Cenni biografici
DI MARTINO PIAGGIO
scritti
DA LUIGI DORIA
 

Addì 30 Dicembre dell’anno 1774 in Genova, di Aurelio Maria Piaggio Notaro, Archivista della spenta Repubblica, e di Anna Vittoria Capellini, veniva in luce Martino, di cui ci accingiamo brevemente a favel- lare, volendo ragione, che i nomi di coloro, che in qualche ottima disciplina, virtù, o facoltà splendettero, non abbiano a durare in lunga notte d’oblio, e non debbano la sorte avere comune col codardo ed-inope roso, che affralito negli illecebri allettamenti d’una terra versatile e menzoniera, visse giorni di turpe os- curità non dissimile al fine, che lui preparar si doveva. Non aura di propizia voce, non lieve suono di fa- ma dal sonno eterno ridesta la memoria del trapassato, cui non sia stata amica virtude, ed il silenzio è perenne suggello alla dimenticanza di vano nome e fuggevole, che fu sulla terra come guizzo di lampo, come nebbia importuna che in nulla si solve. Da cotali genitori uscito, cui non fia mai sfregio la non so- verchia riboccante dovizia dai più con male arti acquistata, d’incolpato costume, ligj a sensi diamorevole cura, questi adoperavano il più, onde per tempissimo desse opera ai primi rudimenti di quelle umane in- stituzioni, che poscia il dovessero ad una qualche onesta carriera far pervenire. Nel punto che lieti pascevano la mente di cotanto onesto desio, e festanti trascorrevano forse a speranze cheloropingeala fervida fantasia, che ardiva di spingersi nei cupi, inarrivabili dell’avvenire -- ahi ! come mal tengon fede le cose mortali -- inesorabile fato il suo ottimo parente rapiva che atteggiato a pacatezza e serenità nelle ore solenni dell’ultima dipartita, con fioco accento, fidava la cura di questo bambolo alla tenerezza di una madre affettuosa e di altro suo figlio primogenito di nome Domenico. Ebbe a primi precettori i chierici regolari delle scuole pie, e tanta fu la vena d’ingegno, che si appalesava nelle sue prime scolastiche esercitazioni, tanta la docilità dei modi, la giovialità ingenua, che traspariva da ogni sua maniera ed azione che i suoi maestri il prediliggevano, e cotanta affezione gli posero, che mal potrebbesi in parole esplicare:peculiar- mente certo suo zio Antonio del medesimo ordine, culta persona, ed eruditissima, eletto Vice-Biblioteca- rio alla Vaticana, e che transfertosi in riva al Sebeto, il primo vide modo di spargere luce sulle ambagi, ed inestricabili incrocicchiature dei mal’intesi Papiri, lorchè colà per le stampe facevasi di pubblica ragione tutto ciò, che fosse venuto da quelli ammonticchiati, informi ruderi e squallide maceri disoterrato e che potesse chiamare la mente alle reminiscenze delle sprofondate Ercolano, e Pompeja. Dato fine a quegli studj, che lo avrebbero potuto ad una qualche sublime facoltà levare -- Chè di sovente torto raziocinare impiglia giovanil mente non sperimentata delle cose del mondo -- onninamente ad opre di commercio dicavasi, alla quale bisogna per siffatto modo equamente diede opera che pubblico mediatore della Banca di San Giorgio eleggevasi, e quivi sempre il suo nome incontaminato fulgette, fino a che morte, d’ogni umano divisamento ed operazione confine, al novero de’ vivi il rapisse. In tanto ardua e perigliosa via, intanto involucro di mistero, in che si avvolve la risichevole professione di mediatore, non mai seppe acconciarsi a quella insidiosa circonvoluzione di architettato raggiro, e di meditata dolosità, da che vien le più fiate irretita la buona fede di malaccorti mercanteggiatori. Limpidezza di coscienza, non animo prono a far spiccar sangue, dove l’umanità levi sospiri, non egoismo, vedovo della vista, mutilato degli orecchi, e privo di cuore, il facevano nella sua professione primo. Da fedifrago commettitore di dolo, come da pernicioso morbo abborriva, non a sdrucciolevole china avviavasi, era