PATRIARCATO DI VENEZIA

PASTORALE SPOSI E FAMIGLIA

 

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SCHEDE PER LA RIFLESSIONE

IN PREPARAZIONE

ALLA XIII ASSEMBLEA DEGLI SPOSI

S. Maria Concetta - Eraclea

18 Ottobre 1998

 

  «Signore, mostraci il Padre e ci basta” 

(Gv 14,8)  

 

NUZIALITA' e NATALITA'

Per la quasi totalità degli italiani il matrimonio rappresenta ancora il modello di rapporto di coppia largamente preferito (80,5%, mentre il 15% preferisce la convivenza non matrimoniale e il 4& sceglie di vivere da solo).

Nell'opinione comune sembra che si sia veramente famiglia soltanto quando ci sono figli, e il matrimonio è il passaggio necessario per avere il figlio (il 35% dichiara che lo scopo del matrimonio è la procreazione, per quanto ridotta 1/2 figli). Il posto che hanno i figli nel corso della vita di una famiglia, dice che cosa sia una famiglia in un determinato periodo: è la cultura della famiglia, dell'infanzia, il valore e il senso del figlio. Questa famiglia risulta così una  "famiglia genitoriale educante, prima che come coppia coniugale che si ama". La famiglia moderna come famiglia "affettiva" nasce, prima che dalle relazioni di coppia, a partire dai piccoli.

Questo fatto è accompagnato da una diminuzione del numero dei figli per famiglia man mano che la loro importanza affettiva umana cresce. Ciò ha modificato in modo sostanziale non solo l'esperienza di "essere figli", ma anche quella di "essere genitori" e la stessa cultura: l'immagine  sociale della sessualità di coppia, la maternità-paternità e la procreazione, le attese costruite attorno al figlio, le logiche che stanno sotto a situazioni come quelle di "sterili per scelta" e "genitori a ogni costo" o come quelle del "figlio programmato" come un "oggetto" e non accettato come "persona". Il "figlio programmato" è un oggetto fatto a propria immagine e somiglianza perché deve rispondere ad attese, che devono soddisfare da subito i desideri e le ambizioni della coppia carica di molteplici attese.

Conseguenze …

  SPOSI-FAMIGLIA e BIOETICA   

Premessa.

Nel corso della sua breve storia, la bioetica ha esplorato  temi sempre più vasti e comprensivi. Sono quattro, sotto la spinta delle nuove applicazioni dell'ingegneria genetica, le fasi della sua evoluzione: 1) interesse per i problemi dell'equilibrio della "biosfera" e della "difesa dell'ambiente"   in ordine al futuro dell'umanità; 2) avvio di una riflessione sui problemi anche della "procreazione" (contraccezione,   procreazione artificiale, politiche di pianificazione familiare);  3) viene ricompera, nella bioetica, anche l' "etica medica" e l' "etica della ricerca e della sperimentazione biomedica" (attenzione alla deontologia   e promozione dei "diritti umani";  4) infine attenzione, sempre da parte degli studiosi, sui problemi della "meta-bioetica". La domanda che essi si pongono è: esiste un criterio di giudizio assoluto e universale per distinguere ciò che è lecito da ciò che non è lecito?

  * Attorno al tema della famiglia si concentrano   i problemi più delicati e rilevanti della bioetica: la contraccezione e la pianificazione familiare; la procreazione artificiale e la possibile connessione con l'eugenismo; la diagnosi prenatale, l'ingegneria genetica; l'identità e lo statuto del nascituro, la specificità e la natura dell'atto procreativo; l'assistenza al morente e l'eutanasia, il trapianto degli organi; l'AIDS nell'ambito coniugale, la droga e la sua prevenzione; il malato tumorale, l'anziano in famiglia…

Non c'è tema di bioetica, dunque, che non tocchi la vita della persona e che, quindi, non riguardi direttamente o indirettamente  la famiglia.

·        E' tutta una lunga serie di sfide, che richiedono delle risposte.

Non basta, perciò, la denuncia del male così come si presenta e dichiararne l'inaccettabilità; nella convinzione che siano possibili delle alternative, fondate sulla verità, sulla forza del Vangelo, sulla ricerca instancabile dell'accordo vero, e non fittizio, - afferma mons. Sgreccia, segretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia - "tra la scienza e la morale, tra la ragione e la rivelazione".

