La Capitanata tra ottocento e novecento
 
alfonso chiaromonte
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la provincia di foggia, nei libri e nei manoscritti del secolo xviii, è indicata con diversi nomi: daunia, puglia piana, capitanata. tutto il territorio era compreso tra il fiume fortore e l’ofanto. esso era suddiviso in tre zone: una zona montuosa, il gargano, una zona collinosa, lungo il confine molisano e beneventano, dalle foci del fortore a bovino e candela; una zona piana che si estendeva dall’uno all’altro fiume, con il nome di tavoliere. la capitanata, nella sua zona pianeggiante, non fu sempre così brulla e deserta, come appare da una secolare tradizione, che va dal secondo o terzo secolo a.c. alla fine del 1700 , ma fu ricca di popolazione e di città. la daunia era limitata dal mare adriatico ad oriente ed a settentrione dal fiume fortore ancora al nord e ad occidente che la divideva dalla frentania e dal sannio pentro, a mezzogiorno il confine andava dalle sorgenti del fortore attraverso i territori di accadia e di bovino, al fiume ofanto, che la separava dall’apulia peucezia (oggi provincia di bari). i primi abitanti dell’apulia, secondo marco porcio catone, il censore, nell’opera “le origini”, furono i liburni venuti dalla liburnia, regione dell’antica illiria (dalmazia), e che abitarono proprio i monti del sub appennino alla destra del fortore, una volta chiamati liburni montes. leandro alberti, però, nella “descrizione d’italia”, al cap. iapigia, riferisce che, prima forse della gente illirica capitanata dal re dauno, venuto nell’apulia, come afferma anche plinio nella “historia naturalis”, vi abitassero delle tribù aborigene del popolo osco, che conducevano vita tranquilla e pastorale, le quali tribù derivavano dalla prima immigrazione giapetica. certo non è facile precisare le origini del primo popolo che abitò l’apulia, perché le sue tracce si dispersero nelle remote ed oscure antichità; mentre a noi sono pervenute dagli antichi storici soltanto notizie del popolo venuto dall’illiria . dalla storia delle due sicilie di nicola corcia, cap. daunia, si rilevava che i greci e i latini, storici e poeti, facevano derivare il nome di daunia da dauno, antichissimo re della regione, prima del quale non si conoscevano altri che vi avessero avuto dominio. del re dauno parlavano già timeo e lico, ma costoro, senza riferire l’origine, dissero solo che il re governava nella contrada al sopraggiungere di diomede dopo la guerra di troia . apulia et daunia vetus siponto era il porto naturale di arpi, e sempre sul mare, un po’ più a sud, sorgeva salaria (vicino all’attuale zapponeta). la città sarebbe stata abbandonata nel 29 a.c. e ricostruita all’interno per l’abbassamento del litorale, mentre all’incrocio tra la via aurelia e la via traiana c’era herdonia, il cui parco archeologico rivela ancora oggi una notevole prosperità. tra la pianura e le colline daune erano attestate aecae, l’attuale troia e luceria. quest’ultima era una delle città più ricche e fiorenti. risale all’epoca romana lo splendido anfiteatro che ancora oggi ospita pubblici spettacoli. a nord sul fiume fortore c’era teanum appulum, nei pressi dell’attuale s. paolo civitate. municipium romano e passaggio obbligato dei greggi che dall’abruzzo erano condotte a trascorrere l’inverno nella pianura. sulle coste del gargano si succedevano, invece, matinum, l’odierna mattinata, vieste, uria. la tradizione antica conferma che la daunia era un territorio popoloso e laborioso. le città di herdonia e lucera, minacciate dai sanniti, divennero alleate dei romani. a seguito della guerra tra roma e taranto e l’alleanza di questa con pirro, ascoli satriano ospitò una delle più terribili battaglie dell’antichità. nel 278 a.c., il re epirota inflisse ai romani una pesante sconfitta, tanto che essi dovettero ripiegare su taranto. quattro anni dopo avvenne il contrario. pirro fu sconfitto nei pressi di