IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

EPILOGO

 

Il buio che lo stava lentamente inghiottendo fu improvvisamente spazzato via da un’accecante luce. Ma non si trattava di una luce benevola, anzi: la sua coscienza fu riportata brutalmente alla realtà.

   Riaprì gli occhi, ed il mondo che gli si presentò davanti fu per lui nuovo.

   Ogni cosa gli parve aver assunto uno splendore diverso, e i suoni erano diventati più penetranti, così come gli odori. Come se i suoi sensi si fossero risvegliati da un lungo sonno, come se assaporassero per la prima volta il creato. E il suo corpo… non avvertiva più alcun dolore, le forze parevano essergli tornate come se non avesse mai combattuto quella dura battaglia contro quegli esseri infernali…

   Il sussulto della donna che ora lo sorreggeva fra le braccia, lo riportò alla realtà: Nami.

   Dio, ma da quando era diventata così bella? Non che prima non lo fosse, ma ora…

   I suoi capelli spettinati spiccavano di un rosso vivo, i suoi occhi scuri, perlati di lacrime, lo scrutavano a metà fra il sollievo e la paura, le sue labbra tremavano, incerte se sussurrare qualcosa o meno.

   Zoro mosse un braccio, rendendosi conto che i suoi tendini danneggiati rispondevano nuovamente ai comandi che dettava loro il cervello, e lui sfiorò il volto della ragazza. “Sono… vivo?”

   Non era che una semplice domanda, forse stupida, d’accordo, ma che di certo non prevedeva come reazione quella di vederla scoppiare in un pianto disperato, fatto di singhiozzi che lo supplicavano di una sola cosa: il perdono.

   “Ma cosa dovrei perdonarti?” sorrise il Cacciatore, levandosi lentamente in piedi, stupito che le sue ferite avessero smesso di sanguinare. “Se ti riferisci a quello che è successo ieri notte, ti ricordo che sei stata tu a chiedermi di…”

   E le parole gli morirono in bocca: la pelle di lei si era improvvisamente fatto più colorita della sua e le sue mani callose erano inspiegabilmente diventate… perfette. Ruotò gli occhi verso gli altri che, ora, lo guardavano con impacciata meraviglia, si soffermò su Rufy, e comprese: i denti del ragazzo erano ancora bagnati del suo sangue.

   “… Perché…?”

   “Per salvarti la vita”.

   “Credevo che tu detestassi quello che sei diventato…”

   “Sì. Ma se posso essere accettato dagli esseri umani anche in questo modo, mi sta bene”.

   “Non avresti dovuto farlo!” urlò Zoro, avventandosi contro di lui e scaraventandolo contro la parete opposta, non troppo distante dalle ceneri di Robin. “Lo sai…” cominciò quindi a sibilare, furioso, le mani serrate sulle spalle del suo creatore. “…QUANTO io detesti quelli della tua razza”.

   “Della nostra razza” precisò Rufy, atono, fissando i nuovi occhi del Cacciatore. “Non credere che per me sia stato facile”.

   “E allora perché…?!”

   “Nami” e già solo il sentire quel nome, spazzò via l’ira dal cuore del giovane. “Non voleva perderti. E, te lo chiedo per favore:” riprese il vampiro dai capelli neri, mentre due lacrime cominciavano a scendere sul suo viso che di disumano aveva ben poco, a ben guardare. “non cadere nel mio stesso errore e… perdonala. Ti ama ed è disposta a condividere il tuo destino, se glielo permetterai”.

   La presa di Zoro si allentò, e lui scivolò via dal corpo del vampiro come se le sue membra fossero abbandonate a se stesse. “Quale… quale destino vuoi avere, accanto ad un essere come me?”

   Quel quesito fu seguito da un silenzio di qualche attimo, quelli che occorsero a Nami di riprender fiato e di tornare padrona di se stessa. “Mi basta… averti al mio fianco…”

   “Tu… sei folle”.

