Il paese dove sono nato
 
AGNINO
PRESENTAZIONE AGNINO
(tratto dal mio scritto "Agnino il paese dai 18 Campanili- Una comunità agricola e religiosa in Lunigiana)

E' una delle 90 frazioni che compongono il Comune di FIVIZZANO. Situato a sud ovest del Capoluogo, da cui dista km 7 e a mezza costa delle colline che discendono dalla Torre del Nocciolo (alta 944 metri sul l.m.) sulla strada provinciale che unisce Fivizzano a Licciana Nardi.
(latitudine 44° 14' 40'' – longitudine 10° 4' 54'').
Il paese è situato a 460 metri sul l.m. ed è composto di tre nuclei principali denominati CASTELLO, VILLA e PIAZZA.
Per arrivare al paese si può salire da Licciana, da Bigliolo, da Pratolungo, da Posara o discendere dalla strada di Quarazzana che proviene poi da Fivizzano.
Salendo per la via classica da Fivizzano- Posara in una provinciale stretta e tortuosa, in un paesaggio ridente e pieno di luce, si passa fra boschi di cerro, vigneti e distese d’olivi ove l'occhio spazia sempre più sulla vallata e si arriva così alla frazione di Canneto da dove si ha la visione ad est di Agnino con l'agglomerato del CASTELLO, che siede su uno sperone di roccia e ove si profila la borgata più grossa della VILLA. Da quel versante il terreno terrazzato scende ripido verso il canale del Lato, affluente dell’Arcinasso che poi sfocia nell’Aulella a Serricciolo.
Il Castello è un gruppo di case che s’ addossano ad un balzo roccioso, intorno ai resti di una formidabile cortina di mura a merlatura guelfa (larghe mediamente centimetri 120) ed avanzi di torri rotonde. In questo gruppo di case, situate a scalini, il tempo ha lasciato la sua impronta più viva: i tetti sono cadenti, il muschio e l’edera dominano sovrani sui muri scrostati.
I ruscelli che scorrono nei due fossi, da una parte e l’altra del Castello, furono di difesa dagli assalti dei nemici molti secoli addietro e sono stati di indispensabile comodità per le massaie nei tempi più recenti. Sopra e sotto la strada provinciale numerosi terrazzamenti con le piante di questa terra: cerri, castagni, pioppi, viti, ulivi, frassini, carpini piante da frutto ecc.
Si dovrà ammirare la laboriosità e l’opera degli antichi abitatori di queste terre, STRABONE ha lasciato scritto “ Terram arantes asperrimam, fatigantes ligonibus inno vero saxa incidentes”.
Il paese tutto ha un'impareggiabile vista sulla Lunigiana, per questo è detto il paese dai " 18 campanili" tanti, infatti, è possibile scorgerne fra i paesi della vallata. Dal paese la vista spazia perfettamente sui paesi di GRAGNOLA, GASSANO, SOLIERA, MONCIGOLI, CESERANO, S. TERENZO MONTI, BARDINE, BIGLIOLO, PALLERONE, AULLA, PODENZANA, MONTI, solo per citare i principali, e poi via via tutti i paesi che si adagiano sulle colline di TRESANA, MULAZZO e VILLAFRANCA fino ad arrivare ai monti di ZERI.
Ciò che caratterizza meglio Agnino è che si staglia contro le tre cime principali delle Apuane: il più alto PISANINO, l’ardito PIZZO D' UCCELLO ed il fiero SAGRO che gli donano un'aura particolare in ogni stagione. (Un turista tedesco è passato per Agnino e dopo tale visione ha scritto un articolo con questo titolo: “ Himalaia? No, Lunigiana! “.)
Se poi aggiungiamo una breve passeggiata sulle colline che sovrastano il paese, la vista spazia allora su tutto l’APPENNINO che va DAL PASSO DEL CERRETO al LAGASTRELLO ed oltre verso BAGNONE, si ha, allora, una visione a tutto tondo sulla LUNIGIANA.
Proseguendo si arriva al nucleo principale della VILLA con il borgo sotto strada: un gruppo di case arroccate che s’ appoggiano una all’altra. Muri rozzi, case secolari rimaste immobili dall’epoca della loro costruzione, con stipiti in arenaria e arcate di tufo e con volte che si dirigono in varie direzioni. Quando l’uomo moderno è intervenuto ha sicuramente guastato quel fascino che quei muri vecchi emanavano. Dalla Villa si può salire a PIAZZA e alla chiesa, altrimenti si prosegue verso Magliano e poi Licciana Nardi.
Piazza è l’altra borgata posta poco più in alto della VILLA sulla strada ora provinciale che conduce a Quarazzana. Dal tipico borgo dai tetti rossi e grigi, quando e sempre più raramente sono coperti di piagne, si stacca la chiesa con vicino un ben curato cimitero.
Il territorio è cosparso di cappelle, di maestà in marmo, simboli di antiche e radicate devozioni. La chiesa è, già dal secolo XIV intitolata a S. Michele Arcangelo, fu santuario della venerata Madonna della Neve.
La parrocchia di Agnino, che è una Prioria, comprende le frazioni di MONTECORTO, ESCARRO e le villarie di CAVAGLINI (sede di ex convento dei Padri Serviti) LUOGO PIO, GHIRARA, GERMAGNOLA. Oggi conta circa 150 persone mentre solo 40 anni fa erano più di 300, ma nel 1854 contava n. 623 abitanti ponendosi come il paese più popoloso del Comune di Fivizzano (ab. 2124) e veniva quindi prima di MONTE DEI BIANCHI 575, SOLIERA 564, REGNANO 505, SASSALBO 498, CESERANO 504, GASSANO 519. Senza contare che sul paese gravavano gli abitanti di CANNETTO che n’aveva 181, MAGLIANO 129, QUARAZZANA 184.
Dall’archivio parrocchiale si ricava altresì “lo stato d’anime del 3 luglio 1802” cosi composto:
Piazza n. famiglie 11 Anime 72
Chiesa “ 3 “ 9
Villa “ 33 “ 174
Castello e Cadigolo “ 22 “ 84
Scarro “ 9 “ 63
Montecurto “ 15 “ 90
Bottaccio e Cavaglini 3 “ 18
Totali 96 350
Ancora, nel 1813 fu fatto lo stato d’Anime ed erano: Uomini 293, Donne 244.
In data 14 agosto 1814 erano anime 490.
Dalle stesse sparse carte dell’archivio si ricava che nella prima metà del secolo XIX il parroco pro-tempore annotava delle “osservazioni”, sui suoi parrocchiani principali, da cui si evince:
Mezzaioli ripetuto 31 volte
Poveri “ 21 “
Bracciante e miserabile “ 23 “
Piccoli proprietari “ 9 “
Possidenti “ 13 “

Per “mezzaioli” deve intendersi “mezzadri”; la mezzadria è un contratto con il quale il proprietario concede ad un agricoltore un podere con casa d’ abitazione avendone in cambio la metà del ricavato.
L’attività economica principale era e rimane l’agricoltura e dato che le terre di proprietà vanno dai 200 metri sul l.m. di Montecorto ai 700 del Monte Tergagliana e fino anche ai 944 metri culminanti con il crinale della Torre del Nocciolo, molte tipologie agricole sono rappresentate: dall’allevamento del bestiame, al vigneto, all’oliveto, al castagneto, alla cura degli orti, alla coltura delle graminacee, allo sfruttamento del bosco (legname e, un tempo, carbone). Purtroppo con l'abbandono della campagna e delle terre collinari dovuto anche ad una proprietà troppo frastagliata, molto è cambiato, e del vecchio mondo agricolo, poco è rimasto; le mucche sono quasi sparite, i campi spesso abbandonati, le terre incolte, solo gli oliveti (che permettono un lavoro anche part-time) sono ancora ben curati.
Il territorio è cosparso di cappelle, maestà in marmo, simboli di antica devozione.(La loro origine si ricollegherebbe alla religione romana antica dalla quale il Cristianesimo ha tratto spunto: piccoli tempietti o “aediculae” erano eretti lungo le vie o nei crocicchi di campagna in onore dei Lares Compitales, le divinità che proteggevano i viandanti.)
Il paese ebbe a patire dei danni del terremoto del 7 settembre 1920, allorquando la frazione di MONTECORTO fu rasa al suolo e si ebbero vittime. (Il giornale LA NAZIONE il giorno successivo al terremoto usci con l’articolo in prima pagina " Montecigoli e Montecurto rasi al suolo !")
La corrente elettrica arrivò nel paese solo nel 1927, l’attuale strada provinciale, asfaltata negli anni 60, fu costruita nel 1870 e fino ad allora esistevano solo strade percorribili a piedi o con “benne” o “traggie”.(arcaici strumenti di trasporto trainati da bovini: vedasi, più avanti, capitolo ad essi dedicato)
Agnino è stato per tutto il secolo XIX e XX un paese di emigrazione, verso l’america del Nord prima, poi quella del Sud, indi l’Australia, poi la Svizzera e infine verso Milano.
Quei pochi che sono rimasti, mantengono vivo l’attaccamento al proprio paese che si manifesta con l’organizzare belle feste paesane, sacre processioni, con illuminazioni, corse campestri, e la ormai famosa Sagra della PATTONA nata nell’anno 1975 come rievocazione di antichi cibi.
Ai miei figli Gabriele e Francesco

Detti: Agnin: un ronco e n’asnin
Agninesi: “favari”, cioè mangiatori di fave


AGNINO

Il termine Agnino, etimologicamente parlando, non deriva come sarebbe semplice da Agnus= Agnello, ma la parola ha una origine Indiana e deriva dal Sànscrito “ AGNI” che vuol dire “ SOLE”. Il Paese infatti ha nel nome la sua più peculiare caratteristica: Agnino, cioè “Paese del sole”, baciato dal sole.
Il termine non è che uno delle antiche parlate dei Liguri, la cui lingua ha radici indoeuropee.






VITA DI PAESE

La vita di AGNINO, subito dopo la guerra fra gli anni 50 e 60 (anni della mia fanciullezza), era una vita contadina. Tutto nel paese era scandito dai ritmi della natura: le stagioni, il sole ed anche la luna (vedasi capitolo sotto ad essa dedicato) fissavano il susseguirsi dei lavori; c’era da faticare, ma senza nulla di frenetico, non mancava mai il tempo da dedicare agli altri, al vecchio, all’ospite, all’ammalato o anche alle chiacchiere.
Ricordo felicemente i lunghi chiacchiericci delle calde giornate estive e i giochi senza fine di noi ragazzi. Non avevamo i giocattoli ma la fantasia suppliva. Ricordo ancora le belle giornate quando il manto bianco della neve rendeva tutto ovattato e noi ragazzi si tendeva i lacci ai poveri uccellini, le scale trasformate in slitte nelle ripide strade gelate. E nelle calde giornate di inizio estate i salti mortali nel fieno odoroso delle capanne. E poi ancora il classico gioco della “ giromela “ (un fuso di legno che si doveva colpire con un bastone mandandolo più lontano possibile: un gioco tipo basket!) Il tiro della fune. L’altalena, il gioco di cane e lepre, il barattolo (chi stava sotto doveva custodire lo stesso e salvarlo – battendolo in terra due volte – e urlare il nome del l’avversario avvistato: diversamente il barattolo di nuovo calciato in una strada in discesa obbligava il malcapitato a lunghe ripetute corse). Si giocava ai tappini, alle biglie, ai figurini (testa o grifia?) alla corsa col cerchio (una ruota di bicicletta a cui erano stati tolti i razzi era guidata da un’ancino in ferro). Si giocava a palla, mancando il campo sportivo, nella strada provinciale o in radure prative dove non era raro battere la testa contro qualche pianta.
D’estate la vita si passava nei vari canali di “Trila”, “La Grotscina” “ Al Lato” ove s’imparava l’arte del nuoto e della pesca degli scaglioni, delle trote e delle anguille.
Poi ci fu il periodo “ esplosivo”: erano passati pochi anni dalla guerra ove il mio paese aveva dato il suo contributo di sacrificio e di sangue per la liberazione. Era facile, allora, trovare negli anfratti, nei solai, sotto le tegole, nel cavo dei castagni: bozzoli, pistole, polveri, bombe a mano! Noi ragazzi avevamo un gusto matto a maneggiare questi strumenti di morte: ognuno di noi aveva la propria scorta di pallottole da mitraglia, polveri da mine, balistite e anche bombe a mano e con questi si costruivano artigianali bombe, gareggiando in coraggio, a miccia accesa, a chi le teneva di più in mano.
Nell’imminenza della Pasqua, allorché era usanza fare normalmente i botti con la potassa, esplodevamo anche terribili mortaretti miscelando carbone, potassa, zolfo e salnitro (quest’ultimo ricavato grattando i muri delle stalle umide).
Giochi di ragazzi con rischi da grandi! E ci fu chi pagò lo scotto come quella volta che la polvere di balistite aveva bruciato ogni pelo, ciglia e sopracciglia e capelli dei tre o quattro amici che incuranti si erano avvicinati troppo alla polvere che non voleva accendersi, ma poi era detonata improvvisamente. Oppure quell’altro caso del povero Pasqualino, che nel voler smontare una bomba , si portò via un occhio e una mano.
A quei tempi le porte non si serravano, la chiave era costantemente sulla porta in maniera che l’ospite potesse sempre entrare: allora non vi erano ladri o delinquenza alcuna.
Nelle case non c’era l’acqua potabile ma bisognava andarla a prendere alla fontana pubblica (ne esistevano quattro in paese) con la secchia (recipiente di rame portato dalle donne in bilico sulla testa e per ammortizzare il gran peso era avvolto sul capo un cencio aggrovigliato detto “corògliolo”. Lo stesso cencio poteva servire anche per ammortizzare appunto il peso della “Cavagnada” che era una gabbia circolare di vimini radi con cui si portavano il fieno e l’erba. La secchia era poi collocata in cucina e la relativa acqua, servita con un mestolo in rame, era utilizzata per tutti gli usi domestici dalla cucina ai bisogni personali.
Il tempo per il pranzo era segnato dal lungo urlo della sirena che interrompeva il lavoro alla “Filanda” di Aulla, ed era diventato anche il segnale per i contadini che interrompevano le sudate opere per godere dell’intervallo del pranzo.
Durante le giornate piovose gli uomini sotto le “volte” o nei fondi aperti riparavano gli attrezzi da lavoro, costruivano manici e cesti, sceglievano le nuovi sementi.
Le donne invece appena libere dalle consuete faccende domestiche, aggiustavano panni, ricamavano, lavoravano ai ferri.
Ogni sera, immancabilmente, si recitava il rosario non prima però dell’arrivo di qualche vicino che veniva a “veio” (veglia). Si stava in cucina vicino al camino oppure in fumosi focolari, essiccatoi di castagne dove i più vecchi raccontavano storie di gioventù, avventure, esperienze con addosso tutta l’attenzione dei giovani che apprendevano qualcosa.
La ricchezza allora si misurava in quanti animali da stalla o cortile una famiglia possedesse, l’importanza della famiglia, dalla dote o corredo che assicurava alla figlia.
La grande caratteristica del mondo agricolo lunigianese ed in particolare Agninese era il fortissimo senso religioso sviluppatosi anche per l’esigenza di assicurarsi un esito positivo alle proprie fatiche. Il richiamo al divino era sempre presente nel lavoro contadino: bastava un’acquazzone, una grandinata e il lavoro di mesi era perduto, una semplice malattia del maiale, un aborto della mucca e l’annata sarebbe stata più magra ed il mangiare più scarso. E’ appunto da questa precarietà che nasce l’esigenza del divino: E allora si innalzano cappelle, maestà, si benedicono gli animali (diffuso il culto di S. Antonio), si piantano croci nel campo appena seminato, si va numerosi alle rogazioni primaverili, si partecipa con assiduità alle messe serali nel mese di maggio, ai rosari e a tutte le feste comandate.
A proposito di religiosità e giochi ricordo le ore di combattimento con l’arma della “sgricciola” (era una scatola di legno che con una manovella che faceva un fracasso assordante – era una specie di raganella) l’uno contro l’altro, la Villa contro Piazza, La Villa contro Il Castello; battaglie che si svolgevano nella settimana di Pasqua forse a rappresentare il terremoto che scosse la terra alla morte di Gesù: vinceva chi faceva più rumore. Sempre sotto la Pasqua si viaggiava con in tasca un ramoscello di bosso e quando si incontrava un altro ragazzo si gridava “ viva il verdo santin !” l’altro doveva rispondere “ viva il verdo !” e doveva poi mostrare anch’esso un ramoscello; in mancanza doveva pagare con un’immagine di santo o “ santin”.
A scuola si andava nel palazzo dei Mazzoni alla VILLA non esistendo ancora l’attuale edificio scolastico (che da qualche anno è stato chiuso per mancanza di alunni) Di quel tempo ho ancora vaghi ricordi di cartelle di pezza, dita nere di inchiostro, punizioni dietro lavagne, vergate sulle dita. Più vivo è il ricordo dei sapori di olio di ricino, lo strano gusto di quel formaggio in scatoloni di latta che l’AMERICA ci aveva regalato con il PIANO MARSHALL e quello ancora peggiore del latte in polvere che finiva però, nel caso mio, ad ingrassare il vitello della stalla di mio padre.
(Ad onor del vero l’aiuto americano del piano Marshall si è estrinsecato, in termini monetari, in oltre 20 mila miliardi di lire attualizzati all’anno 2000!).
Fu dopo i primi anni 60 che quel mondo cominciò a cambiare, probabilmente con l’avvento della televisione. Ci fu allora un vento di modernismo che spesso fu distruttore anche materiale: si toglievano pavimenti in cotto per mettere lucide mattonelle colorate, si distruggevano portoni antichi per collocarvi porte di vetro e metallo. Si costruivano terrazzini dappertutto, alla pietra lavorata subentrava il cemento. La gente scambiava mobili del 1700 con pentole e mobili di formica. “La fase di rifiuto della cultura tradizionale ha raggiunto il culmine attorno agli anni 50/60, e le manifestazioni più vistose sono state da una parte la decadenza delle feste e delle fiere e dall’altra l’abbandono dei borghi o il loro restauro, volto però a cancellare per quanto possibile i segni del passato. E’ stata una comprensibile, ma miope, tendenza a distruggere, con la prospettiva di un mitico benessere industriale, quanto ricordava la povertà di un’esistenza basata sull’agricoltura. Oggi la mancata realizzazione dei modelli del boom e il disagio originato da una cultura estranea ai problemi della provincia sono alla base di un singolare e diffuso interesse per la storia e la tradizione locale che comincia ad uscire dagli ambienti specialistici e a polarizzare l’interesse di larghi strati della popolazione.” (Da Magia e Religione delle Classi subalterne in Lunigiana di Riccardo BOGGI)
Era arrivata anche ad Agnino “ La televisione” collocata, la sola, nella locanda a tre metri di altezza in maniera che fosse visibile, ma intoccabile. Ci mostrava per la prima volta un mondo diverso, si cominciò a sognare diversamente, a idealizzare nuovi idoli a dimenticare i vecchi miti, venne il culto del motore, della città e da lì l’abbandono della campagna e di tutto quel mondo che la rappresentava.




Da una poesia di Mario Luzi:
“ Passa sotto la nostra casa qualche volta,
volgi un pensiero al tempo che eravamo ancora tutti.
Ma non ti soffermare troppo a lungo. “



Aneddoti personali

“La fuga”
Credo che una delle prime volte che m’ allontanai da casa per girare il mondo fosse quella di quel giorno quando, sfuggito all’attenta osservanza della nonna, m’ attaccai ai calzoni di Libero.
Libero era un giovane massese, sfollato dai tempi della guerra, ad Agnino. Il giovane compiacente, presa una scala mi trascinò lontano dal paese. Ad un chilometro circa dal paese un’enorme noce ci aspettava. Lui salì sull’albero ed io sotto a riempire le tasche ed il sacco.
Quel giorni mi sembrò di avere visto mezzo mondo, ma quando tornai, sempre al rimorchio di Libero, trovai tutti i famigliari in subbuglio. Erano rientrati i miei genitori dal campo ed ascoltavano spaventati il racconto della nonna Ersilia che piangendo annunciava che mi aveva perso e poi cercato in ogni angolo del paese senza riuscire a trovarmi.
Fui sgridato naturalmente, come lo può essere un bimbo di cinque anni, mentre la nonna ripeteva singhiozzando “ sfacciado, …. sfacciado…. Sfacciado”.
Non rammento oggi, se le noci raccolte quel giorno, servissero a rabbonirla un poco.





Il cappello



Era, se ben ricordo, una di quelle estati afose, quando le mosche non ti davano posa e dalle stalle vicine alle case usciva a follate un odore asfissiante. Si stava, allora, come di consueto, nelle ore pomeridiane e più calde all’ombra delle case nella piazza del paese.
Le vecchie tessevano la lana e gli uomini si raccontavano storie della loro gioventù o parlavano del loro lavoro ognuno lodando la propria bravura nell’una o l’altra faccenda.
Si sentiva, quel giorno, lontano poi sempre più vicino, un grido, un richiamo: era il solito girovago. Ambulante alla meglio, sbarcava il lunario vendendo cappelli di paglia ed elastici da mutande. Di colorito scuro, con pochi denti andava mostrando la propria mercanzia contenuta in un cesto di vimini.
Mio padre, per proteggermi da qualche insolazione, decise di comprarmi un cappello di paglia.
Glielo dissi, mostrai tutta la mia grinta di bambino per fargli capire che non mi piaceva, che non avrei mai messo un cappello. Per rafforzare la transazione il commerciante mi mise in testa un cappellino di paglia, leggero, quasi trasparente. E lodandomi si complimentava con me della bella figura che facevo. Non ebbi esitazione, presi il cappello e feci fare ad esso una piroetta di parecchi metri e quando questo cascò… cascò proprio su uno di quei”freschi fiori” che adornavano, allora più di ora, le strade dei paesi di campagna e che annunciano il passaggio di mandrie di mucche che tornano dal pascolo.
Anche questo è uno dei rari ricordi della mia infanzia ed un segno del mio carattere.



Il nano

Mia madre per farmi superare la mia giovanile avversione al cibo ricordo che mi dicesse a quei tempi “ Mangia! Altrimenti rimani alto come Berto di Tiglio”. (allora non si usava il cognome ma s’identificava con il nome del padre, in questo caso “Attilio” volgarizzato in “Tiglio”.
Berto di Tiglio l’ ebbi modo di conoscere molto tempo dopo all’età di circa 13 anni, quel giorno ne restai profondamente colpito.
Il suo corpo era sproporzionato. La testa era grossa, il busto però grande come quello di una persona normale, si reggeva su due gambe storte e piccolissime: Le mani sembravano spuntare all’altezza delle spalle, le dita nodose e tozze; e un anello d’oro, grosso, di forma quadrata proprio non le ingentiliva.
Quando camminava assumeva l’andatura di un pinguino: Il suo viso era sempre serio, ma con due occhi vispi e profondi. La voce era tonante e robusta.
Quel giorno tutti i bambini del paese gli erano intorno, ma ad una giusta distanza di sicurezza. Era per noi tutti oggetto di curiosità e di divertimento.
Da quella volta ebbi modo di rivederlo spesso e di conoscerlo per molti anni ancora. Ho quindi avuto il modo ed il tempo di apprezzare il suo bonario carattere, il suo spirito, la sua voglia di scherzare sempre….anche sulla sua altezza.
Era costretto a guadagnarsi la vita, in giro per l’Italia, lavorando in un circo per fare ridere le persone anche con la sua statura.
E ogni volta che ritornava al suo paese natale lo trasformava in circo raccontando barzellette per ore e ore.
Qualche anno dopo fu colpito da un male incurabile che non fa distinzioni…. nemmeno di statura.
Fu sepolto in un cimitero, non ricordo quale, in una tomba di metri 2 per 0,50 uguale a tutte le altre!



Grulli

Grulli era il cognome di un personaggio molto conosciuto in AGNINO, visto che risiedeva nella vicina frazione di Antigo. Inconfondibile nell’aspetto, piccolo ma robusto, curvato in avanti, portava una gobba che lo faceva assomigliare a quei particolari ciondoli portafortuna che un tempo si appendevano sul cruscotto dell’auto. Aveva due occhietti neri, tondi, furbi e un sorriso malizioso sulle labbra fini. Indossava immancabilmente un paio di pantaloni di fustagno o di velluto “alla zuava”, infilati sotto il ginocchio in scarpe di pelle aderenti tipo cavallerizzo. Portava camicie a quadri sotto uno stretto gilet. Il cognome lo legava a quella famosa famiglia fiorentina che, dilapidato il patrimonio per troppa benevolenza o incuranza, aveva fatto coniare il termine “grullo” che si dava poi a persona poco sveglia. Grulli invece era all’opposto, sveglio, intelligente, sagace, ironico e… a suo modo filosofo.
Sapeva fare di tutto, lui proprietario agricolo e contadino ti costruiva una botte partendo dal tronco di castagno, cerchi compresi.. Disegnava per terra un cerchio con lo spago e poi sopra ti costruiva con duro lavoro di braccia un tino enorme. E ancora, ritornava ogni anno, dopo la raccolta delle castagne di grado in grado a batterle, cioè separare il guscio dalla castagna secca, con la sua macchina dal motore scoppiettante.
Primo fra i residenti a possedere una moto Guzzi rossa con un volano enorme, passava nella strada allora polverosa, perché non ancora asfaltata, e agli schiamazzi di uno stormo di ragazzi che gli correvano dietro gridando “ grulli, grulli, grulli” rispondeva solo con uno sputo…A chi toccava, toccava! Ma il suo gesto non era da cafone, era solo un modo irriverente di replicare alle esuberanze dei ragazzi di paese.
L’altra sua arte era fare il “norcino” cioè andava dagli allevatori, quando chiamato, a “fare il maiale “ cioè a sezionarlo per ricavarne: salsicce, salami, pancette, coppe, lardo, buzzone, prosciutto, zamponi e a noi ragazzi lasciva sempre la “rosticciana”. Solo a vederlo metteva di buon umore, pronto sempre con le sue battute argute, per le quali prendeva a prestito anche il messale latino, lui che aveva fatto solo la seconda o terza elementare. A me -che studiavo allora alla media- disse un giorno “ma lo sai che un matematico facendo un’equazione trovò la quarta incognita sul pelo di un c-----ne?” (al lettore la rima).
E a chi gli chiedeva “ Come va Grulli?” rispondeva “ Tanto bene che non può durare!” a cui l’interlocutore rimaneva senza parola e lasciava aperta la porta ad ogni interpretazione.
Ancor oggi trovo questa risposta, che non ho più dimenticato, arguta e indicativa della filosofia di questo “Personaggio” indimenticabile!


Rafflin

Raffaele all’anagrafe, ma per tutti Rafflin, era un vecchietto allegro che visse ancora parecchi anni, dopo la morte della moglie, nella sua casa alla Villa, sulla via provinciale. A lui bastava poco per essere felice: un tozzo di pane, il suo camino sempre acceso, le visite occasionali dei figli. Ma quello che lo contraddistingueva era il suo sigaro toscano sempre in bocca e l’ironia dispettosa con cui affrontava le persone e le cose.
Ascoltava molto e quando apriva bocca era solo prendere in giro qualcuno, oppure per girare il suo sigaro acceso e metterselo in bocca dalla parte del fuoco, tenerlo così per decine di secondi per poi sbuffare come una ciminiera.
Sarà stato per questo ripetuto rituale che il nostro Rafflin, benvoluto e stimato dai giovani del tempo, visse oltre 80 anni e a quell’età possedeva ancora tutti i suoi denti; anneriti dal fumo (non ha mai usato dentifrici ) ma suoi!




La chiesa di SAN MICHELE ARCANGELO



La chiesa di AGNINO è situata nel borgo di PIAZZA cioè nel luogo destinato ai convegni e agli scambi della "vicinia" e sulla via che conduceva a Quarazzana e al Comanese.
L’attuale complesso è dovuto ad un ampliamento avvenuto nel 1710 e in quella circostanza ha preso il suo volto attuale, barocco.
Della chiesa primitiva non si hanno notizie scritte né materiali.
Non è rimasto nulla, forse è stata demolita e con quelle pietre ricostruita l’attuale. Una considerazione da farsi è che la chiesa di AGNINO sorge in luogo isolato con accanto il cimitero e ciò è una caratteristica delle prime chiese quali le pievi, che tutte sorgevano isolate e che servivano anche come luogo di sepoltura; ecco la chiesa di AGNINO ha entrambe queste due caratteristiche ciò potrebbe significare che il primo insediamento è molto antico.
La facciata è divisa in due zone orizzontali delimitate da cornicioni retti da lesene. Il Portale è in pietra arenaria di metri 4 per 2,20 con pilastri e architrave modanati e riquadra un robusto portone a panelli quadrati. Nella zona superiore, un timpano schiacciato forma la cuspide a due spioventi. La copertura del tetto è a tegole marsigliesi.
L’interno è spazioso, misura metri. 24 per 8 e 10 metri di altezza al soffitto, quest’ultimo eseguito dopo il terremoto del 1920 (prima era a volte) con travature di legno di castagno riquadrate a cassettoni decorati con filettature d’oro.
Ha una sola navata il cui pavimento è in marmette bianche-nere disposte a losanga.
Le strutture, archi, capitelli, cornicioni sono barocchi. Un gradino eleva la zona del presbiterio e una balaustra di marmo bianco a colonnine lo separa (Opera del 1930).
La chiesa è stata affrescata con buon gusto dal pittore TRIANI di Pontremoli nel 1967. Nello stesso anno furono dorati con oro zecchino i ricchi capitelli corinzi dell’altare maggiore. E fu in quella sede che fu abbattuto il pulpito in marmo (acquistato dalla fabbriceria solo il 15/12/1952 dalla chiesa parrocchiale S. Pietro di Pontremoli al prezzo di lire 50.000); furono tolte dalle nicchie (murate le stesse ) le immagini dei santi protettori , che oggi sono collocate in un fondo contiguo alla chiesa stessa.
La chiesa possiede un buon organo impiantato nel 1963 nella cantoria sopraelevata sull’ingresso della chiesa; possiede anche un armonium acquistato nel 1977. Questi due strumenti accompagnano, nelle feste principali e sulla scia di una buona tradizione musicale, canti medioevali, messe e vespri in un riconosciuto buon latino.
L’Altare liturgico che è stato girato al pubblico nel 1964, è in marmo pregiato verde con tre colonnine per ogni angolo. Nel fronte si staglia un bel mosaico raffigurante la cena di Leonardo.
All’interno dell’altare sotto forma di urna è conservato IL CRISTO MORTO di legno proveniente da ORTISEI (Opera del 1959)
(Dobbiamo notare che tutte queste opere dall’imbiancatura all’acquisto dell’organo, armonio, Cristo morto sono state eseguite sotto la reggenza del Priore don Ermenegildo Pietrelli di SASSALBO).
L’Altare maggiore è costruito con muratura gesso e stucco con base in marmo policromo con colonne corinzie di finto marmo. Al centro si trova una buona tela del 1700 raffigurante S. Michele Arcangelo, S. Giovanni Battista e cherubini in cielo. Nella sommità della tela, circondata da una cornice si intravede un buon affresco raffigurante la B.V. DELLA NEVE, effige un tempo molto venerata, la tradizione dice opera del 5-600. Detto affresco era stato scoperto nel 1716 tra le macerie dell’altare laterale del SS Rosario (a destra, al centro) in fase di ampliamento della chiesa e fu in origine collocato sopra quello che è oggi il primo altare di sinistra entrando (ex altare degli Agnini poi Veschi).
Fu rovinato purtroppo dai fumi di un incendio dell’altare provocato dalle candele accese per cui oggi l’immagine è poco visibile.
Nel passato l’altare della Madonna della Neve è stato oggetto di molta devozione e pellegrinaggi se ancora nel 1960 una targa al lato dell’altare, trascritta da un vecchio esemplare nel 1940 dal Priore Don Alberto Pini, ricordava “ INDULGENZA IN PERPETUO concessa dal Sommo Pontefice Pio V di anni 200 per ognuno che visita la Sacra Immagine di Maria Santissima sotto il titolo della Madonna della Neve che si venera nella Chiesa di Agnino, posta nell’Altare Maggiore: recitando le litanie della SS Vergine tanto coperta che scoperta, applicandole anche in suffragio delle Anime del Purgatorio”

La chiesa non ha un vero coro tradizionale perché e priva di abside, il coro praticamente è ai lati del presbiterio. E’ in legno di noce con inginocchiatoi ed è opera del 1860 come si è recentemente scoperto aprendo la parte centrale degli schienali che ha mostrato la presenza di un tabernacolo in pietra arenaria con porticina fasciata di stoffe dorate.
Sulle pareti del presbiterio circondate da cornici di stucco sono appese quattro tele dello stesso periodo, di un artista quelle dei lati, di altro artista le due del fondo.
Sul fondo abbiamo la B.V. con Bambino in trono e RE MAGGI. Con la scritta P.G. CONTI F. FARE sua devozione AD 1701.
L’altra raffigura la B.V. che presenta GESU’ nato a S. Giuseppe
Le due tele avrebbero bisogno di restauri.
Sulla destra la B.V. IN GINOCCHIO e S. ANTONIO da Padova con Bambino in braccio e dietro S. FRANCESCO d’Assisi.
L’altra tela raffigura un Papa in ginocchio con di fronte S. Rocco che presenta le piaghe della gamba e dietro S. Bernardino.
Nelle pareti della navata abbiamo un altro olio raffigurante S. GIACOMO e S. FILIPPO con l’iscrizione “Filippo PALMIERI fece fare per sua devozione”.
Dello stesso autore e con le stesse dimensione c’ è la tela raffigurante S. Marco evangelista e S. Lucia con la scritta “il Caporale Sante Palmieri Fece fare per sua devozione.”
Altro dipinto raffigurante S. CECCARDO VESCOVO e S.TERENZIANO con la firma credo del committente “GIOV. MARTELLI 1719”.
Tela ad olio che raffigura S. LUIGI, un vescovo e altra figura con calice, opera mediocre ma in buone condizioni (che però lo scrivente trova moderna e piacente nei colori)
La chiesa è dotata di quattro altari disposti due per parte nella navata: costruiti in muratura gesso e stucco. Hanno ricche alzate barocche, eseguite da mano abile tra il 1600/1700, che contengono quattro quadri di varie misure ed in buon stato.
A destra entrando abbiamo una tela raffigurante La Vergine Immacolata in alto tra cherubini ed in basso S. ANTONIO DA PADOVA e altre figure. Sullo stesso altare si trova un crocifisso (cm 60) di legno di ebano di buona fattura.
Il secondo altare a destra porta un’ampia tela di m 2 per 2,50 raffigurante la B.V. del ROSARIO con Bambino in trono in atto di consegnare corone del rosario a S. DOMENICO e S. CATERINA. In alto sul cielo due angeli incoronano la Vergine. Con l’iscrizione” fece fare Lazzaro D’ Antonio con consenso della comunità d’Agnino L’ Anno 1610” e con la firma “ Dominicus Casinius.civis florentinus”.
Sullo stesso altare si trova un tabernacolo di marmo bianco con porticina in legno dorato e sulla sommità due belle testine di angeli, opera del 1700.
A proposito di questo altare del SS Rosario, nell’archivio parrocchiale ho trovato un documento su carta pannosa, tarlata , macchiata e bordi consunti dove Lazarino di Antonio Priore d’Agnino comperò il 22 Marzo 1621 una tela per l’ altare del SS Rosario recante la seguente annotazione:
“Adi 4 aprile 1619, Recordo de uno contrato di schudi trentasei e mezzo pilgiati da Santino Jacopetti in Fivizzano qualli dinari si spesano per ariscotere la tela dipinta a l’ altare del santissimo Rosario a Fiorenza da Mastro Domenico Casini pittore a Fiorenza e detti dinari si sono asigurati in un pezo di terra prativa e erborata in loco ditta a La Ricciara in siu quel di Antognio di Pietro di Lazino e pagatore Lazarino di Antonio da La Villa , erano in tutto piastre 25 e tanto costa la pittura senza la tella, costa lire 26 fiorentine…”
Seguono sullo stesso documento, con nomi e calligrafie diverse, vari lasciti al SS Rosario annotati fino al 10 Maggio 1671.