benevento ed i romani riscattarono la vergogna del 278. questa terra, per la posizione favorevole che occupa nel mediterraneo, fu un naturale crocevia di civiltà e di cultura e nello stesso tempo un naturale teatro di guerre e di scontri. nel 217 a.c. fu la volta del condottiero cartaginese, annibale, il quale si accampò nei pressi di bovino per tentare il colpo grosso sull’esercito di roma. i dauni, però, restarono fedeli a roma e riuscirono a respingere le truppe nemiche sulle montagne appenniniche. la necessità di vettovagliamento indusse annibale a ritornare nel tavoliere, dove, il 2 agosto 216 a.c., inflisse una gravissima sconfitta ai romani. secondo la tradizione e gli storici antichi, si è solito collocare il luogo di questa battaglia nei pressi di canne, sull’ofanto. alcuni studi recenti dimostrano che la battaglia, in realtà, si sarebbe svolta nei pressi di castelluccio valmaggiore. in ogni caso, il cartaginese ha spesso trasformato questo territorio in terra di scontro con i romani. a herdonia, infatti, si svolsero due battaglie, e sempre con esito favorevole all’africano. con la definitiva sconfitta dei cartaginesi la situazione politica divenne stabile e la daunia interamente romana. la daunia, la cui gente fu una volta irriducibile avversario di roma e fedele alleato dei sanniti, dei quali seguì le sorti per ragioni storiche ed economiche, non si sottrasse ai vari passaggi di eserciti e di distruzioni. con la crisi dell’impero, la puglia diventò uno dei più frequenti teatri della guerra tra le truppe di bisanzio e quelle germaniche. il tavoliere e l’appennino dauno furono territori di conquiste, di razzie. i goti di torcila rasero al suolo la più fiorente e ricca delle colonie romane, arpi. le altre città della pianura, teanum ed herdonia furono ugualmente travolte. la guerra portò a conseguenze disastrose i centri dauni: lucera fu distrutta nel 663 ed i superstiti furono costretti a rifugiarsi a lesina . aecae conobbe la stessa sorte. il solo baluardo restava il gargano, con sipontum e la nuova città di monte s. angelo, sorta nel v secolo, dopo la prodigiosa apparizione dell’arcangelo michele. all’inizio del secondo millennio, lucera e troia furono rifondate, mentre continuava l’inarrestabile declino di arpi e la nascita, non molto lontano dal luogo della vecchia città romana, di foggia. la fantasia popolare ha fissato la data della nascita della città al 13 agosto dell’anno 1073 . diverso è il parere di giuseppe de troia , il quale sostiene che “ il trovarsi una gran quantità di fosse a tre quattro miglia da arpi, in un luogo più elevato, lontano da corsi o ristagni d’acqua, ci fa capire che gli stessi abitanti di arpi, che prima depositavano i cereali nelle fosse di arpi, continuarono a depositarli in quel sito, dal quale sarebbe stata poi costruita la futura foggia”. e’ quasi avventuroso fare una simile affermazione, considerando che esiste un vuoto di oltre otto secoli dalla distruzione di arpi al sorgere di foggia. salvo che non si voglia affermare una continuità di vita degli abitanti di arpi, dovuta alla comodità delle fosse esistenti in quel luogo per la conservazione dei cereali. nella prima metà del secolo xi i normanni si stabilirono nella daunia. all’epoca dei catapani, quasi per ironia degli eventi sopravvenuti, questa terra fu chiamata catapanata e dopo, con il nome metatizzato, capitanata, dal nome del catapano che governava il territorio. nei tempi antichi la daunia aveva un clima salubre, era ricca di alberi, di fertili campagne, di magnifiche città: ascoli, bovino, teano, civitate, arpi, lucera, erdonia, salapia, eca, siponto, canosa. esse avevano relazione di commercio con le province vicine e con i paesi orientali. in quel periodo le acque dei fiumi e dei torrenti erano racchiusi in canali ben costruiti e non inondavano le campagne che attraversavano. il fortore, l’ofanto e il cervaro, secondo il giudizio degli antichi scrittori, in