   “Tale, evidentemente… è una donna innamorata”.

 

I suoi occhietti scuri osservavano stupiti quello che nonno Hillk gli aveva messo sotto al naso: una piccola ampolla contenente uno strano liquido bluastro al cui interno parevano galleggiare strane sostanze. “Cosa sono?” domandò incuriosito, la boccuccia spalancata per la meraviglia.

   “Uova di Julli” annunciò lo scienziato con fare solenne, sottraendo dalla portata del bambino quel tesoro prezioso. “Ah-ah! Meglio che non lo tocchi: ci ho messo una vita per procurarmele, e se questo prezioso tesoro dovesse andare perduto…” ma qualcuno lo interruppe, facendo irruzione nel suo studio.

   “Ecco dov’eri finito…” sospirò una giovane donna dai capelli rossi, i pugni serrati sulle anche. In realtà, decidendo di condividere l’esistenza con un vampiro, seppur molto diverso da quelli che aveva affrontato con lui quella notte di sei anni prima, Nami non avrebbe mai avuto modo di concepire un figlio: il seme dei succhiatori di sangue, si sa, è morto come lo sono loro. Ma, probabilmente, il Dio che la giovane donna aveva invocato in quell’occasione, implorandone il perdono, esisteva eccome: la prima volta, la prima notte in cui si era concessa a Zoro, proprio la sera prima che lui entrasse a far parte dell’oscura stirpe delle Tenebre, i due avevano concepito quel piccolo gioiello che ora, così rassomigliante al suo papà vampiro, la guardava con un musino offeso, la fronte corrucciata. “Non ti avevo forse detto di non dar retta alle sciocchezze che farnetica questo pazzo furioso?”

   “Ma mamma!” provò ad obiettare il piccolo, come ogni santa volta. “Mi ha mostrato delle uova di Julli!”

   Nami si portò una mano alla tempia destra. “Ancora con questa storia dei Julli, dottore? Eppure lo sapete che non esistono…”

   “Non esistono?!” stentò a crederci il bambino che, con un moto d’orgoglio, si volse di scatto verso l’anziano signore dal sorriso sornione, reo di averlo preso in giro.

   “Esistono, esistono…” sogghignò l’uomo, mettendo via l’ampolla. “Nami, come sta il tuo bel Cacciatore? Proprio non vuole saperne di tornare a trovarmi?”

   “Non dopo che avete cercato di cavargli un occhio per studiarne il bulbo oculare” scosse il capo lei, alzando gli occhi al cielo. “E tu sbrigati, dobbiamo tornare a casa” esortò ancora una volta al bambino. Questi lanciò un ultimo sguardo contrariato a Hillk, e cacciandosi un berretto in testa, precedette sua madre fuori dalla porta. Quindi, anche Nami si accomiatò, seppur fra un’imprecazione e l’altra quando lo scienziato le domandò ancora una volta se era disposta a procurargli un campione dei capelli del marito. E, salutando con calore Usop e Kaya, ora anche lei in attesa del suo primogenito, lasciò l’inquietante dimora del suo vecchio datore di lavoro.

   Il dottore si affacciò alla finestra, e la vide saltellare fra la prima neve dell’inverno insieme al figlioletto che subito le lasciò andare la mano per correre dall’uomo alto ed imponente che li attendeva davanti al cancello d’ingresso; il Cacciatore di Vampiri, ora vampiro anche lui, prese in spalla il bambino e salutò la moglie con un bacio fra la chioma rossiccia.

   Sorridendo, il dottor Hillk li vide allontanarsi verso la città. Chissà, si chiese, se anche quella notte Zoro e Rufy, temuti da tutti e ancor più dai loro simili, sarebbero di nuovo andati in cerca di Succhiatori di Sangue…

 

 

< CAPITOLO QUARANTASEIESIMO

                                                                                                                 

 

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