Il primo altare a sinistra entrando contiene una tela ad olio che raffigura in cielo la B.V. con Bambino e in basso una Santa che tiene un calice da cui esce un serpentello e un santo monaco in adorazione. Lavoro di abile mano. Questo è l’ altare degli Agnini diventato poi dei Veschi, vedasi a tale proposito il capitolo relativo.
Il secondo altare a sinistra contiene un dipinto raffigurante la MADONNA con bambino che presentano la corona del rosario a S. DOMENICO, in basso S. CARLO BORROMEO, S. PIETRO e S. ANTONIO ABATE. L’altare è dotato di un bel tabernacolo in marmo policromo, opera del 700.
Il battistero è incassato nella mura, è in marmo molto semplice e modesto, è opera del 1932. Anche la pila dell’acqua santa è opera in marmo del 1930 in sostituzione della precedente rovinata dal terremoto.
La sacrestia si trova dietro la parete del presbiterio ed ha accesso da questo a mezzo due porte laterali, una porticina esterna permette il passaggio verso la casa canonica. Contiene dei modici armadi di castagno ma moderni. Non ci sono parati antichi.
La chiesa possiede però, ben conservati, i seguenti oggetti sacri: (opere catalogate dal Ministero dei Beni Culturali nell’anno 1993)
Croce astile del quattrocento in rame argentato.
Un calice d’argento del “ 700 alto cm 25, decorato a sbalzi floreali che si ripetono nel fusto e sottocoppa.
Un ostensorio d’argento anch’esso del 700 alto cm 75, molto bello e ricco di sbalzi barocchi. La raggiera in metallo argentato con supporti dorati è opera del 900.
Un reliquario di legno argentato alto cm 50 scolpito in forma barocca si può attribuire anch’esso al 700.
Uno stendardo del secolo XVIII in seta dipinta con filo dorato di cm 175 x 114 rappresentante S. Michele Arcangelo che sconfigge Lucifero.
Altro stendardo in seta dipinta a filo dorato di cm 126x 67 con su un lato la Madonna del Carmine e sull’altro S. Michele Arcangelo che sconfigge il drago.
Poi ancora: n. 2 palle da calice, n. 3 borse in seta damascate, velo da calice, copriastensorio, velo omerale del secolo XVIII in raso di seta, n. 5 stole, n. 2 tonacelle, n. 3 Pianete in raso di seta, n. 2 piviali, n. 2 aspensori in argento, n. 2 turiboli in argento, n.2 pissidi, n.2 calici, altro ostensorio in lamina d’ argento sbalzata.
La chiesa conserva poi le reliquie certificate dei seguenti santi:
S. Agata del 1833, San Rocco del 1832, S. Aloysii Gonzale emessa a Roma nel 1817, un trittico con ossibus di S. Marco, S. Luca, S. Innocenzo emessa a Roma nel 1725, S. Caterina del 1831, S. Luigi del 1831, S. Biagio Vescovo e S. Terenziano del 1831, S. Carlo emessa a Venezia nel 1739, S. Apollonia V.M. del 1831, ed infine una reliquia della S. CROCE in argento con cristallo emessa in San Giovanni in Laterano nel 1724 e donata da Fra Giuseppe Loppelia laico dell’ordine di S. Francesco a Domenico Corsini di Agnino diocesi di Sarzana. Reca all’interno tre simboli: LS+ cioè Lignum Sanctae Crucis.
(A tale proposito vedasi il capitolo sulla famiglia Corsini e la loro presenza in Roma.)
E’ agli atti anche il documento cartaceo emesso a Venezia nel 1739 che conferma come vera reliquia di S. Antonio da Padova che però non è stato possibile reperire.

La chiesa possiede poi un Croce Astile, (cioè che veniva portata su un’ asta in processione) catalogata alla Sovrintendenza alle belle Arti, da qualche anno- per motivi di sicurezza- conservata presso la curia di Pontremoli, ma sempre con la facoltà di ritirarla e usarla nelle feste principali. Meravigliosa croce da processione alta m. 1, lavorata sia sul verso sia sul recto, eseguita con lamina d’argento su ossatura di legno. E’ ricca di pregiati sbalzi nelle estremità dei quattro bracci sia davanti sia sul retro. Nel fronte principale sono sbalzate e cesellate, nelle cimase, belle figure di santi, e medaglioni circolari e porta un CRISTO dorato a tutto tondo di artistica fattura alto cm 20.
Specificatamente sul verso sono rappresentati: San Carlo Borromeo, in alto Santo Francescano, a destra San Bernardino da Siena, in basso San Luigi di Francia ed al centro il Cristo patiens.
Pure nel retro altre figure nelle cimase e nel centro, in parte cesellata, una bella figura dell’IMMACOLATA (cm 20).
Specificatamente: a sinistra San Gerolamo, in alto Santo francescano, a destra S. Antonio da Padova, in basso Santo Vescovo, al centro Immacolata Concezione.
All’esterno dei tre lobi di ogni cimasa sono applicati (cesellati) testine di angeli. Testine di angeli a tutto tondo anche nella base.
L’opera porta la date del 1615.
Non ci sono documenti ufficiali che dimostrino la provenienza, ma solo un racconto tramandato ci narra che fu portata dal Nord dell’Italia nascosta dentro un sacco. E che il corriere si salvò a stento da una fiumana riparandosi sull’argine. Si può solo supporre che l’opera fosse stata affidata a quel corriere per salvarla da delle razzie dei soldati Napoleonici nella Campagna d’Italia o forse si tratta di qualche altra storia.
La Chiesa custodisce poi una maestosa croce processionale in legno del peso di oltre 40 chili. E’ maestosa per le sue proporzioni, per la forma e la ricchezza di intagli dorati. Misura metri 3 di altezza e porta un Cristo di buona fattura alto m. 1.20. E’ opera dello scultore Romeo VARANINI di Fivizzano (1853-1920).
( Un’ altro crocifisso scolpito su croce astile è nella sacrestia della chiesa parrocchiale di Cotto assieme ad una cornice in legno di pregevole fattura sempre scolpita dallo stesso.
Lo scultore Varanini, nato verso la metà del secolo XIX e spentosi dopo la prima guerra mondiale, si diplomò in musica e arte a Firenze; fu artista di spessore. Ho potuto ammirare tre sue litografie nello studio del dott. Battini Gianluigi, dentista in Fivizzano e sono rimasto colpito dall’alta qualità e bellezza del disegno). Il crocefisso di Agnino ben conserva la doratura originale. L’opera, collocata prima in sacrestia è stata posizionata, da breve, al lato sinistro della chiesa per essere meglio ammirata.
Un’altra croce in bronzo pende davanti all’altare principale attaccata alla catena in ferro anti- terremoto, ed è opera moderna donata dal conterraneo Nardini Giuseppe in quale mi ha più volte confidato il suo rammarico nel non essere riuscito a convincere la fabbriceria del tempo ad istallare le formelle in bronzo al portone principale e per il quale uno scultore di La Spezia, suo parente, aveva già, intorno agli anni 70, realizzato i bozzetti. Ai costi odierni l’ opera non è più fattibile.
Il campanile della chiesa sorge dietro l’altare maggiore ed ha una copertura a terrazzo con ringhiera. La cella campanaria si apre con 4 finestroni ad arco (anticamente erano otto ma quelli sottostanti con volte in tufo sono stati murati) e contiene n. 3 grosse (considerato il paese) campane dal suono grave e solenne. E’ opera del 600/700.
A riguardo della nostra chiesa ho da riportare un fatto accaduto il 21 giugno 1811 e riportato nelle sue “ cronache fivizzanesi” dall'avvocato Francesco Battaglia notaro in Fivizzano. Scrive il nostro:
“ Tempo torbido, a mezza mattina ricominciò a piovere e tutto il giorno tuonò, piovve molto di tratto in tratto. Alle ore due dopo mezza notte venne un temporale strepitoso con gran quantità di acqua , e poche grandine, ma con tale impeto di acqua vento fulmini, e tuoni che molti dicono non aver sentito l'eguale; un fulmine diede nel Campanile di Agnino, ed entrò in Chiesa ma non fece danno che in detto Campanile.”

Poco distante dalla chiesa abbiamo una bella canonica costruita su due piani nel 1926, dopo che il terremoto aveva distrutto la vecchia. Vi abita ora la famiglia di Glauco Moscatelli poichè il parroco attuale Don Antonio Vigo, che cura più parrocchie, abita a Bigliolo.

ORATORIO DI MONTECORTO o Montecurto

Chiesa dedicata alla B.V. di Lourdes, costruita dopo il terremoto del “20 con muratura comune e cemento. La sua linea è semplice, lineare con tetto a capanna. Nel suo fianco destro è stato eretto, intorno agli anni 60/70 con strutture in cemento armato un grazioso campanile.
La navata è rettangolare di mt 10x5, tinteggiatura semplice.
Non possiede opere d’arte antiche, la chiesa è più che sufficiente alla esigenze della popolazione.
P.S. Queste notizie particolari sulle opere delle chiese di AGNINO ho potuto ricavare, pressoché invariate, da un inventario redatto nel 1978 dal canonico E. Borrotti di Pontremoli.

E’ il caso qui di ricordare che la parrocchia di Agnino fu smembrata da quella di Canneto ( che fu in origine un oraculum annesso ad una tenuta monastica ) ed è a sua volta matrice della parrocchia di Magliano sorta nella seconda metà del secolo XVIII. Ricordiamo ancora che nella Curia di Sarzana si conserva il più antico manoscritto delle visite pastorali della diocesi di Luni. Da esso si ricava che il Cardinale Lomellini visitava Agnino il 12 Maggio 1568 e documentava: “ Ho visitato Agnino e trovo la Chiesa into buon essere, in assenza però di padre Vegliantino rettore”.

Lo scrivente ha finalmente potuto visualizzare, con parere favorevole del parroco e della fabbriceria, i documenti conservati nell'Archivio parrocchiale di detta chiesa ecco quindi l'elenco dei Parroci di Agnino .











Furono parroci in Agnino i seguenti:
1- Don Giovanni Maria 1602
2 – Prete Jacopo di Michele di Antigo, capellano di Magliano 1604
3- Prete Andrea Giani o Giarri dal 1605 al 1608
4- Padre Spinetta Bracieri (o Bravieri?) da Soliera 1608-1640
5- Don Domenico Barbieri da Soliera 1641-1667
6- Prete Giovanni Agnini di Piazza -economo 1667-1668
7- Ambrogio Magnani da Fivizzano 1668- 1708
8- Nicola Magnani 1708- 1741
9- Don Andrea Ambrosini – rector 1742-1775
10- Don Andrea Vacchi - cappellano 1775-1777
“ “ “ - rector 1777-1784
11- Don Matteo Signanini - economo 1785-1785
12- Don Domenico Vasoli - Priore 1785-1816
13- Don Andrea Pennucci - “ 1817-1853
14 – Don Luca Bongi - “ Nato a Porcilia di Soliera e già parroco di
Magliano. ( vedasi Colera ad Agnino) dal 1854 al 1872
15- Don Andrea Giambuti - “ dal 1873 al 1885
nato a Filetto, andò parroco ad Irola ove morì

16- Don Paolo Corsini - economo 1885-1889
16bis “ “ - Priore 1890-1915 17- P. Diego Moscatelli – Padre guardiano a Pontremoli, nato a Caprio
e morto all’ ospedale di Parma 1916 - 1919
18- P. Daniele Duranti - O.F.m. del convento di Soliera – economo, nato a Cecina e morto a Pietrasanta 1919-1920

19- Don Alessio Tozzi - Priore, nato a Braia e andato parroco in 1920-1926
Val di Taro
20 – Don Guido Ferrari - economo, prima parroco a Quarazzana, 1926-1927
nativo di Pontremoli, andò cappellano nel Duomo

21- Don Eugenio Borrotti - Priore 1927-1937
nativo di Zeri, prima tre anni parroco a Collesino, poi parroco
a Verrucola e cappellano all'ospedale di Fivizzano.
22- Don Alberto Pini - Priore 1937-1942
Nativo di Comano, per nove mesi parroco a Collecchia e poi
Priore ad Agnino.
23- Don Pietro Tedeschi - Priore, 1942-1957
nato a Fivizzano, già parroco di Sassalbo e Spicciano.
Trasferitosi di qui a Riccò
24- Don Ermenegildo Pietrelli- Priore 1957-1992
nato a Sassalbo, per 17 anni parroco di Arlia. Entra in
parrocchia il 13 maggio 1957. Ormai vecchio, si ritira
in pensione a Fivizzano ove muore.
25 – Don Antonio Vigo – Priore
ex cappellano militare, in pensione con il grado di Generale,
cura attualmente tre parrocchie: Bigliolo ove abita, Agnino, e
Magliano.


Ritengo che questo elenco sia però incompleto o mancante di qualche parroco come ad esempio: Padre Vegliantino – rettore nel 1568, Don Cesare Barbieri verso il 1717, oppure Don Michele De Rubeis ( de Rossi), cappellano dal 1745-1746,

==============================================



Nell’ archivio parrocchiale ho trovato:
Il “Catalogo dei fratelli della COMPAGNIA DELLA CARITA’ sotto il titolo di S. Michele Arcangelo nella parrocchia di Agnino, eretta il giorno della SS. Trinità 22 Maggio 1785”
Descrizione dei Fratelli:
Pennelli Michele (governatore), Rossi Domenico, Novelli Antonio, Lorenzini Stefano, Bertoli Michele, Corsini Jacopo, Asti Giuseppe, Paolini Domenico, Tonelli natale, Colombani Gio., Jacopelli Gio. Batta, Veschi Pasquino, Bartolomeo di Domenico, Bertoni Giuseppe,Barbieri Pasquale, Gregari Antonio, Bonfigli Michele, Signanini Pietro, Paolini Michele, Avanzi Domenico, Lazzini Domenico, Rossi Francesco, Ghirlanda Antonio, Ambrosiani Antonio, Cortesi Piero Antonio, Procuranti Gio. Antonio, Tonelli Domenico, Ambrosiani Domenico, Veschi Leonardo, Signanini Palmiro, Conti Pietro, Remedi Antonio, Bertoli Antonio, Lazzini Antonio, Bonfigli Antonio ed ancora Lazzini, Pennelli, Colombani, Banchieri e Palmieri.
Allo Scarro: Michele Anto. Rossi, Gio. Bonfigli, Battista Corsini, Giovanni Tognoli, Michele Bonfigli.
A Montecurto: Alessandro Pelli, Francesco Battaglini, Marco Bracieri, Gio. Antonio Pelli, Donato Arancini, Michele Gerali, Pellegrino Pelli, Pietro Cimoli, Gio. Bracieri, Gio. Maria Battaglini, Santo Cimoli e Gio. Domenico Pellegri.
Dalle stesse carte si ricava che quasi tutti hanno pagato l’ iscrizione alla Compagnia con la didascalia “ pago’ in grano”; Gio. Antonio Ambrosini “pagò la quarta di grano”, ma Pasquino Veschi pagò in “ Soldi 14 di Genova “, Michele Palmieri pagò “ soldi 5 di Genova”, Pietro Cimoli pagò “ Soldi 25 di Genova” , Marco Bravieri pagò “in soldi 16 di Genova”, Gio. Antonio Procuranti pagò “soldi 9 di Toscana”, mentre Domenico Lazzini “ pagò la sua fatica a portare il grano”.

Pochi anni dopo il 1785 la presente Compagnia della Carità viene soppressa e sostituita con La Compagnia del SS Sacramento della quale riporto qui sotto l’ atto di costituzione.
Il motivo della soppressione è probabile fosse dovuto alla legge del XXI Marzo 1785 emanata da Pietro Leopoldo di Toscana con la quale sopprimeva le compagnie, le congregazioni e le confraternite ed erigeva nuove Compagnie di Carità regolate da nuove disposizioni da osservarsi dalle medesime e regolava le doti da conferirsi. Lasciava loro solo gli arredi sacri mentre stabiliva che “ le case, i fondi e beni dovevano essere immediatamente stimati e venduti” e “ quando saranno appurati tutti i patrimoni delle Compagnie, ogni avanzo delle medesime dovrà passare liberamente nel patrimonio Ecclesiastico delle rispettive Diocesi senza tenere conto della sua provenienza.”
Ecco quindi che per tale disposizione ogni Parrocchia diventa unica proprietaria dei beni materiali delle varie Confraternite e Compagnie.
Ed è per tale motivo se troviamo che il 21 dicembre 1942 il successore di Don Alberto Pini prende possesso (documentato da un Estratto catastale dei terreni del Beneficio catastale d’Agnino ) di vari appezzamenti di terreno per un totale di ettari otto e mezzo.





Capitoli
Della Venerabile Compagnia del Santissimo Sacramento da operavarsi dalla medesima allorchè sarà eretta canonicamente in luogo di quella della Carità con licenza di S.A.R. nella Chiesa Parrocchiale di S. Michele Arcangiolo della TERRA DI AGNINO, Vicariato di Fivizzano, Diocesi di Pontremoli; approvati dall’Ill.mo, Chiarissimo Sig. Cavalli Segretario del Regio Diritto.


Capitolo 1°

La Venerabile Compagnia del SS.mo Sacramento come sopra entrerà a godimento di tutte quelle indulgenze, e privilegi spirituali che per concessione da Sommi Pontefici competono “Per Jure” alle Compagnie del SS.mo Sacramento, oltre quelle indulgenze che specialmente si impertreranno in ossequio dal Santo Padre.

Capitolo 2°
Dovrà la medesima Compagnia sussistere e mantenersi colle solite oblazioni spontanee dei fedeli e colle tasse che s’ impongono come fatto volontariamente agli Ascritti a questa Compagnia e sarà in facoltà dei sopradetti di dare alla Compagnia o Denaro o Genovesi a Loro piacimento.

Capitolo 3°
Potranno essere ascritti alla detta Compagnia tanto gli abitanti della Parrocchia di Agnino, quanto ancora gli estranei sia Uomini che Donne, pagando gli Uomini nell’ atto di essere ascritti soldo dieci di Genova a testa, approvvedendosi di Cappa, e le Donne sei simili.

Capitolo 4°
Gli officiali della Compagnia saranno il Priore, Sotto Priore e Camarlingo e questi saranno eletti per voti nella pubblica Chiesa coll’ assistenza del Parroco secondo l’ antico Costume.

Capitolo 5°
Non potranno essere eletti alla predetta carica se non quelli che avevano compiuto l’ età di anni ventuno, e che saranno abilitati nel leggere e scrivere in modo da esercitare lodevolmente le incombenze del rispettivo loro Ufizio.

Capitolo 6°
Il Priore sarà il Capo di detta Compagnia che la governerà per un anno, farà osservare i Capitoli, Sarà rispettato ed obbedito dai Fratelli ed avrà il primo posto fra loro; Il Sottopriore avrà il secondo posto nella Compagnia ed anche il primo in assenza del Priore e servirà a questo di aiuto; il Camarlingo terrà conto dell’entrata della Compagnia riscuotendo quanto occorre, farà le spese occorrenti per la Compagnia, tenendo esatto conto sia dell’Entrata che della Spesa; Occuperà nella Compagnia il terzo posto ed in mancanza di altri Officiali goderà di quel posto, che sarà lasciato vacante per l’ assenza dei medesimi.

Capitolo 7°
Dovrà il Priore informarsi della condotta dei fratelli e sorelle e correggerli caritativamente qualora mancassero ai loro doveri, procurare di pacificarli se fossero in discordia e castigare i disubbidienti coll’apporsi qualche pena in favore della Compagnia; che se poi si rendessero incorreggibili in caso di richiamo potrà col consenso degli altri ufiziali cassarli ancora dalla Compagnia.

Capitolo 8°
Ad effetto poi che ognuno dei Fratelli e Sorelle sia diligente nell’adempimento dei suoi doveri saranno letti i loro nomi in occasione delle funzioni della compagnia appuntando coloro che mancassero, e facendovi pagare a favore della Compagnia la pena di mezzo Soldo per ogni mancanza nelle funzioni minori, e Soldi tre nelle maggiori, rilasciando per altro alla coscienza del Priore ed altri Officiali la facoltà di potersi scusare, o minorare la pena per coloro che avessero legittimo impedimento.

Capitolo 9°
Il Priore con gli Ufiziali e Parroco eleggerà per un anno fra le Sorelle della Compagnia due donne delle più probe col nome di Priora e Sottopriora, che dispenseranno la cera alle Sorelle ed avranno il primo posta fra Esse.

Capitolo 10°
Il Parroco locale sarà il correttore della medesima Compagnia da cui questa dovrà dipendere sia per quello che riguarda le sacre funzioni, quanto per tutto il rimanente.

Capitolo 11°
Per il Corpus Domini dovrà il Camarlingo con gli altri Ufiziali rendere i conti della sua amministrazione, e fare il Bilancio dell’Entrata ed Uscita della Compagnia nelle mani del Parroco il quale apporrà la sua firma ai conti medesimi.

Capitolo 12°
I principali esercizi di Pietà che avranno i Fratelli e Sorelle della Compagnia saranno i seguenti,
Primo: Di assistere con Cappa alle funzioni Parrocchiali in specie nei giorni di Solennità e nei tempi che si fa dalla Parrocchia qualche funzione speciale.
Secondo: Di accompagnare il Santissimo Viatico agli infermi
Terzo: Di visitare i malati, confortare con buoni sentimenti i moribondi, di associarli, a portarli alla sepoltura allorché saranno defunti.
Quarto: Di procurare e distribuire i sussidi ai poveri specialmente malati, al quale effetto gli officiali non trovando per la cura altri sussidi potranno prendersi qualche cosa dell’ Entrata della Compagnia e distribuirla ai Poveri a seconda dell’urgenza e bisogni dei medesimi.
Quinto: D’ intervenire con Cappa similmente non solo alla Solenne processione del giorno del Corpus Domini e del di dell’ottava, ma altresì alla Processione mensuale del SS.mo Sacramento che Secondo la Bolla dei Sommi Pontefici si deve fare in una domenica di ogni mese dalle Compagnie del medesimo Augustissimo Sacramento.
Sesto: Di recitare in corso(?) nella parrocchiale nelle domeniche ed altri giorni festivi di precetto i sottoscritti Uffizi per impegnare in nostro favore il Signore Iddio e la Vergine Maria e suffragare al tempo stesso le Anime non tanto dei Fratelli e Sorelle della Compagnia che degli altri defunti nella causa al quale effetto si deciderà nella prima domenica del mese l’ uffizio della Vergine alla mattina ed il Vespro dei Morti al giorno; nella seconda domenica i tre Notturni dei morti; nella terza S. Ufizio dell’ Augustissimo Sacramento; nella quarta le lodi dei morti, negli altri giorni festivi, i sette Salmi Penitenziali, o altro Offizio che sembrerà più adatto di fare finalmente un Offizio fra l’ anno per l’ istesso fine in un giorno che crederanno opportuno.

Capitolo 13°
Reciteranno inoltre tanto i Fratelli che le Sorelle della Compagnia privatamente ogni giorno ed in altri tempi a tenore delle Bolle Pontificie quelle Preci di Pater e d’ Ave che sono prescritte per lucrare l’ indulgenza ed’ i suffragi annessi dalla Santa Chiesa a tali Compagnie, e faranno a suo tempo quelle Sacramentali Confessioni e Comunioni che sono parimente prescritte.
Capitolo 14°
In morte poi di ciascun fratello o Sorella reciteranno tutti gli ascritti a questa Compagnia sapendo leggere a sette Salmi Penitenziali, o l’ Uffizio dei Morti, e non sapendo leggere trenta Pater ed Ave per l’ anima del Defunto, e l’ assoceranno alla Sepoltura, e tutto il Corpo della Compagnia dovrà fare celebrare per esso un Offizio di sei Messe compresa la Cantata, purché per altro gli Eredi soddisfaccino la Compagnia se fosse del Defunto Creditrice per supplire alla spesa poi di questo Offizio, come altresì dell’offizio annuale sopraddetto, gli ascritti si tasseranno in qualche piccola cosa annualmente.

Capitolo 15°
Avrà la Compagnia un Servo che avrà l’ incombenza di custodire le Cappe che gli fossero dai Fratelli consegnate, suonare le campane, e servire la Compagnia nell’occorrenza della medesima, il quale verrà eletto dagli Officiali, e gli verrà assegnata una conveniente paga dall’Entrata della Compagnia.


Capitolo 16°
Finalmente tutti gli ascritti alla predetta Compagnia condurranno una vita veramente Cristiana, ed esemplare, e promoveranno col maggior zelo il Culto di Gesù Sacramentato
Con (parola illeggibile) in ogni tempo generi omaggi della loro fede, e devozione per poter esser fatti degni di sperimentare quei spirituali vantaggi e copiosi frutti che essi si prefiggono nell’ ascriversi alla di Lui Veneratissima Compagnia.

Io sacerdote Domenico VASOLI
Rettore della Chiesa Parrocchiale di S: Michele Arcangelo di Agnino, supplico come sopra e presto il mio consenso ai presenti capitoli ed in fede mano propria.
Io Gio. Antonio Penelli presente Governatore della Carità supplico come sopra mano propria.
Io sacerdote Michele Benelli referente Buonuomo della Compagnia della Carità supplico come sopra mano propria.
Io prete Lorenzo Penelli supplico come sopra mano propria.
Io prete Bellamino Signanini supplico come sopra mano propria.
Supplicano e firmano con mano propria ancora i seguenti:
Stefano di Giorgio Lorenzini, Pasquale Barbieri, Gio. Domenico Rossi, Gio. Antonio Novelli,Michele Antonio Rossi, Gio. Batta Corsini, Domenico Antonio Bonfigli, Domenico Veschi, Jacopo Corsini, Michele Paolini, Michele Bertoli, Gio. Pietro Conti.
Prosegue il documento:
Attesto io sottoscritto rettore di Agnino qualmente i sunnominati soscriventi hanno firmato la presente supplica e capitoli di propria mano e carattere come a me pienamente consta; ed in fede Io Prete Domenico Vasoli
Agnino li 24 Marzo 1797

Poi ancora l’ approvazione:
Atteso il consenso prestato dal parroco della chiesa di S. Michele Arcangiolo di Agnino diocesi di Pontremoli di concedere l’ erezione nella medesima della Compagnia sotto il titolo del SS.mo sacramento con che in detta Chiesa parrocchiale e suo circondario non esista di presente ne debba esistere in futuro veruna altra Compagnia e Congrega et in conseguenza approvansi i presenti capitoli, osservando però le Leggi, ab’ ordini veglianti, e con la dichiarazione che quanto alle adunanze e funzioni nella Settimana santa, et in ogni altra Solennità dell’anno se ne (? Parola illeggibile) la licenza dal Vicario capitolare, cui dovranno presentarsi i Capitoli medesimi prima di qualunque adunanza;
dato dalla Segreteria del regio Diritto Li Sei Aprile 1797 firma : Gio. Batta Cellesi. (?)

Fra le carte dell’archivio parrocchiale ho rivenuto il
“Libro dei legati più censi, entrate e obblighi della Compagnia del Santissimo Sacramento d’ Agnino” con parecchie annotazioni di donazioni, la prima è del 8 maggio 1697 e così riportata
“ Da Giovanna e Caterina figlia di D’ Antonio di Gio. Jacopo del Castello di Agnino con i suoi consensi crearono un perpetuo censo di scudi 12 sopra terra campiva, castagnata et alberata luogo detto al campo di pino a favore del SS Sacramento d’ Agnino”
Un’ altra fra le ultime, del 23 giugno 1717:
“Antonio di Gio. Domenico Corsini da Piazza d’ Agnino diede a questa compagnia l’ importo di 10 (scudi ?) al funerale di sua moglie Franca come da promessa al Priore Don Cesare Barbieri”.
E ancora:
“Bartolomeo Palmieri d’ Agnino abitante a Montecurto morì il 17/08/1717 lasciò l’ anima sua a questa Compagnia ne il suo legato rogato dal Nicolò Battini di Fivizzano scudi due.”

Questo registro ci dice però che La Compagnia del SS Sacramento esisteva già’ da prima della sua costituzione legale avvenuta con l’ atto sopra riportato del 24/03/1797!



Fusione delle campane

Nell’archivio parrocchiale ho trovato , datato 1778, un registro delle entrate ed uscite sostenute per la “fonditura delle campane”. Dallo stesso si evince che furono spese 4365 Barboni contro un’ entrata di 4392 con un avanzo di 27 Borboni.
Nel 1789 si riprese la riscossione dei crediti a favore delle campane: Le entrate derivano da entrate delle famiglie, da alienazioni, da avanzi della Compagnia della Carità. Si trova così che nel 1790 “avendo il popolo di Agnino ottenuto da Pontremoli venti pezzi di metallo, venne in risoluzione di rompere le due campane minori e farne una grossa che fosse intesa da ogni luogo e coll’avanzo una piccola “ come fece, tassandosi le famiglie, per un totale di Barboni 985 che furono tutti spesi per comprare lo stagno, trasportare il metallo da Pontremoli, comprare il metallo mancante, mattoni, sego, cera, fonditura delle campane, accomodare le campane sul campanile.
Nel 1796 venne fatta un’ altra fusione essendosi rotta la maggiore con una spesa totale di Barboni 1100. La nota riporta che la campana maggiore, compreso il calo che ha fatto nella fornace, è di pesi 58 e la mezzana di pesi 43.
Oltre alla fonditura di campane fatta come sopra nell’anno 1778, 1790,1796 anche nell’anno 1804 se ne dovrà rifondere due essendosi rotte e si fecero quindi le seguenti spese:
Compra metallo Borboni 210
Cera “ 8
Metallo comprato a Crespiano “ 14
Chiodi 4
Laveggio 17
Stagno 36
Mercede alli campanari 173
Accomodatura di battaglio 34
Sego 3
Pelli di lepri 8
Mattoni 3
Tavole 4

Totale spesa Barboni 514

Nota: il Barbone era una moneta (XVII-XVIII secolo) battuta a Lucca e recante la figura del Volto-Santo con lunga barba.
Vedasi nota n.2

Si arriva quindi al 1808 anno in cui fu rifusa la campana grossa di libbre 2000 ed una piccola perché rotta.
In quei tempi, normalmente, le campane si fondevano sul posto, quindi vicino al campanile che poi le avrebbe ospitate e questo per evitare il grosso problema del trasporto (A quel tempo non era ancora stata costruita la provinciale per Fivizzano-Licciana e ovviamente non c’erano gli autotreni).
Mi ha infatti confermato Bianchi Luigi, fabbriciere attuale, nato nel 1938, che si ricordava bene quando da ragazzo scendeva dentro la buca, circondata da mattoni ove erano state fuse le campane , sita ove ora è stato fatto l’ allargamento del cimitero.
Orbene, siccome le tre campane che suonano oggi sul campanile portano la data di costruzione 1891 e sono tutte e tre della ditta Premiata Fonderia Campane Daliano Colbaccini e Figli in Padova si può presumere che il sopraddetto reperto industriale sia riferito a questa ultima fusione.



