Italia Romeo in Palayan

 

Che cosa c’è di più bello che ricordare? Gli anni passano ma i ricordi resistono al tempo che vola e spazza via la memoria come foglie ingiallite.

Sono nata in Egitto da genitori italiani, precisamente a Heliopolis il 21 aprile 1927, Heliopolis la città progettata e costruita dall’imprenditore belga, il Barone Edouard Empain, una cittadina ridente, linda e verdeggiante contornata da ville e giardini, risplendente sotto il sole egiziano.

La scuola italiana “Alessandro Manzoni”, diretta dalle suore salesiane, figlie di Maria Ausiliatrice, era l’unica scuola a Heliopolis situata in via Cleopatra. Era formata da due palazzine in mattoni di cemento armato, circondata da un muro di cinta coperto da alberi sempre verdi.

La prima palazzina era adibita e destinata per uso esclusivo al provvedimento delle Suore Salesiane. Al primo piano, vicino al parlatorio, c’era una bellissima cappella per chi voleva raccogliersi in preghiera. Ci andavo qualche volta anch’io quando avevo un esame o un compito in classe a supplicare l’aiuto della Madonna.

La seconda palazzina era adibita alle cinque classi elementari e i quattro corsi commerciali. Tra la prima e la seconda palazzina intercorreva un lungo corridoio diviso in quattro classi superiori. Avevamo, inoltre, un vasto cortile che serviva per le adunate, per gli esercizi di ginnastica e la ricreazione. In fondo al cortile c’era pure un teatrino per quando si organizzavano le recitazioni.

Bishir, il bidello egiziano incaricato di sorvegliare la scuola, stava sempre seduto su una panchina fuori dell’edificio, si alzava per aprirti il cancello con un sorriso dai denti bianchi perfetti e ti diceva salutandoti: “Ahlan wa sahlan” oppure “ Sabah el Her”. Suonava il campanello della porta principale per avvisare le suore che c’erano genitori e studenti.

Una scuola gemella come la nostra, “Figlie di Maria Ausiliatrice”, si trovava al quartiere di Rod el Farag, vicino all’Istituto Don Bosco. Andai a scuola quando avevo solo tre anni per frequentare l’asilo materno, la mia maestra si chiamava Suor Rina, indossavo il grembiulino bianco con il fiocco azzurro. Poi indossai il grembiule nero quando iniziai il corso delle elementari.

Ricordo ancora i nomi delle mie maestre. Nella prima elementare si chiamava Suor Teresa, nella seconda classe Sr. Maria De Michelis, nella terza Sr. Pina, nella quarta Sr. Sarina e nella quinta Sr. Enrichetta. C’era anche Sr. Edvige che ci insegnava a disegnare con il carboncino nero, così anche il disegno dal vero e l’acquerello. Sr. Edvige parlava anche il tedesco Per la musica ed il canto avevamo Sr. Agatina che insegnava anche il pianoforte.

La scuola aveva, inoltre, un laboratorio di cucito, di ricamo, ognuna di noi doveva ricamare un centrino oppure una tovaglia da tavola da presentare all’esposizione annuale organizzata da Sr. Giuseppina che, in questo settore era bravissima. Perfino le ragazze egiziane, copte e musulmane, di Heliopolis si erano iscritte a questo laboratorio, e, alcune di esse, si erano, perfino, fatto il corredo da sposa.

Alla fine di ogni anno accademico si organizzava nel cortile della scuola la presentazione di certificati e medaglie per coloro che si erano distinti per il loro impegno nello studio. Il cortile era completamente trasformato, bandierine rosso-bianche-verdi sventolavano il nostro bel tricolore, simbolo nazionale della nostra Italia. Tante sedie bianche messe in ordine simmetrico erano destinate ad accomodare i genitori degli alunni. Mio padre e mia madre erano sempre presenti.

Sul palco del teatrino si avvicendavano a turno le recite e le poesie. Le Autorità consolari italiane erano sempre invitate alla fine di ogni anno scolastico, si sedevano in prima fila insieme con la direttrice della scuola, in modo da presenziare la cerimonia e la premiazione. Io ebbi l’onore di avere la mia medaglia d’oro appuntata dall’allora Console Morganti e, in una seconda occasione, dall’allora console Serafino Mazzolini.

C’era in noi, figli di italiani all’estero, un enorme attaccamento alla nostra Patria lontana, eravamo tutti fieri e orgogliosi di essere italiani.

Le alunne che frequentavano i corsi commerciali con me. Indossavamo il grembiule nero col colletto bianco e la cravatta azzurra. La foto porta la data dicembre 1939. 

Ricordo ancora tutti i nomi:
3° fila da sinistra Emma Pugliese, Mirella Schianta, Sabina Di Yeva, Ruby Schoader, ... D'Alessandro
2° fila da sinistra: Esmeralda Bruni, Anna Lucia, Elsa La Rosa, Ada Gaeta, Lina Ancona.
1° fila a sinistra Italia Romeo, Eleonora Chiari, Gina Pannunzio, Renata Busso.

Appena finii il secondo corso commerciale, mi imbarcai sulla nave Esperia ancorata nel porto di Alessandria per trascorrere 40 giorni in Italia con le “Colonie Marine”. Era il 4 giugno 1940.

Nessuno avrebbe mai immaginato che lo svolgersi di una situazione avrebbe separato per 6 lunghi anni genitori e figli. Avevo 13 anni quando partii per l’Italia e ne avevo 19 quando tornai in Egitto. Per poco nessuno mi riconobbe.

E qui è doveroso per me riconoscere quello che il governo italiano di allora fece per noi ragazze e ragazzi figli di italiani nati all’estero. Quando il 10 giugno 1940 l’Italia entrò in guerra, il governo italiano ci prese sotto la sua tutela facendoci studiare, pensando al nostro benessere salutare, agli effetti personali, mostrandoci le più belle opere d’arte e, soprattutto, nell’inculcare in ciascuno di noi quel senso di appartenenza ad una Patria, alla nostra storia, alla nostra tradizione, alla nostra cultura.

Mentre in Italia cadevano le bombe a tappeto, dall’altra parte del Mediterraneo, mio padre e tutti gli italiani d’Egitto venivano arrestati e chiusi in campo di concentramento per 5 lunghi anni.

Ritornai in Egitto nel febbraio del 1946 a Heliopolis dove la famiglia si ritrovò nello stesso appartamento che avevamo lasciato per via della guerra.

Rividi la mia scuola, rividi tutte le mie suore che mi abbracciarono e mi accolsero con grande calore umano. Rividi persino Bishir, il bidello egiziano, che stava ancora lì, mi salutò e disse: “Kullu saa enti tayyeba”.

Oggi, alla soglia dei miei 80 anni, sento forte il desiderio di rendere omaggio alla mia scuola, di esprimere il mio apprezzamento a tutte le suore che si sono dedicate con impegno alla preparazione scolastica che ho ricevuto, alla formazione ed educazione morale impartitami, all’insegnamento religioso e al rispetto che si era stabilito tra la famiglia di ciascuna di noi e la scuola.

Oggi la scuola “Alessandro Manzoni” non è più la scuola italiana di allora, bensì la dimora che ospita i bambini del terzo mondo rimasti orfani.

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