Capitolo III

1 - IL PRIMO BATTISTI E L'AUSTRIA

"Se cadrò in Trentino mi erigeranno una lapide. Se sopravviverò, mi lapideranno!". Così scrisse Cesare Battisti pochi mesi prima della fine, non potendo immaginare che la sorte gli avrebbe dato l'uno e l'altro: "Prima la lapidazione, la forca: poi i monumenti che gli furono eretti anche da coloro dai quali non li avrebbe voluti avere". Lo storico Claus Gatterer si riferisce alle commemorazioni e agli onori che vengono rivolte tuttora al martire-traditore trentino da parte di fascisti e post-fascisti. Questi infatti utilizzarono il nome di Battisti con lo scopo di esaltare al massimo l'italianità presunta del Trentino e del Sudtirolo, sottolineandone l'idea di patria e di martirio per essa. In realtà Battisti con l'ideologia fascista e catto-liberale non aveva nulla a che fare; anzi lui, socialista convinto e rivoluzionario, fu criticato anche duramente non solo dai cattolici e intellettuali conservatori trentini, ma anche dagli stessi italiani che non vedevano di buon occhio l'"irredentista socialista" che era in Battisti. La lotta politica, feroce e senza esclusione di colpi che aveva connotato la vita pubblica trentina negli anni immediatamente precedenti la guerra, era ancora troppo viva nelle menti e nei cuori della gente. Al Reichstag, il parlamento di Vienna, Alcide Degasperi, deputato dei popolari trentini, aveva attaccato i socialisti in tutte le maniere e con tutti gli argomenti possibili. Ma quel che allarmava Degasperi e i suoi elettori non era la libertà di pensiero, che Battisti professava in modi più o meno condivisibili e in forme che spesso scadevano nell'oscenità, nell'anticlericità, nella radicalità, nei turpiloqui e nelle bestemmie, bensì ciò che la libertà di dire e di pubblicare avrebbe consentito all'azione politica dei loro avversari. E infatti Battisti, deputato dei socialisti trentini, fu un anno dopo, sempre al Reichstag di Vienna, non meno esplicito e duro nell'attaccare il meccanismo di quei "contributi" su cui si reggeva (allora come oggi) il potere politico dei conservatori e dei clericali. Non c'è da stupirsi che Cesare Battisti, uso a dir pane al pane, arrivasse sulla forca da "pregiudicato". Aveva subìto, per la sua attività giornalistica e politica, iniziata nel 1895 all'età di vent'anni, 65 processi e 26 condanne, sempre perché era socialista, mai perché era un italianista. "Ebbe nemici - scrisse Gaetano Salvemini, "frequentatore" di Casa Battisti - non i soli poliziotti e magistrati austriaci, ma anche i conservatori italiani".




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