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LA BATTAGLIA DI VITTORIO VENETO
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Dopo la sconfitta degli Austriaci nella battaglia dell’Altipiano di Asiago del giugno 1918, gli Alleati spingevano sul Comando Supremo Italiano perché passasse all’offensiva, come se le battaglie sostenute non avessero logorato le truppe. Fortunatamente il generalissimo Armando Diaz, subentrato al Cadorna, era dotato di un’intelligente prudenza e decise diversamente.

Negli ambienti politici e giornalistici italiani, l’inazione del Comando Supremo, era assai criticata; si temeva che l’Esercito Austro-Ungarico si ritirasse volontariamente dal Veneto, senza esservi costretto da una sconfitta. Diaz, valutando meglio la situazione politico-militare, escludeva tale eventualità, poiché riteneva, con ragione, che lo sgombero volontario del Veneto avrebbe fatto crollare il morale dell’Esercito Austro-Ungarico e, di conseguenza, la Monarchia Asburgica avrebbe perduto l’unico suo sostegno e il solo elemento che manteneva ancora unite le diverse nazionalità dell’Impero. Mai, quindi, l’Imperatore Carlo e il Comando Supremo Austriaco avrebbero preso una tale decisione.

Diaz e Badoglio resistettero quindi alle pressioni, convinti che un’offensiva limitata in Italia non avrebbe procurato alcun vantaggio e che era indispensabile conservare le forze efficienti per sferrare al momento opportuno il colpo decisivo. Seguirono però, attentamente lo sviluppo della situazione. Il 15 settembre 1918 l’“Armèe d’Orient”, della quale faceva parte la XXXV divisione italiana, sfondò il fronte bulgaro in Macedonia e lo sfacelo del fronte bulgaro-tedesco nel Balcani divenne irreparabile.

Videro allora profilarsi l’opportunità di muovere all’offensiva, per combattere la battaglia decisiva alla quale miravano, in un avvenire assai più prossimo del 1919, primo ipotizzato. Il 26 settembre fecero chiamare ad Abano, sede del Comando Supremo, il generale Caviglia, comandante della VIII Armata, perché prendesse visione di un piano di operazioni nel quale era previsto di affidare alla sua armata il compito di attaccare il nemico sul Piave.

Si trattava di passare il Piave di fronte al Montello, avanzare nella piana della Sernaglia e puntare su Vittorio Veneto per tagliare la principale comunicazione fra le armate austro-ungariche operanti sui monti e quelle schierate lungo il Piave.

Il piano era stato studiato e messo a punto dal colonnello Cavallero, nella sua qualità di capo dell’Ufficio Operazioni del Comando Supremo. Nessuno gli contestò questo merito, e Badoglio non perdonò a Cavallero di essersi attribuito quel merito. Ne risultò anzi un conflitto personale che mise di fronte l’uno all’altro i due marescialli d’Italia venticinque anni più tardi, durante la Seconda Guerra Mondiale.

La direzione nella quale doveva essere sferrato l’urto principale era ben scelta, dal punto di vista strategico; era, anzi, l’unica che offrisse la possibilità di ottenere, dopo sfondato il fronte nemico, di conseguire un risultato decisivo. Comportava, però, com’era inevitabile, un preventivo sfondamento del fronte mediante un attacco frontale, rese difficile dalla necessità di passare il Piave dinanzi alla linea di difesa nemica, ma favorito dalla minore densità delle truppe che presidiavano il settore fronteggiante il Montello. Il fiume, soggetto a piene e magre, fu causa poi di una successiva modificazione del piano, come vedremo.

Il piano originario prevedeva che l’VIII Armata (gen. Caviglia) attaccasse dal Montello alle Grave di Papadopoli, appoggiata a destra, dalla II Armata (Duca d’Aosta) e, a sinistra, dalla IV Armata (gen. Giardino) le quali, però, sarebbero entrate in azione dopo che l’VIII Armata avesse sfondato il fronte austro-ungarico.

Il 10 ottobre, con un atto di valore più politico che militare, il Comando Supremo costituì, ai fianchi dell’VIII Armata, che disponeva di 14 divisioni, due Armate: la X, che avrebbe passato il Piave alle Greve di Papadopoli, costituita da due divisioni inglesi e due italiane, agli ordini di Lord Cavan, comandante delle forze britanniche in Italia; la XII, che avrebbe passato il Piave fra Pederobba e Vidòr, composta da una divisione francese e tre divisioni italiane, agli ordini del generale Graziani, comandante delle forze francesi in Italia.

Queste due armate, l’una a destra e l’altra a sinistra dell’VIII, dovevano passare il Piave contemporaneamente ad essa; la III Armata (Duca d’Aosta) con 4 divisioni avrebbe passato il basso Piave in un secondo tempo. La preparazione dell’offensiva – rinforzo di artiglierie trasferite dalla I Armata (Trentino), affluenza delle compagnie pontieri e predisposizione per il gittamento dei ponti, costruzione delle riserve di munizioni, concentramento delle divisioni, ecc. – richiedeva un certo tempo, per cui l’inizio dell’offensiva fu previsto per il 22 ottobre.

Il segreto che circondava i preparativi favorì l’impazienza degli ambienti politici italiani e le critiche si intensificarono. Gli Alleati era altrettanto impazienti; Orlando ebbe una tempestosa discussione con Clemenceau, capo del Governo in Francia, e le pressioni sul Comando Supremo divennero più insistenti. Diaz e Badoglio non si lasciarono impressionare: volevano attaccare quando la preparazione fosse completa, per conseguire con certezza una grande vittoria. Forse la loro prudenza fu allora eccessiva; dobbiamo però riconoscere, dopo tanti anni, che scelsero per l’offensiva il momento giusto, quello più propizio per ottenere una vittoria clamorosa e decisiva.

Purtroppo il Piave era in pena e le piogge persistenti fecero temere un ulteriore ingrossamento delle acque. Sul suo fondo ghiaioso, con una corrente di velocità superiore ai 2,50 metri al secondo, le ancore non avevano presa e i ponti non potevano essere gettati. Il Comando Supremo, non volendo rimandare l’inizio della battaglia, modificò il piano predisposto e il 18 ottobre ordinò che la IV Armata (Giardino) attaccasse il Grappa con 9 divisioni, in attesa che le altre armate potessero gettare i ponti sul Piave.

Il generale Giardino dovette così improvvisare in pochissimi giorni una offensiva contro una difesa fortissima, presidiata da truppe superiori in numero a quelle con le quali, da parte italiana, il Grappa era stato difeso nel mese di giugno.

Il 21 ottobre il compito della IV Armata fu precisato: separare la massa austriaca del Trentino da quella del Piave, raggiungendo il solco Primolano-Arten-Feltre.