  E' in questa linea e per questa prospettiva che dobbiamo lavorare con coraggio, non solo per risolvere i a singoli problemi, ma anche per ristabilire e chiarire quali sono i fondamenti antropologici del matrimonio e della famiglia, della sessualità  e della procreazione. Ecco lo spazio prezioso per il Consultorio diocesano, come conferma con autorevolezza il nostro Patriarca.

   

GLI SPOSI E LA FAMIGLIA E IL DISCERNIMENTO EVANGELICO DELLA STORIA.

All'interno del mondo cristiano si è avviato  il passaggio da un'esperienza "sociologica" (la cristianità) ad un'esperienza "evangelica" della fede: è attraverso l'azione dello Spirito Santo che ciò sta avvenendo.

E', infatti, il Concilio che ha avviato questo spostamento profondo dell'asse della coscienza ecclesiale da una polarizzazione di tipo socio-culturale ad una polarizzazione di tipo evangelico. Questo spostamento è concreto e, per un verso, viene dalle trasformazioni antropologiche che sopravvengono nell'area della civiltà tecnologica nella quale viviamo la nostra esperienza,   per altro verso, viene dalla necessità della coscienza cristiana, necessariamente illuminata dalla riscoperta della Parola di Dio  nella Scrittura, di discernere, dentro questi cambiamenti, i segni di fecondità del Regno di Dio che vi sono presenti (cf   FC 4 e 5 e Nota pastorale CEI dopo Palermo, 21). 

E certamente, per l'azione dello Spirito, oggi noi cristiani stiamo scoprendo che il messaggio del Vangelo della salvezza investe la totalità della vita, abbraccia la totalità delle attese umane, da quelle del bicchier d'acqua a quella dell'al di là, da quelle di trovar marito e moglie a quella di trovar l'amicizia di Dio. Insomma, il contenuto del messaggio di Gesù non è solo l'al di là, ma è l'adempimento della creazione come storia della salvezza.

Questo spostamento suscita il bisogno di cogliere l'appello che scaturisce dalla situazione e di rispondergli con creatività. Non semplicemente appellandosi ai modelli esistenti, ma inventandone di nuovi. 

Questo contesto magisteriale conferma anche che la risposta di fede alle provocazioni del tempo è di tutti i cristiani, che sono la Chiesa di Cristo, il Corpo del Signore, certo guidato dal Magistero apostolico. Il quale, allora, non sostituisce la Chiesa come sposa di Cristo, ma ne provoca e favorisce il discernimento del tempo, la risposta ai segni del tempo, il dono, insomma, perché il Regno di Dio venga. La competenza profetica dei cristiani nella comunità ecclesiale si specifica dei carismi, ma anche della loro particolare esperienza, ma nel caso di noi sposi la competenza è addirittura sorretta da un segno sacramentale, quello del Matrimonio.  

   

RICERCA DEI SEGNI DEL REGNO NELL'AMBITO DELLA FAMIGLIA IN QUANTO SOCIETA' E IN QUANTO COMUNITA.

  Il fatto singolare è che, mentre la "società" ha dei fini nel tempo, la "comunità" non ha fini nel tempo. Essa è ai confini del tempo e dell'eterno. La comunità si giustifica da sé ed ha ragione di esistere perché è nella comunità che i membri trovano la pienezza, la dinamica della propria creazione, e quindi il superamento di ogni egoismo.

Questo spazio comunitario procede da Dio e va a Dio. Il linguaggio è religioso, ma se si dovesse parlare a dei non credenti, diremo che, in quanto vivono un'esperienza di "amore", essi vivono un'esperienza non societaria, che ha un riferimento in sé a ciò che è oltre il tempo: le persone che si amano e vivono insieme postulano il superamento del tempo, non trovano il loro senso pieno nella società in cui pure sono immersi e che fornisce alla comunità il "contenitore giuridico" della sopravvivenza, il sostegno della propria autonomia, mai il "contenuto".

