IL SAPORE DEL SANGUE

 

 

CAPITOLO QUARANTACINQUESIMO

 

Assetato di vendetta così come lo era di sangue, il Cucciolo si era macchiato della più grande colpa che può rendere un vampiro ancora più maledetto: l’aver ucciso un suo simile, o per lo meno l’averci provato. Quel sapore così vellutato, così inebriante, che impastò il suo palato e la sua lingua, lo condusse ad un nuovo stato: per la prima volta, Rufy assaporava del sangue umano – perché tale era quello che scorreva nelle vene di Drakul, rubato a chissà quali povere anime – e questo rese il giovane ancora più forte e desideroso di rivalsa. Era per colpa di quel maledetto se, come gli altri, anche lui era diventato un mostro capace di nutrirsi unicamente della ninfa vitale degli uomini, destinandoli a morte certa.

   Ma la forza dei secoli che gravava sulle vecchie ma vigorose spalle del Progenitore Oscuro, per quanto questi fosse ormai ridotto in pessime condizioni, scese in campo giocando d’astuzia. Drakul afferrò Rufy per la nuca, come la carezza di un amante che ben accetta i baci ardenti che gli vengono rivolti, e boccheggiò: “La… la senti, vero? Quanto sublime possa essere… questa meravigliosa linfa… Tu… sei come chi ti ha fatto: sei assetato di sangue”.

   Urlò, quando il ragazzo, preso dall’ira, affondò ulteriormente i denti aguzzi nella sua gola bianca, sempre più intenzionato a bere ogni stilla del sangue che gli scorreva in corpo.

   Quel bastardo aveva ragione. Il sangue umano – ora finalmente poteva comprenderlo anche lui – era qualcosa che non poteva minimamente essere paragonato al comune sangue di mucca o di pecora. Lo avrebbe fatto suo, tutto, per la prima ed ultima volta: se non poteva far nulla per coloro che si erano spenti con quello stesso bacio della morte, che almeno li vendicasse mettendo fine all’egemonia di quell’essere spregevole.

   “… Continua pure… a bere…” continuò in un rantolo l’Oscuro Signore. “Goditi questi istanti… perché, ragazzo… d’ora in poi… non potrai più farne a meno…”

   Fu a quel punto che Rufy oscillò nella sua decisione: e se, davvero, dopo avergli vuotato le vene, il suo corpo gli avrebbe chiesto altro sangue umano? Era un rischio che, ahilui, doveva correre; non conosceva altro modo per fermare il suo assassino indiretto.

   Tuttavia, quell’esitazione gli costò cara. Drakul, con la sua potenza millenaria, riuscì a staccarselo di dosso e, con un nuovo sprazzo di energia, scagliò il giovane lontano da sé.

   Non sapremmo dire se fu davvero questo che accese in lui quest’ultima scintilla; fatto sta, che il Cacciatore sfuggì al disperato abbraccio di Nami e si avventò contro Drakul, pronto a finirlo una volta per tutte. La ragazza urlò, così come fecero anche gli altri, ma nessuno riuscì a fermare quella forza cocciuta che, scagliandosi addosso al Signore Oscuro e mettendolo con le spalle al tappeto, serrò la gola del vampiro con una sola mano, l’unica che riuscisse ancora ad obbedire alla sua volontà. Gli occhi di Zoro, se possibile, erano ancora più spaventosi di quelli della creatura che ora lo fissava con meraviglia.

   “… Io… ti conosco…” boccheggiò Drakul, un sorriso di scherno sul volto cereo, le dita gelide attorno al polso del Cacciatore cercavano di liberarsi da quella stretta che, purtroppo per lui, sembrava indissolubile. “…è così?”

   “Non… spreco le mie ultime parole per spiegarti cosa mi ha spinto fino a questo punto…” soffiò Zoro, il cuore che gli bruciava il petto, l’ira che gli annebbiava la mente. “…userò le forze che mi sono rimaste unicamente per compiere la mia vendetta”.

   L’altro tentò di lasciarsi andare ad una risata, divertito dall’insolenza di quell’umano semplicione tanto convinto di poter uccidere il Signore di tutti i vampiri; ma si accigliò quando si rese conto che non riusciva assolutamente a liberarsi della sua morsa. “Ora basta… mi hai stancato” ringhiò, furioso. E di nuovo fece leva per scollarselo di dosso.

   Nulla. Irremovibile e più che mai intenzionato a concludere lì i suoi giorni assieme a lui, pur di mettere fine all’esistenza di quell’immonda creatura, il Cacciatore mise maggior pressione sulle dita, e con uno sforzo che andava ben oltre l’immaginabile, riuscì infine ad impugnare, seppur malamente, il secondo dei paletti di frassino che aveva portato con sé, l’altro che ancora conficcato nella sua spalla sinistra, ormai gli impediva quasi di provare dolore.

   Lo sollevò in alto; e un attimo dopo, tra l’abbondante scorrere del sangue che fluiva dalle sue ferite e che – se solo Drakul fosse arrivato a bagnarsene le labbra! – gli faceva lentamente perdere il contatto con la realtà, affondò il colpo.

 

Non riuscì ad udirla, ma nell’immagine sfuocata che gli si presentò davanti agli occhi spenti, quell’ultima luce che egli cercò di catturare, mentre Nami si precipitava su di lui col cuore spaccato a metà per il terrore di perderlo, Zoro lesse su quelle labbra il proprio nome.

   Poi, più niente.

 

 

< CAPITOLO QUARANTAQUATTRESIMO

CAPITOLO QUARANTASEIESIMO >

                                                                                                                 

 

INDICE DEI CAPITOLI

TORNA AL MENU FAN FICTION

TORNA ALLA HOME PAGE

 

© Tutti i personaggi sono di proprietà di Eiichiro Oda.