---------------------------------------------------------------------------
REGISTRI VARI
Fra i vari libri, registri visionati ho trovato interessante:
LO STATO DELLE ANIME DEL 1931: vi è registrato lo stato delle famiglie e di ogni componente con nome del padre, madre , luogo di nascita, data nascita, data battesimo, cresima, comunione, matrimonio contratto, data di morte e osservazioni del parroco tipo Vedovo di…., emigrato in Venezuela, morto al manicomio di Siena ecc.

ELENCO o REGISTRO DEI CRESIMATI: che va dal 1874 (ma comprende un foglio allegato del 1855) al 1969 con il nome del Vescovo, dei Padrini al Sacramento, i nomi e le date di nascita dei partecipanti ed in alcuni casi la maternità e paternità, il nome del padrino il tutto seguito dalla firma del Vescovo e del parroco pro-tempore.

LIBRO DEI BATTEZZATI D’ AGNINO: scritto con una bella calligrafia dal parroco A. Giambuti e poi dal Don Paolo Corsini e comprende i nati dal 14 settembre 1873 al 1889.
Segue altro
REGISTRO DEI BATTEZZATI dal 1890 al 1915; ne ho estrapolato uno per esempio: al n. 265,
“Adi, 24 ottobre 1901
Barbieri Alberto, Luigi, Agostino – oggi stesso è stato, da me sottoscritto, battezzato, nato il giorno 19 corrente alle ore 9 di notte, dai legittimi sposi Barbieri Pietro di Eugenio e di Pinelli Gioconda, e di Bononi Ersilia d’ Angelo e di Furia Faustina possidenti della Villa.
I padrini furono BONONI Don Luigi e PINELLI Gioconda, zio e nonna del neonato.
Firmato Corsini Don Paolo Parroco – Adi, 31 ottobre 1901”.
L’ esempio qui sopra, confesso, è molto personale trattandosi dell’atto di battesimo di mio padre!

Abbiamo agli atti n. 5 registri di MATRIMONIO: dal 1781 al 1890, dal 1890 al 1915, dal 1915 al 1930, dal 1930 al 1946 e dal 1946 al 1969.
In più, per uso civile, abbiamo il REGISTRO DEI MATRIMONI con registrazioni su formula prestampata ed in coerenza alla Legge del 18/06/1817 comprendente le registrazioni dal 1818 al 1847, un esempio, al n. 24:
“ 25 Agosto 1824
Nel giorno suddetto hanno contratto tra di loro matrimonio per verba de presenti, servatis servandis, gl’ individui qui sotto denotati, i quali hanno dato rapporto ad essi le seguenti indicazioni:
Cognome nome sposo: Pigoni Pasquale
Condizione o mestiere di esso: contadino
Sua età : anni 29
Celide o vedovo: celibe
Popolo al quale appartiene: Agnino
Comunità nella quale è compreso il suo popolo: Fivizzano
Nome del padre dello sposo: Lodovico
Cognome e nome di sua madre: Gavoli Maria
Cognome e nome della Sposa : Rossi Maria
Mestiere della sposa: contadina
Età della medesima: anni 27
Nome di suo padre: Michele
Cognome e nome di sua madre: Guscioni Maria Domenica
Cognome e nome dei testimoni intervenuti all’ atto: Penelli Luigi e Barbieri Luigi
Avvertenze a piacimento del parroco: furono fatte le relative denunzie.
Sottoscrizione: Giuseppe Pennucci Priore.

Con la stessa legge del 1817 era stato istituito per uso civile il
REGISTRO dei BATTEZZATI: la prima registrazione è del 3 aprile 1818 e l’ultima con il numero 562 è del 4 febbraio 1849 sempre su formula prestampata.
E’ interessante perché riporta il mestiere sia del padre che della madre; ebbene una sola volta è registrata l’ annotazione “possidente” e in tutti gli altri casi l’ annotazione è “ contadino” o “contadina”.


LEGATI E CENSI


Le carte più confuse, logore ed illeggibili sono quelle dei vari contratti, note, legati , censi e contratti d’ affitto di beni della Chiesa.
Esistevano dei beni ecclesiastici quindi di proprietà della Chiesa D’ Agnino che andavano sotto il nome di CONSORZIO. Abbiamo un registro
“ Note del Consorzio” con appunti dal 1665 al 1766. Esempio, si estrapola che in data
24 febbraio 1665
“Gio’. Domenico di Jacopo dal Grupparo di Agnino prese al pubblico incanto il campo del Consorzio AI LAGHI per annuo fitto di lire otto e soldi sei e per anni venti; che l’ ha posseduto dall’ anno 1666 inclusi sino a tutto l’ anno 1683 deve in tutto…. Soldi 266.”
Oppure
Giò di Tognone della Villa di Agnino pigliò al pubblico incanto li castagni dal Consorzio detto ALLA CONTRA per fitto annuo di lire una e soldi dieci per anni 3 che li ha posseduti. Deve in tutto soldi 4.
In data 27 ottobre 1766
Fu venduta una secchia di grano data da Lazzini a questa veste lui debitore.

A proposito del grano raccolto e dei legati ed in riferimento all’amministrazione delle Compagnie del SS Sacramento venivano inviate , nell’anno 1898, ai parroci, istruzioni da parte della Curia Vescovile in cui si impartiva: “ Le granaglie, castagne ecc. raccolte, saranno conservate in casse appositamente fatte e tenute in un locale della Chiesa, ovvero in canonica, chiuse convenientemente, e mai in case private. Procedendosi alla vendita di esse per incanto, o comunque porti la consuetudine, non si consegneranno i generi se non dietro lo sborso immediato del denaro corrispondente.”
Nell’archivio ho trovato una nota del 17/6/1739 “ Nota dei beni stabili che ha il consorzio della Parrocchiale di S. Michele Arcangelo d’ Agnino al tempo di me Don Ambrogio Magnani di Fivizzano rettore di essa parte: Campo castagnato Ai Laghi, campo vignato et alberato al Prato di Sopra, Campo con vigna e noci sotto l’ orto della Chiesa, castagni alla Contra ecc ecc.”
E poi ancora, Nella Chiesa vi sono 3 altari: Altare maggiore, Altare della Compagnia del Santissimo Sacramento, Altare della Compagnia del Veneratissimo Rosario, segue l’ elenco degli arredi di detti altari.


In altro libro con fodera in pergamena e con la dicitura “ Spoglio dei Legati fatti all’ Altare di S: Michele Arcangelo all’ Oratorio et alla fabbrica della Chiesa d’ Agnino” ho trovato che:
“ Adi 10 marzo 1723, noto qui per memoria delli Consorzieri pro tempore che alla Maestà cioè al Oratorio della B.V. de il Cuccaletto si trovano un piede d’ ottone della Croce dell’ Altare Maggiore di S. Michele Arcangelo d’ Agnino che fu imprestato al detto capellano, ogni qual volta che il Consorziere lo vorrà lo pol ripigliarlo. Io Giò Conti - mano propria”.
Poi più sotto nello stesso libro:
“ Adi 14 ottobre 1721, Io Giò Conti dalla Pizza d’ Agnino fui eletto Consorziere dell’ Altare Maggiore San Michele Arcangelo della Parrocchia d’ Agnino; piaccia al Signore che lo possa servire senza agravio della mia coscienza”.
Ed ancora :
“ Don Domenico Barbieri da Soliera già Rettore d’ Agnino morse (morì) il 29 Agosto 1667 ed eresse ( ? ) suo testamento rogato da Stefano Bassignani da Fivizzano il 4 ottobre 1648, lascia all’ Altare di San Michele Arcangelo d’ Agnino, scudi quaranta da spendersi in ornamento di esso o da pagarsi da suoi eredi…….”.

Note dei legati

Trattasi di note gettate con macchina da scrivere intorno agli 1950/1960 (praticamente un sunto dei documenti in essere), probabilmente redatte da Don Tedeschi ma può essere anche da Don Pietrelli.
Queste note dattiloscritte erano a sua volta state tracciate in base ad uno scritto eseguito sulla carta di una circolare del 1789 e precisamente nel 08 maggio 1813 dal Priore Domenico Vasoli il quale scriveva “ Li Legati esistenti nella Parrocchia ed Oratori della Cura d’ Agnino sono li seguenti per quanto si è potuto sapere essendosi smarrito il libro dei Legati”

1° - lascito perpetuo di n. 12 SS Messe del Sig. Antonio Lazzini, come da rogito di Niccolò Battini di Fivizzano 29/10/1722. all’ altare della SS Concezione compresa la messa cantata il 8 Dicembre .
Fino al 1854 risulta che furono celebrate tutte le messe come sopra; nel 1855 furono celebrate solo messe 6 compresa la cantata così in seguito fino al 1867 dal quale anno in poi il legato fu soddisfatto interamente fino all’ anno 1872. Dal 1873 ad oggi (documento non datato) fu celebrata in canto solo la messa il giorno 8 dicembre.

2° Lascito perpetuo di n. 6 Messe compresa la cantata il di 4 novembre del fu D. Giovanni Conti, rogato dal notaio Niccolò Battini di Fivizzano il 10 Luglio 1733 (Famiglia Bongi di Bigliolo). Dal libro dei legati risulta che questo lascito fu soddisfatto fino all’ anno 1908 per ordine del Sig. Ignazio Angeli di Fivizzano.

3° Lascito perpetuo di n. 18 SS Messe comprese le tre cantate nel dì di S. Scolastica, della Madonna della Neve e di S. Giovanni Evangelista; legato che fu del Giovanni Agnini che dotò l’ Altare (ora della famiglia Veschi) vicino al Battistero di scudi 250, moneta di Fivizzano, coll’obbligo di spendere il frutto in celebrazione di SS Messe levandone il mantenimento dell’Altare. Per rogito del fu Giambattista Battini di Fivizzano 13 Marzo 1693
(A tale proposito legasi il capitolo sull’organo della Chiesa.)
La soddisfazione del presente legato risulta sia incominciata dall’anno 1854 però di soltanto 6 Messe compresa la cantata fino al 1855; dal 1856 a tutto il 1858 furono solo cantate tre messe; nel periodo dal 1859 al 1863 il Legato fu soddisfatto interamente con n. 18 messe comprese le 3 cantate.Dal 1864 in poi furono cantate solo Messe 3 nelle sopraddette Feste.

4° Legato perpetuo, come da rogito notaio Battini di Fivizzano del 3 Giugno 1733, nell’ Oratorio del Cuccaletto alla Maestà di SS Messe annue n. 32 in onore di S. Apollonia più 50 altre SS Messe all’altare della SS Annunziata – obbligo tra Penelli Ermenegildo e Don Paolo Corsini e più n 33 a carico della famiglia di Giovanni Barbieri. Della soddisfazione di questo legato non risulta nulla prima del 1854; negli anni 1850-1856 risulta che la famiglia Corsini soddisfece per la sua parte il legato; nella soddisfazione di questo vi sono due intervalli dal 1856 al 1859 e 1862 –1870 non soddisfatti: In seguito fino al presente fu soddisfatto però soltanto da parte della famiglia Corsini, risultano in vuoto gli anni dal 1904 al 1928.

5° Legato perpetuo nell’Oratorio di S. Francesco D’ Assisi allo Scarro di una Messa in tutte le feste. Lasciato da D. Francesco Rossi Arciprete di Crespino- Famiglia Rossi ora Eredi Giovannini dello Scarro. Questo Legato risulta sia stato soddisfatto interamente dal 1874 al 1894.

6° Il giorno 29 Agosto Gregori Sante della Villa deve far celebrare n. 12 Messe compresa la Cantata, per Legato di un Sacerdote di Casa Signanini per istrumento fatto a Milano, il quale Legato è stato confermato dal Sig: D. Bellarmino Signanini per rogito del sig. Iacopo Antonio Vasoli di Regnano, li 29 marzo 1804.
Dell’intera soddisfazione di questo Legato risulta dal 1854 al 1880. Dal 1881 al 1900 risulta che fu solo cantata la Messa il 29 Agosto.

7° Il parroco di Agnino è obbligato a celebrare annualmente per la Congrua assegnata a questa Chiesa dal Governo Toscano Messe 60. Questo Legato risulta soddisfatto dal 1854 al 1872. Poi fino al 1895 ne furono celebrate 30. Con data 2/10/1895 il Vicario vescovile Francesco Pettriccioli le riduce perpetuamente a 36. Dal 1924 furono ridotte a n. 9 e così fino al 1935 in cui furono ritornate al numero di 18.

8° Nell’oratorio di S. Generio all’Escaro vi ha obbligo di n. 6 Messe all’anno lasciate dal Gaspare Ginesi per rogito di Alessandro Gervasi di Rometta del 18 settembre 1660. Risulta soddisfatto fino all’ anno 1860.

9° Il parroco di Agnino celebra con canto la Messa nel dì di S. Rocco e S. Caterina 25 novembre , e alla fine dell’anno riceve dal Comune di Fivizzano un mandato di lire 3,36. Risulta soddisfatto fino al 1902.

10° Legato informe. “ Io infrascritto Parroco essendomi recato richiesto da Natale Paolini fu Domenico di Piazza gravemente infermo, ma di mente ancor sana mi disse prima di morire, essere sua ferma volontà invariabile, che il di lui erede Pietro Paolini suo figlio facesse celebrare dopo la sua morte, per l’ anima sua, annualmente Messe 40 e che intendeva che tale onere fosse duraturo per anni 40, e mi ha ripetuto che intende che tale sua volontà sia scrupolosamente eseguita dal suo erede. Addi, 23 gennaio 1857 – firmato Luca Bongi –Priore.
Queste le note dattiloscritte del Tedeschi Don Pietro ma nello scritto del Domenico Vasoli del 1813 si diceva che “ Messe 8 compresa la cantata li 23 Gennaio lasciate dal D. Domenico Corsini per anni 50 Rogato da Sig. Anto. Valerini di Fivizzano il 15 xbre 1767.
Messe 12 compresa la cantata il di 8 Xbre e sua ottava all’ altare della SS. Concezione lasciate dal Sig. D. Antonio Lazzini rogato da Nicolò Battini di Fivizzano il 29 ottobre 1722 e non soddisfacendo vi è la pena”
Continua ancora la nota “ Nell’ Oratorio della SS Annunziata alla Maestà detta del Cuccaletto vi è l’ obbligo di Mese due per ogni mese e due nella festa della SS Nunziata, due nell’ Assunzione Natività e purificazione, 32 in tutto secondo la fondazione fatta dai Martelli e Corsini. Nel suddetto oratorio vi è un Legato lasciato dal Sig. D. Cesare Barbieri di tante Messe quante ne capiscono nel reddito dei beni lasciati all’oratorio che ascendono a messe secondo che diceva il sig. Michele Bertoli Capellano di detto Oratorio ora 25 ora 28 ed anche 30.
Messe 33 annue lasciate dalla fu Domenica Barbieri moglie del Gio. Pellegrino Martelli da celebrarsi dal Cappellano della SS Nunziata all’ Altare di S. Apollonia eretto in Oratorio.
Si dice per voce pubblica esservi in detto Oratorio altro legato di una messa per settimana per l’ anima del fu Andrea Corsini al quale legato si soddisfaceva dal Sig. Domenico Corsini Capellano di detto Oratorio il quale essendo morto nel 1768 in appresso gli eredi non hanno voluto soddisfare perché si crede che non sia sicuro quell’obbligo e si possi provare da un contratto rogato dal Sig. Battini nel 1732 circa.
Nel suddetto Oratorio vi è un altare eretto da Pellegrin Martelli sotto il titolo di S: Apollonia. Si trova l’obbligo di soddisfare la festa di S. Apollonia con 9 Messe ma si è trovato la fondazione la quale dice che gli eredi faccino cantare una Messa in tal giorno con un offizio; rogato Sig. Gio. Battista Battini di Fivizzano 16 Novembre 1684. A quell’altare di S. Apollonia Vi è eretto un Beneficio di Giuspatronato dagli eredi del Pellegrino Martelli coll’obbligo di Messe 30 l’ anno.
Memoria fatta da me Domenico Vasoli 8 Maggio 1813.”

Sempre a proposito di Legati, nella seconda Visita pastorale compiuta dal Vescovo Giuseppe Fenocchio il 25 agosto 1962 alla Parrocchia retta dal Priore Ermenegildo Pietrelli si dettava il seguente suggerimento “Occorre mediante ricerche nell’Archivio Parrocchiale sia presso la Curia, stendere il libro dei Legati, con l’ indicazione chiara degli oneri originari e dei cespiti” ma poco prima il Vescovo elogiava il parroco “ Nonostante l’ usura che la vita cristiana dei nostri paesi subisce nel presente momento il volto della Parrocchia appare sostanzialmente Cristiano, la frequenza alla SS Messa si mantiene di alta percentuale.” Ed ancora “Si prende atto con piacere dei notevoli lavori compiuti in questi anni: riparazione del campanile, nuova bussola all’ingresso della chiesa, riparazione ed abbellimento dell’Altare Maggiore, nuovo organo, provvista la sacrestia di nuovi e decorosi mobili”.
Nella sua prima visita effettuata il 3 Novembre 1957 il Vescovo G. Finocchio scriveva al parroco Pietrelli “ Sua eccellenza si compiace per il confortante tono di vita religiosa quale appare dalla elevata percentuale della frequenza alla SS Messa festiva ed ai Vespri. Si rileva altresì il decoro delle sacre funzioni alimentato da una bella cantoria parrocchiale, l’ assenza di divertimenti cattivi, l’ azione cattolica nel ramo Donne, ed il fiorente Circolo ACLI cui va un particolare elogio …..Si suggerisce in particolare il graduale rinnovamento delle panche, del mobilio della Sacrestia e di taluni arredi sacri ormai logori e indecorosi”.
Come si vede il Don Ermenegildo Pietrelli ed il Popolo di Agnino non solo soddisfano la richiesta del Vescovo, ma addirittura la superano, e così sarà negli anni ad addivenire a dimostrazione anche di un maggior benessere che investe tutta la popolazione.


Registro dei defunti

Nell’Archivio Parrocchiale è agli atti un grosso libro ove sono registrati i defunti dal 1897 al 1992 (data ultima registrazione )
Il primo registrato è Giuseppe Laurentini morto il 6 gennaio 1897 e registrato, naturalmente, con il n. 1; registrazione effettuata da Don Sisto Corsini parroco a Quarazzana e “Coaditor” del Priore Paolo Corsini.
L’ ultima registrazione con il numero 781 porta il nome del caro amico Mario Mancini deceduto il 11 ottobre 1992 il tutto a firma del sacerdote Mario Posani, titolare della vicina parrocchia di Magliano.
Conosciamo quindi, che in 95 anni, sono stati fatti ad Agnino 781 funerali!
Ma spulciando ancora, visto che il prete annotava- ma non sempre- anche la causa della morte, dal 1957 al 1992 sono morte 13 persone per cancro, 13 per paralisi, 11 per vecchiaia, 8 di cuore, asma e bronchiti 4.
E’ con una certa commozione che ho trovato la registrazione della morte dei miei famigliari più cari così come con un sufficiente orgoglio ho trovato, in altri libri, le firme di mio padre Alberto che più volte convalidava, in più annate, assieme ad altri Fabbricieri, il Libro di Cassa della Parrocchia.

==================================================



ORGANO DELLA CHIESA DI AGNINO – ALTARE della Famiglia AGNINI poi passato alla famiglia VESCHI.

Sempre nell’Archivio parrocchiale ho trovato una Lettera indirizzata al Rev.mo Monsignor Lomellini – Vescovo di Sarzana nel 1787, che poi fu lo stesso anno in cui nacque la Diocesi di Pontremoli.

Così riportante:

“ Michele Veschi della cura di S. Michele Arcangelo del luogo d’Agnino, Capitanato di Fivizzano, servo umilissimo di V. S. Ill.ma e R.ma, con tutto l’ossequio la rappresenta qualmente fin dall’anno 1689 dal fu Signor Giovanni Agnini fu eretto nella Chiesa Parrocchiale d’Agnino un altare sotto il titolo della B. Vergine e de Santi Giovanni Evangelista e Guglielmo colla dote di scudi 250 moneta di Fivizzano in Capitali di censo; con che delli frutti di detti censi fatti tre uffizi all’anno, nella festa dei suddetti titolari si celebrassero tante Messe e qualora bisognava spendere per ornamento o restaurazione dell’altare si spendesse dai frutti detti sminuendo la Messa; e siccome il suddetto oratore si amministra al presente il nominato altare, bramerebbe coll’avanzo delli tre noti offizi comprare un organo per maggior decoro della Chiesa parrocchiale con che essa lo mantenga; prostrato perciò alli piedi di V. S. Ill.ma pregavo di volere concedere l’opportuna facoltà, acciò fatti i nominati tre offizi dell’ avanzo se ne possa servire a pagare l’ organo fino all’intiero suo valore e rifarsi negli anni posteriori per quella parte maggiore agli avanzi presenti, che dovrà metter fuori che della grazia quam Deu.”

Vista la supplica il Canonico-Vicario Staffetta con propria firma in data 4 marzo 1787 concedeva quanto richiesto.

L’ altare è quello vicino al Battistero, primo a sinistra entrando, poi passato alla famiglia Veschi , come risulta da l’ istanza sotto riportata e relativa a questo altare intitolato alla BEATA VERGINE MARIA e ai Santi GIOVANNI EVANGELISTA e GUGLIELMO fondato dal Sacerdote Giovanni AGNINI (Sulla famiglia Agnini leggasi il capitolo ad essa dedicato).
Il testo , su un foglio mobile a carta rigata , senza data e senza firma, con una calligrafia ottocentesca , è un istanza al Vescovo del figlio di quel Michele Veschi sopra riportato :
“Beatissimo Padre
Il fu Sacerdote Giovanni Agnini nel 1689 fondò nella Chiesa Parrocchiale di S. Michele Arcangelo di Agnino nella Diocesi di Pontremoli un Altare sotto il titolo della B.V. e dei SS giovanni Evangelista e Guglielmo dotandolo di un Censo di 250 scudi Fivizzanesi pari a lire Italiane 550 e disponendo che il frutto della somma di lire 35,20 fosse erogata per la manutenzione del predetto Altare, per la celebrazione di Messe sei compresa la cantata nella festa di Santa Maria della Neve, di sei compresa la cantata nel dì di S. Giovanni Evangelista e di altre sei compresa la cantata nella festa di S. Guglielmo. E per meglio oggi curare la soddisfazione di detto Legato il fondatore vincolava pure diverse terre di sua proprietà oltre all’ anzidetto Censo.
Il Sottoscritto Veschi Raffaele del fu Michele prostrato ai piedi della S. V. fa umile istanza perché gli venga accordata la sanatoria di tutte le Messe che non furono soddisfatte nel passato che approssimativamente si credono estendere al numero di seicento e per l’ avvenire siano ridotte ad una Messa Cantata ed una piana nei rispettivi tre giorni della B.V. della Neve, di S. Giovanni E. e di S. Guglielmo, rimanendo sempre a carico dell’oratore la manutenzione dell’ Altare, non permettendo allo stesso le condizioni in cui si trova e i sacrifici che ha dovuto fare per non dividere i beni gravati, di poter soddisfare a tutto il Legato”.
Questi due documenti sopra indicati ci fanno la storia di questo altare dedicato alla Vergine Maria ed ai Santi Evangelista e Guglielmo, ma oggi di dette immagini non abbiamo più traccia.
Cosa è successo? Il relativo quadro è stato portato via dalla famiglia Agnini? Forse è avvenuto che nel 1716, quando si è ampliata la Chiesa ed è stato trovato l’affresco della Madonna della Neve che fu primariamente ivi collocato, fu posizionato sull’altare ormai dei VESCHI il quadro che attualmente vediamo. Del vecchio dipinto se ne sono perse le tracce.



=======================================================



Parrocchia di Agnino e rapporti con l’ originaria Pieve di Soliera


Soliera era nel medioevo un nodo stradale importante; da lì si diramavano le vie che conducevano al passo dell’ Ospedalaccio, a quello di Linari, oppure tramite la Pieve di Venelia al Passo del Bratello e quindi a Piacenza, oppure attraverso la Garfagnana conduceva sino a Lucca e quindi alla medioevale strada francigena.
L’ antica Pieve di Soleria, Solera o Soliera è nota già dal 998 quando il marchese Oberto rinunziò a favore dei vescovi di Luni il giuspatronato che aveva su quattro pievi di Lunigiana. Il vescovo di Luni ne fa di Soliera un caposaldo della dominazione temporale in Lunigiana. Alla pieve di Soliera appartenevano le Chiese di Gassano, Ceserano, Collecchia, Moncigoli, Dedicò, Rometta, Bigliolo, Canneto, Antigo e Agnino.
Quando si parla di dipendenza si parla anche di doveri e quasi sempre di denaro, a conferma il Don Michele Mascardi nel suo libro “Storia di Fivizzano” ci fa sapere che “Intanto Gassano e Agnino protestano di non volere pagare le decime al Pievano di Soliera, ma la protesta non viene accolta e devono pagare gli arretrati”.
Che la pieve di Soliera fosse importante o almeno tale fosse ritenuta dal suo pievano lo dimostra la sotto indicata notizia che ricavo dal libro edito nel 1922 “La Chiesa di S. Antonio in Fivizzano” di Silvio Andreani, che riporta:
“L’ Arciprete di Soliera nel 1711 avanzava la pretesa di volere precedere il Proposto di Fivizzano nella processione del Sinodo, rifiutandosi, per giunta, di intervenire nel 1717, in occasione della celebrazione del 2° Sinodo tenuto a Sarzana in quell’epoca, per non essere stato accontentato”.
Nel 1798 la chiesa di Agnino diviene parrocchia, smembrandosi da quella della Pieve di Soliera, i rapporti fra i due parroci e Popolo rispettivi non dovevano essere buoni, se il Vescovo di Pontremoli Girolamo Pavesi emana le sotto indicate disposizioni:

“ Girolamo Pavesi
Per la Grazia di Dio e della Santa Sede Apostolica Vescovo di Pontremoli, Prelato Domestico della Santità di Nostro Signore Papa Pio Sesto, Assistente al Solio Pontificio.
Visti, e ben ponderati i motivi e Le ragioni esposteci in occasione della Sagra visita, dal Parroco e Popolo di Agnino per la smembrazione della Chiesa Parrocchiale di S. Michele Arcangelo di detto luogo dall’ Arcipretura, ossia Pieve di Soliera riguardo alla funzione e Fonte Battesimale del Sabato Santo, siamo venuti nella determinazione di esentare il Parroco attuale di detta Chiesa di Agnino, e di tutti i suoi Legittimi Successori dall’obbligo di assistere alla Sacra funzione, ed al Fonte Battesimale del Sabato Santo nella predetta Chiesa di Soliera, e di benignamente accordare al presente Parroco, ed a tutti i Suoi Legittimi Successori della Chiesa di Agnino la facoltà di poter fare da qui avanti nella propria Parrocchiale di questo Luogo Le Funzioni e Fonte Battesimale nel Sabato Santo, come sono Liberamente tutte l’ altre Chiese indipendenti della nostra Diocesi.
E siccome poi non deve mai una Chiesa riportare comodo con pregiudizio dell’ altre, quindi è che non ostante una tale smembrazione, i Popolani, ed il Territorio di Agnino dovranno onninamente osservare il solito costume di pagare in perpetuo La decima alla suddetta Arcipretura di Soliera, e La Chiesa di Agnino non potrà suonare nel Sabato Santo Le Campane, sennon dopo il suono di quelle di Soliera, cosicché non osservando detta Chiesa di Agnino, ed i Popolani tali condizioni sotto qualunque pretesto, diritto, motivo, e colore, <nunc protunc> La Chiesa di Agnino sia considerata < pront antiquity>, cioè dipendente come prima dalla Pieve di Soliera ed a quella di bel nuovo soggetta, così richiedendo i termini della vera giunzione.
Dato dal nostro Palazzo Vescovile di Pontremoli questo dì 23 Ottobre 1798. Girolamo Vescovo di Pontremoli.”

Ci fa oggi sorridere l’ obbligo di suonare le campane solo dopo che avevano suonato quelle di Soliera. Non sappiamo fino a quando fu rispettata la disposizione, come pure non conosciamo fino a quando furono pagate le decime a Soliera. Quello che è certo che la parrocchia di Agnino mai più è stata ricondotta a Soliera, quello invece che la può minacciare, oggi, è invece la diminuzione di popolazione che assieme alla mancanza di preti (problema comune a tanti paesi d’ Italia) ne mina l’autonomia.

==============================================================
Un testamento del 1758

“Adi 26 Maggio 1758

Il M.to R.do Sig. D. Carlo Conti di Antonio dalla Piazza di Agnino fece il suo ultimo nominativo testamento nel quale fra l’ altre cose per ragione di Legato obbligò l’ infranto Suo erede a far celebrare in suffragio dell’anima Sua Messe duecento dove li parerà e piacerà, fra il due anni, due dalla dì della Sua morte e a fare la solita novena al SS Natale per anni cinquanta almeno dopo La di lui morte con l’ obbligo di pagare al proprio quattro Confessori nel primo giorno di detta novena e di mettere dodici candele di oncie due ciascheduna all’Altare Maggiore.
In tutti i Suoi beni istituì erede universale Michele Conti Suo fratello, e i suoi figli legittimi e naturali, al quale mancando senza figli, sostituì la Giovanna e la Maria Maddalena di Giò. Batta Conti di Lui nipoti equalmente e per egual porzione con dichiarazione che una solamente di Loro si debba maritare in Sua Casa e L’ altra che si maritasse fuori di casa debba conseguire la dote secondo lo stato della Casa.
Come pure dichiarò che la detta Giovanna e Maddalena debbano conseguire scudi cento ciascheduna di Loro sopra l’ Eredità del Suddetto Testatore anche nel caso che detto Michele avesse figlioli o in denari o mediante l’ assegnazione di tanta terra campiva detto Alla Sera, et altra campiva contigua a’ Stima di Leviti; e come più diffusamente da Rogito di me Gio. Ferrarini Notaio pubblico…”

Un lascito di un parroco alla Chiesa di Agnino

Non è datato, ma dalla qualità della carta e dal tipo di scrittura è della fine del secolo XVIII, poi vista la firma testamentaria si può sicuramente datare al 1775.
C’ è da stupirsi a paragonare quello che lascia questo povero prete di campagna, poco acculturato, rispetto a tutto quello che abbiamo oggi in questa società consumistica.

“ Nota di quello che intende lasciare D. Bartolomeo Ambrosini Rettore d’ Agnino dopo la Sua morte, alla Chiesa di detto luogo:

1° in cantina avendo ricevuto due tine, tre botti et un botticino il tutto disfatto, egli aggiunge una botte et un botticino, ed una tina, che è quella dal vino bianco, e rinovate.
2° nel cantinino siccome ricevè un botticino che messo per palancato all’ orto, egli ne lascia due, uno con li cerchi di legno, e l’ altro con due cerchi di ferro e l’ armadio per tenere i fiaschi, co’ sua chiave.
3° nella cucina lascia una credenza di noce, un tavolino, che ( seguono due parole illeggibili), e la panara da fare il pane. Lascia quei due capifuochi che ora vi sono, et una catena da camino, un lavaggio rappezzato, un paiolo, una padella da friggere, una teglia, e la cassa della farina da pane esistente pure in detta cucina.
4° in sala lascia due tavolini che formano una tavola rotonda, fatti di tavole di cerro.
5° in camera il sopracielo co’ le panche dal letto.
6° nella scuola dopo avere rifatto uno scrigno che era di piopo aggiunge anche un’ altro scrigno di pino di due roggi.
7° al pozzo nell’aia lascia la pizzaiola con la catena di ferro.
8° in Chiesa la catedra coll’ inginocchiatoio da officiare, il t…. (?) faciale per l’ esposizione.
9° in Sacrestia il banco dapparati, una pianeta da morto di damasco co’ la finitura d’ argento bianca, un camice solenne co’ li pizzi alti, una cotta co’ li pizzi compagni, un messale da messa, il virtuale officiale.
Al Coaditore poi Sig. Vacchi lascia il laveggio grande di quarantadue libbre, coll’obbligo di celebrare, o far celebrare per l’ anima sua messe cento sessat’otto nel tempo e termine di due anni.”