  Certamente la Chiesa ha riguardo particolare alla famiglia in quanto "comunità". La famiglia come "società" appartiene, è subordinata all' "ordine" o alla logica   del tempo, alle necessità economiche, a ciò che fa storia, è sostanza della storia; la famiglia "comunità" appartiene all' "ordine necessario". Così i cristiani, per esempio, devono garantire che nelle famiglie ci sia un diritto di famiglia serio, che ai membri della famiglia sia garantita la possibilità di realizzare una comunità vera, autentica. Ma la comunità   appartiene al "miracolo", cioè al "gratuito",   a ciò che a nostro occhio di cristiani prefigura una realtà ultima, che è appunto il Regno di Dio.

Dio è tutto in tutti, e ciascuno è totalmente aperto agli altri in una profonda comunione di spiriti senza limiti. Questa visione ultima di una comunione universale è il limite evangelico verso cui ci muoviamo. 

Nell'esperienza familiare noi notiamo, da una parte, il legame con la storia, l'inserimento nella società, che è il nostro essere nel tempo orientato ad obiettivi temporali; ma, insieme, nella vita familiare osserviamo la comunione gratuita, che nessuna legge può provocare né produrre. 

Questa dualità ci permette di capire anche qual è la nostra responsabilità di cristiani: lottare perché lo Stato garantisca leggi secondo giustizia; ma tanto di giustizia non dà l'amore. Nella giustizia i rapporti fra i membri sono visti esteriormente, nella delimitazione degli ambiti di autonomia, mentre nella comunità queste delimitazioni scompaiono,  perché c'è la compresenza degli uni negli altri, degli uni per gli altri. Quindi un'esperienza superiore alla giustizia, perché laddove la giustizia è assicurata, la comunità può rivelarsi   fragilissima. Anzi come comunità la famiglia normalmente non sopravvive con la sola giustizia.

Il compito dei cristiani è testimoniare la "comunità coniugale familiare"; il modello societario di famiglia è un prodotto dell'uomo, della storia, della società messa insieme.

La Chiesa in una società civile è chiamata ad essere la presenza visibile della "comunità degli uomini", della "comunità universale". Essa è il segno profetico di una "comunione ultima". Perciò la Chiesa dovrà svestirsi sempre più delle forme societarie, per essere sempre più una comunità senza ragioni di necessità, una congregazione ecclesiale di tipo libero.

Attraverso la libertà dobbiamo realizzare la comunità eucaristica, che è il segno più alto della Chiesa. Ora, quando spezziamo il pane, che cosa ci spinge? La fede.

E che diciamo in quel momento? Niente che appartenga all'ordine della necessità storica.

Non siamo un modello di società giuridica. Siamo un'anticipazione del Regno. Diciamo che il Signore viene e che la venuta del Signore è la liberazione dell'uomo da ogni schiavitù. E quindi collochiamo, dentro il tempo, la fine del tempo, nel provvisorio il definitivo. Ma non in una specie di sintesi manichea, come se noi, dandoci il bacio della pace, potessimo dichiarare che la "fraternità" è arrivata. Sappiamo che il nostro bacio della pace è un simbolo, che può contraddire la realtà. Non si può essere fratelli mezz'ora per andare poi a litigarci in una società di competizione come la nostra.

  E' chiaro che questa esperienza di fraternità comunitaria si pone in una specie di distacco critico nei confronti del mondo presente. Ci dispone a delle scelte politiche, che non sono deducibili da nessuna Eucaristia, ma che siamo  capaci di creare un ordine nel quale sia possibile la fraternità, in cui la libertà dell'uomo sia aperta il più possibile ad un'esperienza ulteriore che è quella della comunità ecclesiale. La Chiesa dev'essere sempre più Eucaristia. 

E' in questo senso che la comunità coniugale e familiare è chiamata a vivere con una sua densità ecclesiale: nella famiglia davvero il radicamento tra l'evento ultimo e la realtà storica è costitutivo. Nella famiglia si parte dalle radici della terra e si anticipa l'ultimo evento.

C'è una struttura umana, il crogiolo delle speranze che è la famiglia, e dentro s'innesta la celebrazione eucaristica, la "memoria" del Signore attraverso l'ascolto della Parola e la frazione del Pane.

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