Capitolo III

3 - LA GUERRA

Ma arrivò come un fulmine a ciel sereno il conflitto fortemente auspicato da Battisti. A Sarajevo il 28 giugno 1914 venne assassinato l'Arciduca Francesco Ferdinando. Il 12 agosto Cesare Battisti passò il confine e scese a Milano. Il 22 agosto scriveva dal capoluogo lombardo al Ministro della guerra di Roma: "Per il caso di guerra con l'Austria mi metto a completa disposizione del Ministero della Guerra, chiedendo di essere arruolato nell'esercito regolare o in quei corpi di volontari che sorgessero d'intesa col Governo. Ho trentanove anni. Ma sono forte e abituato ai disagi della montagna. Da venti anni mi dedico allo studio della geografia fisica del Trentino sul quale ho pubblicato molte memorie scientifiche e molte guide turistiche". Fu anche per questo che fu accusato di tradimento. Battisti infatti conosceva alla perfezione sentiero per sentiero e riferì agli italiani tutti i modi per attaccare il nemico, tutte le postazioni strategiche e tutti i segreti degli attacchi degli austriaci, che risultarono così spesso prevedibili. Battisti aveva pubblicato libri su ogni valle del Trentino e l'esercito italiano riuscì a vincere in quelle zone impossibili grazie alle "soffiate" di Battisti. La lettera si concludeva con una speranza: "Nutro fiducia che la mia domanda sarà accolta, e che sarò mandato tra le prime file alla frontiera. Con ossequi mi segno Dott. Cesare Battisti - Deputato al parlamento austriaco per la città di Trento".
Grottescamente il Regno d'Italia, come tradizione, applicò burocraticamente e assennatamente una legge di guerra non curandosi minimamente di quello che sarebbe potuto capitare a quegli irredentisti che tanto bramavano che la loro terra appartenesse a quello stato: all'inizio del 1914, in pieno clima bellico, vennero infatti accompagnati alla frontiera uno a uno e rimpatriati tutti gli stranieri presenti sul suolo italico, tra cui gli irredentisti filoitaliani scappati dall'Austria in quanto perseguiti come traditori. La maggior parte ritornò clandestinamente e dovette quasi per forza arruolarsi nell'esercito italiano per scampare alla prigione.
Gli accordi del marzo 1915 tra Alcide Degasperi "il lealista asburgico dal pacifismo diplomatico e costruttivo" e Sidney Sonnino "negoziatore freddo e poco elastico" fallirono. Il 23 maggio 1915 vennero fatti saltare i ponti delle zone di confine con l'Italia e vennero requisiti gli animali, dato che i sabaudi erano già alle porte. Il 24 maggio l'Italia dichiarò guerra all'Austria-Ungheria. Il 29 maggio Cesare Battisti si arruolò a Milano nel 5° reggimento alpini, il 7 giugno prestò giuramento. Battisti venne catturato con Fabio Filzi, avvocato trentunenne nativo di Pisino d'Istria ma originario della Vallagarina, il 10 luglio del 1916 sul Monte Corno durante la famosa Strafexpedition austriaca e, insieme ad altri prigionieri come Damiano Chiesa, ventunenne studente di ingegneria a Genova, catturato a Costaviolina, fu condotto fino al comando tedesco di Aldeno e poi al Buonconsiglio; il giorno dopo "Il risveglio austriaco - Giornale dell'imperial-regia Fortezza di Trento", organo di stampa italiano anche se controllato dalle autorità ministeriali austriache, diede la notizia in questi termini: "Gli esecutori del diritto e della legge, i nostri Kaiserjäger tirolesi, hanno preso prigionieri i due agitatori (Cesare Battisti e l'istriano ma di origini trentine Fabio Filzi) mentre, trasformati in ufficiali italiani, guidavano il nemico contro la loro patria, eseguendo il fratricidio senza coscienza e senza vergogna. I Kaiserjäger li hanno presi con le mani macchiate del sangue dei loro fratelli, e dalla popolazione, come liberata da un incubo, si è levato un grido di gratitudine e di giubilo".
Come reagì dunque Trento alla cattura e all'impiccagione di Battisti nelle fosse del castello del Buonconsiglio? La risposta oggi quasi istintivamente suggerita dalla semplificazione di una storiografia tutta improntata al nazionalismo, che ha ridotto la tragedia di Battisti alla barbara uccisione di un "italiano" da parte dei "tedeschi", sarebbe sicuramente di indignazione e di costernazione. Macché. La realtà fu ben diversa. Non Trento tutta, certo, ma una buona parte di Trento e dei trentini salutarono la fine di Battisti con maligna soddisfazione se non addirittura con manifestazioni di giubilo. La brava borghesia parrocchiale scese nelle strade della città, sbeffeggiò Battisti e Fabio Filzi che venivano condotti al patibolo e festeggiò i loro carnefici. Va detto per onor del vero che la maggior parte della popolazione trentina non poté né giubilare, né piangere la cattura di Battisti, molto semplicemente perché non c'era. Come detto precedentemente, dei 386.000 abitanti che il Trentino aveva alla vigilia della guerra, più di 200.000 erano lontani dalla loro "Heimat": 60.000 stavano servendo sotto le armi nell'esercito austro-ungarico (e tra questi, in un battaglione di punizione quale elemento