Festività Religiose


Oltre le comuni festività, AGNINO celebra con processione le festività di S. MICHELE ARCANGELO il 29 Settembre e San GENESIO il 25 agosto con lunga processione fino alla frazione del Castello. “La processione si fa mandando avanti due confratelli con i lanternoni e il crocefisso, poi li uomini senza cappe, dietro a questi le cappe e poi il clero e indietro le donne”
( Da una relazione della metà del settecento, riportata dal Prof. Giulivo Ricci in Cronaca e Storia di Val di Magra – 1974)
Viene portata, in quel giorno, dai Priori, vestiti con camice bianco e cotta rossa e medaglione sul petto, l’immagine del Santo con in testa alla processione La Croce astile portata da un “incappato”; il tutto sotto l’attenta guida del guardiano della fila, che con il bastone dai pomelli dorati da i tempi per il passo (e non solo quelli!). In quel frangente la Chiesa viene parata a festa, adornando le pareti di stoffe rosse dai bordi dorati, si canta anche in latino e le campane sono suonate a distesa.
A proposito di campane voglio qui riportare una descrizione fatta da Carlo Bruno Brunelli di BAGNONE apparsa sul Corriere Apuano nel 1984:
“Oggi le campane di alcuni paesi sono azionate elettricamente, altre sono state sostituite da dischi incisi con suoni e tonalità estranei alle nostre tradizioni, mentre quelle ancora fatte suonare a distesa sono mosse da persone che spesso non sanno fare altro che tirare la corda, oppure battere confusamente il batacchio. E’ venuta meno, purtroppo irrimediabilmente, la grande tradizione dei campanari di un tempo, di persone molto spesso semplici e bisognose che facevano i campanari di professione, nel senso che si assumevano l’incarico di suonare le campane in ogni occasione comandata, dietro compenso (irrisorio) da parte della parrocchia…. Trattavasi di persone che non tanto erano mosse dal bisogno, quanto dal gusto del suono festoso delle campane e che sapevano trasmettere questo loro buon gusto agli altri; questo era il loro segreto. In occasione della ricorrenza di una festività religiosa in un paese della vallata, solitamente si davano convegno e ognuno con un fiasco di vino, ovviamente del migliore, si ritrovava sul campanile del paese in festa, per dare inizio alla cosiddetta “sbacciocada”. Azionavano contemporaneamente a mezzo di corde ancorate ai piedi e alle mani, 3-4-5 campane e davano inizio a dei concerti che se fossero stati fortunatamente registrati, avrebbero costituito un prezioso patrimonio di tradizioni locali di indubbio valore. Erano degli artisti nel loro genere e tra un bicchiere e l’altro di buon vino, si sfidavano e non smettevano finché tutti i fiaschi non fossero stati prosciugati.”.
Anche noi di Agnino ascoltavamo quelle scampanate e dal “tocco” e dalla melodia del suono riconoscevamo chi stava a suonare sul Campanile. Ora non più, perché le campane sono state elettrificate dalla Ditta Capanni di Castelnuovo Monti ed il suono è diventato meccanico e ripetitivo.
A proposito della festa di San Genesio che ricorre il 25 Agosto voglio riportare un breve articolo apparso sul Corriere Apuano il 6 Settembre 1958; così narrante:
“ Sotto un cielo imbronciato suonano argentine le campane del vecchio campanile affiancato e quasi vinto da altissimi abeti che emergono scuri dal verde dei castagni.
Sulla porta della cara Chiesetta un andivieni di adulti e di bimbi vestiti di gala o con i soliti abiti domenicali; sembra un nido di passeri in attesa. Piove a dirotto. La pattuglia motociclistica d’onore svanisce. Solo arrivano due macchine con il Vescovo che viene oggi in visita. Sotto all’acqua copiosa scoppia la gioia di tutti, mentre a turno un bimbo ed una bimba porgono al Padre della Diocesi con i fiori le parole più belle che il cuore di tutti suggerisce.
Breve ringraziamento di Sua Eccellenza, poi colla imposizione delle mani e la unzione del S. Crisma, il Vescovo ammette diciassette bimbi a far parte della milizia di Dio. Tutti gli occhi intorno nella piccola Chiesa raccolta sono umidi.
Segue la messa cantata, celebrata dal M. R. Mario Barbieri che colla sua ardente parola ha preparato le anime alla Visita Pastorale.
Nel pomeriggio i Vespri solenni, cantati molto bene e dai numerosi Sacerdoti e dai Parrocchiani, conclusi da S. E. con una breve finale esortazione di fedeltà alla Chiesa, amando la loro Chiesetta, il loro giovane attivo Parroco, la vita religiosa.
Dopo aver benedetto un grazioso villino di recente costruzione il Vescovo ripassava sotto gli archi di trionfo e le bandierine congedandosi quindi dalla popolazione.”







Rito religioso solenne avviene in tempo di Pasqua allorquando le donne preparano il "Sepolcro" del giovedì santo: adornando il CRISTO morto al centro della chiesa con paramento a lutto e circondandolo di vasi di granaglie cresciute al buio.

Altro rito religioso importante sono le rogazioni (o preghiere di supplica):

Verso la festa dell’Ascensione, comunque in primavera, si faceva una processione attraverso terre coltivate, boschi e prati. Si andava fino alla Cappella Corsini in località “Al Vignalo” subito dopo la frazione di Piazza.
In testa il parroco, poi i confratelli del SS sacramento, gli incappati e poi tutti gli altri. Si pregava, si cantava e alla fine il Prete alzava la Croce rivolgendosi ai diversi punti cardinali intonava:
A fulgure, et tempestate,
A peste, fame, et bello,
A flagello terrae motus,
ed il Popolo fedele rispondeva “ liberas nos Domine”
(Liberaci o Signore, dalle saette, dalle tempeste, dalla peste, dalla fame, dalla guerra e dal flagello dei Terremoti !)
Le rogazioni erano una forma di educazione ad un rapporto migliore fra terra e cielo, fra spirito e corpo, fra paese e campagna; un invito a Dio e alla natura a propiziare un buon raccolto.
Erano riti cristiani nati sulla scia di antichi riti pagani duri a morire.
Cosi come pur adorando Dio, il cristianesimo non aveva del tutto cancellato quelle antiche usanze di culto verso le immagini di pietra rappresentate da faccioni sulle case o sui portali di cui all’esempio qui sotto fotografato nella frazione di VILLA.






Superstizioni


Nel libro di Carlo Gabrielli Rosi “Leggende e luoghi della paura tra Liguria e Toscana – Massa Carrara e provincia” si parla di Agnino. Precisamente ci racconta che
“Il noto pittore Anselmo Gabrielli, residente a Licciana Nardi (Pittore ora scomparso ma che tante immagini d’ Agnino ha immortalato nei suoi quadri ad olio!) ci ha narrato che, quando molti anni fa abitava ad Agnino, un giorno, alle due del pomeriggio, mentre stava dipingendo, nella sua cucina accadde un fatto veramente magico. All’improvviso sentì un colpo nel pavimento sotto i suoi piedi e, mentre cercava di capire ciò che stava succedendo, vide l’acqua della catinella di rame nell’acquaio che schizzava come se due mani vi battessero. Nella notte poi accadeva che lui e la moglie venissero svegliati dai rumori dei ferri del caminetto e la mattina dopo li trovavano tutti sparpagliati per la stanza, come se qualcuno li avesse usati per attizzare il fuoco. Appena gli fu possibile il Gabrielli cambiò casa. Nella stessa casa andò successivamente a dormire un uomo di Parma che faceva il sellaio. Anche a lui accaddero fatti insoliti. Una notte, mentre era a letto, sentì scivolare la coperta, la sistemò di nuovo, ma il fatto si ripeté altre due volte con sempre maggiore forza. Il sellaio provò uno spento tale che fuggì di casa così come si trovava e quelli che lo incontrarono in piazza lo videro giungere scalzo e di corsa mentre sorreggeva i pantaloni con le mani. Da quel giorno il sellaio lasciò Agnino e ritornò a Parma.Il nuovo ospite di quella casa, conosciuto dal pittore Gabrielli, è stato un docente di educazione fisica che insegnava ad Aulla. Egli preavvisato della presenza di esseri scherzosi nella casa, imparò a convivere ed a familiarizzare con loro. Infatti, al mattino, quando sentiva sbattere le mani sul catino dell’acqua, egli diceva: “sbrigatevi, o frequenterò tardi a scuola!”.Quei rumori allora si interrompevano e lui poteva lavarsi tranquillamente.”
Questa non è che uno dei tanti racconti simili che, purtroppo mi hanno accompagnato nella mia infanzia, inculcandomi una tale paura che ora questi ricordi li ho rimossi tutti e quindi si sono persi. Ma quante volte a “ veio” ho sentito raccontare, a volte giurare di avere visto spiriti, girandole di fuoco, rivisitazioni di persone defunte, Madonne che si spostavano, (nel "Prelo" ballavano le streghe) di persone malocchiate, di relative fatture e di posti dove “a se gharved!”





Il Baffardello

Quante volte mi sono stupito nel vedere quei gnomi di gesso dipinto che, messi nei giardini di tante case di Lunigiana , ci mostrano la semplicità della gente ed il bisogno ancestrale di avere dei portafortuna. La loro vista mi fa ritornare alla memoria i racconti della mia infanzia contadina quando si credeva o si voleva credere all’ esistenza di un folletto locale detto Baffardello.
Ed allora ecco che il Baffardello è uno spiritello malizioso, dispettoso e a volte un poco maligno che vive vicino alle case ed alle stalle. Nella notte penetra nelle case e nelle stalle e si diverte ad intrecciare le code dei cavalli o delle vacche. Oppure, ogni notte, beve il latte delle stesse vacche e toglie il fieno ad una bestia per darlo ad un’altra fino a farla deperire. Nelle case sposta e nasconde gli oggetti ed ingarbuglia la lana da tessere. In camera tira le coperte, fa il solletico ai dormienti, fa dispetti ai giovani sposi disturbando la loro intimità. Alle belle ragazze, quando dormono, intreccia così tanto i loro capelli che è quasi impossibile scioglierli. Alle vecchie che dormono siede sul petto rendendo difficoltoso il respiro. Nel campo poi sposta le foglie accumulate quasi ci fosse un vortice.

I rimedi per liberarsi del Baffardello sono due: appendere alla porta di casa un rametto di ginepro con molte bacche o disseminare la camera da letto di scodelle piene di farro o fagioli. Il Baffardello per una strana malia sarà costretto a contare le foglioline di ginepro o i chicchi che inevitabilmente avrà versato sul pavimento, ma scapperà subito via indispettito perché non sa contare. Nei casi disperati si dovrà mangiare una fetta di polenta e formaggio seduti in bagno facendo i propri bisogni, Il Baffardello schifato fuggirà e non si farà più vedere.
Figuratamente viene rappresentato piccolo, peloso, vestito di rosso con la faccia a volte di bambino a volte di vecchio barbuto.
Purtroppo con l’ avvento della televisione, questo personaggio fantastico, questo folletto frutto della fantasia del mondo contadino, questa eredità di popolazioni nordiche sono scomparsi così come si sono dileguate le streghe ed i fantasmi per lasciare il posto solo agli UFO (Vedasi il caso di Sassalbo!).





Il paese di Agnino in un racconto boccaccesco

Tolgo subito al mio lettore l'eventuale curiosità, anticipando che non si tratta di un racconto riguardante vere vicende licenziose, ma mi limito a riportare quanto pubblicato dal Prof. Augusto C. Ambrosi in Cronaca e storia di Val Di Magra- anno VI – 1977 sotto il titolo “ Su alcuni inediti dell'abate Emanuele Gerini di Fivizzano”.
Dopo aver ricordato che il grande storico Giovanni Sforza riteneva l'abate Emanuele Gerini uno dei maggiori studiosi lunigianesi di Dante e che lo stesso Gerini era stato un studioso di genealogia specialmente sui Malaspina, che aveva pubblicato un “Codex Documentorum illustrium ad historicam veritatem Lunexanae provinciae” in cui sono elencati ben 330 documenti storici antichi.(Opera manoscritta in archivio di Stato di Firenze) passa ed elencare altre opere dell'abate Gerini nato a Fivizzano nel 1777 ed ivi deceduto nel 1835. Nell'elencare notizie storiche e geografiche il Gerini viene a parlare del paese di Agnino. Ricopio integralmente quanto riportato dall'Ambrosi:

“ Notizie cavate da un libro di casa Cavalcani. Vi sono tante piccole note, come una cronaca preceduta dalla data. Esempio: 1677 a di 15 settembre:sono stati condotti qui in Fivizzano due pezzi di cannoni da 8, cavati dalla fortezza di Lusuolo che si disarma.........
.........Nel comunale di Mulazzo e di Montecorto si trova la pietra da sarto.
Non si ha notizie, che vi siano altre miniere, che quella di rame sopra l'Eremo di San Giorgio nel monte di Pizzo D'Uccello, dove al tempo di Cosimo terzo Granduca di toscana fu fatta una gran buca, dove fu trovata la miniera del Rame che fattane la prova fu trovato bellissimo, ma con tutto ciò fu tralasciata. Un altra miniera di Rame si trova in quel di Camporaghena e Sassalbo.
Le notizie fin qui date, anche se talvolta dotate di scarsa credibilità, sembrerebbero attinte dal Gerini da vecchie memorie e riportate quasi come testimonianze da non perdersi, segnate fedelmente perché possano far parte di quei documenti che sono utili alla storia. E' quindi assai singolare che, di seguito, con lo stesso carattere e nella stessa forma si leggano alcune pagine che con la storia non hanno nulla a che fare e che vengono ad essere, invece, testimonianze del singolare carattere dell'autore.
Vi è notizia di una memoria del 1398 relativa alla chiesa di Fivizzano, quindi una del 1077 relativa alla Verrucola con la nota che Da Bosone prese la denominazione Verrucola de Bosi.
Nella stessa forma c'è a margine, un altro titolo, Del Castello di Ropiccio e del Cosciatico.
Lo Sforza dice che si tratta di uno scherzo del Gerini ed infatti molti elementi fanno pensare che non si tratti assolutamente della trascrizione di una legenda popolare, che pure poteva esistere, ma proprio di una singolare esercitazione letteraria del nostro abate, fatta sul modello delle novelle del Boccaccio.
Egli racconta che tra Comano e Crespiano vi era un castello dei Malaspina detto Ropiccio, castello che ora non esiste più e del quale appena si nota ancora l'avanzo di qualche muro. Ed aggiunge: Altri castelli che non veggonsi più sono quello di Montechiaro, quello di Agnino, Montevignale, Groppo San Pietro, alla Gretta. Il castello di Ropiccio anticamente chiamavasi
in latino Castrum Auri, che voleva dire d'oro; fu dei Marchesi della Verrucola e distrutto nel 1328 da Castruccio con quello di Groppo San Pietro. Una bella fola si narra intorno al marchese di Ropiccio chiamato Bruno Moro, che aveva per moglie Beatrice e per figlie Antonia detta Bice e Zonia.
Si vuole che questi marchesi e specialmente di Verrucola e di Agnino si usassero del diritto di cosciatico, quando davano la licenza a suoi sudditi di prendere moglie con questa clausola: cioè che la sposa per vari giorni andasse in castello a servire il marchese.
Ed il Gerini finge di possedere una copia delle licenze matrimoniali del Marchese di Ropiccio, Groppo San Pietro e di Montechiaro, trovata in un libro antico. E riporta un documento che sembra avere tutta la credibilità di una fedele trascrizione da un testo reale con le formule di rito, con la data del 1443 ed il nome del notaio che ha rogato l'atto.
In esso si enuncia un <ius primae noctis> che è la contropartita del marchio Brunus alla licenza di matrimonio ad un familiari nostro Comachiello quondam Cornichetto de Ropiccio.
Iniziato il filone boccaccesco, il nostro Gerini continua sulla strada che gli sembra di avere resa particolarmente credibile e documentata dal testo latino. Tuttavia, forse proprio ad imitazione del Decamerone, a fianco ha posto il titolo Novella del Marchese Isnardo e di Cubitosa.
La novella è ambientata nel castello di Ropiccio e si snoda secondo i canoni classici della narrativa del Boccaccio. I protagonisti sono il marchese Bruno Moro, il quale avea per moglie Bice e per figlia Zonia e che fra servi e padroni erano in sette. Questo castello era rotondo e molto buio.
La trama della novella non è molto originale giacché si basa sull'errore del cuoco, il quale alterato un poco dal vino sbaglia camera e sbaglia letto, e si trova a passare la notte con la marchesa. Accortosi poi dell'errore fugge di corsa, lasciando la marchesa colmata oltre il bisogno. La quale alzandosi al mattino trova nella camera tre camicie per due persone. Ed identificato poi il proprietario della terza camicia desidera accertarsi della sua identità ricorrendo ad un allusivo linguaggio che trova subito immediata rispondenza nel colorito frasario del cuoco. Così l'avventura si ripete. Cose del genere era solito compiere anche la figlia che avea già fatto figli senza marito. Ma la novella finisce male. In una assenza della famiglia, il castello di Ropiccio viene dato alle fiamme da certi Genovesi che erano saliti fin lassù per cercare i valori del marchese che avea fama di averne assai. Visto il fuoco, la famiglia si trasferisce al piano e quindi al Castello di Groppo San Pietro vi vanno in traggio o bennone fatto di tralci e tirato dalle vacche. Successivamente il marchese si stabilisce nel Castello di Comano ove muore e la vedova sua venne a Verrucola Bosi col suo cuoco al fianco che facea le fonzioni del fu marchese, finché seguitando così per parecchi mesi finì col morire anche lei per troppo bene.
La novella sembrerebbe finita e conclusa così, ma il Gerini ha voluto completarla con l'aggiunta di un'altra avventura, le spese della quale sono ancora subite dal nostro marchese. Questa volta, per fare bella figura, chiede al farmacista un corroborante, insieme ad un sedativo per la figlia; però i due farmaci vengono scambiati ad al marchese tocca il sedativo mentre la figlia, stimolata dalla medicina, che era diretta al padre, è costretta a chiedere aiuto a tutti i servi del castello.
Subito dopo questa novella, nella stessa forma e nella stessa minuta scrittura lineare e senza correzioni, il Gerini passa a tutt'altro argomento: Strumento di consacrazione e di concessione d'indulgenza che esisteva nell'archivio dei Padri Agostiniani di Fivizzano possessori della chiesa di detto luogo.
La Bolla di Nicolò V, concessa alla Chiesa di S. Giovanni Battista di Fivizzano presso i frati di detta chiesa.
Successivamente sono raccolti fogli di altra mano, credo di Don Groppi, che riportano anche le stesse cose dette dal Gerini, in una ricopiatura meglio leggibile.
...... Il manoscritto ha in tutto 48 carte in folio e di diversi formati ed è raccolto in una rilegatura moderna risalente ai primi di questo secolo.
In complesso, il manoscritto, pur ricco di qualche curiosità, non possiede altro pregio se non quello di essere rivelatore di una particolare forma mentis, del modo di pensare, di vedere le cose, del come certi eruditi del secolo scorso intendessero far storia. Rimane a mio avviso, un documento per capire la personalità di questa singolare figura di lunigianese. Uso a pubblicare prediche e quaresimali, biografie e monografie sui più vari argomenti, trascrivere decine e decine di documenti e che, a tempo perso, sulla falsariga di qualche documento originale, si divertiva anche a ricostruire credibili licenze del cosciatico e ad imitare il Boccaccio ambientando le sue avventure nei castelli lunigianesi.
Non sappiamo se la sua sia stata soltanto una esercitazione letteraria o se abbia sfruttato un'idea suggeritagli da alcuni racconti popolari realmente esistenti in Lunigiana. Non dobbiamo dimenticare che siamo all'indomani di quella grande ventata di rinnovamento portato dalle idee della Rivoluzione Francese e che la figura del marchese, del potente di una volta, era talvolta posta alla berlina ed era oggetto di salaci storielle denigratorie.
Era questa, forse, una forma di reazione popolare agli antichi soprusi, specie di contrappasso delle popolazioni rese ora libere da vincoli feudali. Si deve ricordare, infatti, che negli statuti delle nostre comunità, stesi dopo il passaggio in accomandigia alla Repubblica fiorentina,si sottolinea, si ribadisce e si ripete che, d'ora in poi, le popolazioni saranno libere da ogni gravame, o tributo nei riguardi dei Malaspina, che non dovranno corrispondergli proprio più nulla, né in denaro, né in opere, né in prodotti.
A questo proposito si dovrà ancora ricordare che la famosa strage della Verrucola, perpetrata, come è noto, da un atto criminoso dei marchesi del Castello dell'Aquila di Gragnola, è passata nella leggenda popolare come un avvenimento proprio di ogni singolo castello lunigianese. Il fatto storico è stato assunto nella fantasia popolare, o soltanto nel sentimento delle masse, come insurrezione popolare che ha fatto giustizia degli antichi tiranni.
In questo spirito le disavventure coniugali ed extraconiugali del marchese Bruno Moro appaiono come argute ed innocenti rivincite delle popolazioni che si erano liberate dei vecchi sistemi politici.
E' probabile quindi che il Gerini abbia dato forma letteraria alla leggenda o a parte di essa, inquadrandola in uno schema oramai classico e riprendendo insieme all'ambiente anche il periodare e le stesse forme verbali del Boccaccio.....
Augusto C. AMBROSI”














NASCITA DEL CIMITERO DI AGNINO


A motivo della crescita della popolazione, all'affermarsi di principi illuministici e soprattutto motivi igienico-sanitari spinsero nel secolo XVIII le comunità a rivedere i luoghi di sepoltura. Fu proprio il Granduca Pietro Leopoldo I di Lorena (vedasi capitolo a lui dedicato e sua visita in Lunigiana nella presente pubblicazione) che emanò il 9 luglio 1783 una legge che vietava la sepoltura all'interno dei luoghi abitati, conseguentemente le varie Comunità dovettero costruire i cimiteri fuori dei paesi.
Successivamente la legge leopoldina fu attenuata da un Motuproprio del Granduca Ferdinando II che in data 12 aprile 1793 autorizzò le sepolture nelle Cappelle Gentilizie purché ubicate fuori città. Dopo la restaurazione seguita alla fine dell'Impero Napoleonico il Granduca di Toscana consentì, nel 1819, di effettuare sepolture nei conventi e nei vestiboli delle chiese. Poi con l'avvento del Regno d'Italia vennero introdotte nuove norme che, salvo rare eccezioni, eliminarono ogni possibilità di tumulare fuori dei cimiteri.
Ecco quindi che in base alla legge del 1783 anche nel Fivizzanese si ottemperava di conseguenza con la costruzione di nuovi siti cimiteriali. Incaricato era il soprintendente Gio. Franco Tomei, delegato per il territorio di Fivizzano all'impianto dei Campi Santi che, venuto ad Agnino alla data del 21 Marzo 1785, scriveva:

“Trasferitomi in campagna in Agnino, Popolo di S. Michele ed ivi giunto con il mio Molto reverendo sig. D. Matteo Signanini attuale economo in assenza del Parroco, attesa la vacanza di detta parrocchiale; portatomi in essa ho ritrovato esservi n. 8 sepolture che, una detta dei preti in buon stato, ed incapace di perniciose esalazioni, onde questa ho destinata lasciarsi anche dopo la costruzione del campo Santo a sterro per tutti li casi ed intanto ho ordinato non più inumarsi i cadaveri in essa.
L'altra di casa Novelli, e quella di Casa Cimoli, averle ritrovate in cattivo stato, e capaci di esalazioni, ho ordinato non più inumarsi cadaveri in esse, ma ambedue riempirsi e serarsi con comprimersi per bene la terra e levarsi ogni segno di lapide alla forma. Le altre cinque le ho lasciate per inumarsi provisionalmente in esse, e fino alla costruzione del detto Campo Santo a sterro con le opportune precauzioni, senza alcuna distinzione delle due fra dette 5 appartemi gentilizie.
In secondo luogo mi sono portato a refertare l'antico cimitero,che resta in parte d'avanti la porta di detta Parrocchiale, che serve di piazzale, e ingresso a quella e in parte a tramontana sempre contiguo a detta Chiesa in faccia e vicino all'abitato, e contiguo alla canonica, e abitazione del Paroco, di picola estensione, e mancante in sostanza di tutti li requisiti, onde non ho potuto né lasciarlo né estenderlo, ma fissarne uno nuovo.
In terzo luogo interrogato detto Sig. Economo dello stato, e numero delle anime di detta Parocchia composta di più Ville, mi asserisce ascendere a N. 500 circa.
In quarto luogo visitato il libro dei morti, e formato il Decennio, ritrovai ascendere a n. 89, e così sopra otto morti annui.
In quinto luogo domandato a detto Sig. Economo se vi fosse qualche luogo, ossia Orto di Compagnia atto alla detta formazione di detto Campo Santo a sterro, mi risponde non esservi. Onde in compagnia del medesimo ed altri sacerdoti e persone del Popolo mi portai in una terra campiva, e cerriata luogo detto “ Nel Ronchetto” offertami di proprietà di detta Cura, e Parocchia, resta questa situata in un luogo eminente assi ventillato, e che la ventillazione non porta all'abitato, che non lo scuopre, e fatto l'esperimento ritrovo, che il Nord porta nelle terre selvate dette La Selva di Canetto, il Sud porta nelle Prate di Agnino, l'Est verso li Campi e Olivi dell'Escaro, l'Ovest verso la Boscaglia di Agnino luogo detto La Toresella (Troscella), resta in qualche distanza dall'abitato, e fra il Castello, e la Chiesa, in mezzo alle Ville di Agnino confinante alla Strada Pubblica, che conduce alla stanza mortuaria, a tutte rispettive Ville, alle quali resta superiore; fatto il saggio del terreno, lo ritrovo asciutto, assai leggero, lontano dalla qualità cretosa, e circa la profondità mediamente profondo da ridursi però nell'atto della costruzione, scavarsi in un angolo alcuni sassi, che servono per uso nel tempo stesso per fabbricarlo con gettarsi a terra un solo piede di cero, in detto angolo; onde mi sono determinato a fissarlo in detto luogo, e punto per il migliore, ed avuto in considerazione lo stato delle Anime, il numero dei morti annui con quant'altro l'ho fissato di Estensione di Braccia 34 per ogni parte Fiorentine, che mi da un quadrato perfetto di Braccia 1140 circa, compresi il muro e viale, mi da di sterrato Braccia 960 , salvo r. e così per 16 morti annui, resta detta estensione confinata a mezzo giorno da detta strada pubblica, e dalle altre parti dal restante di detta Terra, secondo i termini apposti, ed ho avvertito, che nell'atto di detta costruzione per le dette parti di Tramontana, e Levante farsi fuori del muro una piccola fossa per lo scolo delle acque, il muro per dette parti farsi su la strada ad archi per risparmio sulle grote, che vi sono, e per detta parte attesa l' altezza serve, che sia sopra lo sterrato intorno un braccio, con farsi nel muro, verso detta strada alcune piccole feritoie, e buchi per lo scolo dell'acqua piovana, e per sempre rendersi più asciutto il suolo, ed hò ordinato a farsi l'ingresso e Portone per la parte di Levante, ò traverso la Parrocchiale, avendo considerato a detto effetto nell'occupamento suddetto un poco di Piazzale per comodo all'accesso, et ingresso, e come dall'annessa Pianta.
In detto luogo ordinai al sig. Marco Rappi Venturelli nostro Perito, che assieme con il Sig. Gio Antonio Novelli perito eletto da detto Sig. Economo stimassero detto sodo occupato e mi riferiscono ascendere il suo giusto, e vero valore a Scudi 15 moneta di Fivizzano, che sono di Genova 45, e come dalla relazione annessa, che è quanto salvo r.

(segue la firma dell'economo Matteo Signanini)


allegare foto piantina data 11/09/07

Pochi giorni prima, in data 13 maggio 1785, il medesimo Soprintendente inviava a Firenze all'Auditore Martini Capo della Deputazione sopra il Provvedimento delle Croci, una lettera e una richiesta di chiarimento del seguente tenore:
“... Quei Parochi dove fin qui sono stato e che hanno la rendita superiore di Piastre, o sieno Scudi Fiorentini Cento, non hanno avuto difficoltà d'addossarsi l'onere per la costruzione suddetta, e acquisto del suolo, per quelli poi, che non non arrivano all'annua rendita di scudi Cinquanta detti, non dubito, che s'aspetti tal spesa alla Comunità, per quelle Chiese poi che hanno una rendita superiore alli Scudi Cinquanta, che sono le appresso cioè Momio che ha in portata Scudi 70, Pieve di Vendagio Scudi 100, Pognana Scudi 70, Arlia Scudi 64, Cotto scudi 60, Comano Scudi 70, Crespiano Scudi 90, Agnino Scudi 62, Pieve di Offianio Scudi 58, a me pare che debbino tutte queste soccombere a detta spesa, mentre ritrovo in questo Tribunale una lettera della Giurisdizione dell'ottobre 1763 in cui S.A.R. Nostro Signore ordinava aumentarsi la congrua ad alcune Parrocchie in Piastre Cinquanta da levarsi l'Assegnamento del Soppresso Convento de Servi di Maria di Posara, cosicchè in questa provincia di Lunigiana, parrebbe che la Congrua fosse stabilita in Scudi 50, onde come accenna tutti quei Parochi, che hanno una rendita superiore non possino ricusare di fare a proprie spese detti Campi Santi a sterro.”
e continuava ancora
“ trattandosi di una Comunità composta di tante Parochie, et avendo la medesima pochi assegnamenti, non è possibile l'istantanea costruzione di tutti quei Campi Santi che sono necessari.
Si compiacerà pertanto Vostra S. Illustrissima di darmi l'opportuno schiarimento, e le di Lei saggie determinazioni, onde mi farò un pregio di puntualmente eseguirle, e con tutto il possibile Ossequio mi confermo di V. S. Illustrissima, Devotissimo e Obbl..mo Servitore Gio. Franco Tomei.. “






Storia del Camposanto di “Arae Foscolae”
detto oggi Campomorto



La storia ci ha tramandato che nel secolo XIV fu registrata in Europa una delle peggiori epidemie di peste con milioni di morti, a cavallo appunto del 1347 e 1350.
Il morbo forse proveniente dalla Cina si diffuse in tutta Europa attraverso i porti della Sicilia, Genova, Pisa e arrivò probabilmente anche ad AGNINO, che già esisteva, visto che il “ popolo” aveva pagato le decime bonifaciane già nel 1289.
Altro anno di peste fu il 1464. Anni di pestilenze devastanti in Lunigiana furono quelle del 1527, 1575, 1577 che infierì su Milano, 1591, 1622 ed ancora il 1665e il 1720. Altra epidemia ma di vaiolo si ebbe nel 1700.
Di certo in tutti i secoli si diffusero epidemie di peste, colera, tifo, vaiolo che abbassavano notevolmente la vita media, già molto bassa per l’alta mortalità infantile e per le frequenti malattie infettive tipo petecchie, orecchioni, varicella, morbillo scarlattina che in caso di complicazioni portavano alla morte.
Senza contare poi le frequenti carestie dovute a motivi climatici che decimavano il raccolto locale

Ricavo dal libro di Pietro Tedeschi “Fivizzano nella Storia”:
“Nei primi mesi del 1817 la scarsità del grano e degli altri prodotti della terra, con i prezzi giunti a livelli inaccessibili alla maggioranza della popolazione, rendeva più dura l’ esistenza dei meno abbienti.” L' Adami Tenderini di Fivizzano annotava: “Non abbiamo memoria di penuria simile in ogni genere. Muore la gente continuamente di stento, e ne muoiono molti; la malattia di miseria ha prodotto una specie di epidemia. Bisogna premettere che i signori del paese si erano tassati per poter dare ai poveri le minestre economiche, consistenti in farina di formentone ridotta in farinata, impastata col brodo di carne di vacca ben pesta, dandone una piccola scodella per ciascheduno. Sparsasi la voce di questa carità, sono accorsi da tutte le parti per profittarne, non essendo più vergogna l’accattare, ridotti i contadini in particolare all’ ultima miseria, che muoiono le famiglie intiere. Ridotta in paese la gente più rovinata ed ammalata di stento, si è formata come un’epidemia, che attacca tutti. Si sente però che la cosa è generale, essendo lo stesso a Sarzana ed a Pontremoli.”

Ricavo altresì da una nota del Priore Don Andrea Giambuti dal registro dei “Morti dal 1875” del locale archivio parrocchiale:
“In quest’ anno 1884 si è sviluppato nei bambini e giovanetti come si vede dalle registrate frequenti morti una malattia complicata di febbre scarlattina e difterite la quale si risolse in petecchie e ne estingue molti”

Ricordiamo che mentre oggi la vita media che è intorno ai 77 anni nel 1950 era di 69 anni, nel 1901 di 48, nel 1861 di 33 e nel 1779 di soli 32 anni.
E’ quindi per combattere il terrore della malattia e della morte che si ricorse all’aiuto dei Santi specialmente San Sebastiano e San Rocco (protettori delle pestilenze) ed alla erezione di tante maestà nella campagna circostante. In quei periodi di ignoranza della scienza medica il popolo incolpava delle malattie il DIAVOLO e le STREGHE.
Si raccontava, infatti, di balli di streghe che avvenivano sotto la VILLA in località “Prelo”, oppure si diceva di vecchie del paese che facevano “fattura” e c’era chi con giaculatorie e riti vari le toglieva.