alcuni periodi dell’anno erano navigabili e percorsi da numerosi battelli . attraverso i secoli si alternarono continui sconvolgimenti, guerre disastrose, rovine, distruzioni, che modificarono parecchio tutto il territorio. le antiche città, una volta fiorenti d’arte e di ricchezza, obbligate a parteggiare ora per l’uno ora per l’altro degli avversari in lotta, decaddero dal primitivo splendore o scomparvero addirittura dalla vita regionale. le nostre popolazioni o furono distrutte o andarono qua e là fuggiasche, in cerca di luoghi più tranquilli. le immense pianure, fertili e ricche di armenti, rimasero prive di coloni ed assunsero l’aspetto di terre deserte. la rovina peggiore fu quella causata dalle acque dei fiumi e dei torrenti, che, non più disciplinate nei loro corsi e non più trattenute nei loro alvei, ristagnarono in paludi apportatrici di febbri e di morte. incominciò a verificarsi un lieve e continuo spopolamento delle persone, che abitavano quegli immensi territori. con il passar degli anni questo movimento divenne sempre più intenso e costante. il continuo spopolamento della specie umana, a causa di rovine e distruzioni, non è antico nella daunia. prima che vi dominassero i romani vi era una numerosa e felice popolazione. i greci vi avevano fondato le tre città di arpi, di siponto e di salapi, che oggi non esistono più. gli storici romani, in occasione della guerra di annibale, fecero menzione di ecana, di gerione, di erdonea, di civitate, di dragonara, di lucera. oggi solo l’ultima esiste. divennero tutte città vescovili, e questo dimostra la loro antica importanza. dagli scrittori latini sono pure ricordate: teano, ferentino, equotutico, ecc. ognuna di queste era una metropoli che governava moltissimi villaggi sparsi nei rispettivi territori. nell’immensa pianura, dove si pensava che fossero esistite quelle città, ora si notano: foggia, lucera, san severo e cerignola… manfredonia era compresa nel gargano . la daunia dovette perdere di popolazione e di salubrità sotto il dominio distruttore dei romani: essa fu devastata definitivamente dall’occupazione di popoli barbari. fin dall’espansione del popolo romano ed attraverso i secoli, il territorio pugliese non ebbe mai pace e divenne il campo di tutte le guerre, che sconvolsero le fiorenti popolazioni della puglia. in questi luoghi romani e sanniti, romani e tarantini alleati con epiroti, romani e cartaginesi spesso si affrontarono in dure e sanguinose battaglie. qui si svolsero gli aspri dissidi causati dalla guerra sociale, si scatenarono le furie dell’insurrezione di spartaco. in questo luogo ancora acquistarono fama e gloria i condottieri decio mure, curio dentato, attilio regolo, fabio pittore, marcello, quinto fabio massimo, silla, cesare, pompeo, ottaviano…, sia che le pianure servissero come aperto campo di battaglia, sia che le città marittime e terrestri accogliessero le riserve degli eserciti che guerreggiavano nei paesi orientali. placate le guerre interne ed esterne e consolidatosi l’impero di roma, tutto il territorio si trasformò in un vasto latifondo e divenne strumento di estorsione nelle mani del fisco imperiale. in questa terra si susseguirono ancora senza sosta eruli, avari, ostrogoti…, apportando distruzione e rovina. la storia non termina con la decimazione di un popolo o con la distruzione di città. altre sorgono nel luogo dove esistevano o nelle vicinanze di quelle scomparse. la città di troia fu edificata nel 1018 dal greco capitano bubajano, dal patriarca di costantinopoli fu eretta in vescovado ed ebbe una propria diocesi. passata poi questa città sotto la dominazione dei latini, il papa alessandro ii, con una sua bolla, riportata dall’ughelli nel primo tomo della sua “italia sacra”, confermò il vescovado e la diocesi, assegnandole dodici paesi, ora tutti distrutti. tutto questo è accaduto nella sola diocesi di troia. lesina era una città ricca e fortificata, oggi è diventato un