politicamente "sospetto", c'era un fratello di Cesare), altri fuoriusciti combattevano nelle fila dell'esercito italiano, 114.000 erano stati deportati dagli austriaci in zone dell'impero lontani dalle zone di guerra, altri 30.000 erano stati allontanati dal Trentino meridionale già caduto in mano all'esercito italiano. A Trento città erano quindi rimaste le donne, gli anziani, i bambini e i "fedelissimi", per lo più seguaci di quel partito popolar-clericale che non si era "macchiato" né di irredentismo né di socialismo, le due bestie nere del regime. Ciò nonostante fa una certa impressione leggere quel che Gatterer scrive nella biografia dell' "alto traditore", e cioè che l'11 luglio Filzi e Battisti, il giorno seguente alla cattura tra sputi e ingiurie da Ala "furono condotti a Trento, le mani immobilizzate dalle catene, su un carro a rastrelliera scoperto. Prima della consegna al carcere militare nel Castello del Buonconsiglio, il carro fu fatto passare per tutta la città, con i due prigionieri esposti all'irrisione delle solite masse di patrioti mobilitate dalla polizia. Il carro si fermò brevemente davanti alla casa di Battisti", dove gli insulti della gente, tra cui anche donne, vecchi, bambini e dipendenti statali, furono particolarmente violenti, giudicando i prigionieri colpevoli di aver fomentato la guerra. Il giovanissimo Damiano Chiesa invece fu attaccato alla coda di un cavallo e trascinato tra sputi, urla, maledizioni, sevizie e bastonate, comportamento significativo perché indegno di un paese civile quale era ed è il Trentino. Per quante "masse di patrioti" la polizia potesse mobilitare, tutto questo non sarebbe stato possibile, in una forma così smaccata e plateale, senza un vasto consenso. La polizia sapeva che non ci sarebbero state proteste, nemmeno timide forme di dissenso, e che sarebbe occorso ben poco incoraggiamento per indurre i "fedelissimi" a festeggiare la cattura dell'odiato avversario politico. Il processo, celebrato il 12 luglio, fu poco più che una farsa. Il boia Lang era già stato fatto arrivare in treno da Vienna coi suoi due aiutanti perché si sapeva in anticipo che la sua opera sarebbe stata necessaria. A Battisti fu rifiutato un difensore di fiducia e si dovette accontentare di quello d'ufficio, il tenente Herbert Fischer il quale, dopo aver timidamente tentato di contestare la legittimità della corte marziale, si batté solo per ottenere per Filzi e Battisti l'"onore" di essere fucilati invece che impiccati.
Il dibattimento durò due ore. Il verdetto fu annunciato alle 16:30 del 12 luglio 1916. Damiano Chiesa fu subito fucilato; Filzi, 31 anni, fu impiccato alle 19:14; Battisti, 41 anni, alle 19:37. Si lesse nell'atto di accusa e condanna: "Il Dottore Cesare Battisti, ex deputato di Trento, convinto di diserzione, d'alto tradimento, cospirazione contro la forza militare dello Stato, e di aver preso le armi contro l'Austria, veniva condannato alla morte di laccio". In precedenza ai condannati erano state date due bottiglie di vino, due porzioni di pane bianco, una scatola di sardine e una di sigarette. Il conto presentato dal secondino all'amministrazione penitenziaria fu di 6 corone e 30 centesimi (22.500£ attuali). Poiché ai due "alti traditori" fu negato il diritto di salire sul patibolo in uniforme, l'amministrazione carceraria dovette anche pagare (39 corone, del valore di circa 140.000 £ attuali) gli indumenti mandati a comperare in tutta fretta ai Magazzini Riuniti di Trento: ridicoli vestiti a quadretti e perfino due berretti. Durante l'esecuzione, numerosi ufficiali e civili austriaci scattarono fotografie, posando infine tutti assieme, trionfanti e sorridenti, attorno al cadavere di Battisti. Non è improbabile, anche se mancano le prove, che fra quegli spettatori entusiasti vi fossero anche degli italiani. Certo è che, ancora una volta, dalla popolazione non si levò un solo grido di indignazione ed è invece verosimile che in più di una casa quella sera si brindò alla fine oltre che dell'italiano, anche dell'avversario politico, del socialista.
Se Filzi e specialmente Battisti non furono uccisi solo perché "italiani", è altrettanto vero che non solo "tedeschi" furono i suoi boia. Erano austriaci e, in quanto tali, espressione tipica del calderone di nazionalità che era l'Austria di allora. Battisti fu catturato da un'unità dei Kaiserjäger di cui faceva parte il cadetto noneso Bruno Franceschini (ex compagno di scuola di Battisti). Questo, oltretutto, era figlio di Gianbattista, preside a riposo del liceo classico Rosmini, di lingua italiana, di Rovereto. Al suo riconoscimento ufficiale provvidero, a Rovereto, oltre al determinante orologiaio prussiano ma da 15 anni a Rovereto Paolo Peterschutz, tra l'altro coinquilino della famiglia Chiesa a Foppiano di Vallarsa, funzionari e militari "italiani", come dicono i loro nomi: Carlo Callovini, Giuseppe Albertini e Giovanni Cembran.




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