la stessa situazione si due anni prima. Lei non aveva detto nulla, né prima né dopo…

“Vuoi che vada via?”

“No!”

“Vuoi che resti?”

“Sì…” mormorò piano sollevando il viso verso di lui che si chinò a baciarla.

Quanto aveva atteso quel momento, quanto…

Gary si allontanò da lei tenendole il viso tra le mani

“E poi cosa accadrà?” chiese lei in un sussurro appena udibile.

“Non lo so. Non lo voglio sapere. Noi siamo qui adesso, possiamo cogliere l’attimo o lasciarlo andare, ma lo avremo perduto per sempre” rispose baciandole la fronte, era difficile tenere a freno la passione.

Jennifer si abbandonò tra le sue braccia morbida e leggera, le accarezzò i capelli scese sul collo e le spalle, sospinse oltre le spalline ed in un fruscio la sottoveste si afflosciò ai loro piedi e Jennifer fu nuda tra le sue braccia.

Con esitazione la ragazza percorse il petto di lui, scese fino a raggiungere il nodo dell’asciugamano, lo slacciò.

Gary la sospinse dolcemente a stendersi sul grande letto, un letto troppo grande per una persona sola, come quella casa, si ritrovò a riflettere più tardi.

Le cosparse il viso ed il corpo di baci, non lasciandone indietro nemmeno un pezzetto .

La giovane si sciolse tra le sue braccia, non sembrava nemmeno la persone fredda e distaccata della sera precedente.

Era calda, umida, pronta per lui. Solo per lui.

Con un’unica fluida spinta entrò in lei che lo accolse con un grido di dolore e piacere.

Non erano mai stati tanto vicini, tanto uniti. Loro, che si erano sempre cercati, rincorsi, ma mai raggiunti, fino a quel momento.

 

Jennifer inarcò la schiena permettendo a Gary di affondare più in profondità per darle ancora più piacere.

"Jennifer…" bisbigliò fermandosi, molto vicino al limite… troppo.

La ragazza lo attirò a sé baciandolo, oscillando i fianchi mentre lui ricominciava a muoversi su di lei, portandola sempre più vicina al baratro, dove precipitarono insieme.

Rimasero fermi ed ansanti, Jennifer sorrise sentendo la carne calda e morbida di lui lasciare il suo corpo.

Gary l’attirò a sé e la tenne stretta temendo il momento in cui quell’incanto si sarebbe inevitabilmente spezzato.

Le bende erano macchiate, ma non gli importava, di concentrò sul corpo caldo di lei sul suo petto e si addormentò.

 

Si destò di soprassalto da solo, nel grande letto. Jennifer uscì dalla stanza da bagno, indossava la tuta nera ed aderente, i capelli strettamente raccolti a crocchia alla base della nuca: era pronta per una missione.

Quanto aveva dormito? Guardò l’orologio 21:05.

“Ho dormito parecchio” borbottò strofinandosi gli occhi. La spalla gli doleva molto meno. Le sue capacità rigenerative aumentavano molto durante il sonno.

“Devi andartene” disse Jennifer rompendo il filo dei suoi pensieri.

Jenny…”

Lei alzò la mano interrompendo qualunque dialogo “E non devi tornare mai più” sentenziò gelida.

Gary si alzò dal letto sfatto, che sapeva ancora di loro. Si vestì in silenzio sotto lo sguardo attento della ragazza che non disse e non fece nulla.

“Ci si vede” la salutò lasciando la stanza.

Solo quando sentì la porta dell’appartamento chiudersi, si concesse il lusso di versare una lacrima.

 

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