paese tranquillo. la badia di ripalta aveva un’estensione di 20.800 moggi napoletani, oggi ha pochissima popolazione. tra il feudo di ripalta e il fiume biferno vi era la città, detta cliternia, che oggi non esiste più. tra termoli e vasto, in una fertilissima spiaggia lunga 18 miglia non c’era nessuna popolazione . esisteva prima petacciato, fu distrutta dai turchi ed interessi baronali si opposero a ripopolarla. la desolazione della campagna fu la causa principale dell’insalubrità e dello spopolamento. dove prima erano città, giardini, vigne e campi da seminare, oggi si estende un territorio arido e deserto. si trovano sterpi di vigne, ulivastri, peri selvatici, che sono residui delle antiche coltivazioni. venuta a mancare la popolazione e quindi il lavoro dei campi e la regolamentazione delle acque, il flusso delle acque, i fiumi e i torrenti hanno formato dappertutto paludi. la pianura ha perduto il suo antico declive sul mare per le continue deposizioni, che vengono continuamente respinte al lido dalle maree, si sono raccolte in dune, che non solo hanno ostruito le foci dei fiumi, ma vi hanno formato molte barriere tra loro parallele e più alte della pianura. nel medioevo la capitanata fu campo di battaglie di longobardi, di saraceni, di papi e degli imperatori dell’oriente e dell’occidente, fino a che, con il declino della fortuna degli ottoni, i bizantini, che erano rimasti aggrappati a siponto e nelle sedi vescovili di ascoli e di bovino, la riconquistarono fino al fortore al n e al basento a o. queste terre furono comandate da un catapano greco, alle cui dipendenze erano gli spatari. tutto il territorio fu riorganizzato e fortificato, specialmente nella zona appenninica. successivamente i normanni, venuti in aiuto del capitano bizantino maniace per scacciare i saraceni insediatisi nuovamente sul gargano, s’impadronirono con un fortunato colpo di mano di melfi, fino allora in mano dei greci. la capitanata nella spartizione delle terre conquistate nel 1043, la capitanata fu distribuita fra guglielmo, che ebbe il territorio di ascoli, rodolfo che ottenne il territorio di canne fino all’ofanto, gualtieri che ebbe il territorio di civitate e rainolfo quello di siponto e il gargano. nei due ultimi decenni del secolo xi, la capitanata, posta ai confini del ducato, con il regno d’italia, fu teatro di lotte e di ribellioni. molte città passarono dai normanni ai greci e viceversa, al papa e all’imperatore tedesco, ed il fuoco della rivolta non si spense, se non quando alcuni fra i più irrequieti duchi e conti normanni partirono per la prima crociata e quando in troia, nel 1115 e nel 1120, con l’intervento del papa callisto ii, si riconciliarono il duca guglielmo con ruggiero di sicilia. conti, duchi, baroni e papa giurarono la pace. nuove guerre interne, nuove devastazioni funestarono la capitanata durante la prima metà del secolo xii, finché ruggero ii non ebbe saldamente ristabilita l’autorità regia. nel 1154 sorse una contesa fra guglielmo i e il papa e tutta la capitanata, ad eccezione di troia, si unì al ribelle roberto loritello, ma guglielmo riconquistò bari, la capitanata, benevento. nel travagliato territorio ristabilì, così, la pace, che durò fino alla morte di guglielmo ii, avvenuta nel 1189. federico ii, pur avendo spostato il centro del suo regno in sicilia, ebbe cura anche per la capitanata, che fortificò ed affidò alla sorveglianza di un giustiziere. fu questo un periodo di rifiorimento civile ed economico. la capitanata, nonostante tutto questo, non fu sempre fedele all’imperatore svevo nella lotta con gregorio ix. troia e foggia, ribelli, furono riconquistate da federico ii. diversamente avvenne per lucera, dove egli aveva lasciato una colonia di saraceni, i quali, furono sempre fedeli sia all’imperatore, sia ai successori della sua casa. la capitanata non si sottrasse alle tristi conseguenze della signoria angioina. le città si videro ridotte le immunità