E’ appunto durante una di queste epidemie, tramandata dai vecchi, che la popolazione di Agnino trasporta i cadaveri lontano dal paese e li seppellisce- non nel cimitero accanto alla chiesa, ma in una conca umida, poco adatta alle coltivazioni, in un posto ancora oggi detto “Campomorto”, (toponimo riportato anche sulle carte ufficiali del Catasto Terreni ) situato lungo la strada che conduce a MONTECORTO nei pressi dei campi detti “ Cavana” e “Arafoscola”.
Conosciuta la storia della pestilenza in paese, restavano però insolute due domande: di che epidemia si era trattato? In che epoca avvenne?
Domande restate inevase per decenni! Perché i fatti del passato, se nessun li fissa con uno scritto, vengono facilmente dimenticati e perduti per sempre.
Orbene, nella primavera del 2006 mentre consultavo le sparse carte dell’archivio parrocchiale di Agnino (per gentile concessione della fabbriceria) ho trovato allegato all’ultima pagina del “Registro dei morti dal 1753 al 1875” una dichiarazione di proprio pugno firmata da Luciano Bongi di Bigliolo datata luglio 1857.
La riporto integralmente:
“ Adi 5 Luglio 1857
In Bigliolo,
Dichiaro io sottoscritto di mano propria di avere ricevuto dal Priore di Agnino Luca Bongi scudi di Fivizzano numerto cinque, dico 5, i quali pagò a me dalla sua popolazione per il terreno detto ARA FOSCOLA, in cui nell’anno 1855 furono seppelliti i cadaveri dei morti di colera, il quale terreno fu peritato scudi dieci, dico 10, essendo stati condonati da me infrascritto gli altri scudi cinque.In fede di che mi sottoscrivo di mano propria alla presenza di … Giovanni Spediacci. Firmato Luciano Bongi.”

Segue una nota a matita del parroco dell’epoca che ci spiega ancora che il terreno fu recintato a spese del comune di Fivizzano e che il terreno o camposanto fu benedetto.

E così ho potuto mettere, finalmente, un punto fermo a questa leggenda di “Campomorto” riuscendo a definirla e datarla nel tempo. Vista poi la datazione certa dell’evento ho, a tale scopo, consultato il registro dei morti del 1855, ove ho appurato che:
Il 23 Agosto 1855
Batista filius di Josephi Maralia, aetatis annorum 52… sepultus est Camposanto Arae Foscolae.

24 Agosto
Agnes filia Natalio Ambrosini et Asti Clarae et uxor Felicis Paolini de Villa aetatis annorum 48, sacramentis paenitenzie minita, sepultum est Camposanto Arae Foscolae


24 agosto
Joseph filius Michelis Tonelli et Angela Lorenzini de Castro (Castello di Agnino) aetatis annorum 32, sacramentis munitus…secaf…
.(d’ora in avanti ripeterò la sigla “secaf” che sta per: sepultus est Camposanto Arae Foscolae).

25 agosto
Catharina filia di Jonny Bambini de Canneto, aetatis annorum 78 …. secaf

26 agosto
Aloysinu fili Asti Clememtis e Babbini Lucia de Villa aetatis annorum 44…secaf

27 agosto
Paolus filius de Stefani Lorenzini de Villa, aetatis annorum 66 per « morbo cholera anime Deo reddidit” …. Secaf.
E’ la prima volta che il parroco parla di “Colera”!


27 agosto
Paulus filius Felicis Paolini et Agnetis Ambrosiani de Villa, aetatis annorum 23 « addormivit a morbo cholera »….. secaf

28 agosto
Bartolomeus filius Dominici Bartholomei e Magdalena Rossi de Villa aetatis annorum 49, …secaf

28 agosto
Aloysia filia di Battista Jacopelli e Franciscae Lorenzini de Castro, nubilis, aetatis annorum 59…secaf

28 agosto
Battista filius Paolini Paschalis e Aloysia Bertoli de Villa, aetatis annorum 42……secaf

28 agosto
Gesualda filia Joanni Antonimi Penelli et Vannucci Margherita de Villa aetatis annorum 61 “beneficione Pontificia donata”….. secaf

30 agosto
Raphael ex genitoribus incognitis in Cola Castri Agnini, aetatis annorum 52, omnibus sacramentis munitis….. secaf

1 settembre
Virginia filia di Jacopetti Baptista e Francisca Lorenzini de Castro, aetatis annorum 61….secaf.

1 settembre
Thomas filius Joannis Antonio Tonelli e Penelli Gesualda de Villa, nubilis, aetatis annorum 24….secaf
Francisca (?) figlia di Bonfigli Sanctis et Palmieri de Villa, aetatis annorum 10 “munita sacramenta Paenitentiae et extremi Unctionis”…… secaf

2 settembre
Philomena filia di Paschalis Pigoni e Mariae Rossi de Villa aetatis annorum 19 “morbo colera corregeta”…. Secaf

2 settembre
Silvius filius Domenica Lazzini e Columbae Maraglia de Villa aetatis annorum 18… secaf

2 settembre
Elisabetta filia Stephani Lorenzini e Magdalena Bonfigli de Villa aetatis annoprum 70…. Secaf

3 settembre
Clemens filius Aloysie Asti e Mariae Battaglia de Villa aetatis annorum 4 e mensium 10…secaf

4 settembre
Catherina filia Josephi Bernabei e Santinae Conti della Maestà de Agnini, aetatis annorum 57…secaf
4 settembre
Battista filius Bertani Sanctis e Mariae Bertoli de Villa aetatis annorum 42….secaf

4 settembre
Hemiliana filia Antonimi Michelis Colombani e Clementina Rossi de’ Maestà, aetatis mensium 4..secaf

6 settembre
Domenicus filius Francisco Asti e Franciscae Corsini de Villa, aetatis annorum 63…secaf

6 settembre
Zita filia Aloysii Corsini et Agathae Uberti, aetatis annorum 2 e mensium 1…. secaf

6 settembre
Albina filia Paschalis Novelli et Mariae Tonelli de Serra, aetatis annorum 1 e mensium 9…secaf

7 settembre
Dominicus filius Petri Palmieri et Angela Chiappino de Castro, aetatis annorum 42 “ morbo colera correptus… anima Deo Reddidit in oratorio dicto alla Maestà”
E’ la prima annotazione dell’ uso quale lazzaretto dell’ oratorio “Alla Maestà.

8 settembre 1855
Sigisbertus filius Francisco Asti e Corsini Franciscae de Villa, “aetatis annorum 57 …in comunione S. M. Ecclasie animam Deo Reddidit in oratorio dicto alla Maestà de Agnino, Corpus humatum fuit in Camposanto Arae Foscolae”.

8 settembre
Joseph filius Dominaci e Michaelis Paolini et Theresiae Corsini de Villa, aetatis annorum 2 e mensium 4… secaf

9 settembre
Michaele filius Baptista Jacopelli e Franciscae Lorenzini, aetatis annorum 73… animam reddidit Platea (Piazza) in domo sua… secaf

10 settembre
Antonius filius Andrea Corsini et Maria Castiglioni de Platea aetatis annorum 28….in domo sua… secaf

10 settembre
Aloysius Filius Andrea Corsini et Mariae Castiglioni de Platea Agnini, aetatis annorum 32…in domo sua… secaf

10 settembre
Catherina filia coniugem Aloysii Bertoli et Teresiae Giambatta de Villa, aetatis annorum 5… in domo sua…corpo sepultum fuit in Camposanto Arae Foscolae

10 settembre
Jesualda filia Petri Bonfigli et Rosae Tognolli de Villa, aetatis annorum 20, “omnibus sacramentis munita, Benedizione Pontificia Donata, Deo Reddidit nel LAZZARETTO dicto alla Maestà de Agnino et jusque corpus sepultum fuit in Camposanto Arae Foscolae.
12 settembre
Antonius filius Dominici Lorenzini et Mariae Novelli coniugem de Villa, aetatis annorum 1, mensium 7.... secaf

12 settembre
Maria filia F. Tonelli e Lazzini Catherinae et uxor Michaelis Jacopelli de Platea aetatis annorum 65, mensium 1 e diem 24, amnibus Sacramentis munita, Benedictionem Pontificia donata, hore 9 vespertina in Comunione S.M. Ecclesiae anima Deo reddidit nel Lazzaretto detto alla Maestà di Agnino, eiusque corpus sepultus fuit in Camposanto Arae Foscolae.

13 settembre
Paula filia Rossi Joannis et Petronillae Cristoni de Quarazzana, uxor Joseph Sigisberti Asti de Villa aetatis annorum 29, mensium 7 diem 17 reddidit in Oratorio dicto Majestatis de Agnino.

13 settembre
Paschalis filius Petri Novelli et Furia Annae Mariae in cola Serrae aetatis annorum 34, mensium 9 omnibus sacramentis monitus, Benedictione Pontificia donatus, morbo cholera correptus, hore 11 matutino in comunione S.M. Ecclesiae anima Deo reddidit in Oratorio dicto Majestatis Agnini, ejusque corpus sepultum fuit in Camposanto Arae Foscolae in hoc Paroccia sito.

15 settembre 1855
Dorothea filia Aloysii Tonelli et Mariae et Domenicae Bambini, uxor Joanni Bologna de castro, aetatis annorum 46…morbo colera correpta anima Deo Reddidit nel lazzaretto detto Majestatis Agnini, ac eius corpus sepulto fuit in Camposanto Arae Foscolae.

Poi subito dopo questa annotazione del parroco Bongi:
“ in quorum fidem L. Bongi Prior MORBUS ASIATICUS, GRAZIA DEI, RESTAVIT”.

Grazie a Dio con il 15 settembre il Morbo Asiatico si ferma!

Segue poi nel libro dei morti l’ annotazione della morte successiva, avvenuta solo il 26 gennaio 1856 dove “ Muore Laura filia di Sanctis Cimoli e Theresa Battaglini de Montecurto, aetatis annorum 41 “ corpus, die seguenti, sepultum fuit in CAMPOSANTO AGNINI.”

Quindi il 15 settembre 1855 avviene l’ ultima morte per quel colera che, in un mese, aveva sconvolto la piccola comunità di Agnino così come avvenne in altri paesi della Lunigiana e d’ Italia.
L'epidemia di colera , la terza dopo quella del 1835 e 1949 , proveniente da Genova aveva infierito su tutta la penisola italiana favorita da condizioni di vita insalubri e scarsa alimentazione.
Ad Agnino il flagello aveva lasciato, solo in un mese, una scia di 39 morti, senza contare gli ammalati.
E' molto probabile che il colera che aveva colpito Agnino nel 1855 fosse una recrudescenza del “Cholera asiatico” che aveva colpito Massa Carrara e la Lunigiana nel 1854 di cui allo studio omonimo del Maurizio Barattini. che ci ha evidenziato come avesse avuto in Avenza il suo epicentro e poi minore virulenza a Massa , a Carrara e nella Lunigiana. Riporta lo studio del Barattini che il morbo si era manifestato nel 1852 a San Pietroburgo, nel 1853 a Breslavia e a fine anno 1853 a Parigi. Nel giugno del 1854 calò nel mezzogiorno della Francia e sembra che sia giunto a Genova con il vapore “La Ville de Marseille”. Dal porto di Genova alla Marina di Avenza il passo è breve. Il primo ad ammalarsi fu un marinaio sbarcato ad Avenza e morto poi a Viareggio; nonostante le severe leggi Estensi atte a limitare il contagio “Non sarà lasciato introdurre negli Stati Estensi persona proveniente da luoghi infetti, se non fornite da fede di Sanità, la quale provi che la persona proviene da luogo sano, e che ha già dimorato otto giorni ove non siasi riscontrato alcun caso di colera da quindici almeno.” assieme all'istituzione di posti militari a Fossone, Giucano, alle Lame che controllavano gli accessi, ad agosto di quell'anno il morbo dilaga ad Avenza. “ Il Dottor Tenderini scrive che le cause dell'elevato numero di decessi (227 su 3348 abitanti, pari al 6,78%) sono da attribuirsi alle seguenti cause:
1) Insufficienza delle case per alloggiare tanti abitanti, i quali sono obbligati a dormire ammassati in camere anguste, mal ventilate e scarse di luce solare.
2) Ad elevare il danno di tanto ingombramento deve avere contribuito i gran numero di buoi, (circa 250 adibiti alla tira dei marmi) di cavalli e di altri animali domestici tenuti in stalle mal custodite, sopra le quali dormono gli abitanti esposti alle emanazioni di tali fomiti insalubri.
3) Il corso difettoso delle acque pluviali per le strade e la mancanza di chiaviche sotterranee per cui gli spurghi delle case si effettuavano non per canali coperti ma per le vie più frequentate.
4) La poca o nessuna vigilanza nel ripulire l'interno delle abitazioni, le strade pubbliche,le stalle, che sono ridotte a deposito di concime e di ogni altra sorta di immondizie in fermentazione.
E continua “Quando il volgo non arriva a comprendere le ragioni di una sventura che lo colpisce, si abbandona alle più bizzarre congetture, inventa le ipotesi più strane e sospetta di essere vittima dell'altrui necessità. I fattucchieri, gli avvelenatori, i gittatori di razzi micidiali e corrompitori dell' aria, diventano nelle fantasie malate e sbigottite personali e presenti”. Diremmo noi “dagli all'untore!”
Le misure profilattiche iniziarono il 9 agosto con la proibizione della vendita di cocomeri, ravanelli, cetrioli e funghi; la sospensione delle bagnature; lo sfratto ai vagabondi ed agli accattoni rinviati ai loro paesi di origine, “dato lo scarso nutrimento e la suina nettezza dei loro abiti.”
Anche la posta viene trattata mediante fumigazione con vapori di zolfo ed altro per evitare che il morbo possa viaggiare assieme alle buste, vadasi foto:


( FOTO PROFUMATA A PIETRASANTA)

Le inumazioni avvengono in uno scavato ben profondo riempito con calce viva; trasporto e interramento eseguiti di notte per non allarmare la popolazione.
L' interessamento del governo non mancava, arrivavano aiuti economici e si relazionava giornalmente Modena sull'andamento dell'epidemia. “Era talmente radicata in quegli abitanti la psicosi del veleno, che si credeva propinata dalle Autorità attraverso cibi e bevande, da far loro rifiutare i cibi inviati da Carrara........ La notte si accendevano fuochi all' interno del paese, utilizzando frasche di pino prelevate dalla macchia ducale, al fine di cacciare l'aria malsana, mentre al giorno la popolazione si riversava nella campagna per rientrare in paese solo dopo l' Ave Maria.”
Il 17 agosto fu attivato ad Avenza il lazzaretto ma non doveva essere un modello di efficienza se il primo ricoverato depose le necessità corporali in terra per mancanza di vasi!
Ma mentre ad Avenza il flagello imperversa, a Carrara, Massa e nella Lunigiana i decessi sono contenuti.
Finalmente il 20 settembre 1854 Avenza venne liberata dal cordone militare sanitario, mentre a Fivizzano si verificano dal 10 al 20 ottobre 7 casi con tre morti.
A Carrara il 12 novembre ebbe luogo una solenne manifestazione di ringraziamento alla Madonna del Rosario per la fine del morbo. Forse meno felici erano quegli addetti al locale lazzaretto che forniti “di 1638 libbre di carne, senza far conto dei pollastri, e fiaschi 466 di buon vino e 337 sigari, Rum, saponette,acque odorose” come risulta dal resoconto del ragionier Guerra che concludeva: “in poche parole può concludersi che lo stabilimento di cui sopra mancasse di un'assoluta direzione interna, e che quella gente venale destinata ad un pietoso ufficio, trovasse piuttosto in quel luogo giorni di piacere e momenti ad essa propizi.”
Infine, ecco il prospetto dell'epidemia di colera dell'anno 1854:
Massa : abitanti 11394 colpiti 415 morti 247
Carrara: “ 10193 “ 538 “ 240
Avenza “ 3348 “ 450 “ 227
Fivizzano “ colpiti 62 morti 32
Fosdinovo “ 6 “ 4
Montignoso “ 7 “ 5

Nell'estate successiva, quella del 1855, il “Cholera morbus” riprese vigore nel Fivizzanese e particolarmente ad Agnino.
Gli Agninesi colpiti a morte, per evitare ulteriori contagi, furono sepolti in un nuovo camposanto sito appunto nella località ora detta “Campomorto”, in un terreno piuttosto pianeggiante ma acquitrinoso e pieno di erbacce e rovi, senza che si sia mai tramandato oralmente il ricordo preciso di quegli eventi.

In quei tristi giorni, la paura della morte e del castigo ultraterreno avevano spinto molti a donare alla Chiesa e a lasciare Legati come il sotto-riportato, che ho trovato nell’ archivio parrocchiale alla Nota dei Legati :
“ Io infrascritto Parroco nel 2 Settembre 1855 essendomi recato alla Villa, come richiesto da Luigi Lazzini del fu Domenico, infermo per colera, ma di mente sana, dissemi essere sua volontà ferma ed invalicabile, che i di lui eredi facessero dopo la sua morte far celebrare Messe 3 per ogni anno, legato duraturo per 1000 (mille) anni avvenire in suffragio della propria anima e a tale effetto obbligò spontaneamente un terreno ortivo, vignato, confinato da una parte dai fratelli Bologna , dall’ altra il canale, chiamato < a Piè di Castello>. Tale è la di lui volontà che vuole sia scrupolosamente eseguita dai suoi eredi. Firmato Luca Bongi.”
Il Legato risulta soddisfatto fino al 1875 da Annibale Barbieri: mancando 980 anni la promessa non è stata adempiuta completamente!




Il Colera (ricavo questo da uno studio di R. Villa) è una malattia infettiva contagiosa il cui agente è un vibrione che trasmesso attraverso l’acqua, gli alimenti, le mosche si localizza nelle mucose intestinali, penetra poi nel sangue ed è caratterizzata da diarrea, seguita da nausea e vomito, estremità che diventano violacee, disidratazione gravissima che può essere mortale. La prima epidemia a diffusione continentale si ebbe in Cina e in India e l’estremo Oriente tra il 1817 e 1824, facendo solo a Giava 100.000 morti.
Tra il 1834 e 37 si diffuse in Italia dove fece 236.000 vittime ed in Europa 550.000. Una terza ondata si ebbe in Italia tra il 1854 e 1855 ed una quarta con 147.000 vittime nel 1865-67.
Il dott. Pietro Beretta d'Arcola a quel tempo medico in Genova, nel suo “Rendiconto sulle cure dei Cholerosi” nel 1835 scriveva: “ Lo sviluppo del Cholera Asiatico suol essere preceduto dalla diarrea... le materie in principio colorite si fanno ben presto acquose e quindi bianco-lattiginose.
Il polso è ampio, cedente alla pressione, gradatamente s'assottiglia fino a cessare perfettamente. Incomincia il vomito che presto si fa acqueo di colore più o meno chiaro, i granchi alle gambe, alle mani e perfino alle mascelle talvolta ed alla lingua ed alla gola; in questo stato l'ammalato furente grida soccorso accennando il luogo del granchio, ed è più smanioso se i vomiti sono impediti dal granchio alla gola con un senso di boccone strangolante. Dal momento in cui il polso incomincia a farsi sottile, la facci si fa pallida spirante ansietà, poi fosca fino al livore di un violetto oscuro, o di un rosso fosco di rame, grondante sudore freddo. La linguia è gelida, levigata, umida, tinta leggermente in bianco su un fondo rosso- livido. Le estremità fredde si tingono in violetto, più o meno oscuro, e questo colore si estende grado a grado al petto, al dorso, a tutto il corpo. La pelle fredda come una lastra metallica coperta di sudore gelato viscoso perde la sua contrattilità, diventa dura, squamosa come nei pellagrosi, ovvero aggrinzita nelle dita delle mani, come chi è rimasto lungamente nell'acqua. Gli occhi s'affossano profondamente in un circolo livido, il globo stravolto coperto da due terzi dalle palpebre. La voce fatta stridola poi manca totalmente. Le urine cessano affatto. L'ammalato sente gran caldo e certa oppressione di respiro, per cui desidera starsi scoperto.... L'odore che in alcuni può dirsi fetore insopportabile, suole svilupparsi al cessare del periodo algido entrando la reazione. Questo è il complesso generale dei sintomi...” e poi continua “ La causa predisponente allo sviluppo del Colera parmi debba ricercarsi nell'atmosfera.... sappiamo che il carbonio inghiottito apporta dolori di ventre, che infine l'acido carbonico combinato in eccedente quantità al sangue arreca la circolazione della circolazione e la morte.”
Fu solo nel 1883 che un medico tedesco Robert Koch riconobbe la malattia come una specifica infezione gastrointestinale, isolò il “vibrio cholerae”; iniziò cosi la profilassi e finalmente si arrivò al vaccino da parte dell’Istituto Pasteur nel 1892.
Ma a Fivizzano capoluogo, l’epidemia di Colera infuriò ancora nel 1884 come risulta dalla lapide, posta nell’angolo nord-ovest della Piazza Medicea a ricordare il medico BARBERI Leopoldo, morto appunto di colera, ove ancora oggi è possibile leggere “ In questa casa/visse lungamente il Cav. Dott. Leopoldo Barberi/ prodigo operoso e valente/ uomo di bontà impareggiabile/che/ sempre prodigo di se stesso ai malati/ sempre pronto alla voce del dovere/ già più che settantenne e di malferma salute/ accorse giovanilmente impavido/ al letto dei colerosi/ nella fiera epidemia del 1884/ e cadde come cadono gli eroi/ stoicamente sereno in faccia alla morte/che/ il giorno 28 di settembre/ quasi fulminea lo colse/ i Cittadini Fivizzanesi iniziatrice la Società Operaia”.
Sempre gli stessi fivizzanesi grati per la fine del colera del 1884, offrono alla Madonna di Reggio una grande lampada votiva in argento e smalto collocata e tutt’ora ardente nella Prepositurale di Fivizzano, stupenda opera di Teofilo Bertoli cesellatore di origini fiorentine ma cittadino fivizzanese.
Il colera ,per tutto l’ottocento, era considerata la “malattia del povero” contro essa i medici non potevano fare nulla, si dava la colpa “alla natura” ed invece tutto derivava da motivi igienici ed era legata all’assenza di fognature e di rete idrica.
Una cosa è certa, sia la peste che il colera avevano buon gioco in un paese con case addossate, confinanti con stalle, dove gli abitanti vivevano in promiscuità con gli animali, con gallinai, conigliere, porcilaie, con liquami che scorrevano per le strade. Questa cattiva situazione igienica non era molto cambiata durante la prima metà del secolo XX. Migliorò solo dopo la fine della 2° guerra mondiale, allorché arrivò il “DDT” portato dagli americani, furono fatte condotte per portare l’acqua corrente in ogni casa, si cominciarono ad allontanare le stalle dalle case, si usò una maggiore igiene in tutti i campi. L’abbandono successivo dell’agricoltura tradizionale con l’utilizzo del bestiame quale trazione, con l’acquisto di motori agricoli ha liberato il paese dagli ammorbanti odori delle stalle, ma nel contempo ha fatto sparire le mucche stesse assieme a tutto un mondo di tradizioni secolari.
Oggi quelle stalle, quelle case rustiche vengono sempre più spesso restaurate, ad uso seconda abitazione, da cittadini o stranieri desiderosi di quiete, aria sana e fresca, sole e bel panorama che ad Agnino fortunatamente non mancano.





La storia

Dalle rovine rimaste a testimoniarne la storia, si deduce che la zona di Agnino fu abitata dai Liguri Apuani. Gente feroce e laboriosa che viveva in villaggi collocati sopra dirupi e si difendeva (anche dalle incursioni dei Romani) in fortezze costruite in pietra a secco ed in punti di difficile accesso. Una appunto di queste fortezze o "castellaro" si trova sulla Torre del Nocciolo a 944 metri sul l.m., che è posizionata sullo spartiacque fra il Taverone ed il Rosaro ; crinale che inizia dal passo dell’Ospedalaccio quindi sicuramente luogo di transito di antiche popolazioni nomadi.
Il Castellano della Torre Nocciolo è stato successivamente utilizzato nel medioevo (intorno al XIII- XIV secolo) e ancora oggi non è mai stato oggetto di scavi archeologici. Purtroppo qualche anno fa la torre medioevale, che affondava nel terreno, è stata scalzata dall’opera devastatrice di una ruspa di un boscaiolo del paese di Quarazzana che ignorantemente pensava di trovare un tesoro. Il vallo fortunatamente non è stato toccato.
"Il castellaro della Torre del Nocciolo, munito di un triplice vallo, come si può ancora osservare, e facente parte in epoche successive di altri sistemi difensivi, di certo costituiva un potente baluardo, posto come è a dominio delle sottostanti valli" ( Iginio Ricci: Comano e le sue frazioni).
La presenza di un castellaro significava dunque la presenza di villaggi (Vici) e quindi si ha la certezza di antichi insediamenti. E' interessante come i castellari fossero in vista uno con l’altro. Così quello della Torre del Nocciolo guarda quello di Varano come quello di Debicò. Strade ben battute mettevano in comunicazione i vari castellari ed i villaggi. Si suppongono i seguenti tracciati che toccano il castellaro in questione:
- Soliera - Agnino -Torre del Nocciolo
- Soliera - Agnino- Torre del Nocciolo- Cisigliana- Baccana- Varano
- Torre del Nocciolo- Cisigliana- Licciana- Venelia
“ Queste tipiche "viae ligorum" rimasero in attività quali scorciatoie delle grandi vie romane e poi furono riutilizzate pienamente nell’età medioevale, quando si ripresentò la necessità di nuovi stanziamenti e scambi.”
( Savino Maloni in “Nove anni di vita dell’Istituto Tecnico Angelo e Luigi Sambuchi di Fivizzano)
E' probabile che dal suddetto castellaro come da molti altri siano discesi gli antichi Liguri nel secondo secolo a.C. per affrontare le legioni romane che, guidate dal console Marzio tentavano di aprirsi una strada nella Val di Magra per raggiungere meglio attraverso i valichi della Cisa, del Bratello, di Linari e del Cerreto la pianura Padana già sotto la loro influenza.
Tito Livio ci ha tramandato mirabilmente questa grande battaglia in” DE BELLO APUANO- 193-180 A.C”. All’inizio fu dura per i Romani, TITO LIVIO ricorda “…. Luoghi impervi, difficili a conquistare, strade disagevoli e strette, sempre soggette ad insidie; un nemico agile, veloce ed imprevedibile, che non dava alcuna tregua né di tempo né di luogo. Unica prospettiva per i Romani porre l’assedio ai castelli nei quali gli Apuani si arroccavano; ma anche questa si rivelava un’operazione laboriosa e pericolosa” (dal libro di Giuseppe Caciagli – Storia della Lunigiana). Dopo alcune sconfitte Roma invia il console q. MARZIO FILIPPO con due legioni che incautamente si addentra nei boschi e nei monti della LUNIGIANA, viene allora circondato in una stretta gola e sbaragliato: perde ben 4000 uomini. I romani si danno alla fuga e impacciati nelle armi le gettano via. LIVIO “Prius sequendi Ligures finem quam fugae Romani fecerunt”.Quel luogo di sconfitta prese il suo nome come “ SALTUS MARCIUS” (Luogo ancora da scoprire anche se alcuni storici hanno pensato a MARCIASO) .
Dopo questa sconfitta nel 185 a.c. Roma invia due consoli: Apio Claudio Pulcro e Marco Sempronio Tuditano – (Sempre LIVIO ci dice” mosse contro i Liguri Apuani e, devastando i loro campi, incendiando i loro villaggi e castellari, aprì il passo che conduceva sino al fiume Magra e al Portus Lunae. I nemici si attestarono sulla montagna, che era stata l’antica sede dei loro antenati”). Ma il successo di ROMA fu effimero se ai due consoli fu negato il trionfo.
Dopo 3 anni Roma invia in loco 4 legioni con oltre 35000 uomini.
E con l’accordo del senato inizia la deportazione dei LIGURI APUANI; ben 40000 uomini, donne e bambini furono trasportati nel SANNIO ( L’attuale provincia di BENEVENTO a sud del comune di CIRCELLO) in una zona di “ager publicus” già appartenuto ai TAURASINI. Essi formarono una zona di tenace isolamento etnico che forse ha lasciato tracce fino ad oggi.(esempio: la forma a losanga delle paste del sud non è una ripetizione delle stesse losanghe scolpite nei portali della Lunigiana ?).



