Raimondo Vannucci

    Racconta la figlia Silvia Coneliano Vannucci

    Quanto segue fa parte del racconto che sto scrivendo per i miei nipotini. E solo una finestra nella memoria di un'alessandrina che allora aveva sette anni e ora ne ha settanta.

L'inizio della Guerra

    Era l'anno 1940 e l'Italia era in guerra dal mese di Giugno. Prevedendo l'imminente internamento di mio padre Raimondo, il nostro piccolo nucleo familiare aveva traslocato andando a vivere dai miei nonni materni. La villa Osmo a Bulkeley era munita di un rifugio sotterraneo ove correre durante i bombardamenti.

    Ricordo ancora la trepidazione di quelle escursioni notturne che per noi ragazzini sapevano di avventura non realizzandone il pericolo.

    L'ululare delle sirene che segnalavano l'inizio dell'incursione aerea (due note, poi silenzio, due note ancora ripetute per tre minuti) e l'oscuramento obbligatorio... La nostra affrettata corsa verso il rifugio... Le lame bianche e mobili dei riflettori che sfrecciavano il cielo nero... Il boato assordante dei cannoni antiaereo... Le schegge dei proiettili ritrovate in giardino il mattino dopo.... L ' odore di umido della cantina / rifugio dove letti e poltrone ospitavano l'intera numerosa famiglia... Mia nonna Sara che pregava.... altri raccontavano barzellette... ogni tanto qualcuno intonava una canzonetta presto raggiunto da altri in un coro che rimbombava nella sala esigua...

    Poi la sirena che segnalava la fine dell'allarme (un lungo, lugubre lamento) e il nostro esordio su per le scale verso le nostre rispettive camere da letto... Noi ragazzini un po' delusi che l'avventura terminava, gli adulti con un gran sospiro di sollievo, immagino!

    Ma ecco che l'inevitabile accade! Mio padre è chiamato dalle Autorità Egiziane che gli danno 48 ore per presentarsi al Caracol pronto per partire per il Canale di Suez nelle cui vicinanze erano stati allestiti i campi d'internamento.

    Il giorno della partenza è scolpito nella mia memoria. Il treno lasciava la "Stazione del Cairo" in città e si fermava solo per pochi minuti a Sidi Gaber. Ricordo, come fosse oggi, che alla stazione con mia madre, mio fratello Piero, c'erano anche mio Nonno Osmo e mio zio Ello Osmo.

    Sul marciapiede del binario, assieme al nostro gruppo familiare, c'erano tante donne di tutte le età: mamme, mogli, sorelle... e tanti bambini.

    La trepidazione per l'attesa, l'angoscia di non riuscire a vedere il viso di mio padre tra le centinaia di uomini affacciati dagli sportelli del treno in arrivo... Il treno finalmente fermo, il viso sorridente di mio padre, qualcuno che mi sollevava per raggiungere il finestrino e baciarlo... Centinaia di bandierine tricolori sventolate dai prigionieri.... Patriottismo, euforia, ottimismo esuberante: "Saremo di ritorno fra quattro settimane", saluto Fascista... Giovinezza... il treno si muove lentamente e accelerando presto il canto svanisce...

    Ricordando la scena anche dopo tanti anni mi rimane un senso d'incubo, un qualcosa d'impossibile e d'ingiusto! Chi poteva immaginare che quel periodo sarebbe invece durato quattro lunghi anni?

Le visite a Fayed

    A causa dei bombardamenti in Alessandria, dal campo di internamento, mio padre, preoccupato, chiede a mia madre di trasferirsi al Cairo. Prendiamo, quindi, alloggio presso una vecchia zia. E' pertanto, dal Cairo che inizia la nostra prima visita al campo di Fayed. Il mio padrino Marcel Berla si offre di condurci lì.

    Partenza alle prime ore del mattino, faceva buio pesto. Giunti sul posto dopo il lungo viaggio, passati attraverso diversi posti di controllo e innumerevoli separazioni di filo spinato, eccoci finalmente nella zona visite del campo. Tende, tavoloni e banchi preparati per l'occasione ci aspettano.

    Mio padre abbronzantissimo e sorridente ci accoglie con gli occhi lucidi per l'emozione. Ci tempesta di domande sul viaggio e poi descrive minuziosamente la sua tenda e ci racconta episodi simpatici sella sua vita al campo. Incontriamo le zie e le loro famiglie in visita anche loro da Alessandria. Poi attorno ai tavoloni imbanditi di buone cose, portate da ogni moglie, pranziamo in allegria.

    La durata della visita era di sole quattro ore. Viene quindi il momento del distacco ed il lungo ritorno verso il Cairo. Dimenticavo di descrivere la perquisizione alla quale le autorità ci avevano sottoposto prima di ammetterci al Campo Visite. Non ne capivo la ragione! Persino il cesto del "picnic", la borsa della mamma e noi stessi sottoposti ad una rigorosa ricerca. Naturalmente ora so che cercavano armi da fuoco.

    Un paio di mesi dopo la nostra visita un internato è stato ucciso mentre tentava di fuggire. In seguito a questo e altri simili incidenti le visite furono interrotte per lungo tempo.

    Dopo sei mesi di Cairo ci trasferiamo a Mansourah assieme a gran parte della famiglia. Una vecchia casa in affitto, un bel giardino e la compagnia delle cuginette rende questo nuovo esilio divertente per noi ragazzini. Le mamme si fanno in quattro per darci una vita serena.

    Mio padre indirizzava le sue lettere a turno: una per la mamma, una per mio fratello Piero e una per me. Ed è cosi che sono stata io a dare la notizia che le visite al Campo, dopo l'interruzione, erano state nuovamente permesse. Rivivo ancora quel momento gioioso, quando con la voce tremante dall'orgoglio e dall'emozione ho annunziato la notizia!

    Da Mansourah abbiamo effettuato diverse visite a Fayed. Il tassì noleggiato per la giornata veniva a prenderci alle quattro del mattino.

    Una di queste escursioni è rimasta ben viva nella mia memoria. Il convoglio di automezzi diretti verso Fayed viene fermato sulla strada che costeggia in quel punto il Canale di Suez per ben due ore (ore preziose!). Da un'auto all'altra si sparge la voce che i militari si accingevano a far scoppiare una mina nel Canale. Lo scoppio assordante e una colonna d'acqua che s'innalza al cielo ci annunciano il successo dell'operazione, nonché il permesso di proseguire.

    Un altro viaggio: mio fratello sta male con gli orecchioni, quindi mia mamma non può lasciarlo e prega mia zia di portarmi al Campo assieme alle sue figlie. Fiera del mio ruolo di rappresentante del nucleo familiare, sono sorpresa e felicissima di sentire che mio padre ha ottenuto il permesso speciale dal comando inglese per farmi visitare il suo Campo!

    Qui vorrei aggiungere qualche parola in memoria del mio papà. L'onestà, la pazienza, il senso della solidarietà, nonché le sue doti di organizzatore metodico, aggiudicarono a mio padre il titolo (e il lavoro) di Comandante del Campo 19.

    Se tra i lettori di questa pagina ci fosse qualcuno che ha condiviso quei quattro anni con mio padre sarei infinitamente grata di poter comunicare con loro e sentir descrivere qualche "stralcio della vita di Fayed".

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