e sentirono sempre più il peso del giogo tributario, per effetto della politica estera angioina. il tono della vita e della cultura si abbassò. s’impadronirono della capitanata mercanti e banchieri genovesi prima, fiorentini e veneziani poi, esportatori privilegiati dei prodotti agrari del paese, monopolizzatori del traffico e dei porti. l’importanza politica della capitanata diminuì notevolmente con l’insediamento della signoria angioina. alla celebre sommossa dei baroni contro ferdinando d’aragona presero parte i centri più importanti della regione: lucera, troia, foggia, san severo e manfredonia. nella repressione seguitane, lucera fu distrutta, il santuario di monte sant’angelo, dov’erano custodite tutte le ricchezze della puglia, fu saccheggiato e i tesori furono trafugati. alfonso i d’aragona, nel 1442, istituì a foggia la “dogana della mena delle pecore”. da secoli remoti la capitanata piana era stata meta invernale degli armenti degli abruzzi, per i quali si pagava un diritto alla dogana di foggia. per secoli, gli introiti della “mena delle pecore” furono una delle voci più consistenti del bilancio statale. gli storici hanno molto discusso sui vantaggi e sugli svantaggi che la riforma di alfonso provocò sull’economia locale. la riforma di alfonso i fu grandiosa, perché non si limitò solo agli aspetti organizzativi, giuridici e fiscali della dogana, ma comportò una generale riorganizzazione del territorio: furono reintegrati i tratturi, le lunghe vie erbose lungo le quali si spostavano le greggi, furono organizzati i tratturelli, i bracci, i riposi. attraverso questi chilometri di strade, si svolgeva la complessa attività, legata alla pastorizia transumante. l’esazione di quella dogana fu uno dei motivi della lotta fra ferdinando di spagna e luigi di francia, che portò all’incursione in capitanata di truppe francesi comandate dal duca di nemours. la guerra tra carlo v e francesco i ebbe anche una fase nella regione: l’assedio di foggia, difesa dalle truppe di carlo v. il moto di masaniello ebbe anch’esso un’eco in capitanata, a foggia. foggia e le terre vicine furono presto democratizzate nel 1799; ma la reazione, prima e più che dalle armate alleate, fu compiuta dai contadini tumultuanti contro i proprietari per il possesso della terra. il tavoliere di puglia è stato per tre quarti di proprietà dello stato, che ne faceva lucroso traffico in due modi: uno locando vastissime zone, ad uso di pascolo, ai montanari d’abruzzo e di altre regioni viciniori, l’altro ad uso di coltura, per lo più frumentaria, ai “massari di campo”, che diventavano fittuari della terra sotto la vigilanza e il dominio del fisco regio. le stesse consuetudini vigevano nei terreni della zona collinosa, i quali erano nelle mani di pochi facoltosi, tanto che le campagne della daunia, in massima parte, soggiacevano alle medesime norme di fittanza. la durata dei fitti agrari era troppo limitata nel suo percorso. ad eccezione del caso dell’enfiteusi, frustrata nei suoi effetti benefici da mille restrizioni, si riconduceva, per lo più, a periodi triennali o biennali, sì che l’agro di capitanata si trovava nelle mani di precari e disamorati coltivatori. la semina del grano occupava il primo posto dell’agricoltura, perché si sfruttava molto la fertilità del terreno. la semina di tale prodotto avveniva soprattutto nelle grandi masserie fino a tre mila moggi napoletani, perché era esercitata da persone ricche e facoltose e non da persone di modesto stato sociale. queste coltivazioni esigevano grandi spese, proprio perché mancavano abitanti residenti in loco e quindi era necessario ricorrere ad operai di altre province. venivano gli aratori dall’abruzzo, i mietitori e i battitori dalla peucezia, dalla basilicata, dai due principati. questi operai se si fossero rifiutati un solo anno di lavorare nella daunia piana, non ci sarebbe stato grano per nessuno. i grandi proprietari affidavano i loro campi