Conseguenza della conquista romana fu la colonizzazione con genti romane che portarono costumi civiltà ed abitudini nuove. I Romani si stabilirono nei castelli degli indigeni e confondendosi con questi costruirono nuovi villaggi che presero il loro nome.
" Così dai Grani, dai Cassii, dai Cesari, dai Manli ne sono derivati: Gragnana, Casciana, Ceserano, Magliano.così come dai Sergii, dai Ponzii e dai Bibuli: Sergiano, Ponzano, Bibola.".
Successivamente alla conquista , i Romani costruirono le strade consolari nella regione apuana seguendo - in certi casi- il tracciato di antiche strade liguri. Tracciati oggetto di tante discussioni dagli storici. Una delle più importanti fu la LUCCA-PLACENTIAM o CLODIA. Secondo gli studiosi, la Clodia, dopo avere attraversato la Valle del Serchio, doveva scendere a Regnano poi Vendaso e si dirigeva, passando per Sassalbo e Bottignana alla nostra Torre del Nocciolo seguendo un tracciato vicino alla linea delle dorsali; tracciato ripreso poi in una strada mediovale detta "maremmana". Quindi dopo la Torre del Nocciolo scendeva a Pieve di Crespiano, a Tavernelle, al passo di Linari e quindi per l' alta valle dell’ENZA arrivava a Parma e a Piacenza.
Ma caduto che fu l' impero romano, l' Italia e quindi anche la Lunigiana furono invase dai popoli barbari: dai Goti , ai Vandali, ai Longodardi e ai Franchi. E fu un periodo di storia molto buio.
Certo è che la Lunigiana divenne verso il secolo IX in una marca appartenente al Regno Longobardo ed è certo che nel 884 signoreggiava in questi paesi un certo Adalberto che fu Conte e Marchese di Toscana e Signore della Garfagnana e Lunigiana e che edificò un castello per propria dimora che si disse “La Corte “ o “Aula” di Adalberto da cui il moderno Aulla (cito il canonico Pietro Andrei che così afferma) Ed è proprio sotto questo signore che abbiamo la prima notizia riguardante l'esistenza di una località del circondario di Agnino.
Infatti, nel 884 regnando Carlo il Grosso, Adalberto I fondò ad AULLA l'antico monastero di S. Caprasio (ove riposa il corpo del Santo, già abate di Linari), lo arricchì di molti beni e lo dette ai monaci di S.Benedetto che vi durarono più di cinque secoli. Ebbene, nella carta di fondazione del monastero di S.Caprasio si riscontrano i seguenti luoghi che furono divisi fra i figli di Uberto I, marchese e conte del sacro palazzo e passarono poi in dominio dei Malaspina: cioè Aulla, Comano, Podenzana, LO SCARRO, Montevalese, Verpiana, Amola. Luoghi espressi cosi: "Potentiana, BONUSCARO, Cumano, Vallesio, Valpiana,Toucione e Civiglia".
Intanto va prendendo campo il feudalesimo e nascono così potenti casate. In Lunigiana la maggior parte delle antiche famiglie feudali derivarono da antichi ufficiali longobardi che ebbero in beneficio corti o porzioni di corti che divennero poi patrimonio privato. Patrimonio a volte ingrandito con nuovi benefici, con acquisti o spesso con l' uso della forza.
Una di queste famiglie che ancora oggi " grida i signori e grida la contrada" (Dante) fu quella dei Malespini o Malaspina che dominarono in Lunigiana per ben più di sei secoli. Fu proprio sotto il dominio di un Malaspina che abbiamo la più antica memoria del paese di Agnino.
Infatti nella donazione del 1058 fatta dal marchese Oberto Malaspina, figlio di Alberto, alla chiesa di S.Venerio, si dice: "Donamus totam terram quae posita est in dictis loci Verignano, Panicalie et AGNINO usque ad caput de monte Canatae et usque al Fizzano" (cioè dal loco di Agnino fino a Canneto e a Fivizzano). E il nome di Agnino lo si ritrova più tardi menzionato in importanti documenti. Infatti, nei registri delle decime Bonifaciane (ossia del contributo che le parrocchie riscuotevano dai fedeli per conto del Papato) troviamo elencato tra gli altri anche Agnino: parrocchia alle dipendenze dell' importante prioria di Soliera.
Per la precisione, nella decima del 1298/99 indetta da Bonifacio VIII " pro quidusdam necessitatibus domini Pape et Ecclesie Romane" troviamo:
"PLEBES DE SOLERIA: cappella de GASSANO, de CISIRANO, de COLLECCHIO, de BIGIOLO, de ANGNINO, de CANNETO".
" Il fatto dell'esistenza di Agnino in queste decime e non in altre precedenti non va naturalmente considerato quale elemento di sicura datazione storica, perché probabilmente per la fondazione della Cappella di Agnino ci si deve riferire più indietro nel tempo." (Prof. Geo Pistarino-Università di Genova ).
Agnino comprende tre nuclei principali caratterizzati dei nomi Piazza, Villa, Castello, indicanti la funzione demo-territoriale di ciascuno; ma la storia di Agnino è in stretta correlazione con quella del suo castello. Di questo rimangono, oggi, solo le mura esterne, che racchiudono nel loro perimetro altre costruzioni edificate o riadattate ad abitazione fino ai nostri giorni. Sulla schiena di un irto poggio s' affondano mura secolari, larghe mediamente centotrenta centimetri, dove si aprono feritoie, si innalzano avanzi di quattro torri rotonde (una di queste s’innalzava alta nel perimetro occidentale fino ancora agli anni trenta e poi rovinò, l' altra che si innalza dalla strada provinciale e che sorvegliava a sud la porta di accesso, fu capitozzata intorno agli anni sessanta per dare maggior luce a case private). L' entrata principale al Castello doveva sicuramente trovarsi a nord dove arrivava la strada proveniente da Fivizzano e Soliera. Strada che continuava poi proseguendo per Magliano-Bastia o per Quarazzana-Torre del Nocciolo. Ed è proprio a nord a 300 metri dal nostro castello, in località Colla, che fu costruito in epoca medievale un piccolo ponte; uno dei più caratteristici, semplici, pittoreschi dell'arte medievale in Lunigiana. Costruito più che per necessità (scavalca un rigagnolo d' acqua) per annunciare al viaggiatore stanco la presenza del castello e dei suoi ospitali abitanti. Oggi detto ponte, privato delle spalline esterne di protezione e del primo piano di calpestio, ha più che mai bisogno di restauro cosi come le mura del castello rimaste e tutte le case ivi addossate: i vari proprietari privati non hanno mai avuto interesse perché mancava una strada per il trasporto dei materiali atti al restauro.
Ora però, con il recente acquisto da parte di privati di tutto il borgo, si aprono nuove speranze di recupero.
Che poi gli abitanti siano stati ospitali è ancora da dimostrare, perché le leggende che circolano ancora fra i vecchi del paese, parlano di signori che taglieggiavano la popolazione del luogo (Mi raccontava mio padre per averla sentita dal suo e così via, che la torre a sud del castello, quella vicina alla fonte, fosse stata costruita interamente da una famiglia quale pena per avere cacciato ed ucciso una lepre senza l'autorizzazione del Signore del luogo).Ed ancora leggende di “jus prime noctis”, di celle buie, di trabocchetti e di tesori perduti tipo la solita chioccia coi pulcini d'oro. Certo che se molto appartiene alla fantasia popolare un qualche cosa di vero doveva pur esserci e non è difficile immaginare il signore del medioevo come un Don Rodrigo che approfittava della povera gente, visto che sono rimasti, nella popolazione del luogo, ricordi di ancestrali e remoti soprusi. Certo un duro colpo alla potenza e ai diritti medioevali goduti dai marchesi è stato l' editto del generale CHABOT nel 1797, con il quale venivano soppressi i feudi in Lunigiana. Napoleone aveva inviato in Lunigiana il Generale Chabot dopo una lettera supplica inviatagli dal marchese di Fosdinovo atta ad avere un abile soggetto per calmare l'anarchia imperante dopo l'arrivo dei francesi.
Con esso i marchesi erano spogliati dei proventi dei torchi, molini, frantoi, delle prerogative della caccia e della pesca, del diritto di imporre gabelle e di avere altro diritto di giurisdizione e di sovranità; ma venivano lasciate loro le proprietà private che d'altronde erano colpite (per la prima volta) da imposte e pubblici gravami.
Era l'inizio di una nuova era più democratica e più giusta per il popolo.
Ma ritorniamo alla storia di Agnino e del suo castello del quale non si hanno memorie malaspiniane, ma, da tarde notizie, sembra che esso appartenesse ai Bosi della Verrucola. Quando vi abbiano acquisito diritti i Malaspina, che non noveravano questo luogo fra i possessi loro riconosciuti dai privilegi imperiali più antichi, è ignoto. Certo nel 1275, nella famosa divisione fra i condomini di Filattiera, fra le assegnazioni fatte a Francesco di Olivola, fu compreso ciò che la famiglia possedeva in " CASTRO AGNINI". Tuttavia poco dopo, Agnino appare possesso e titolo di un altro Malaspina di ramo collaterale: Azzone, figlio forse naturale di Isnardo I antenato dei marchesi della Verrucola. Tolto il castello a questo signore, nei primi del secolo XIV, dal comune di Lucca, ne fu investito Adalberto di Guglielmo da Verrucola, cittadino lucchese, forse un discendente degli antichi Bosi innanzi ricordati.
Infatti con atto del 29 settembre 1302 una metà di Uomini di Agnino in numero di 56 giurarono il "vassallaggio" ad Alberigo di Guglielmo della Verrucola (della famiglia dei Dallo o dei Da Castello): "acta fuerunt haec omnia in terra Agnini in clasio subtano ecclesie Sancti Michaelis de Agnino" (Archivio di Stato di Firenze- Diplomatico-Riformagioni: Malaspina). L'altra metà di essi vassali riconosceva di appartenere a Bosello del fu Messer Simone di quella famiglia dei Dallo che si era già assoggettata a Lucca.
Nel 1319 il grande condottiero Castruccio Castracani degli Anteminelli distrusse il Castello di Agnino, quello di Tendola e di Equi.
Alla morte di Castracani il castello fu ripreso da Spinetta Malaspina il Grande, dopo le memorabili lotte che questi capitanò contro Lucca e fu assegnato alla linea dei marchesi della Verrucola, di cui segui le tristi vicende, venendo infine, alla Signoria Fiorentina.
Nel 1494, il marchese Gabriele di Fosdinovo, approfittando della calata di CARLO VIII, aperta la via al generale francese Gisberto di Montpensier per occupare le terre fiorentine della Lunigiana - fra le quali Fivizzano fu crudelmente percossa (pare che con le truppe francesi Fivizzano assaggiò per la prima volta il tiro delle artiglierie) , ottenne dal re francese l' investitura in pieno dominio di tutte le terre appartenenti ai Fiorentini quindi anche, in particolare, del Castello di Agnino.
E' interessante annotare che proprio nel 1492 alla presenza del Marchese Gabriello Malaspina di Fosdinovo veniva approvato, in Agnino, lo STATUTO del " COMUNE ET HUOMINI D' AGNINO" il cui atto, ricopiato in data 14 marzo 1719, è stato visionato dallo scrivente nell'archivio di Stato di MASSA. E naturalmente in detto atto ci sono le leggi che regolano la vita sociale della "comunità" che vanno dalla raccolta della legna , del "rusco nelle vie pubbliche" al compenso da pagare per sposarsi con donne del luogo, alle pene da comminarsi a chi si macchiava di reati dai minori ai più truci. Ebbene,in tempi di molto successivi alla stesura delle presenti note,finalmente libero da impegni di lavoro, mi sono recato più volte presso l'Archivio di Stato di Massa ed ho potuto trascrivere quasi integralmente lo statuto, rimando quindi alle pagine del capitolo relativo.
Un’ altra copia di detto statuto si trova all’Archivio di Stato di FIRENZE come ci fa sapere il grande storico dell’ottocento Carlo SFORZA. Il quale scrive nel “Saggio d’una Bibliografia Storica della Lunigiana” :” Agnino- Statuti del Comune et uomini di Agnino. Codice cartaceo in 4 del R. Archivio Centrale di Stato di Firenze, coperto in tavola, segnato di numero nuovo 2, di carte 51 non numerate, ma con traccie qua e là di un’ antica numerazione. Dopo il rubricario, che sta in principio, viene il testo degli Statuti, con un proemio e la intitolazione seguente: Questi sono gli statuti del Comune et uomini di Agnino, nel presente volume descritti in quattro libri. Finito lo Statuto originale, seguono le addizioni, con le relative approvazioni degli Officiali a ciò deputati dal Comune di Firenze. La prima di queste addizioni è del 24 Dicembre del 1505; l’ultima del 29 Agosto del 1746.
Si dividono in quattro libri. Il primo si compone di 16 rubriche; di 50 il secondo; e di 29 il terzo, delle quali però mancano le seguenti:
10. Come le donne e li insensati non possino fare contratti senza consentimento di tre suoi parenti.
11. Come alcuno che sia minore di anni xx non possa fare contratto.
12. Del modo e quando si abbia a far ragione sommaria.
26. Di non far contro la possessione posseduta.
27. De’ giorni feriati.
3.Della pena di quelli che vieteranno il pegno al corriero.
4.Della pena di quelli che non osserveranno i comandamenti.
Il quarto libro è spartito in 81 rubriche; e di queste manca il principio della prima che dice: Come si possa accusare del suo.
Dal proemio si ricava che i presenti Statuti furono compilati Corrente l’anno della Natività del nostro Signore Giesù Cristo MCCCCXCI, indizione nona, adì IIIJ del mese di Luglio.




Ma ritorniamo alle ultime vicende storiche.
Partito ingloriosamente d' Italia CARLO VIII e tornata Firenze nei suoi domini, altre aggressioni ebbe a patire il castello da Gabriele Malaspina, particolarmente nel 1496, quand'egli, occupatolo, si spinse al saccheggio di Fivizzano ed all'assedio della Verrucola.
Le milizie fiorentine ebbero tuttavia ragione di queste scorrerie ed Agnino, con altri luoghi di antico dominio dei marchesi della Verrucola, rimase aggregato definitivamente allo Stato Toscano seguendo le vicende del Capitanato di Fivizzano.
Nel 1477 avviene infatti la dedizione della Terra e Corte di Fivizzano alla Repubblica Fiorentina e veniva altresì stabilito che i cittadini fivizzanesi fossero equiparati a quelli fiorentini. Quindi “liberi et immuni da qualunque imposta, gravezza reale e personale, o mista, ordinaria et extraordinaria dal Comune di Firenze, eccetto che da mandare gente d'Arme a pie' et a cavallo, et eccetto La Gabella che si risquotono alla porta di Firenze, e di Pisa, d'Arezzo, e Cortona, e nella città di Sarzana, la quali paghino come cittadini Fiorentini.....”
Per sintetizzare le vicende storiche successive, ricordiamo che nel 1537 Fivizzano fu assalita dalle truppe spagnole di Carlo V comandate dal Marchese del Vasto. Successivamente Fivizzano visse secoli di tranquillità sotto Firenze e nel 1633 divenne sede del Governatorato di Lunigiana. Nel 1750 l’imperatore Francesco I unì il Governatorato di Fivizzano a quello di Pontremoli con facoltà del Governatore di alternare la sua residenza in sei mesi a Pontremoli e sei a Fivizzano. Nel 1772 il Granduca Leopoldo I istituì tre Vicariati: a Pontremoli, a Bagnone e l’ altro a Fivizzano unendo ad quest’ultimo la Potesteria di Codiponte. Tra il 1797 e il 1814 ci fu la parentesi Napoleonica che vide dal 1809 il dominio di Elisa Baiocchi, sorella di Napoleone, su tutta la Toscana.
Già dal 2 luglio 1797, con il proclama del Generale napoleonico Chabot, gli ex feudi della Lunigiana assieme a Massa e Carrara formarono il “Dipartimento di Luni” che qualche mese dopo fu conglobato da Napoleone nella Repubblica Cisalpina. Nel 1802 la Cisalpina si trasforma in Repubblica Italiana e dopo la proclamazione a imperatore, Napoleone trasforma la Repubblica in Regno Italico. Pochi anni dopo il 24 maggio 1808 Napoleone unisce la Toscana all’Impero, succede cosi che:
“Dal 24 maggio 1808 in poi, il governo della Toscana sarà regolato dalle leggi dell’Impero francese. Analogamente avvenne per i tre ex Vicariati della Lunigiana, che dapprima furono inseriti nel Dipartimento del Mediterraneo con capoluogo Livorno e, subito dopo, nel Dipartimento degli Appennini con capoluogo Chiavari.” (Da Fivizzano nella Storia di Pietro Tedeschi).
Ricordiamo, riassumendo sempre dal libro di Pietro Tedeschi, che ogni Dipartimento era diviso in Circondari questi in Cantoni e quest’ultimi in Comuni. La Lunigiana era inserita nel Dipartimento degli Appennini con capoluogo Chiavari ed era divisa in due Circondari: quello di Pontremoli e quello di Sarzana che comprendeva i Cantoni di Fivizzano, Aulla, Fosdinovo e Sarzana. A Sua volta il Cantone di Fivizzano era diviso in quattro Comuni: Fivizzano,Comano,Gragnola e Casola. Il potere esecutivo comunale era espressione del Maire. A seguito della dominazione francese alcune parole della loro lingua come “Vis a Vis” e “Tire bousson” entrarono e rimasero nel nostro dialetto tramandate fino ad oggi.
Caduto Napoleone il Comune di Fivizzano ritorna alla Toscana. Proprio per decisioni del Congresso di Vienna del 1815 fu aggregato poi nel 1847, e non senza manifestazioni ostili, al Ducato di Modena.
I Fivizzanesi non avevano nessuna intenzione di ritornare sotto un governo di tipo austriaco-conservatore come quello di Francesco V, tanto che la tensione sfociò in una sparatoria che provocò la morte di due persone ed il ferimento di altre tre quando le truppe estensi occuparono Fivizzano. A tal proposito aggiungo una nota;
nel manoscritto n. 87 di Giovanni Sforza dell'Archivio di Stato di Massa ho ritrovato il presente attestato rilasciato il 23/7/1853 dal canonico Pietro Ginesi: “ Attesto io sottoscritto, che Domenico
Bernabò di questa parrocchia costretto a reggersi sulle stampelle e su d'un pezzo di gamba di legno per una ferita riportata dalle Truppe Estensi nell'occasione di un falso allarme nella sera del 9 novembre 1847, si trova impotente a mantenere la famiglia consistente nella moglie e otto figli, per cui è veramente degno di compassione.”

Fortunatamente nell’anno successivo 1848 la rivoluzione repubblicana contagiò prima Venezia e poi Milano e successivamente anche le popolazioni dei Ducati di Parma e Modena che insorsero e cacciarono i sovrani. Anche a Fivizzano, il giorno 23 marzo 1848, la popolazione insorta scacciò il presidio estense e, Fivizzano con il suo territorio, ritornò sotto il Granduca di Toscana. Ma con il sopraggiungere di nuovi avvenimenti il 14 aprile 1849 tornò, scortato da novecento militari austro-estensi, il Duca di Modena Francesco V che vi governò tramite i suoi Podestà fino all’unità d’Italia.

OOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO

STATUTO DEL COMUNE ET HOMINI D'AGNINO


Sono passati trenta anni dal giorno in cui ebbi, per la prima volta, tra le mani una copia dello statuto agninese. La copia da me reperita nell'Archivio di Stato di Massa , a parte qualche raro capitolo, era illeggibile.
Quando nel 2007 feci di nuovo la richiesta di rivedere lo Statuto del Comune di Agnino e mi fu portato un piccolo libro, alto due centimetri, ben rilegato e restaurato: ne rimasi stupito, non era quello che avevo visionato da giovane. Questo è infatti una copia dello Statuto rifatta nel 1719, che essendo stata restaurata è finalmente leggibile, per cui ho potuto trascriverla, anche se con qualche difficoltà di interpretazione della scrittura.

Prima di partire nella lettura degli articoli è importante sapere che le unità di valore del tempo erano la Lira, il Soldo, e il Denaro e Crazia.
Una lira vale 20 Soldi, per fare un Soldo ci vogliono 12 denari. (e quindi ci vogliono 240 denari per fare una lira). La Crazia invece vale un Soldo e 8 denari. Ricordiamo che la lira era solo un' unità di conto, non aveva cioè un corrispettivo metallico e fu solo nel 1793 che venne adottato il sistema decimale francese con la suddivisione della Lira in decimi e centesimi.
Ed inoltre per comprendere il valore ad oggi di una pena allora comminata, consiglio di leggere subito l'articolo n.65 del QUARTO LIBRO in cui si parla “ Della mercede dell'opera data”, ove si evince che un muratore del tempo guadagnava dai 5 ai 7 soldi il giorno. Da ciò si possono fare tutte le proporzioni di pena.


In primis è l'Indice riportante tutti gli articoli e subito dopo:



Questi sono gli statuti del Comune et Huomini di Agnino, nel presente volume descritti in quattro libri, delli quali il primo comincia come di sotto; il secondo sopra i Malefizij ecc; il terzo libro sopra il Civile ecc; il quarto libro sopra i Danni Dati ecc.

In nomine di Dio Amen, correndo l'anno della Natività di Gesù Christus 1492 indizione nona, adi 4 del mese di Luglio; poiché per la varietà de tempi sarà espediente spessa volte correggere, mutare, aggiungere e diminuire li Statuti della Comunità da luoghi, e terre, e di nuovo provvedere à quel che più si conosce riguardante al pubblico civile, perciò la Comunità, et Huomini d'Agnino insieme congregati sove sogliono congregarsi al general parlamento di detta terra, nel qual parlamento, fu et deliberato, che li statuti di detta Terra d'Agnino si rinnovino et correghino, mutando, confermando, aggiungendo, et diminuendo come meglio parrà, et piacerà à gli huomini a tal effetto eletti per il Magnifico Podestà, del Sig.re Gabriello Malaspina Marchese di Fosdinovo, et Agnino, come di tale elezione pienamente e chiaramente appare per lettere del presato Marchese lette nel pubblico parlamento del Comune d'Agnino, et per detto parlamento confirmati detti Huomini et deputati, i nomi dei quali sono gli infrascritti cioè:
- Spinetta del già Guglielmo da Viano,
- Gaspero del gran Pello da Montecorto,
- Giovanni Pellegrino di Lorenzo da Piazza,
- Gio. Leonardo di Gio. Pellegrino da Canneto,
- Cersella del gran Domenico, et Francesco del già Bertolo da Scaro, quali tutti havendo autorità da detto parlamento, fatta prima la diligenza esaminano frà di loro per l'evidenza utile
di detto termine li predetti, et infrascritti Statuti corressero, confermando, provedendo, contribuendo, et ordinando come sopra cioè:

Al nome di Dio, e della SS.ma Trinità, Padre, e Figliolo, et Spirito Santo Amen,et a sua reverenza, et honore della Beata Vergine Maria, e di Santo Michele che son protettori del Comune, et Huomini d' Agnino, et ancora à lode di tutti li Santi, et Sante di Dio, et à honore, et esaltazione del Magico et Generoso, et Potente Signore, il Sig. Gabriello Malaspina Marchese di Fosdinovo, e d'Agnino, et a Suo pacifico Stato, et del detto Comune, et Huomini d'Agnino.




Art. I Del modo di eleggere li Consuli

In prima statuirno, et ordinorno, che in Calende di Gennaio di ogni anno, la Comunità et Huomini di Agnino devino eleggere i Consuli et Consiglieri, cioè in questo modo, che detta Comunità, et Huomini ponghino una fava, con cinque fave negre, una per famiglia, et a quelli che toccheranno dette fave negre, devino leggere due Consoli, et cinque Consiglieri, huomini giusti, et da bene della Terra d'Agnino secondo la loro coscienzia, dato prima à loro il giuramento per i Consuli vecchi, et quelli li quali per Consuli, ò Consiglieri saranno rinnovati da quelli alli quali saranno pervenute le fave negre, se recuseranno di voler essere di tale Offizio, sieno condannati in Soldi Quaranta per ciscuno, et ciascuna volta, e di nuovo sieno confermati detti trovati, et eletti, et detti Consuli et Consiglieri nuovi debbino elggere tre Buoni et giusti Huomini per stimatori del Comune d'Agnino, et che l'Offizio di detti Consoli, et Consiglieri, e tre Terminatori, stieno, et durino per sei mesi,
cioè, da Calende di Gennaio infino alla Festa di S. Pietro, et allora si rinnovino detti Consoli et Consiglieri et tre Buoni Huomini, et stimatori a modo come sopra, intendendosi, che sempre nel numero di cinque Consiglieri sieno Due Consoli et Consiglieri vecchi .





Art. II Del modo di dare giuramento alli Offiziali

Item hanno statuito, et ordinato, che il Podestà, Consuli, Notaio, et ogni altro Offiziale del Comune d'Agnino, di poi che saranno eletti siano tenuti giurare per i Santi Arcangeli di Dio, toccando con le mani corporalmente le Scritture, il primo giorno del loro Offizio nel general Parlamento di detto Comune, ò altrove, dove piacerà à li Consuli di detto luogo, il loro Offizio bene e diligentemente esercitare, se mosso da loro odio, amore , timore, interesse, e preci, et ogni altra humana grazia , ad honore, et esaltazione del pregato, et generoso, et potente Sig., et Padrone Gabbriello Malaspina di Fosdinovo, et Agnino Marchese, e Signore nostro, et ad accrescimento, commodo, et pace del Comune, et Huomini d'Agnino, la Jurisdizione, le ragioni pubbliche, le consuetudini, gli honori et beni di detto Comune, et quelli defendere et argumentare con buona fede, et senza fraude, et quelli non mandare a male, non diminuire, ò convertire che si diminuischino in modo alcuno, sotto qualsivoglia colore, et nelle Cause spettansi al loro Offizio far ragione a chi la domanda, secondo le ragioni, et Statuto della Terra d'Agnino, et conservare i Pupilli, i poveri Orfani, le Vedove, le persone Ecclesiastiche, et miserabili et la Chiesa di Santo Michele d'Agnino, e tutti i suoi beni favorabilmente conservare li Denari, ne gli altri beni da detto Comune, ò da qualsivoglia persona domandare , et contra la forma delli Statuti d'Agnino non ricevere, né acconsentire che dall'havere et entrate di detto Comune, si spenda alcuna cosa contro la forma delli Statuti, ovvero Riforme di detto Comune, et tutte l'altre cose fare con buona fede et senza fraude, quali spettano et appartengano al loro Offizio, et saranno opportune, et infine del loro Offizio, stare al Sindacato, e delle cose per loro fatte, et amministrate, rendere intero conto, et devino essere sindacati per li Consuli, et nuovi Consiglieri, et Consiglio della Terra d'Agnino, finito il loro Offizio, et se saranno ritrovati colpabili, saranno condannati secondo la forma di ragione, et Statuti d'Agnino, ma non di meno si elegghino tre Sindici del Comune d'Agnino, i quali devono sindacare tutti gli Officiali vecchi, per i Consuli et Consiglieri nuovi.




ART. III De Buoni Huomini

Item statuirno, et ordinorno, che tre buoni Huomini stimatori così eletti per il tempo che saranno possino, et habbino autorità di giudicare, difinire, et sentenziare tutte le divisioni, discordie, lite, differenza, nate e da nascere tra gli Huomini d'Agnino, per causa di vie, confini, possessioni, condotte d'acqua, et tutti gli altri danni dati, et di qualsivoglia altra cosa da stimatori, et che devino esser definito, et giudicato fra quindici dì, dal dì che saranno richiesti da querelanti, sotto pena di soldi quaranta imperiali, qual pena sia applicata al Comune, e devino essere li detti Buoni Huomini per lor fatica et mercede, cioè per qualsivoglia sentenza data ciascheduna di loro, Danari sei, et per qualsivoglia termine prefisso, danari tre, et per qualsivoglia pagamento, e s'intenda tanto dentro, quanto fuori della Terra d'Agnino, et siano tenuti andare con i querelanti per tutta la giurisdizione, et territorio del Comune d'Agnino, sotto la pena soprascritta, et dalla sentenza de quelli nessuno possa appellare, sotto pena di Lire Cinque Imperiali.




Art. IV Del modo di eleggere i soprastanti, et del loro Offizio.

Item statuirno, et ordinorno, che i Consoli nuovi et Consiglieri, siano tenuti, e devano eleggere per soprastanti due Homini giusti, et prudenti del Comune d'Agnino, i quali soprastanti così eletti, siano tenuti giurare nelle mani di detti Consuli, et Consiglieri, di esercitare il loro Offizio, bene, et legalmente, et senza fraude, et che devino vedere, ogni mina, quarto, et quarta, et stadera, et bilancia del Comune d'Agnino, et tutte le altre misure, e se detti sovrastanti havranno ritrovato le dette misure opere false, si condannino questi tali che tengano le dette misure false, in Soldi Cinque Imperiali per ciascheduno, et ciascheduna volta, la metà della quale pena spetti a detti soprastanti, et l'altra metà al Comune d'Agnino, et detti soprastanti devano giustificare, ovvero far giustificare le dette misure false, et non giuste a proprie spese di quelli de quali le saranno, et devino ancora dare la vendita delle carni à macello, ò Beccai, come li detterà la loro coscienza, et la vendita ancora del pane, e vino agli Hosti, vig. Soldi Quaranta per ciascun cognio di vino, et per ciascuno staio di grano Soldi Cinque Imperiali, et se i detti soprastanti non esercitassino il detto Offizio, sieno condannati in Soldi Venti Imperiali, per ciascuno di loro, et per ciascuna volta la quale pena spetti al Comune.




Art. V Del modo di compromettere le liti, et questioni che nascano fra gli Huomini d'Agnino

Item statuirno et ordinorno che se nascesse lite, ò questione tra gli Huomini del Comune d' Agnino, ò tra forestieri che venissino a litigare in Agnino, e che una delle Parti volesse compromettere la detta lite et questione, in un solo arbitro, ò in più, allora l'altra parte sia tenuta et sforzata per il Podestà, ò per i Consoli d'Agnino di compromettere tal lite e differenza frà tempo e termine di tre giorni, sotto pena di Soldi Quaranta imperiali per ciascuno et ciascuna volta, la qual pena spetti e si appartenga al Comune sopradetto. Et dopo che detta lite et differenza sarà compromerssa in detto arbitrio, ò più arbitri, devano il detto arbitro, ò arbitri così eletti dalli litiganti, haver definito, sentenziato, et giudicato tale lite e controversia frà il termine di venti giorni, tanto di ragione, come di fatto, dotto pena di Soldi Cinquanta Imperiali per ciascuno che contrafarà, et per ciascuna volta, la qual pena, sia, et s'appartenga al detto Comune come sopra, et dalle sentenze date et pronunziate da tali Arbitri non sia lecito, né si possa per qualsivoglia appellare.




Art. VI Del modo di eleggere un Notaio per i Nuovi Consoli et Offiziali

Item ordinorno, et statuirno li soprascritti Statuarij che ciaschedunanno si deva eleggere da i nuovi Consuli, et Offiziali, un Notaio che giuri di esercitar bene, et legalmente l'Offizio, et tutte le cose a detto suo Offizio spettanti, et appartenenti, sempre con honore del Magnifico, generoso, potente Signore soprascritto, et con honer et utilità del Comune d'Agnino, il qual notaio sia tenuto, et deva porre in scrittij , tutti li precetti, et processi et tutti gli atti da agitarsi dinanzi a detti Consuli, ò Podestà del Comune d'Agnino,




Art VII Del modo di eleggere il Camarlingo del Comune d'Agnino

Ogni hanno si elegga un Camarlingo per i Consoli, et Consiglio di detta Terra, quale sia tenuto, et deva giurare, sì come gli altri Offiziali, et sia sforzato per il Console ò Consuli a rendere conto di tutte le cose per lui amministrate, tanto dall'entrate, che gli saranno venute in mano, come delle uscite, et spese, et il detto Conto lo renderà dinanzi à Consoli, et Consiglio di detto Comune, et tutto quello, che da beni di detto Comune gli fosse restato in mano, lo deva interamente et manualmente dare al nuovo Camarlingo, infra otto giorni, doppo che haverà finito il suo Offizio sotto pena di Soldi Dieci Imperiali, e non di meno sia tenuto subito di far detta consegna, e se si ritroverà che l'habbia nascosto, ò sottratto qualche cosa fraudolentemente, paghi Venti Soldi di pena, e non di meno le dette cose nascoste, ò sottratte, restituisca senza dilazione alcuna, né possa hyavere in detto Comune Offizio alcuno per spazio di cinque anni prossimi avvenire, et il medesimo s'intenda di qualsivoglia altro Offiziale di detto Comune, se sarà ritrovato in fraude del suo Offizio, l'Offizio di detto Camarlingo sia di riscuotere tutte l'Entrate, et rendite di detto Comune, e di quelle tenga diligente conto, tanto delle Entrate come delle Uscite; non sia però tenuto à risegnare se non quelle cose che li saranno rimaste in mano, ò appresso di lui, defalcate tutte le spese, fatte di volontà da Consoli, et offiziali di detta Terra d'Agnino.




Art. VIII Del modo di eleggere un Corriero, et del suo salario

Item statuirno, et ordinorno, che à chi toccherà l'ordinato Offizio di Corriero, deva giurare, di bene, et fedelmente esercitare il detto offizio, et deva havere da i forestieri per ciascuna citazione Danari tre, et per qualsivoglia pegno Danari sei, et per qualsivoglia grida, ò bando, Danari Uno, et sia obbligato di eseguire quel che gli sarà commesso senza fraude, et senza inganno, et fare le citazioni, precetti, denunzie, et tutte le cose appartenenti al suo Offizio giustamente.




Art. IX Del modo di far le sole per i Consoli

Item statuirno, et ordinorno, che i Consoli, et Offiziali del Comune d'Agnino possino, et habbino autorità di fare tutte le sole che gli piacerà, quali si chiamano, proibizioni, e diniera, con autorità, et licenza de Consoli di detta Terra d' Agnino, in tutti quelli luoghi, et territori d'Agnino, dove meglio, et più utile per la Comunità gli parrà, et nell' istesse fole, porre bandi, et condannazioni, et quel che per loro sarà ordinato, et si devano operare per il detto Comune, et tutte le persone, sotto pena nel bando così contenuta, la qual pena si appartenga al Comune.




Art. X Dell'arbitrio delli Offiziali del Comune d' Agnino

Li Consoli, et offiziali del Comune d'Agnino possino, et habbino autorità sopra tutte le lite, questioni, cause, discordie, et differenze, che fussero nate in qualsivoglia tempo nella Terra di Agnino, trà alcune persone, di dire, sentenziare, giudicare, et definire tutto quello, et quanto à detto Consiglio piacerà , senza alcuna proibizione d'alcuno Rettore d'Agnino, et si deva adempire, et osservare tutto quello, et quanto che sarà ordinato, sentenziato, et definito per detto Consiglio, da tutte le persone habitanti in detta Terra, ò nella sua jurisdizione, sotto pena di Soldi Cento imperiali per ciascheduno, et ciascheduna volta, la qual pena s'appartenga al Comune d'Agnino, et quelche sarà ottenuto, ordinato, et deliberato per due terze parti, delle tre parti esistenti tanto nel Consiglio, quanto nel parlamento, et negli altri offizi di detta Terra d'Agnino, vaglia, et tenga, che si deva operare et habbia forza di fermezza, et ancora se per tutte le tre parti concorde, mentre si fusse ordinato, ottenuto, et deliberato.




Art. XI Di far rifare la via

Siano tenuti, et devino i Consoli, et Offiziali del Comune d'Agnino, i quali per il tempo saranno nel tempo del loro Consolato, far racconciare una volta le strade guaste, dove sarà di bisogno, et più volte ancora se bisognerà per tutto il territorio d'Agnino, sotto la pena di Soldi Venti Imperiali per ciascheduno di loro negligente, et ciascheduna volta, qual pena si applichi al Comune.




Art. XII Della restituzione della cosa prestata.

Chiunque riceverà qualche cosa in prestito da qualche persona di Agnino siano tenuti restituigliela infra tre dì prossimi dal dì della data cosa sotto pena di soldi Due Imperiali, per ciascuno e per ciascuna volta e pena restituzione la cosa imprestata della medesima bontà e qualità che lè fu' imprestata e se quello che presta vorrà qualche premio per la cosa imprestata il ricevente la cosa imprestata sia tenuto dare à colui che l'impresta quel premio che sarà detto et sentenziato dalli Soprastanti al Comune di Agnino.



ART. XIII Del modo di rendere ragione à quelli che prestano

Item stabiliscono et ordinano che chiunque riceverà danarj in prestito, ovvero altra cosa da qualche persona di Agnino sian tenuti, o devano à Consoli, ovvero Podestà della Terra di Agnino fare, ovvero farsi fare ragioni sommaria ai detti imprestanti.





ART.XIV Di piantare Agli e Cipolle

Qualsivoglia Persona anzi Famiglia abitante nella Terra di Agnino o nelle sue pertinenze, sia tenuta ciascun anno pastinare, ò piantare nelle pertinenze di Agnino, un centinaio di agli e cipolle sotto pena di Soldi Dieci Imperiali, per ciascheduna Famiglia, et ciascheduna volta,. Quali pena si aspetti al Comune.






ART. XV Della mercede di quelli che pigliassero Lupi

Chiunque piglierà lupi nel distretto e pertinenza di Agnino, sia tenuto il detto Comune dargli, et pagarli soldi venti Imperiali per ciaschun lupo, et soldi dieci per ciaschun lupino, ovvero lupo piccolo.






ART XVI Come si devono osservare gli Statuti

Item stabilirono et ordinarono, che i Consoli, che per il tempo saranno, siano tenuti, et devino osservare et mantenere tutti gli Statuti del Comune di Agnino, sotto la pena di Dieci lire Imperiali, la qual pena appariscie al Comune.






LIBRO SECONDO
Rubrica al secondo libro intorno alle cose Criminali

1
Della pena di quelli che fanno romore

Item stabilirino et ordinarono che chiunque farà romore nella terra di Agnino, ovvero nella sua pertinenza, sia tenuto e debba riparare tutte le spese le quali haverà sostenuto il Comune d'Agnino, ovvero qualche altra persona per occasione di detto romore, secondo che sarà detto, sentenziato et ordinato per i Consoli et Offiziali del Comune di Agnino, infra dieci di prossimi futuri, da cominciarsi à contare dal dì del fatto romore, senza alcuna eccezione di ragione, o di fatto, sotto la pena di Soldi Cento Imperiali per ciascuno e ciascuna volta, se non apparisca giusta cagione, per la quale sia fatto detto romore.




