Tra i senatori romani della commedia
all'italiana, Ugo Tognazzi (Cremona, 23 marzo 1922) ha rappresentato nel genere
la variante lombarda. Amatissimo attore di decine e decine di film dagli anni
'50 agli '80, quando cadde in stato di depressione professionale ed
esistenziale, Tognazzi era però nato, come tutti i grandi divi e i caratteristi
dell'epoca, in teatro. Già da allora la sua spalla era un comico di tutt'altro
stile, Raimondo Vianello. Tognazzi, dati i suoi natali rivistaioli, venne
prestato al cinema di serie B, i film da spiaggia, fatti di sketch,
scenette, improvvisazioni, con Vianello e anche con Walter Chiari, un altro
giovane di talento che come lui aveva reinventato la figura del comico della
rivista. Era l'epoca delle parodie, da Psycosissimo a I magnifici tre,
ma dopo innumerevoli titoli dimenticabili, Tognazzi divenne primo attore anche
drammatico con il bellissimo Il federale di Salce, progetto che nessuno
voleva realizzare e che invece si rivelò un successone anche per la nuova
dimensione dell'attore. Il quale stabilì con il regista un'intesa perfetta
raddoppiando con il riuscito La voglia matta e poi Le ore dell'amore.
Iniziò così la carriera del grande Tognazzi nella commedia all'italiana, che
va da La marcia su Roma a I mostri di Risi. Tognazzi portava in
dote un sotterraneo humor nero che fu scovato dal giovane Marco Ferreri,
che gli affidò due scandalosi successi nell'Italia pia e democristiana: L'ape
regina e lo spietato La donna scimmia, oltre a un cattivissimo
episodio di Controsesso, concludendo col magnifico barocco La grande
abbuffata. Tognazzi, con la sua aria disarmata e disarmante, era il miglior mediatore di
satira e molti gli affidarono messaggi, da Lizzani dell'ancora divertente La
vita agra a Pietrangeli di Il magnifico cornuto. Accanto ai molti
film a episodi, tra fate, bambole e complessi, Tognazzi incontrò Germi che gli
affidò L'immorale, un capolavoro sulla famiglia negata. L'attore amava
molto travestirsi e spiazzare con la sua ben nota vena di amatore secondo un
principio di tolleranza universale (aveva anche prestato il suo nome per uno
scherzo satirico giornalistico del Male): così per Caprioli diventò un
travestito di strada in Miserie e splendori di Madame Royale mentre nel best
seller francese in tre puntate del Il vizietto fu un irresistibile gay
ex etero accanto a Serrault. Il più grande successo dell'ultima parte della sua
carriera, accanto al premio di Cannes per La tragedia di un uomo ridicolo
di Bertolucci, resta però Amici miei di Monicelli, in cui l'attore
divide lo schermo con altri impareggiabili colleghi. Morì improvvisamente a
Roma il 27 ottobre 1990, lasciando la moglie Franca Bettoja e, tra i figli,
almeno due destinati a continuare con successo la carriera artistica, Ricky e
Gian Marco. (M.P.)