ad un amministratore, il quale accoglieva gente avventuriera di tutti i paesi. le terre così erano mal coltivate e peggio governate. accadeva che la produzione delle grandi masserie era scarsa, mentre quella dei piccoli poderi, lavorati con cura e passione, rendeva il doppio. i vini del piano erano salmastri e di cattivo gusto, mentre quelli del gargano e delle colline erano buoni. generalmente avevano poca durata e dovevano essere consumati entro l’anno. il gargano era fertilissimo in tutti i generi di piante, ma era una regione avvilita dalla servitù dei riposi della dogana di foggia e dalla schiavitù feudale. le alture erano quasi tutte rivestite di folti ed ampi boschi, che tenevano fermo il terreno e consentivano di respirare sempre aria salubre. nella capitanata le occupazioni prevalenti delle popolazioni erano quelle dedicate all’agricoltura, all’arboricoltura e all’allevamento del bestiame. il tavoliere di puglia, che è stato per molti secoli un territorio prevalentemente utilizzato per pascolo, oggi, al contrario, è coltivato in gran parte a cereali, sebbene continui in alcune zone ad essere largamente sfruttato per industria armentizia. le colture arboree dell’ulivo, degli alberi da frutta e della vite sono diffuse nella zona di san severo a n e in quella di cerignola a s, oltre che in prossimità dei centri garganici. nella fascia litoranea del gargano settentrionale, si è affermata, per la presenza di falde acquifere del sottosuolo, la ricca coltura degli agrumi. in confronto alle altre province del regno, quella di foggia fu una delle prime quanto a produzione di grano e di avena, e ne fu addirittura la prima per l’estensione dell’una e dell’altra coltura. la capitanata fu tra le prime province pugliesi al primo posto anche per la produzione delle patate. colture irrigue si trovavano specialmente nelle immediate vicinanze dei centri abitati, come san severo. l’allevamento del bestiame riguardava specialmente gli ovini, i suini erano allevati quasi esclusivamente nel gargano. fu pure discreta la produzione equina, sebbene meno largamente di una volta, ancora oggi è praticata la transumanza tra le zone piane della capitanata e le montagne dell’appennino abruzzese, campano e lucano. dipendeva dall’industria armentizia la considerevole produzione locale di formaggi (notissimi i cacicavalli), delle ricotte e delle mozzarelle. per i prodotti della pesca ebbero considerevole importanza manfredonia per la pesca marittima e i così detti laghi di lesina e di varano per la ricca pesca lagunare (anguille, spigole, orate, cefali...). nelle industrie estrattive andava citato il gargano per il calcare compatto ed in alcuni punti per i bellissimi marmi colorati, lucera per le argille, dalla cui presenza era favorita un'industria locale della ceramica. margherita di savoia, ad o della foce dell’ofanto, ebbe sempre vaste e ricche saline, fra le più importanti d’italia. le industrie olearie e vinicole di primo ordine specialmente a san severo e cerignola ebbero sempre grande affermazione in italia e nell’europa ed anche oltre. l’industria molitoria e quella della pasta alimentare furono molto diffuse a foggia e a cerignola, mentre l’industria della carta si affermò ad ortanova. un male che afflisse questa terra fu la siccità e la scarsezza di acqua potabile, prodotto dalla naturale conformazione del territorio e completamente privo di montagne e di corsi fluviali copiosi e perenni. quale fosse stato nella regione pugliese il beneficio delle terre selvose, si apprende dagli studi dei nostri meteorologi, che nel xviii secolo tennero così alto in italia e nel mondo il nome della terra natia. queste terre boscose, nel periodo estivo, proteggendo con le fitte ombre la superficie campestre, attenuavano l’arsura dei raggi solari e conservavano i freschi umori assorbiti dal suolo per via delle piogge invernali e delle nevi, che allora cadevano con maggiore frequenza, salutate dalla