l’uomo incorrotto, fiore rarissimo, che spunta nel mondo e più non è, ed orba di sua veduta intere generazioni. Intesa ad operazioni di freddo calcolo qual fia creatura, che si trovi inspirata a sensi del bello, in cui le meraviglie della moltiforme natura, e la mirabile immensa tela del creato possano destare soavi sensazioni, per cui si slanci ed irrompa dalla umile creta, che le forma catena, e sorvoli i campi dell’immaginazione, e segua il pensiero, che come elettrico foco rapidamente si espande e divampa ? Arti sublimi di nobile magistero ! Pittura e poesia arti sorelle, che si diedero il primo bacio al sorger dei mondi, quando un cenno motore animava l’inerte massa della materia, e penelleggiava di mille ridenti prospettive la ben compassata distribuzione delle parti e degli elementi; pittura e poesia, destatrici di soavi e generosi affetti , che evocano dalle tombe gli estinti, e ci fanno favellare coi secoli, che già nel nulla si dileguarono; queste guizzavano mille festevoli fantasie nella vivida e concitata mente del nostro Piaggio. La ricordanza di Teramo -- che con lui aveva comune il cognome -- che dovrà sempre suonare commendevolissimo alla nostra Genova, come precipuale restaura-tore della venerabile arte del dipingere, era di sprone alla mente del nostro autore, facilissima ad aprirsi a nobili sentimenti a sublimi inspirazioni. Disegnava a penna, dipingeva. A qualsiasi trovato gli piacesse dar vita col ministero de’ colori, sempre a lui dagli amici ne venia lode, e questa si vorrà creder sincera, quando ci si para in natura, che l’umana razza per istinto beffarda, e costumata a spargere di riso malignoogni qualsiasi lavoro,ed invenzione giovevole,è miracolo,che risparmi il vitupero e l’abiezione a cose mediocri. Da che il 1810, cerebrali defaticazioni lo stornavano. Maggiore scintilla, che dovea alla fine sprigionarsi, nella mente chiudeva, efu nel 1815 la prima volta, che camuffatosi in vecchietto lepidissimo, sotto nome diRegina, ci faceva regalo di un Lunario, intersparso di semplicissime novellette, in vernacola lingua foggiate, che nel novero degli intelligenti levarono non lieve rumore. Nel 1821, altro Lunario, il Giornale delleDame, coi tipi del Ponthenier imprimevasi: altro genovese Chiaravalle coi torchj del Pellas nel 1830. Arroge a ciò di molte composizioncelle di ricorrenza, che tratto tratto trascorrevano per i vicoli della nostra Città, fermo indicio, che la sua docile, e prolifica mente di leggieri sapeva uniformarsi a sempre nuove impressioni, a novelle idee, che in lui mai non venivano meno, per quanto difformi si presentassero gli argomenti per lui maneggiati. Una cinquantina di favole sulle orme del Frigio Esopo, di Fedro di Fontaine, del Pignotti, e di altri infiniti, che a siffatto comporre si volsero, aventi in fronte: Esopo Genovese, nella tipografia dei fratelli Pagano, vedevano luce nel 1822. Esaurite queste e bene accolte avidamente dal pubblico, una ristampa ne eseguiva nel 1829, colla giunta di altre cinquanta, cui si univa altro poemetto, in cui per felicissimo modo venivasi a descrivere una ribellione delle bestie contro gli uomini; produzione questa,bastevole a smentire quelli Mevj impudenti, che pieni di gorgozzolo di ciarla vana, osavano asservare non essere poetica natura del Piaggio, conciossiachè sempre siasi piaciuto di trattare argomenti, che non richiedevano che una spontanea giovialità. Da questo breve lavoro puossi far congettura come ottimamente avrebbe maneggiato opra di maggiore momento, quando il ticchio lo vi avesse sospinto. In esso non stentato meccanismo di verso, ma fluido, di una inesplicabile correntezza, i caratteri ritratti al vivo e sostenuti molto maestrevolmente, ed il progredimento felice dell’azione, e l’evidenza delle aringhe che vi si incontrano, fan piena prova, che quando il nostro Autore avesse