2 Della pena di quelli che giocassino à Dadi e Carte

Nessuna persona della Terra di Agnino possa et habbia autorità di giocare à qualche giuoco di Dadi ò Carte, nella Terra di Agnino o nelle sue pertinenze, ovvero nelle Ville, sotto pena di Soldi Venti Imperiali se sarà di giorno, e se sarà di notte , soldi quaranta per ciascheduno e ciascheduna volta, et chiunque terrà in casa sua i detti giocatori, o farà gioco, ovvero li presterà Dadi, ò Tavoliero, ò Carte, si punisca con la medesima sopradetta pena. Eccetto non di meno nella Pasqua della Natività del Nostro Signore, pertanto per tre giorni e nel giorno di San Michele, nei quali giorni non si paghi pena.. Ma solamente lecito in ogni tempo di giocare ai Trionfi et Dritta con Carte, ma negli altri giochi di carte sia punita nella medesima pena, la terza parte della detta condannazione ovvero sia del Comune di Agnino, l'altra terza parte dell'accusatore, et sia tenuto segreto e gli si creda col suo giuramento, l'altra ultima terza parte della Camera di Fosdinovo.



3 Della pena di quelli che non facessino la guardia

Ogniuno che fa la guardia nella Terra di Agnino, e nelle sue pertinenze, che li sarà comandato per il Corriero da parte dei Consoli, chè faccia la guardia alla Porta del Borgo di Agnino, ovvero altrove, dove li sarà comandato, et non facessi detta Guardia, paghi per pena Soldi Cinque Imperiali, et deva accettare l'altra guardia nel giorno seguente, se sarà stabilito di giorno, se sarà stabilito di notte pagherà Soldi Due, et marzo se averà contrafatto, et similmente accetti l'altra guardia la notte seguente, et se bisognerà mandare qualche lettera ò qualche ambasciata, si deva mandare à spesa della detta guardia, et questa si intenda solamente nel tempo della pace, paghi et sia tenuto pagare ogni bando, et condannazione che vorranno i Consoli et Offioziali di detta Terra, et chiunque non sarà stato a casa, quando li sarà toccato la guardia, et non l'haverà fatta lui o qualchedunaltro per lui paghi in nome di pena Soldi Cinque Imperiali, e se ci fossi qualche questione ò differenza intorno a tal guardia, allora, il Consiglio del Comune di Agnino deva procedere, versando il meglio che gli piacerà et parrà, et tutto quello che sarà da detto Consiglio provvisto et ordinato per la detta guardia, in tutte le cose, senza alcuna eccezione di ragione, ò di fatto deva essere operato dal Comune di Agnino, et chi haverà fatto la guardia per sé possa ancora per gli altri farla, con autorità nondimeno licenzia de Consoli, et degli altri Uffiziali di Agnino, et chiunque haverà finiti li quindici anni, sempre sia tenuto far la guardia infino à annj Settanta di giorno, ma di notte sino à anni Sessanta.



4 Della pena di quelli che giurano il falso

Se qualcheduno, tanto della Terra, quanto forestiero haverà giuratio il falso, e prodotto falsi testimoni, instrumenti ò altre scritture, cada nella pena di lire Venticinque Imperiali, le quali sia tenuto a pagare fra quindici giorni dopo che sarà incorso nella pena, et se in detto termine non haverà pagato, incorra nella pena di Lire Quaranta Imperiali, e non possa mai per alcun tempo esercitare alcun Offizio nella Terra di Agnino, né sia ricevuto in testimonio, ne in alcun modo li si creda, e si pubblichi per i luoghi consueti nella Terra di Agnino, dal pubblico di detta Terra, la metà della quale pena si applichi alla Camera di Fosdinovo, l'altra metà al Comune di Agnino.


5 Della pena di quelli che percoteranno il bestiame

Se qualcheduno percoterà l'altrui Bestiame, contro la voluntà del Padrone, paghi, et sia tenuto a pagare per opena Soldi Cinque Imperiali per ciascuna volta, la qual pena aspetti al Comune, e sempre sia tenuto emendare il Danno senza alcuna eccezione di ragione, se però haverà fatto qualche danno.



6 Di quelli che tagliassino finimenti da Buoi

Chiunque piglierà finimenti, ò altre cose per uso da buoi, lo Aratro, Giogo, Erpice, Vomero, et tutte le altre cose di qualsivoglia condizione saranno, senza licenzia et voluntà del Padrone, paghi in nome di pena Soldi Cinque Imperiali, dà applicarsi al Comune, et se il detto Padrone de Buoi haverà patito danno delle dette cose, sia tenuto subito il sopradetto che haverà pigliato le dette cose, satisfarle à arbitrio de Consoli et Offiziali di Agnino, senza alcuna eccezione di ragione ò di fatto.



7 Della pena di quello che percoterà alcuno di ferita Corpale

Se alcuno percoterà alcuna persona nel distretto di Agnino, con Ferro, Legno ò Pietra, ò con qualche altra cosa, et gli haverà fatto una ferita Corpale, se sarà di giorno paghi per pena Lire Dieci Imperiali, ma se sarà stato di notte, e sarà stata fatta a capo tale ferita, paghi Lire Venti Imperiali per pena, ma se la ferita non sarà stata corpale, ma sarà stata grande e fatto di giorno paghi Lire Cinque Imperiali, se poi di notte, e a capo pestato, paghi Lire Dieci Imperiali et sempre paghi le spese che haverà fatto al ferito in medicine, e medico e opere per detta causa ad arbitrio e tassazione delli Consoli et offiziali del Comune di Agnino, la quale pena, cioè la terza parte si aspetti alla Camera di Fosdinovo, l'altra seconda terza parte al Comune di Agnino, et l'altra terza parte si applichi alle fortificazioni delle Mura di Agnino, et se la persona ferita tanto per le dette percosse, ò alcune di esse, quanto per qualsivoglia altro motivo, il detto percuziante sia condannato pella testa, e s'eseguisca talmente che muoia.



8 Della pena di quelli che minacceranno et percoteranno alcuno con legno ò altra cosa

Se qualche persona con animo adirato piglierà una pietra, legno, toppa, ò altra cosa simile, et quello non tirerà, ma minaccerà contro alcuna persona, ovvero porrà mano à un Coltello, ò Spada, e non la sguainnerà paghi per pena per ciascheduna volta, Soldi Venti Imperiali, ma se tirerà contro alcuna persona, qualche cosa delle soprariferite, e non percoterà, ovvero sguainerà un coltello, e non percoterà, paghi Soldi Quaranta Imperiali per ciascuna volta, se percoterà ò farà sangue, e la percossa o ferita non sarà grande, paghi per ciascuna volta Lire Cinque Imperiali, e più o meno à arbitrio de Consoli et Consiglio del Comune d'Agnino, sempre havendo rispetto alle persone e qualità del fatto, et al modo della percossa, dalla quale uscirà il sangue, la quale pena si applichi come sopra.



9 Della pena di quelli che minaceranno alcuno con la mano o col piede

Se alcuno minaccerà alcuna persona con le mani, ovvero coi piedi, e non lo percoterà, paghi per ogni volta Soldi Dieci Imperiali, ma se lo percoterà nella faccia, paghi Soldi Cento Imperiali, e se altrove Soldi Venticinque Imperiali, purchè non habbia fatto sangue, e se haverà fatto sangue, si punisca e paghi conforme nelli soprascritti statuti si contiene, et la pena si applichi come sopra.



10 Della pena di quelli che dicessero parole ingiuriose

Ogni persona che dica parole ingiuriose, come “tu menti”, “tu sei un testimonio falso” tu sei un becco”, ò “tu sei puttana”, ò simili parole brutte paghi per ciascuna volta Soldi Dieci Imperiali, se rimprovuererà à alcuno qualche omicciolio, furto, tradimento, ò assassinamento paghi Soldi Cinquanta Imperiali da applicarsi come sopra e se rimprovererà a qualcheduno qualche percossa perda Soldi Dieci Imperiali, e se dirà, più non dij il vero, perda Soldi Dieci.


11 Come debba essere creduto alla persona percossa con suo sacramento

Se qualcheduno sarà percosso da alcuna persona di notte, ò di giorno, et dalla percossa ne sarà uscito sangue, ovvero sarà stata molto livida e questo non Li potesse portare per testimoni, Li creda alla persona percossa con Suo giuramento di ogni persona dalla quale sarà detto essere stato percosso, come se legalmente per testimoni o per confessione, fosse stato percosso, e così si punisca, ma se la persona percossa havera accusato falxamente qualcheduno, e questo si possa provare, paghi Soldi Cento Imperiali. La terza parte della quale pena sia pagata alla Camera di Fosdinovo, l'altra seconda terza parte al Comune e l'altra ultima terza parte si applichi alla fortificazione della Terra di Agnino, e niente di meno si proceda sopra la predetta cosa, ad arbitrio dei sopradetti Consoli, e Consiglio, in credere e non credere, havendo riguardo alla qualità delle persone.




12 Della pena di quelli che ponessimo fuoco nel bosco.

Chiunque porrà fuoco nel bosco del Comune di Agnino, senza licenza de Consoli et Consiglio di detto Comune, se sarà fatto danno paghi di pena Soldi Quaranta Imperiali, et emendi il danno a chi avrà porto il fuoco à territorio d'altri, ò possessione, paghi di pena Soldi Venti Imperiali, e per ciascuno e ciascuna volta, et emendi il danno, se questo non fosse fatto di volontà al padrone del quale è il territorio ò la possessione, la metà della detta pena si aspetti al Comune e l'altra metà ai Consoli.




13 Che si rimetta la quarta parte della condannazione.

Chiunque pagherà la pena ò condannazione fra dieci giorni, dal dì di detta condannazione, gli si rimetta la quarta parte della pena, ò Condannazione, e se non pagherà infra il detto termine sia tenuto a pagare tutta la pena, e condannazione.





14 Della pena di quelli che bestemmiano Dio e li Santi.

Chiunque bestemierà Dio, la Beata Vergine e li Santi paghi di pena Soldi Quaranta Imperiali per ciascuna volta e nella medesima pena incorra colui che farà lo piede al Cielo, a Dio, la Vergine Maria e Santi, e se dirà in collera che la Terra di Agnino sia bruciata, sconfitta m ò simili parole, ò la bestemierà paghi Soldi Dieci Imperiali , se di questo sarà accusato, et denunciato, la terza parte della quale pena si aspetti al Comune, l'altra terza parte all'accusatore, e l'altra a li Consoli che per li tempi saranno.




15 Della pena di chi portasse biade o ballasse in Chiesa

Nessuno ardisca o presuma di tritare biade ò lavorare nella Chiesa di Agnino, o porre in quella qualche cosa che l'occupasse, ò in quella ballare, lotta, pena di Soldi Due Imperiali, per ciascuna persona e ciascuna volta, e niente di meno sia tenuta levare, quello che in detta chiesa fosse stato fatto e posto subitamente sotto la pena soprascritta, la qual pena sia della detta Chiesa.



16 Della pena di lavar panni alla fontana.

Nessuno ardisca, ò presuma lavar panni brutti nelle fonti; cioè nella Fonte di Agnino, nella Fonte di Canneto, nella Fonte di Montecorto, nella Fonte di Scarri, ed ancora nella Fonte di Vigiano, e Piazza, e in quelle porre bruttezza alcuna, ò panni sotto pena di Soldi Cinque Imperiali, della quale pena una parte sia del Comune, la seconda dell'accusatore, e la terza de Consoli per ciascuno e ciascuna volta, eccetto ò che possa lavare nelle dette Fonti in Catini, et altri vasi, e ciascheduno possa accusare e si creda al suo Giuramento senza altre prove.




17 Della pena di chi mandasse acqua in altra via che di dove dovessi andare.

Nessuno mandi, o in alcun modo devij l'acqua e la mandi in altra parte, ò luogo per il quale non debba ire, sotto pena di Soldi Cinque Imperiali, ma si provegga per li tre buoni Huomini del Comune di Agnino, e si stia alla loro promissione, e sentenza, e chi contrafarà cada nella prescritta pena et emendi il danno che sarà nato per la cagione della detta acqua a colui che havrà ricevuto tal danno e similmente s'intenda di qualsivoglia strada, tanto del Comune di Agnino, quanto di qualsivoglia altra persona non ostante qualunque pretensione.



18 Della pena di quelli che non guardassero le feste

Nessuno della Terra di Agnino, quanto forestiero, passante ò nella detta Terra, ò nel suo distretto, ardisca o presuma lavorare o far lavorare nei giorni di Domenica sotto pena di Soldi Venti Imperiali, per ciascuno che contraverrà , e per ciascuna volta; nella festa dei Dodici Apostoli, di San Michele Protettore della Terra di Agnino, nelle quattro festività della Madonna, nelle feste de quattro Evangelisti, nelle feste di Pasqua, della natività di Nostro Signore, Epifania, Resurrezione, Pentecoste, Corpus Dominj,Ascensione, e nel giorno di Ognissanti, sotto pena di Soldi Dieci Imperiali, per ciascuno e ciascuna volta, quali pena spetti alla Chiesa di San Michele di Agnino,e che al Parrocchiano, ò Rettore di detta chiesa sia tenuto riscotere detta pena, ò condannazione, e quelli i quali cascheranno in detta pena, ò condannazione, non possa il detto Rettore ò Parrocchiano cassaglierla ò donargliela, sotto pena, sotto pena di Soldi Venti per ciascuno e ciascuna volta. La quale pena sia all'Opera di San Michele, e che l'operaio di detta Opera sia obbligato riscuotere detta pena, ò condannazione, dal detto Rettore e convertirla in utilità maggiore alla detta Opera.




19 Della pena di quelli che facessero furto da cinque lire in giù.

Se alcuno commettesse ladrocinio di giorno nella Terra di Agnino, ò nel suo distretto di qualche cosa, di valore di un Soldo, ò più, infino a Soldi Cento Imperiali, paghi per pena, ò tanto Soldi Due Imperiali per ciascun soldo che sarà rubato, ed emendi il danno nel doppio, ma se haverà rubato di notte, sempre si punisca nel doppio, non pagando però la somma di tutti i Soldi Cento Imperiali, et per il primo furbo nei quali casi habbino luogo le predette cose e dove li precedesse a pena pecuniaria, et il danno havesse comodità di pagare dette pene, la terza parte sia della Camera di Fosdinovo, la seconda terza parte sia del Comune, et l'ultima terza parte si applichi alla fortificazione de muri del Comune di Agnino.




20 Della pena di quelli che facessero furto da cinque lire in sù.

Se alcuno ruberà in Agnino ò nel suo distretto il valore di Soldi Cinque Imperiali, ò da lì in sù, paghino lire Dieci Imperiali, se stia all'arbitrio del Consiglio di Agnino per la pena pecuniaria, ò personale, e principalmente quando tale Danno fosse di vile condizione, e non potesse pagare pena necessaria, si deva scopare per la terra e Castello d'Agnino per il primo furto che fosse da Dieci Soldi Imperiali in sù, infino alla detta somma di Soldi Dieci Imperiali, ma se alcuno commetterà due furti, che paghino la somma di lire Dieci Imperiali, allora gli si deva tagliare la mano nella quale ha più forza, e separarla dal braccio, e se varrà più di Dieci Lire Imperiali personalmente provvedendo per due furti, possa essere condannato alle forche, et sia sospeso in quelle, talmente che muoia, ma se alcuno commetterà un sol furto di valore di Dieci Lire Imperiali, ò più infino in Lire Venticinque, e non più criminalmente procedendo, gli si cavi totalmente dalla testa l'occhio destro, ma se sarà il detto furto di valore da Venticinque Lire Imperiali in sù, allora s'impiccha, talmente che muoia, se non fosse Donna però , nel qual caso dove il maschio lì deve sospendere, et impiccare in casi soprascritti, la Femmina si deva abbrucciare talmente che muoia, e le presente cose, habbino logo dove si procedesse à pena corporale per il Consiglio del Comune di Agnino, ma se si procedesse a pena pecuniaria, deva haver luogo il soprascritto Statuto, e nei casi dal detto statuto nominati e se la persona che commetterà il furto, non havessi che pagare, si possa punire secondo la forma del presente statuto che di questa cosa parla, se qualcheduno commettesse furto come sopra si contiene, e dovesse per quello essere punito alla morte, et non potesse essere preso, che tutti i suoi beni mobili e immobili si devino applicare, cioè, una parte alla Camera di Fosdinovo, l'altra seconda parte al Comune di Agnino, e l'altra ultima parte alla fortificazione delle muraglie di Agnino et li detti beni scontare di il detto furto a quella persona che sarà stata rubata, et in tutti i casi soprascritti il ladro sempre sia obbligato emendare il danno, à chi l'avesse patito.




21 Della pena di chi ruberà polli

Se alcuno sarà rubato di giorno nella Terra, ò distretto d' Agnino Galline , ò Polli di qualsivoglia sorte, sia condannato et punito in Soldi Cinque Imperiali, ma se sarà di notte, allora si punisca in soldi Dieci Imperiali, la metà della quale pena sia al Comune, l'altra sia da Consuli et sempre emendi il danno.




22 Della pena di quelli che uscissero per altrove che non per le porte.

Nessuno possa entrare e uscire per il muro del Castello, o per altro luogo della detta Terra, fuor'chè per la porta, sia punito nella pena di Soldi Quaranta Imperiali se sarà di notte, e Soldi Venti se sarà di giorno, la terza parte della quale pena spetti alla Camera di Fosdinovo, l'altra seconda parte alla fortezza di Agnino, e l'ultima terza parte al Comune di Agnino.




23 Delli minori che facessino contesa insieme

Li Putti che faranno questioni fra loro e s'ingiurieranno l'un l'altro, siano puniti à arbitrio de Consoli, Offiziali e Consiglio della Terra d' Agnino, e similmente le femmine minori, intendendo solamente de minori di Quattordici Anni.




24 Della pena di quelli che percotessino gli Officiali

Se alcuno batterà o percoterrà il Corriero con effusione di sangue, paghi Soldi Cento Imperiali, da applicarsi come sopra, ma se non haverà fatto sangue, paghi Soldi Quaranta Imperiali,e del Corriero s'intenda quando per cagione del suo Offizio, sarà comodamente, ò altra casa, in quel tempo solamente, e se percoterà i Consoli ò altri Officiali del Comune d'Agnino, con effusione di sangue, paghi lire Dieci Imperiali, e se non haverà fatto sangue paghi Soldi Cinque Imperiali, e le predette cose abbino luogo oltre l'altre pene contenute nello Statuto d' Agnino, delle quali non siano assoluti, et da predetti Officali s'intenda quando saranno nella (vedi pagina 30)
.... Offizio e nell'esercizio del loro Offizio, et le pene si raddoppino, se si facesse contro il Rettore che per il tempo sarà, la terza parte della quale pena si aspetti alla Camera di Fosdinovo, la seconda terza parte al Comune, e l'altra ultima terza parte alla fortificazione d'Agnino.





25 Della pena di quelli che andranno al letto di alcuna Donna

Chiunque andrà al letto di qualche Donna per conoscerla carnalmente sia condannato a Lire Dieci Imperiali, se però non fosse Puttana, ò sua Concubina, nel qual caso sia punito in meno à arbitrio da Consoli, Officiali et Consiglio del Comune d' Agnino, e se alcuno con insolenza cognoscerà alcuna donna maritata, sia punito in Lire Cinquanta, e la terza della pena sia alla Camera di Fosdinovo, la seconda al Comune d' Agnino, e l'altra alla fortificazione di detto Comune d'Agnino, e se alcuno conoscerà carnalmente alcuna donna maritata, Lei conserziente, sia condannato in Lire Cinque Imperiali, havendosi riguardo alla qualità della Donna e condizione, da i Consoli e Consiglio della Terra d' Agnino, e se alcuno vorrà sforzare, ò far forza, cognoscere fuor della casa et habitazione alcuna donna maritata, e quella getterà per terra per la medesima causa, nondimeno non li sarà conosciuta cada in pena di Lire Venticinque Imperiali, se alcuno per insolenza, cognoscerà qualche donna vergine, ò vedova, ò vero che fossi tenuta vergine, sia condannato in Lire Sessanta Imperiali, e sia tenuto pigliarla per moglie, havendosi nondimeno riguardo alla qualità della donna per i Consuli e Consiglieri del Comune d'Agnino, se il Padre cognoscerà la figliola, il fratello, ò la sorella, il zio, ò la nipote, si debbino abbrucciare, talmente che muoiano, se un parente cognoscerà un altro parente, il compare la compare, siano puniti in Lire Cinquanta Imperiali come sopra.





26 Della pena di quelli che portassero insulti in casa di persona

Se alcuno farà insulto in casa di qualcheduno armato perda lire venticinque imperiali, e se senza arme perda lire Dieci imperiali, e se di notte sarà fatto l'insulto, nell'uno e nell'altro caso paghi il doppio al bando, della quale pena una terza parte spetti alla Camera di Fosdinovo, la seconda oparte al Comune di Agnino, l'ultima terza parte alla fortificazione del Castello di Agnino.





27 Della pena di quelli che non corressino al rumore o suono della campana

Qualsivoglia persona d'Agnino e suo distretto, habile a portare arme, sia tenuto ire et correre à qualsivoglia rumore, ò grido per il quale si facesse suono di campane nella Terra d' Agnino, et à qualsivoglia questione che nascesse tra gli Huomini D'Agnino, et a qualsivoglia abbrucciamento nella Terra D' Agnino ò distretto in qualsivoglia modo, di giorno, ò di notte, sotto pena di Soldi Quaranta Imperiali, da applicarsi come sopra.




28 Del ladro forestiero che ruberà alla Terra d' Agnino

Stabilirono et ordinarono che se alcuna persona forestiera ruberà insolentenmente ò fraudolentemente di nascosto, ò palese alcuna cosa, da qualsivoglia persona nella Terra d' Agnino, ò nel suo distretto, come dire Bestiami, Legna, ò qualsivoglia altra cosa, di che condizione fosse et di comune stima, di Soldi Venti Imperiali, et più se sarà di giorno paghi per pena Lire Dieci imperiali, e sempre emendi il danno, e questo statuto habbia luogo (parola illegibile) quando le predette pena trapassino le altre pene di sopra contenute negli statuti di subamenti, e se non trapassino, segua, e deva seguire, secondo la forma degli altri statuti, che trattano de' furbi.




29 Della pena di quelli che entreranno a dar danno in possessione d'altrui.

Se alcuna persona tanto della Terra di Agnino, quanto forestiero, entrerà nella possessione di alcuno, senza rigore, di ragione e forma, e in quella farà danno, e guasto, ovvero la chiamerà sua, cada in pena di Lire Dieci Imperiali, con l'emerdazione del Danno, la qual pena spetta alla Comunità di Fosdinovo, cioè la metà, e l'altra metà al Comune di Agnino.





30 Della pena di chi muoverà i termini


Item statuirno et ordinorno, chè se alcuno fraudolentemente muoverà i termini nei confini della Terra, in luoghi, case, ò altri poderi di qualsivoglia sorte, sia condannato in Soldi Cento Imperiali, e sia rimesso il termine, e s'intenda il detto termine mosso dal vicino che ha terre in quei confini, dove si dice il termine essere stato mosso, e se negherà in giudizio non aver mosso il detto termine, né alcuno di suo comandamento, né di suo sapere essere stato mosso il termine sopradetto, se l'accusatore proverà e dirà il termine essere stato mosso, si rimetta in quel luogo di dove dirà essere stato mosso.





31 Di quelli che daranno aiuto a chi havesse bando

Item se alcuno darà giovamento a qualche bandito del Magnifico e Generoso Marchese , il signor Gabriel Malaspina Marchese di Fosdinovo, e di Agnino, che fosse condannato per qualsivoglia causa dai soprascritti luoghi, e lì desse addito à fuggire, ò impedisca li Consoli di detta Terra, ò gli Offiziali famigli, messi, ò gli Huomini di quella, ò alcuno di loro, quando gli stessi Consuli, ò Rettori andassino, ò mandassino cercando, ò à pigliare, ò in qualsivoglia modo preso, ò da pigliarsi, daranno aiuto, e cagione di fugire, acciocchè non siano pigliati, ovvero li ricercheranno, per qualunque bandito, ò condannato sia punito nella pena ciascuno che contravenissi, di Lire Venticinque Imperiali.








LIBRO TERZO

Rubrica del terzo libro



Del modo di far la citazione e rendere ragione

Statuirno et ordinorno che se alcuna persona sarà citata per il messo della Corte del Comune di Agnino, personalmente, ò a casa e non comparirà alla pena ordinatali per il detto messo, a qualsivoglia istanza dell' Attore, possa il detto Attore accusare il Reo contumace passata l'hora ordinatali per il detto messo, e tanto s'intenda dell'Attore quanto del Reo, e si seguiti la ragione all'attore, contro il Reo, e si commetta al detto messo, che comandi al detto Reo contumace, che paghi il detto Attore, infra di dieci prossimi futuri, sotto la pena del Latio, e se il Reo citato comparirà all'ora ordinata, e confesserà il debito ordinatogli, dall'Attore, allora si comandi al detto Reo che paghi il detto Attore infra il termine soprascritto, e se nel detto termine il Reo non pagherà l'Attore , allora s'assegni all'Attore tanti Beni del Reo, che importi la somma del debito e le spese della Corte fatte in detta Causa, fattasi stima per i Buoni Huomini, e stimatori d' Agnino, quali stimatore devono riferire à i Consoli la stima fatta da loro sopra i Beni del detto Reo, e s'assegni termine di tre giorni al detto Reo, di poterli recuperare, e se non li recupererà, e non pagherà detta tenuta di beni nel termine ordinato, allora si dia detta tenuta di beni in pagamento all'attore, nel primo Decreto, e si faccia il detto Attore un istrumento di pagamento, e per il messo pubblico si metta in possesso ne i beni di detto Reo, ne poi il detto reo possa essere più udito in giudizio per tal causa, ma se il Reo di ragione vorrà negare il detto delitto domandatogli per l'attore, et dirà non essere giusto, et ingiustamente haverlo domandato, prima che sia udito in giudizio, il Reo rifaccia all'Attore tutta la spesa fatta, et di poi si comincii a contestare la lite, e procedere secondo gli statuti; se l'attore; se l'attore proverà che il Reo sia suo ovvero delibera, e che giustamente l'habbia dimandato per contratto ò per testimoni, ò per Huomini degni di fede, allora si dia il possesso all'attore, della tenuta de beni di detta sentenza; se il reo fosse citato dall'attore per il Corriero della Corte d'Agnino, et il citato reo non fosse in casa, nè nella Terra, del distretto d'Agnino, ma fosse nel Vescovato di Sarzana. Li sia dato un giorno di termine da contarsi dal giorno della fatta Citazione, di poter venire al giudizio avanti che sia contumata; e se fosse fuori del Vescovato, li si dia termine secondo la distanza dal luogo di dove sarà per li Consoli d'Agnino.





2 Che non si litighi delle cose piccole

Che nessuno possa dar libello di cosa piccola, cioè da lira dua in giù, sotto pena di Soldi Dieci Imperiali da applicarsi al Comune e Consoli D'Agnino, ma si creda all'attore con il suo giuramento, ò per testimoni degni di fede, ò per altra prova, e si faccia ragione in ogni miglior modo.




3 Del modo si debba pagare il Creditore

Item statuirno et ordinorno, che nessuno, tanto della Terra, quanto forestiero possa pigliare, ò far pigliare cose immobili in pagamento di debito, à qualsivoglia debitore del Comune d' Agnino, infino che il detto debitore habbia beni mobili, eccettuati il seme delle biade, li harmi degi huomini, i vestiti delle Donne, piastre delle case, giogo , vomere, aratro; se non si ritroveranno cose mobili nella casa del debitore allora possa il creditore pigliare da beni immobili a suo piacimento.




4 Della pena di quelli che dicessero contro il Comune e sue ragioni

Nessuna persona del distretto d' Agnino, deva allegare, dire, e definire, terminare, sanzionare, et dare contro le ragioni del Comune d'Agnino, e chi contrafarà paghi di pena per ciaschuna volta lire Dieci Imperiali, e quello che sarà stato fatto contro detto Comune, non vaglia né tenga.




5 Della pena di quelli che procurassino per il forestiero

Nessuna persona giurata ò distrettuale del Comune d'Agnino, non possa né deva procurare, ò accocare per alcuna persona, che non faccia fumo nel Comune D' Agnino, sotto pena di Soldi Cento Imperiali, per ciascuno e per ciascuna volta, et quelle cose che saranno state fatte, non valghino, ne si ossegui essino, nientedimeno sia lecito per i Parenti procurare et accocare.




6 Della pena di quelli che procurassino per quelli della Terra

Nessuno del Comune d' Agnino ardisca procurare, ò accocare per alcuno d'Agnino, se non sarà stato richiesto a questo da alcuno di detto Comune, sotto pena di Soldi Cinque Imperiali, qual pena si aspetti a detto Comune et Consoli.




7 Di quelli che succedano ab intestato

Se alcuno del distretto d'Agnino verrà a morte, ò morirà senza far testamento, senza figli maschi, legittimi ò naturali, et restino le femmine di detta parsona morta, devino succedere loro, e se morirà senza figli maschi e femmine, succeda a lui il più prossimo parente.




8 Che il testamento vaglia, benchè in quello non sieno le solite sollenità

Se alcuno farà testamento nel Comune d'Agnino, voglia e tenga, e si deva inviolabilmente operare, benchè in quel testamento non siano le debite volontà di ragione, purchè tal testamento sia stato finito dal testatore.




9 Speggine e sequestri

Se alcuno farà speggine ò sequestri, sopra i beni di qualche persona, che si ritrovino appresso qualsivoglia, sia tenuto, e deva colui che farà fare tal sequestro infra tre giorni, da contarsi dal dì del fatto sequestro, haver fatto la domanda nella Corte d' Agnino, et infra dieci giorni prossimi futuri dal dì della fatta domanda, deva haver procurato il contenuto della domanda, e se non piacerà allora si rilasci il detto sequestro, e similmente se la persona di cui sarà la cosa sequestrata darà manleva dore dovendosi stare in giudizio, et de judicato solvendj allor ancora si rilasci il detto sequestro data cauzione avanti, ò dopo la petizione presa, e di poi nelle cose predette si seguiti secondo l'ordine di ragione nella forma delli statuti d'Agnino.
(non ho riportato il testodei seguenti n.4 articoli tutti scritti in latino)



10 Quod mulierej et insensatj non possunt contrahere sine aliorum consensu.

11 Quod minor XX annij non possuit contrahere

12 De santione sommaria faciemda

13 Quod nulla mulier possuit pervenire ad ereditate






14 Del modo di dare tutore

Provederono et ordinorono che se rimanessino alcuni pupilli, o minori senza parenti, tutori e curatori, che si provvegga per il Comune d'Agnino di un Tutore, et Curatore, ò più, secondo che sarà di bisogno,




15 Degli alberi che pendono sopra le altrui terre

Se i rami degli alberi, tanto domestici, quanto salvatichi di qualsivoglia condizione pendessino sopra la terra d'altri, possi il padrone di detta terra farli levare, o tagliare, sempre, e quando il padrone dell'albero vorrà dà per sé tagliarlo, ò farlo tagliare, senza pena alcuna.




16 Del raccorre i frutti

Item statuirno et ordinorno, che tutte le persone, tanto della Terra che forestieri, devino e siano tenuti raccorre tutti li frutti, Castagne, Ulive, Noci, e Quercie nel Comune et distretto d' Agnino, sotto pena di Soldi Venti Imperiali, e sempre emendi il danno, qual pena sia del Comune d' Agnino.




17 Che nessuno possa piantare alberi presso Horti, Are e Canepari d' altrui.

Che nessuno, tanto della Terra , come forestiero, ò del distretto di detta terra possa piantare, ovvero far piantare, uno o più alberi, e che gli alberi da nascere, deva far pigliare vicino agli Orti, Aie, Canepari d'altrui da braccia otto, sotto pena di Lire Cinque Imperiali per ciascuno che contrafarà, et ciascheduna volta, la quale pena si aspetti al Comune.




18 Delle cose che s'imprestano a figlioli di famiglia

Se alcuno presterà a figlioli di famiglia qualche somma di danari, oro, ò argento, perda tutto quello che gli havrà prestato, se però il detto figliolo di famiglia non negoziasse pubblicamente, ovvero si portasse come padre di famiglia, con diligenza, e quello che impresta haverà tenuto il pegno, lo restituisca al detto figliolo, se gli sarà restituita la cosa imprestata, il detto figliolo di famiglia, havrà dato sicurtà all'imprestante, allora si convenga detta sicurtà, ò mallenadore, e non il detto figliolo di famiglia, riservato ò sempre, quando il detto figliolo di famiglia sarà Padrone e fuor della Podestà del Padre, che allora, et in tal caso possa essere convenuto alla restituzione, della detta cosa imprestata.




19 Della pena di quelli che domandano il debito pagato

Statuirno et ordinorno, che se alcuna persona, tanto della terra come forestiero, dimanderà à altra persona in Giudizio alcuna somma di danari, o poca, à alcuni e che lo sia indebitamente et ingiustamente di che li sarà detto, e riprovato che di tal somma di danari, altra volta era stato soddisfatto, sia condanato il dimandante nel doppio di tutto quello, che ingiustamemente domandasse, la metà della quale somma sia del Comune di Agnino, l'altra metà sia di cului al quale sarà stato domandato tale somma ingiustamente.




