Capitolo III

2 - BATTISTI E MUSSOLINI

In un Trentino dove i cattolici e i liberali (per la maggior parte borghesi) avevano la maggioranza assoluta in consiglio distrettuale e al Landstag, il partito socialista stava cercando di ottenere anche per sé una fetta di consenso popolare. Fu proprio durante il periodo battistiano che questo partito prese piede anche nel Tirolo meridionale. Il punto di massimo consenso fu nei giorni immediatamente successivi all'arrivo nel capoluogo tridentino di un personaggio che marchierà in modo indelebile la storia italiana di lì a pochi anni: Benito Mussolini. Siamo al 6 febbraio 1909, Mussolini è uno dei maggiori esponenti italiani della sinistra, essendo tra l'altro direttore de "l'Avanti". Con falso passaporto, lo stesso per il quale fu espulso dal Canton Berna nel 1904, il futuro Duce arrivò a Trento ed entrò subito a contatto con i gruppi socialisti della città e, con il loro aiuto, ottenne la direzione del segretariato del Lavoro (diverso dalla camera del Lavoro).
Durante il periodo passato a Trento scrisse articoli di vario genere (da trattatelli politici a poesie e a descrizioni paesaggistiche) sul giornale diretto dall'indiscusso "leader" Cesare Battisti, "Il Popolo". Ma i rapporti tra Mussolini e Battisti cominciarono subito a incrinarsi. Secondo quest'ultimo, Mussolini "vedeva solo con i propri occhi e non voleva accettare le teorie generali del socialismo". A Battisti inoltre non piaceva il modo arrogante di fare politica del suo compagno di partito che "voleva dettar legge in Trentino". I toni tipici di Mussolini "l'agitatore" infatti non erano adatti a quel pubblico troppo pacato, quasi distaccato, dei trentini, comunque ancora molto cattolici. Secondo Mussolini erano due i nemici dello stato: "il militarismo è uno stato nello stato; invece di fare cannoni, mitragliatrici, fucili o spade, si devono fare vanghe, zappe, aratri, utensili agricoli, perché la patria è solo dove si mangia. Ma quello che è peggiore del militare è il prete perché vedete, questo schifoso rettile minaccia ai poveri l'inferno e promette ai ricchi il paradiso per carpire loro, nelle tremende ore dell'agonia, delle prebende sotto forma di sante messe, per poi gavazzare con la perpetua che è la sua amante". Oltre a "caricare" in modo esagerato i compagni, il Duce, che già si faceva chiamare maestro, criticava continuamente e duramente i trentini, colpevoli di non saper parlare come lui, grande letterato erudito, tale si riteneva, l'italiano della "madre patria". La popolazione "sgrammaticata" del trentino infatti era usa a parlare il dialetto, comunque molto comprensibile dal forestiero delle altre regioni italiane, e quindi, cercando di parlare il "ciciliano", come veniva allora chiamato l'italiano, usava un linguaggio che risultava un'approssimativa traduzione dal dialetto. Con altrettanta spavalderia il "Romagnolo furibondo" Mussolini lasciava trapelare commenti non adatti a un "novello" appena giunto in Trentino che non conosce come stanno veramente le cose, come ad esempio l'affermazione che la polizia austriaca, giudicata troppo rigida dai cittadini locali, fosse migliore di quella italiana. La rottura tra Battisti e Mussolini divenne insanabile quando il "compagno di Predappio" si lasciò sfuggire una frase incresciosa riportata in un documento scritto di pugno dal farmacista Mario Gerloni, amico di Battisti: "Nel 1909 Benito Mussolini rivolto al farmacista Mario Gerloni disse: voi trentini siete dei bastardi figli di preti e di gendarmi e non sapete che la vera patria è dove si mangia. Venne scacciato con le parole: via di qui, lei è un bastardo!". In risposta al rimprovero di Battisti, Mussolini pronunciò la famosa frase: "Io vivo battagliando aspramente contro tutto e tutti. Mi sono imposto", preambolo dell'ancor più celeberrima affermazione "Molti nemici, molto onore". Cesare Battisti si distaccò dunque dal partito e propose un indirizzo parallelo, sempre socialista, non più cosiddetto internazionale, ma "battistiano", fortemente attivista e lontano sia dalle utopie che il socialismo classico possedeva ancora, sia dalla politica antiautonomistica dalle idee anarchico-rivoluzionarie di Mussolini. Questa corrente si fondava invece, dalla dottrina di Giovanni da Prato, sull'idea irredentista e faceva di Battisti "l'esponente dell'estremo nazionalismo liberale a tinta radicaleggiante". Mussolini intanto fondò un nuovo giornale "L'avvenire del lavoratore", dove continuò a diffondere le sue idee e i suoi "rimproveri". Nel seguire questa linea politica il futuro Duce si coprì in più di una volta di ridicolo, quando, per esempio, volendo sfoggiare la sua saccenza di lingua tedesca, durante un comizio nel trentino germanofono, non riuscì nemmeno a pronunciare una frase di senso compiuto, con il suo tedesco scolastico e superficiale.