voluto svolgere l’ampia tela di un poema,molto bene vi sarebbe potuto riuscire. A voler dire alcun che sul merito delle produzioni sovra accennate,ci vorrebbe persona più di me saputa in opere di simil genere, ma tuttavolta non potrò pretermettere d’osservare che quando sfavorevole e parziale prevenzione non appanni il retto vedere, esse si potranno scorgere di attici sali a larga mano condite, seminate di mille bizzarrie, frastagliate di molto venusti proverbiali modi, scevre sempre però di certi stomachevoli gerghi, e parole mercate nei trivj, nelle bische, o in peg- gior luogo, che poscia in larga profusione, vennero a sozzare gli scritti di coloro che opinavano di avvici- nare il nostro Martino, nel momento, che era per essi un volere adeguare i voli di Aquila con ala di struzzo. Sanissimo è lo scopo della sua missione. Ogni suo scritto mira alla riformazione del costume: gli abusi per esso si vorrebbero tolti, rimodernata la Città, e sgombra da quelle sozzure, che la potessero far parere men splendida all’occhio dello straniero. Sortirono un qualche effetto i suoi voti. Per esso creato uno schermo alle goggianti tettoje, tolti di Genova mille angusti viottoli e crocicchj di strade, ricerchi da chi ama nascondere la perpetrazion del misfatto, rasettate di moltissime prospettive, che di una barbara architettura, chiamavano la mente a ravvolgersi per mille funeste ricordanze, spopolate le vie di mille inutili ingombri ed impacci, per esso infine tolte mille altre fetide costumanze, che volerle tutte noverare troppo lunga briga sarebbe. Di docile, e pacata natura sempre si ritenne dallo sferzare a sangue: amico degli amici, compagnevole in festevoli crocchi, pronto all’arguzia modesta, al frizzo decente, era uomo da tutti ben veduto ed amato. A veder poi quanto fosse delle ingiurie paziente sofferitore, basti dire, che quando l’invidia avesse disoneste acerbità contro di lui favellato, e si fosse piaciuta di seminare anonime produzioni -- per qui non fosse apparso altro merito nell’occulto scrittore, che di avere bassamente operato -- esso, che avrebbe avuto fermi dati da potersi addare della scaturigine, di dove partiva il tristo rigagnolo, si sarebbe accontentato, invece di acremente rimbeccare il suo dileggiatore, di opporre sprezzo alla niuna educazione di quello. Ma anzi di frequente non si fa plauso a tristo sermone ?... Vitupero ! Corre una tristissima etade, inclinando il mondo a decrepitezza, e mancando nelle sue fisiche facoltà, molto bene nell’imbecillità si rassoda, altari s’innalzano alla demenza, si fa eco alla loquace verbosità degli stupidi, il delirio d’un fanatico sragionatore si leva a cielo, e si fa consulta come un dì le Sibille e gli antichi Oracoli, onde averne i responsi. Affezionatissimo sposo, e padre amorevole accompagnava di lugubre nenia la perdita della sua adorata consorte, che lo rese desolantissimo, e non ancor salda la recente ferita, il furiante Colera rapiva a lui una amatissima figlia, vezzoso fiore di primavera, ma i nembi tempestano, in questo sentiero di esiglio ogni vago fiore, ogni pianta gentile. Il suo genio illanguidiva sotto il peso degli anni, e delle afflizioni: la lepida musa di giorno in giorno gli si facea più schizzinosa, e le ultime produzioni non erano che un lontanissimo e languido eco delle sue prime vivaci e briose modulazioni. Fra l’universa-le compianto de’ buoni addì 22 aprile dell’anno 1843, di subita mortefiniva. Il suo frale ha posa nella Chiesa de’ Cappuccini ed il coperchio della sua tomba, per lui composte ancora vivente, parla agli odierni e parlerà al secolo venturo le seguenti parole:

Sotto questa poca taera
E quattro osse se rinsaera
D’ùn chi visse con gran stento
Pe-a famiggia e per l’ònò
Ma chi è morto assae contento
Confidando ne-o Segnò
Pregae paxe a-o peccatò
Morto il
Martin Piaggio

LE SUE POESIE