IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO QUARANTASEIESIMO

 

Era tutto finito.

   Fu un pensiero che Usop faticò a realizzare, dal suo nascondiglio ove aveva tenuto stretto Kaya; eppure così era: tutti giacevano, silenziosi, chi morto e chi no. E chi perduto in un limbo tra le due condizioni; come Zoro, grande e potente corpo ora freddo ed immobile, un’espressione pacata sul volto. Pareva quasi addormentato.

   Franky e Chopper, indeboliti ma non certo in pericolo di vita, riemersero da quel buco nel muro che li aveva condotti ad una lotta in un’altra stanza, ora devastata, nella quale il cadavere di un antico e carismatico vampiro stava disteso, ormai immobile, gli occhi spalancati nello spettro di quella malefica morte che, infine, lo aveva ghermito. L’androide, trovandosi a sostenere con malcelata preoccupazione una renna decisamente meno in forma di lui, osservò con un’espressione di metallica tristezza il palese dolore della donna in mezzo alla stanza.

   “Maledizione, svegliati!” imprecò Nami, le gote inondate da amare lacrime, perle liquide che, scivolando dal suo volto, ricadevano come rugiada sul corpo dell’uomo sotto di lei. Un corpo insozzato di sangue, un corpo il cui forte cuore stava per arrendersi, incapace di resistere agli ultimi colpi ricevuti. Avversari nella vita, ma compagni nella morte, il Cacciatore ed il Sire Oscuro giacevano l’uno accanto all’altro, ancora protesi nello spasmo di quella sempiterna lotta che li aveva condotti alla fine. “Zoro!” chiamò ancora la donna, e la sua voce fu come una pugnalata al cuore dei presenti.

   Lo aveva detestato sin dal primo momento. Era un buzzurro, un puzzone, un maleducato.

   Era un cavaliere oscuro.

   Un nero protettore che, avvolgendola con il suo detestabile calore, più volte si era frapposto tra lei ed il pericolo.

   Era stato il suo primo uomo. Non che lei avesse cercato di preservare più di tanto la propria purezza. Ma ciò non toglie che l’unico che aveva trovato la strada per coglierla era stato lui.

   Lui. Quell’uomo in procinto di morire innanzi a lei. Quello che prima la maltrattava, e poi si preoccupava di donarle una nascosta, leggera carezza, uno sguardo di muta intesa.

   Ricadde sul suo petto, le sottili spalle scosse da prepotenti singhiozzi. Spalle che, con gentilezza, vennero stretti da mani giovani, mani fredde come il marmo. Rufy le si inginocchiò accanto, anch’egli in lacrime. Rivoli color sangue gli macchiavano le guance prive di imperfezioni, facendolo apparire come una sorta di inquietante bambola gotica; ma il suo sguardo… quello era totalmente, infinitamente umano.

   “Posso salvarlo, se vuoi” mormorò. La donna rialzò il capo di scatto, spiandolo con occhi per la prima volta diffidenti. “Sai come” precisò lui, abbassando lo sguardo con aria colpevole. Come se quell'unica speranza di salvezza fosse esclusivamente colpa sua; come se lui non avesse meriti per la morte dei loro oscuri nemici.

   Nami strinse le labbra, non trattenendo altre lacrime. Certo che lui poteva salvarlo; e certo che lei sapeva come. Ma Zoro non lo avrebbe accettato mai. Zoro avrebbe vissuto detestando se stesso, Zoro avrebbe potuto scegliere di ucciderla per ciò che lei stava pensando di fargli.

   Zoro, Zoro, Zoro. Zoro, che stava morendo.

   “Nami, no.” sorprendentemente, fu Hillk a parlare. “Sai cosa sceglierebbe lui.”

   La donna si volse di scatto, fissandolo con indecisione. “Sì, lo so.” mormorò con voce esitante.

   “Io non lo conoscevo bene… ma, secondo me, è proprio così che voleva morire” s’intromise Franky, pratico come suo solito. “Glielo leggevi negli occhi, quasi.”

   Nami riabbassò il capo, i corti capelli rossi che, scivolando come un morbido manto, le oscurarono il volto ancora zuppo di lacrime. “Avete ragione.” Ammise, mansueta come poche altre volte nella sua vita. Poi: “Fallo” implorò inaspettatamente, permettendo al cucciolo di vampiro di avvicinarsi al corpo del Cacciatore. “Fallo” ripeté, dando convinzione e forza ad una voce che sapeva solo tremare.

   Rufy si chinò su Zoro. Detestandosi, aprì la bocca, scoprendo zanne piccole ma acuminate come letali pugnali. L’uomo ebbe appena un sussulto, quando essi si conficcarono nella pelle del suo collo.

   “Se esiste un Dio, che possa perdonarmi” sussurrò la donna, non potendo sopportare oltre la scena. Volse il capo nel momento stesso in cui Rufy, squarciandosi i polsi, premeva le proprie arterie sulle labbra del Cacciatore. “Che mi perdoni almeno Lui, poiché Zoro non lo farà mai…”

 

 

< CAPITOLO QUARANTACINQUESIMO

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