le poesie di Peppino Messina

UN SULU DIA UN SULU RE                                    

 

Quannu avìatu a nasciri Tu, Sanguzzu duci             

‘nti lu paradisu gran festa si fici                               

Dìa e tutti l’angiuli fùaru di ‘na vuci                        

Ca Maria vulìanu fari ‘mpiratrici.                            

Fu Gabrieli l’annunziu a lu dari                               

Ca cu Giseppi  s’avìa a maritàri.                              

Pi vuliri di Dia e opera di lu Spiritu Santu                

Tutti li cosi ìaru ‘n sarvamìantu.                               

Puvurìaddu e di stìanti fu l’abbìantu,                       

Tanta la nivi, lu friddu e lu vìantu.                           

A quadiàriti, di lu vò e di lu sciccarìaddu fu lu hjatu

E di Maria e Giseppi l’amuri datu.                           

Pua criscisti, Ranni Ti facisti,                                   

Oh Sarvaturi, ranni Re di lu munnu.                         

Tantu si Ranni ca Tu lu pofari                                             

Diri a lu Munnu di si cuitàri.                                    

E dìcci puru ca l’amà priàri                                      

E ca nunn’importa cùamu l’amà cchiamari               

Lu Patri Tua, lu Dìa di tutti nuastru Signuri:            

Allah, Javeh, o cùamu  je gghjè,                

Dìa di l’univìarsu unu sulu cci nn’è.                                    

UN SOLO DIO UN SOLO RE           

 

Quando dovevi nascere Tu, Sangue nobile/divi

In paradiso si fece una grande festa

Dio e tutti gli angeli furono unanimi

Che Maria divenisse Regina e madre di Gesù.

Fu l’arcangelo Gabriele a dare l’annuncio

Che sarebbe andata in sposa a Giuseppe.

Per volere di Dio ed opera dello Spirito Santo

Tutto andò bene secondo le previsioni.

In un contesto povero e di stenti fu l’avvento,

Tanta la neve, il freddo e il vento.

A riscaldarti fu l’alito del bue e dell’asinello

E l’amore dato da Maria e da Giuseppe

Poi sei cresciuto, Ti sei fatto Uomo

Oh Salvatore grande Re del mondo.

Tanto sei Grande che Tu lo puoi fare

Dire agli uomini del mondo di quietare.

E digli pure che lo dobbiamo pregare

E che non importa come lo dobbiamo chiamare

Il Padre Tuo, il Dio di tutti, nostro Signore:

Allah, Javeh, o comunque sia,

Dio dell’universo uno solo ce n’è.


L’ARMALUZZA MIA

 

L’Armaluzza mia,

ora duci duci cùamu lu zuccaru,

tanti cosi belli mi dici e mi fa filìci.

 

Na Gattareddra ca ‘ncuntravu  pir casu

e doppu tantu aspittari  la  purtavu a mia,

ora sempri ‘nti l’ùacchi mi talìa.  

 

Mi fa tanta cumpagnìa. M’arrimìna la cuda,

mi si strica d’incùaddru, mi licca tuttu cùamu ‘nu gilàtu,

‘nsumma, mi fa filici e m’arricrìa lu cori.

 

Cùamu ìa la fazzu filici e arricrìu lu cori sùa,

quannu c’accarìzzu  la tistùzza, l’ucchiùzzi e lu mussìddru,

e mi la stringiu tutta ‘mbrazzu a mia, cu tantu amùri.

 

Cùamu si nn’avìssimu canusciùtu sempri,

cùamu si nn’avissìmu amatu sempri,

cùamu  du cosi  ‘ nti ‘na cosa sula.

 

L’Armaluzza mia,

ora amàra amàra cùamu lu feli,

mi nni fa e mi nni dici cosi tinti, di tutti li culùra.

 

Forsi nun si nn’addùna,

ma m’abbilèna l’arma,

e lu cùarpu, assà mi l’addulùra.

 

Senza seriu motìvu di mia si nn’alluntàna,

cùamu fussimu stranii di vanèddri,

o nn’avissimu  tratu li cutèddri.

 

Aiu l’ànimu tristu! Pirchì fa adaccussì?

Anchi si pùa torna duci e si nn’addùna,

mali ancòra mi fanu li gracciùna.

 

Forsi sugnu ia ca la trattu mali?

Senza vulìri, chissu  po’ capitàri ma,

Gattarèddra mia, ti priaiu, nun ti straniàri.

 

Oh Armaluzza mia, quantu ti vùagliu beni!