Il suo stile di vita inoltre era quantomeno bizzarro: più volte infatti, prima che prendesse la residenza fissa in via della Cervara, spesso presa a bersaglio dalle sassaiole dei creditori, era stato "sorpreso" a passare le sue notti "assieme ai comuni barboni, nei luoghi più impensati, così come fece a Losanna nel 1902 quando venne ritrovato alle 4 e un quarto di mattina addormentato sotto le arcate del Grand Pont e, più tardi, fu visto mentre usciva da un cassone per il deposito delle immondizie nel quale aveva passato la notte"(#nota). Per questo fu addirittura arrestato per vagabondaggio.
Altro motivo di rigetto per "il buffone rosso" era la sua attitudine di donnaiolo e Don Giovanni; nella Trento sede dell'omonimo concilio papale del 1545, nel territorio "votato" al Sacro Cuore di Gesù nel 1796, la condotta libertina di Mussolini non andava inosservata. Da una delle tante amanti che ebbe in quel periodo, il Duce ebbe anche una figlia che morì a pochi mesi dalla nascita. Nel 1914 sposò addirittura a Milano la trentina Ida Dalser, con un rito religioso (!). Questa, bigotta e di antichi valori morali, impegnò la sua casa milanese e il suo centro di estetica per superare la crisi finanziaria di Mussolini (da notare che a Trento aveva calpestato un vestito nuovo regalatogli amichevolmente dai compagni per "l'Onore" di non mendicare). Pochi anni dopo sposò, stavolta in municipio, Rachele Guidi, che già gli aveva dato alla luce una bambina. Grazie ai due matrimoni Mussolini poté ottenere dallo stato altrettanti assegni famigliari, dato che c'era differenza tra il matrimonio civile e quello religioso. Questa bigamia e le continue minacce ("Se fai battezzare il bambino ti ammazzo") non potevano però essere più sopportate dalla cattolica Dalser, che venne, per la sua reazione, internata dall'eccentrico marito in un manicomio prima a Pergine, poi a Venezia, dove morì di stenti con il figlio Benito Albino Dalser il 3 dicembre 1937.
È noto che a Trento Mussolini viveva alla giornata, contraendo qualche debito con amici risparmiatori e non pagando i conti delle trattorie. Lo storico Antonio Zieger ci racconta un fattarello emblematico avvenuto presso la trattoria dell'Angelo, presso la quale Mussolini era stato invitato a mangiare un boccone. "Egli aveva l'abitudine di trattare i suoi compagni dall'alto in basso, oppure prenderli in giro con delle parole scurrili, o con frasi spiritose trovate su qualche libro. Ed anche in quella sera non mancò di punzecchiare con troppa insistenza ed alquanto vivacemente alcuni suoi commensali, finché uno di questi, perduta la calma e la pazienza, afferrò la zuppiera vuota della pasta asciutta e colpì sulla testa il poco esperto lottatore. Nell'urto il fondo si staccò completamente e, agli sguardi divertiti della folla, la testa del protagonista si presentò come sorretta da un grande colletto inamidato: erano i bordi del recipiente che pareva lo avessero trasformato in un cavaliere spagnolo". Ben presto, in conseguenza alla completa assenza di rispetto e di simpatia da parte dei trentini, Mussolini dovette lasciare la regione, dopo essere stato attaccato immancabilmente anche dai giornali satirici, soprattutto quelli dei popolari di Degasperi. Dopo appena otto mesi, pieno di debiti di centinaia di corone e con diversi mandati di pignoramento e di arresto, Mussolini ritornò quindi in Italia il 26 settembre 1909 e non finì nemmeno di pagare un violino acquistato a cambiali. Quel violino sarà quello che diventerà famoso tra le "leggende" del Duce.




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