gioia dei nostri contadini, come annunzio di abbondante raccolto. l’economia agricola della capitanata era molto grave, a causa dell’immensità di semina da una parte, insufficienza di operai dall’altra. i contadini di puglia, verso la fine del xviii secolo, erano soliti recarsi sui campi dopo il sorgere del sole ed intrattenersi fino al tramonto. l’occupazione giornaliera si aggirava così intorno alle otto ore. questa consuetudine dell’antico orario “da sole a sole” non era diffusa dappertutto. la “malizia” dei contadini aveva fatto prevalere la nuova usanza, tanto che la giornata era ridotta a “poche ore”, le quali scemavano sempre di più perché i centri abitati distavano molto dal posto di lavoro. la durata proficua ed effettiva del lavoro, perciò, non oltrepassava, in media, le cinque o le sei ore giornaliere. un altro elemento negativo di lavoro e di produzione era il compenso, giudicato “scarsissimo” da tutti gli economisti del mezzogiorno. alla mancanza dei lavoratori indigeni soccorreva, in capitanata, l’emigrazione temporanea degli operai delle province di bari e di lecce, specialmente nel periodo tumultuoso della mietitura, quando le messi, già reclinate sotto la sferza del sole e del favonio, minacciavano di sgranarsi con la rovina dei massari. “i grani di puglia, osserva il palmieri, resterebbero in piedi, se non accorressero in gran frotta i mietitori della provincia di lecce” . avveniva, quindi, che dalle terre di bari e d’otranto, al principio di giugno, un esercito di lavoratori si trasferiva in provincia di foggia, adescato dalle paghe lusinghiere , che i grossi fittavoli erano costretti ad offrire sotto la necessità improrogabile della mietitura. alcuni manipoli di gente bisognosa, poi, si fermavano colà per tutta l’annata, “mettendosi a padrone”, come si usa dire anche oggi dal popolo con una locuzione, che ricorda l’antica servitù. nella puglia del nord si recavano dalle province viciniori molti contadini, probi ed onesti, sospinti da necessità di vita e di lavoro. insieme con queste persone emigrava anche la più sciagurata marmaglia: giovinastri sventati e vagabondi, rifiuto di tutte le arti e di tutti i mestieri, fuggiaschi di galera che si recavano in puglia con la speranza di fare quivi fortuna, pescando nel torbido. la puglia capitolo ii il sistema feudale in età carolingia la terra era concessa dall’imperatore ai suoi nobili cavalieri in cambio di servizi, sopratutto della fornitura di uomini armati per la guerra. in tempi molto antichi era stato il dono in bestiame di un signore ai suoi “vassalli” in premio dei servizi militari prestati. la parola feudum (in germanico fehu), infatti, è una deformazione medioevale del latino pecus che significa “bestiame”. da qui derivano in italiano sia “pecora” sia “pecunia”, cioè “denaro” . carlo magno organizzò con molta difficoltà la società. sul piano strettamente amministrativo aveva diviso efficacemente l’impero in marche e contee, affidandole ai suoi compagni più fedeli, ma i settori ai quali l’imperatore rivolse cure particolari furono quelli politico, economico e religioso. a quell’epoca, al vertice di una piramide si poneva il re, che rappresentava l’autorità costituita del sistema di gerarchie. per questo tipo di sistema carlo magno seguì un antico costume germanico: il vassallaggio. sostituì i “ragazzi” con i capi-famiglia e i “doni” con un’estensione di terra chiamata feudo . nacque così il sistema feudale, che prima si estese a tutti i nobili del regno, poi si complicò ulteriormente. i vassalli del sovrano, infatti, cedettero parte dei propri feudi ai loro valvassori, i quali a loro volta cedettero parte ai propri valvassini (vassalli dei valvassori), ecc. si creò così un’intricata rete di clientele e rapporti personali che coprì tutto l’impero. quest'organizzazione ebbe gran successo e durò molti secoli. alla morte di carlo magno, i feudi carolingi, in molte zone, si erano ridotti al solo 4