Ma nun sacciu  cchiù  cùamu fari cu Tìa,

ca, t’aiu dittu, si la  vita mia.

L’ANIMALETTO MIO                                                                       

 

L’Animaletto mio, 

ora dolce dolce come lo zucchero,                      

tante cose belle mi  dice e mi fa felice.     

 

Una Gattina che trovai per caso                         

E dopo tanto aspettare la portai a me                       

Ora mi guarda sempre negli occhi.

 

Mi fa tanta compagnia. Mi  scodinzola,            

mi si struscia addosso, mi lecca tutto come fossi un gelato,

insomma, mi fa felice e mi riempie il cuore di gioia.   

 

Come io faccio felice Lei e riempio di gioia il cuore suo,                      

quando le accarezzo la testolina, gli occhietti e il musetto,          

e la stringo forte a me, con tanto amore.   

 

Come se ci conoscessimo da sempre,                                       

come se ci amassimo da sempre,

come se fossimo due cose in una sola.                        

 

L’Animaletto mio,    

ora amara amara come il fiele,                     

me ne fa e me ne dice cose brutte, di ogni sorta.

 

Forse  non se ne accorge,                      

ma mi avvelena l’anima,                                                                      

e il corpo assai  me lo addolora.                                                             

 

Senza un serio motivo da me si allontana, 

come se fossimo estranei, sconosciuti,       

o come se ci fossimo tirati  i coltelli.  

 

Sono molto triste! Perchè si comporta così?        

 Anche se poi  ridiventa dolce e se ne avvede,   

mi fanno ancora male  i suoi graffi .   

 

Forse sono io che la tratto male?       

Senza volerlo questo può  capitare ma,                      

Gattina mia, ti prego non ti “allontanare”.  

 

Oh Animaletto mio, quanto ti voglio bene!     

Ma non so più come fare con Te,          

che, come ti ho già detto, sei la vita mia.


 

 

METAMORFOSI IMPOSSIBILE

 

Sei tu Somaro nato e come tale vieni rispettato,

ti aggiri nei meandri del tuo regno

con sicumera e con un ché d’ingegno

cerchi d’importi su chi ti sta d’intorno

ma non ci riesci neppure per un giorno.

Ecco un bel dì la tua ambizione

la vedi imbizzarrire tanto quanto

sino a volere, senza condizione,

della tua vita un grande cambiamento:

da esile e pur buono Somarello

decidi a un botto di diventar Cavallo.

E che Cavallo:

non un ronzino per le passeggiate

con i fanciulli pei campi di frumento

ma un Purosangue per gare e galoppate

nel nero della vita e nel tormento.

Lui certamente non si rende conto

di quanto grande sia l’impegno assunto.

E bravo il grande Somaro! Che ammirevoli ambizioni!

Che immane impegno, però… Resisterà o impazzirà?

L’ardua sentenza ai posteri andrà.

Un dì lo rivedo triste e anche smagrito       

per il paese il giorno della festa,

col suo parlare assai sconclusionato,

si vede chiaro che ha ormai perso la testa.

Povero Somarello!

Io lo avvicino, lo incontro e lo saluto:

“Buon giorno signor Ciuccio, come stà?”

Lui mi risponde al quanto assai stizzito:

“Non vede il mio nuovo portamento,

il nuovo stile, il tinto mio mantello?!

Somaro non son più, ora son Cavallo.”

Ma il poveretto non si accorge e ignora

che la natura, proprio a farlo apposta,

ha dato a lui la forza e quanto ancora

ma non gli ha dato certo un buon cervello.

Quello lo ha riservato sin d’allora

all’eleganza e al genio del fratello.

Ora Somaro mio tenero e bello,

torna Somaro e resta nel tuo regno

ad operar con dignità e orgoglio.

E ti sia chiaro d’ora e pel futuro,

per fare si di non cader più in fallo:

chi nasce Ciuccio non può morir Cavallo.


SARA’ DOMANI

 

E’ l’ora.

Dimmi chi sei, tu sai chi sei.

Io ti conosco nell’infinità.

 

Nel quotidiano,

dimmi come stai, tu sai come stai…

non vedi dolci e gradevoli colori.

 

E’ l’ora,

dimmi cosa vuoi, tu sai cosa vuoi!

Io sono certo… è Amore.

 

Volano i giorni, si alterna il verde al nero

Ed è un tormento, si è un tormento.

L’ora sarà domani!?

 
 

segue

 

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Salvatore Lumia, una passione per la fotografia e-mail: matlumi@tin.it