20 Che non si possa comprare nel Comune d' Agnino se non da chi governa la cosa

Che nessuno del distretto di Agnino di nascosto, ò palese, ardisca ò presuma comprare , ò acquistare da qualsivoglia del Comune di Agnino, alcuna cosa mobile, immobile, che non sia Governatore di cosa, sotto pena del doppio di detta cosa comprata, e nella medesima pena caschi il venditore, per ciascuno e ciascuna volta, la qual pena sia del Comune di Agnino.




21 Della pena di quelli che si chiamassino le biade per debito

Che nessun creditore, tanto della terra, come forestiero, che dovesse havere qualche cosa da uno, o più del distretto di Agnino, possa apprezzare al suo debitore le biade per qualche denaro, ò denari prestati, ò in qualsivoglia altro modo, sotto pena di Soldi Quaranta Imperiali, per ciascuno e ciascuna volta, e nella medesima pena cada il debitore, ma se il Creditore misurerà à le biade al Debitore, presenti testimoni Grandi, allora sia al Creditore apprezzare le biade al suo Debitore.




22 Della pena di quelli che faranno usura

Se alcuna persona tanto della Terra, come forestiero, domanderà qualche qualche cosa da uno del distretto di Agnino, nella qualche cosa sarà cognosciuto essersi patto usuraio, et dimanderà secondo la forma di ragione, non sia udito in giudizio, ne li sia fatta ragione, ma sia condannato nel dopio di detta cosa usuraria, avanti che si parta della Corte, e tal pena sia del Comune.





23 Della pena di chi butasse sassi nella via del Comune

Statuirno et ordinorno, che nessuna persona del Distretto d' Agnino, possa gettare sassi nella via del Comune, e nella via Vicinale, fare alcuna ingombrazione, ò edifizio, ò farlo fare, e s'intenda tanto nella Terra di Agnino quanto negli altri luoghi, sotto pena di Cinque Soldi Imperiali, per ciascuno et ciascuna volta., qual pena sia del Comune, et ciascuno sia tenuto mantenere et salvare vicino alla sua possessione, ò proprietà, i Confini e la Via, sotto la medesima pena da applicarsi come sopra.




24 Della pena di quelli che andassero per le possessioni d'altri

Se alcuna persona del distretto d' Agnino, passasse per possessione d'altri, in qualche tempo , ò se sarà accusato, cada in pena di soldi cinque Imperiali, da applicarsi al Comune d' Agnino per ciascuno e ciascuna volta.


Seguono n. 5 articoli con testi in latino che non riporto.

25 Di prolungar la via del Comune


26 De non turbare possessione posseduta


27 De ferij celebrandis

28 De pena prolibantis pignus correris

29 De pena non observantis praecepta




RUBRICA QUARTI LIBRI

1 Quo suo da proprio damno accusare potuit

testo in latino con alcune parole in italiano


2 Della pena à forestieri che facessero qualche lavoro di legname nel Bosco del Comune

Che nessuno forestiero possa fare alcun lavoro di legname nel Bosco del Comune d' Agnino, sotto pena di Soldi Venti Imperiali, se sarà di giorno, ma se sarà di notte, caschi nel doppio della pena, e si creda ad ogniuno col giuramento.




3 Della pena di quelli che facessero herba in quel d'altri

Se alcuna persona del distretto di Agnino ardischi andare, e fare herba nei luoghi d'altri, caschi nella pena di Cinque Soldi Imperiali, per ciascuno e ciascuna volta, e emendi il danno, la qual pena spetti al Comune.




4 Della pena di quelli che faranno frasche e foglie nel Bosco del Comune

Se alcun forestiero sarà trovato à fare e portar via legname verde, ò seccho , come sarebbe frasche, gromuli, poti, ò ruschi, ò foglie, ò cose simili nel distretto d' Agnino, cada nella pena di Soldi Dieci Imperiali per ciascuno e ciascuna volta, e emendi il danno, la qual pena sia del Comune.





5 Di non entrare negli horti di altri

Nessuno ardisca entrare ne far danno negli Horti altrui, sotto pena di Soldi Cinque Imperiali, se sarà di giorno, e se sarà di notte caschi nel doppio della pena, per ciascuno e ciascuna volta, ò più o meno ad arbitrio de Consoli et Offiziali d' Agnino, quale pena sia del Comune.




6 Di non tagliare alberi d' altri

Nessuna persona non tagli, ne faccia tagliare nel terreno d'altri, albero alcuno, ò più verdi, ò secchi, sotto pena di Soldi Dieci Imperiali per ciascuna albero, emendi il danno, quale pena sia del Comune d'Agnino.




7 Di non condurre Porci forestieri alle quercie del Comune

Se alcuno del Comune d' Agnino condurrà porci forestieri alle quercie del Comune d'Agnino, paghi al detto Comune Soldi Tre per ciascun Porco, ò troia, e per ciascuno che contrafarrà, e per ciascuna volta, quale pena si appartenga al Comune.




8 Del modo di pagare per il bestiame forestiero

Se alcuno forestiero condurrà, ò farà condurre bestiame grosso, ò minuto, nel territorio d'Agnino paghi per ciascun capo di bestiame grosso Soldi Cinque, e per ciascun capo di minuto Danari Sei Imperiali, e per ciascun pastore Soldi Dieci, per ciascuna volta, ma se condurrà detto bestiame grosso, e minuto, per i luoghi che si coltivano, cada nel doppio della pena, e sempre emendi il danno, e la pena sia del detto Comune.




9 Di non condurre porci alle quercie ò cerri del Comune.

Nessuna persona possa in alcun tempo condurre porci, ò troie, ò farla condurre ai boschi fogliati del Comune d' Agnino, dove sono quercie e cerri, sotto pena di Soldi Cinque Imperiali per ciascuno e ciascuna volta, qual pena sia del Comune.


10 De minori di dodici anni che dessero danno a frutti

Se alcuno maggiore di sette anni, minore di dodici, piglierà, ò ruberà due fichi, o altri frutti, di qualsivoglia sorte, paghi per pena soldi Dua se sarà di giorno, e se sarà di notte Soldi Cinque imperiali; ma se sarà di giorno per maneggiare e pigliarsi senza fraude due fichi come sopra, si lasci all'arbitrio de Consoli, quale pena sia del Comune.




11 Della vicenda delle capre

Ciascuno che avesse capre, ò più capre nel distretto di Agnino, sia tenuto et deva detta Capra e capre mandare a vicenda nel Comune, sotto pena di Soldi Dieci Imperiali per ciascuno che contrafarà, e ciascuna volta, re che nessuno possa detta capra, ò capre, ò caprette, mandarle fuori della stalla finchè il Vicendario non le chiami a vicenda, sotto pena di Soldi Cinque Imperiali; e con la detta vicenda deva andare il Vicendario il quale faccia tutte le frazioni del Comune d'Agnino, ma se alcuna capra, ò più morissi sotto la custodia del Vicendario, il quale non sia in fazione, sia condannato ad arbitrio de Consoli e Consigli del Comune d' Agnino.




12 Della vicenda de Buoi.

Statuirno et ordinorno che ogni persona, tanto della Terra, quanto forestiero abitante nel distretto d'Agnino, che ha, ò havrà buoi, e vacche, sia tenuto a mandarle a vicenda, sotto pena di Soldi Cinque Imperiali per ciascuno, ciascuna volta, ma se detta vicenda sarà una gran quantità di buoi, che non si possino governare bene insieme, caso che gli Huomini di Agnino, della Villa Vigiano, e Piazza non fossino d'accordo far detta vicenda, allora devino e siano tenuti rimettere nel Consiglio d'Agnino, e se si possa fare due vicende di detti buoi, e tutto quello, o quanto sarà ordinato, e sentenziato et giudicato per detto Consiglio, siano tenuti, et devino eseguire, ma se alcuno non vorrà i suoi buoi alla detta vicenda del Comune, sia tenuto non di meno far vicenda per un paio di buoi quando gli toccherà la vicenda ordinatamente sotto pena di soldi cinque imperiali, per ciascuno, ciascuna volta, e con la detta vicenda ò debba ire una persona, che faccia tutte le fazioni del Comune d'Agnino, e se per disgrazia morisse qualche bue, ò più sotto la custodia del Vicendario, allora si rimetta all'arbitrio de' Consoli del Comune d'Agnino, e che il Vicendario ò Vicendarij siano tenuti andar, al levar del sole, al luogo che si domanda alla Piastra, sotto pena di Soldi Cinque Imperiali, e tutti devono condurre i suoi Buoi dinanzi il Vicendario, e vicendarij alla Piastra sotto pena di Soldi cinque Imperiali, qual pena sia del Comune.




13 Della pena di quelli che guastassero le chiudende,.

Nessuno del distretto d'Agnino ardisca guastare le chiudende, ò siepe degli horti e degli altri luoghi, dove fossino dette chiudende, sotto pena di soldi cinque imperiali, per ciascuno e ciascuna volta, et emendi il danno, qual pena sia del Comune.





14 Della pena di quelli che quastassino, ò portassino via le chiave, o armatura delle vigne

Nessuno del distretto d'Agnino ardisca. o presuma pigliare e portar via da luoghi d'altri pali, pertiche, et ogni altra sorte d'armature di vigne, sotto pena di soldi cinque imperiali per cioascuno che contrafarà, e ciascuna volta, et emendi il danno, e la pena sia del Comune.




15 Della pena di chi piglierà frutti d'altri

Nessuno del distretto d'Agnino, ardisca dar danno o pigliare frutti, cioè pere, pomi, castagne, fichi, noce, nocciole, e altri frutti di qualsivoglia sorte, negli horti, castagni, e luoghi altrui, sotto pena di Soldi Cinque Imperiali, con l'emenda del danno, veduto di giorno, ma se sarà di notte paghi il doppio.




16 Delle pene di chi entrasse nelle vigne d'altri.


Nessuno del distretto d' Agnino possa entrare nelle vigne d'altri e in quelle darvi danno, cioè, dal primo di agosto al primo di ottobre, sotto pena di Soldi Venti Imperiali, se sarà di giorno, e se sarà di notte cada nel doppio per ciascuno, e ciascuna volta, e emendi il danno.




17 Del danno dato nei Prati d'altri

Qualsivoglia del distretto d''Agnino, che entrerà, ò darà danno nei prati d'altri, con Bestia grossa ò minuta, sia tenuto pagare per ciascun pastore Soldi Cinque Imperiali se sarà di giorno, ma se sarà di notte Soldi Dieci, per ciascuna Bestia grossa Soldi Dua, e ciascuna bestia minuta Danari Tre per ciascuno, e ciascuna volta, e sempre emendi il danno, e la pena sia del Comune di Agnino, e questo s'intenda da Calenda di Marzo sino alla Calenda di Ottobre, e se in altro tempo sarà dato danno in detti Prati, paghi ciascun pastore Soldi Cinque Imperiali, per ciascuna bestia grossa Danari Sei, e per ciascuna bestia minuta Danari Tre.




18 De dannj dati nelle Vigne per alcun tempo

Qualsivoglia del distretto d'Agnino che entrerà e darà danno nella vigna altrui, con bestia grossa, ò minuta, sia tenuto pagare per ciascun Pastore Soldi Cinque, per ciascuna bestia grossa Soldi Dua, e per ciascuna bestia minuta Danari Tre, e sempre emendi il danno, qual pena sia del Comune.




19 De Danni dati ne Campi e altri luoghi seminati.

Se alcuno darà danno ne Campi, e altri luoghi seminati, paghi ne i campi seminati in biade per ciascuna bestia grossa, Soldi Dua Imperiali, per ciascuna bestia minuta Danari Tre, e per ciascun Pastore Soldi Cinque, e sempre emendi il danno, ma se darà danno ne Campi da coltura e t stercorizzati, e negli olivi paghji per ciascuna bestia grossa Un Soldo, e per ciascuna minuta Danari Dua, per ciascun Porco o troia Soldi Dua, e per ciascun Pastore Soldi Cinque Imperiali, e s empre emendi il danno, qual pena spetti al Comune.




20 Della pena di chi tien pecore al mese di Giugno, Luglio, Agosto

Che nessuno di Agnino ò forestiero, possa tenere o far tenere pecore, e capretti nel distretto d'Agnino, cioè, da Calende di Giugno sino a Calende di Settembre, sotto pena di Soldi Cinque Imperiali, per ciascuna persona e ciascun comandamento, fatto per il Consolo e podestà della Corte d'Agnino, sia lecito nondimeno poter tenere un agnello per ciascuna famiglia, e nessuna famiglia possa li detti agnelli mandarli in puppa, ò in branco insieme, sotto pena di Soldi Cinque Imperiali, e la pena sia del Comune.




21 Del tenere i cani legati

Che i cani in tempo dell'uve si tenghino legati, e quante volte saranno accusati, tante volte sia condannato il Padrone del cane per ciascun cane e ciascuna volta, in soldi Dua , se sarà di giorno, e se sarà di notte in Soldi Quattro Imperiali, e emendi il danno, la qual pena sia del Comune.




22 Della possessione comprata da forestieri

Statuirno et ordinorno che alcun forestiero comprerà qualche possessione nel distretto d' Agnino, tanto da quelli della Terra,quanto da forestieri, possa ciascuno del dipartimento di Agnino, che sarà il primo, che sappia che detta possessione sia stata comprata da forestieri, darli, e renderli i sua Danari, cioè, al detto forestiero, quali haveva speso nella detta possessione, ovvero depositarli nella Corte di Agnino fra due mesi, dopo che detto forestiero l'haverà comprata, e se in detto termine di due mesi darà al detto forestiero, quello che haverà speso nella detta possessione, allora sia tenuto consegnare al detto della Terra, ò distretto la detta possessione, sotto pena del doppio che valesse.




23 Come si debbano tenere i libri da mercanti e come se li debba dar fede

Che si debba dar piena fede ai libri da mercanti bene tenuti con alfabeti, giornale, e libro grosso, ben scritto, infino alla somma di Lire Dieci Imperiali, e da diecui lire in su, non gli si dia fede, se non per istrumento pubblico, ò contratto, ò per testimoni idonei, o per altra scrittura pubblica non si provi.




24 Di quello che non si contiene nello Statuto

Che di tutto quello, e quanto non si contiene, e non fossi nello statuto, ò nascesse lite, e controversia fra gli Huomini del Comune di Agnino, sempre possino i Consoli e Consiglio di detta Terra di Agnino sentenziare e giudicare detta lite, e controversia, tante volte quanto sarà di bisogno.



25 Della pena di quelli che, vendono una cosa due volte

Se alcuno venderà due volte una cosa mobile, ò immobile, cada nella pena del Doppio di detta cosa due volte venduta per ciascuno, e ciascuna volta, e sempre emendi il danno.




26 Della pena di chi produrrà falsi instrumenti, ò testimoni.

Se alcuno, tanto della Terra, quanto forestiero produrrà qualche instrumento falso, ò scritta, ovvero testimoni falsi in giudizio, sia condannato in Lire Dieci Imperiali per ciascun istrumento, testimonio ò scrittura, e la pena sia del Comune.




27 Di quelli che vorranno pagare senza le spese

Statuirno, et ordinorno che ciascun reo che sarà citato per il Messo per la Corte di Agnino per commissione de Consoli, ò Podestà ad istanza dell'Attore, e vorrà pagare il suo creditore senza le spese della Corte, allora gli si pigli le spese della Corte, se poi non ricercasse il parere delli tre buoni huomini, e Stimatori del Comune, così eletti, e subito si diano al detto Creditore detti Buoni Huomini, acciòchè stimino tanti peni al detto Reo ascendenti al debito domandato dal detto Attore, e li si consegnino fatta la stima da detti huomini, riservati nondimeno li Peni contenuti nel capitolo del pagamento da farsi.




28 Del Sindacato de li Consoli et Offiziali

Statuirno, et ordinorno che li Consoli, e Notaio, Camarlingo, e tutti li altri Offiziali della Terra d' Agnino, che per li tempi saranno, devano, et siano tenuti rendere buon conto delle cose del detto Comune per loro amministrate nel tempo di loro Consolato à i Consuli nuovi, Camarlingo, et altri Offiziali, otto giorni dopo che havranno finito l loro Offizio, sotto pena di Lire Cinque Imperiali, et havere indicato recenti condannazioni, innanzi che passino detti otto giorni, doppo che havranno finito il loro offizio, si come ancora il mulinaio del Comune di Agnino, la qual pena sia del Comune.



29 Del notaio che facessi instrumento

Statuirno, et ordinorno, che qualsivoglia notaio che haverà fatto qualche instrumento, ò contratto, ò più instrumenti, ò contratti nella Terra d'Agnino , ò nel suo distretto, à qualsivoglia persona del detto Comune, non possa dimandare per ciascun instrumento, ò contratto che valesse da dodici lire in giù, da qualsivoglia persona più di Soldi Dieci Imperiali, da dodici lire in sù, possa il detto Notaio domandare Danari Sei per ciascuna lira.



30 Delle figliole delli homiccidarij

Se alcuno del distretto d'Agnino commetterà qualche homiccidio nel distretto d' Agnino in alcun tempo, e per tal omicidio, li sua penj perveranno alla Camera di Fosdinovo e caso che detto homiccidiale havesse qualche figliolo, ò figliola, si doti le figliole secondo la facoltà della casa del detto homicidiale.




31 Delle dispensazioni alle Doti

Che ciascuno del distretto d'Agnino, che haverà pigliato moglie, caso che detta Donna morisse avanti il marito, allora la metà delle Robe sia del marito, e nondimeno sia tenuto detto marito far dire alla detta sua moglie, delle sue Robi Comuni, un settimo, un trentaesimo, et un annuale.




32 Della sentenza data per li Consoli ò altri Offiziali d'Agnino

Che se alcuno del distretto d'Agnino havrà havuto qualche sentenza, data, giudicata, e definita al banco di ragione per i Consoli, Podestà, e Consiglio del Comune d'Agnino, possa appellare da detta sentenza, infrà il termine di tre giorni, al Magnifico, Generoso, e Potente Sig. Gabbriello Malaspina, marchese di Fosdinovo, et Agnino, e passato detto termine di tre giorni non si possa, ne sia lecito ad alcuno appellare.




33 Che forestiero sia tenuto dare pagatore

Se alcun forestiero dimanderà che li sia amministrata ragione nella Terra di Agnino, contro alcuno del distretto d'Agnino, non sia udito in Giudizio da i Consoli, ò Podestà della Terra d'Agnino, finchè il detto forestiero non havrà dato al Detto della Terra d'Agnino, mallevadore di stare al Giudicato, e pagarlo, et haverà depositato pegno sufficiente nella Corte, se poi detto forestiero non havrà possessione e casa nel distretto d'Agnino




34 Delle estimazioni fatte per il Corriero

Che il Corriero, ò Nunzio della Terra d'Agnino possa stimare senza spesa un danno dato nelle pertinenze di Agnino sino alla somma di Soldi Cinque, e la sua stima si osserverà sotto pena di Soldi Cinque, qualpena sia del Comune.




35 Della pena di chi dicesse parola ingiusta à Consoli
Che nessuno del distretto d'Agnino, ò forestiero, ardisca, ò presuma dire parole ingiuriose, à Consoli, Podestà, Notaio, et altri Offiziali di detto Comune, sotto pena di Soldi Venti Imperiali, per ciascuno e ciascuna volta, se sarà à banco, se non sarà al Banco di ragione, cada in pena di Dieci Soldi Imperiali, e la pena sia al Comune.




36 Della fola dei Prati di Monted'arco

Statuirno, et ordinorno, che i Prati di Monted'arco, sempre siano, e devino essere ciascun anno folati, e se sarà dato danno ne' detti prati, paghisi per ciascun Pastore Soldi Cinque ciascuna volta, per qualsivoglia bestia grossa soldi tre, e per qualsivoglia bestia minuta Danari Sei se sarà di giorno, e se sarà di notte si raddoppi la pena, e che a detti prati nessuno possa condurre Buoi fuggiti, sotto pena di Soldi Dieci Imperiali, per ciascuno e ciascuna volta, se non in tempo del fieno, et a sua propri prati, in ogni tempo possa condurre buoi fuggiti.




37 Del modo di folare i luoghi

Se alcuno vorrà folare alcun luogo, o mettere, i porci sola paghi un soldo per far scrivere detto luogo in fola nel libro del Comune d' Agnino, e poi si faccia una grida per il nuncio d'Agnino ad alta voce per i luoghi consueti di detta Terra.




38 Di pigliar brane nella fola del Comune

Se alcuno del distretto d'Agnino, vorrà pigliare qualche brane, ò più, Cerri, ò Quercie per le case nella fola del Comune, sia tenuto chiedere licenza a i Consigli di detta Terra, e quando li sarà concesso paghi per ciascuna brana Soldi Cinque al detto Comune, e se taglierà senza licenza di detti Consigli cada in pena di Soldi Venti Imperiali per ciascuno e per ciascuna volta, e sempre emendi il danno, e per fare un'Antenna paghi Soldi Cinque per ciascun piede di cerro, con licenzia però come sopra.




39 Della fola de Boschi, quercie e Cerri

Item statuirno, et ordinorno, che i Boschi di Quercie, e Cerri del Comune d'Agninon sempre siano folate, e se qualcheduno darà danno ne detti boschi così folati cada nella pena di Soldi Venti per ciascun piede di quercia, ò cerro grande, per ciascun piede piccolo di quercia, o cerro Soldi Dieci, e per ciascun danno Soldi Cinque Imperiali, quali pena sia del Comune.



40 Della pena di chi non sposerà la Donna.

Statuirno et ordinorno, che qualsivoglia del distretto d'Agnino che piglierà moglie, deva infra due mesi, sposarla, et dargli l'anello, sotto pena di Lire Venticinque Imperiali, la qual pena, cioè la metà, s'appartenga alla Camera di Fosdinovo, e l'altra al Comune d'Agnino, se qualsivoglia Giovane, ò Donna di che condizione si sia fosse sposata da qualsivoglia huomo, e abbia consentito senza licenzia del Padre, ò sua più stretti Parenti cadano tutte dua nella pena di Lire Venti Imperiali per ciascun di loro, la qual pena sia del Comune.



41 Che la Donna non possono succedere nell'heredità de figlioli

Statuirno, et ordinorno, che nessuna Donna possa succedere nell'heredità de figlioli, e figliole, ma solamente tal Donna habbia l'usufrutto della detta heredità, mentre viverà, purchè serviccita vedovile.




42 Che il forestiero debba essere conosciuto nella Terra d'Agnino

Statuirono, che qualsivoglia della Terra d'Agnino, ò forestiero, possa essere conosciuto realmente, e personalmente, secondo la Carta, ò Carte, e instrumento, et detto da testimonj, et ancora, per causa di mercanzia, et secondo le mircanzie fatte in detto Castello d'Agnino, ò suo distretto, e questo s'intenda tanto delle persone di detta Terra, quanto forestiero.




43 Della pena di chi fosse traditore del Comune d'Agnino

Statuirono, che ciascun traditore, ò sedutore del Comune d'Agnino, sia appeso alle forche, talmente che muoia, e li beni sua si confischino, e si pubblichino, salva la legittima de' figlioli, ò nepoti, e ragioni de' Creditori.




44 Quando li Consiglieri possono rendere ragione.

Statuirno et ordinorno, che li Consiglieri di detta Terra stiano in luogo de Consuli assenti, e in loro assenza possono rendere ragione, e fare comandamenti, e precetti, i quali vaglino come se fossero fatti per li Consuli.



45 Di chi battesse il Padre ò la Madre

Se alcuno in collera percoterà la Madre, ò il Padre perda la mano, e se vorrà ricomprarla paghi Lire Quaranta Imperiali, la metà delle quali pena sia del Comune di Fosdinovo, e l'altra metà sia del Comune d'Agnino.




46 Del modo di pigliare un ladro notturno.

Statuirno, che chi troverà un ladro di notte, o Guastatore preso e trovato nel furto, li sia lecito l'istesso ladro, e guastatore trovato come sopra nel furto, pigliarlo, tenerlo, e percuoterlo, senza alcuna pena; se altrimenti non lo potesse menare, ò tenere, e l'istesso ladro ancora amazzare.




47 Come si debba dar pagatore di non offendere.

Item, statuirno et ordinorno, che se alcuna persona della Corte d'Agnino sarà denunciato alla Corte di temere d'essere offeso da qualcheduno, che il Podestà, ò Console di detta Terra pigli Mallevadori da colui al quale sarà detto di temere, mentre proverà che abbi minacciato il detto denunziante, ò querelante alli Consuli, e sua corte, poiché si devino dare pagatori haventi riguardo alla persona, e qualità del negozio, che se il richiesto non darà detti Pagatori, il primo giorno paghi Lire Cinque Imperiali, e poi similmente si ritenga (in) prigione, finchè habbia dar detti pagatori.




48 Della pena di chi passasse i termini al consorte.

Statuirno, et ordinorno, che se alcuno haverà passato i termini del vicino lavorando, arando, o facendo qualsivoglia altra cosa paghi pertanto per ciascuna volta Soldi Cinque Imperiali, et la pena sia del Comune.




49 Della pena di chi non andrà al Consiglio

Chi non andrà al Parlamento bandito, ò proclamato, ovvero, se ci sarà li partite senza licenza, paghi quattro soldi per ciascuno che contrafarà, la qual pena sia del Comune.




50 Della violazione delle Chiese

Statuirno, et ordinorno, che se alcuno violerà alcuna chiesa del Comune d'Agnino, con effusione di sangue, ò di lame, la facia riconciliare e ribenedire a sue spese.




51 Che il mulinaro sia tenuto dar pagatore.

Che il mulinaro della Terra d'Agnino sia tenuto, et deva dare due, ò tre buoni, et idonei pagatori di pagare et osservare i patti, e Convenzioni del Mulino, et che dia e dar debba detti pagatori il detto molinaio inanzi che pigli il mulino, cioè quando si incanta.




52 Di quelli che vorrano habitare la Terra d'Agnino

Item. Che nessun forestiero possa comunemente habitare nel Comune d'Agnino, se prima non pagherà al detto Comune Ducati Dieci, eccettuati que forestieri che havranno pigliato moglie sopra li beni d'alcuno di detto Comune.




53 Ciascun che incanterà edifizij debba dar pagatore

Statuirno, et ordinorno, che chiunque incanterà fornitori, e tutta l'altre entrate, et Edifizij del Comune d'Agnino, sia tenuto, et deva incontinente dare pagatori idonei a i Consuli della Terra d'Agnino, secondo l'usanza e consuetudine, a secondo che vorranno i Consuli.




54 Del modo di detenere il forestiero legato al terriero

Statuirno et ordinorno, che alcun forestiero sarà obbligato à alcuno della Terra d'Agnino, ò suo distretto, per causa di mercanzia data nel territorio d'Agnino, ò per causa di instrumenti celebrati nella Terra d'Agnino, ò di lasci fatti in detta terra di che condizione si siano possa essere ritenuto realmente, e personalmente per i Consuli et huomini in detta Terra d'Agnino, sin chè sarà soddisfatto al Creditore, e chiunque di detta Terra non seguisse i Consuli, et a quelli non obbedisse in pigkliare detto debitore, cada in pena di Soldi Dieci per ciascuno e ciascuna volta, et i Consuli siano tenuti seguitare detto debitore, dopo che saranno stati ricevuti da i querelanti, sotto pena di Soldi Venti Imperiali, la qual pena sia del Comune.




55 Della prescrizione del Tempo

Nessuna persona, tanto della Terra, come forestiero, che non domanderà il debito ò credito infra dieci Anni, dal di del fatto Credito, non sia udito in giudizio, e così s'intenda tanto del presente, come del futuro, eccetto per il riservato capitolo degli assenti, Pupilli , Vedove, Chiese et hospedali.



56 Della mercede de Consuli et Consiglieri.

Item statuirno et ordinorno, che i Consuli et Consiglieri, che per i tempi saranno, devino tenere per il loro consolato, et Offizio da detto Comune d'Agnino, Soldi Cinque Imperiali.




57 Di chi comprasse una cosa Due Terzi manco di quello valesse

Item statuirono, et ordinorno, che se alcuna persona, tanto della Terra d'Agnino, come forestiera, comprerrà qualche cosa immobile nelle pertinenze d'Agnino, et che si ritrovassi, che detta cosa valessi più due terzi, allora detta vendita non vaglia, e non di meno detta cosa sia stimata per li stimatori del Comune d'Agnino, e quel che sarà stimato per loro, sia tenuto il compratore dare, e restituire al detto venditore intra quindici dì dal dì della fatta stima, e se in detto termine il Compratore non sarà soddisfatto il Venditore, allora la vendita non vaglia come sopra.




58 Del modo di render ragione à uno che havesse pagato un altro

Item, statuirno, et ordinorno, che qualsivoglia del distretto d'Agnino, sarà stato pagatore per alcuno della Terra d'Agnino, et sarà pagato per lui, gli si faccia ragione summaria, e se sarà stato mallevadore per un forestiero, habbia ragione summaria sopra i beni di detto forestiero, che possedesse nella Terra d'Agnino, et ancora i sua Creditori, senza alcuna eccezione di ragione, ò fatto.




59 Della pena di chi portasse arme al Banco della Ragione.

Item statuirno, et ordinorno, che nessuna persona tanto della Terra, come forestiero, ardisca ò presuma portar arme al banco di ragione, e nella casa dove si renda ragione, ò alcuna mazza, ò scura, ò altra cosa offensiva, sotto pena di Cinque Soldi Imperiali, et paghi detta pena inanzi che si parta dalla Corte, e non si possa accostare a detto banco, vicino à un cubito*, sotto la medesima pena, da pagarsi come sopra, sì come ancora nella Chiesa d'Agnino, lancia, e ancora nel Cimiterio, cada nella medesima pena come sopra.

( *Cubito: misura di lunghezza, presa dal gomito alla punta del dito medio. Praticamente: stare ad una distanza di circa mezzo metro dal banco!)


60 Della pena di chi non andasse a seppellire il morto

Item statuirno, et ordinorno, che si deva andare a seppellire il morto nella Terra d'Agnino, ò nelle Ville, alla Chiesa, da uno per famiglia, che lo sappia, sotto pena di Soldi Dua Imperiali.




61 Del modo di comprare, ò vendere case, ò piazze.

Item statuirono, et ordinorno, che ogni persona, tanto della terra, come forestiero, habitante, ò che habiterà nella Terra d'Agnino, ò in qualsivoglia modo vorrà vendere casa, ò Piazza, poste nel Castello d'Agnino. ò nella Villa di detto Castello, sia tenuto, ò deva farne consapevole il suo più prossimo parente, infino al terzo grado, et tal parente possa comprare detta casa, et piazza, doppo

che l'havrà saputo in termine di un mese, ma non di meno tal Casa, ò Piazza si compri per la stima de i Tre Buoni Huomini del Comune d'Agnino, e quel che sarà giudicato, e sentenziato da loro, s'osservi dalle Parti, sotto pena di Trenta Lire Imperiali, la qual pena sia del Comune, e se il detto più prossimo parente non la vorrà comprare, sia lecito al detto venditore darla a chi gli pare, e piace, e à chi la voglia comprare.




62 Della pena di chi palla

Item statuirno, che nessuna persona del distretto d'Agnino, possa Pallare o far Pallare nella Terra, et pertinenze d'Agnino sotto pena di Lire Cinque Imperiali per ciascuno, e ciascuna volta, con Timpano, ò Cetera, e non di meno sia lecito Pallare in detto luogo nel tempo di Nozze, nelle Messe Novelle, nella festa di S. Michele, et S. Colombano, et nella medesima pena caschino coloro,
che porteranno li detti Instrurnenti, se non havranno licenza espressa da i Consuli di detto Comune, la metà delle quali pena sia della Camera di Fosdinovo, e l'altra metà del Comune d'Agnino.




63 Della pena delle condanne del Notaio

Item statuirno, che qualsivoglia notaio, il quale verrà nella Terra d'Agnino à amministrare ragione,
deva havere la metà della pena degli atti della Corte, e la terza parte della Condanna delle accuse sindicate per i sindicci del Comune d'Agnino, così eletti.




64 Che il debitore del Comune non possa incantare edifizij

Item che nessuna persona, che sia debitore del Comune possa incantare, ò far incantare alcuno edifizio del detto Comune, sotto pena di Soldi Quaranta Imperiali, qual pena sia del Comune.




65 Della mercede dell'Opera data

Item statuirno, et ordinorno, che qualsivoglia muratore, legnaiuolo, copritore di case, deva havere dalle Calende di Ottobre, sino alle Calende di Marzo, soldi cinque imperiali per qualsivoglia opera, e dalle Calende di Marzo sino alle Calende di Ottobre, Soldi Sette Imperiali, e qualsivoglia della Terra lavoratore, deva havere in ogni tempo Soldi Quattro, e la femmina Soldi Dua.




66 Del modo di eleggere il Notaio della Corte

Item statuirno et ordinorno, li soprascritti Statutarij, che si elegga ogni anno per i nuovi Consuli et
Offiziali d'Agnino, un Notaio il quale giuri di esercitare bene, e legalmente l' Offizio, et tutte le cose a detto suo offizio appartenenti, sempre con l'honore del Magnifico e Generoso Potente Signore Sopradetto, e Onore e Utilità del Comune d'Agnino, qual notaio sia tenuto e deva porre in scritto tutti li Precetti, Processi, e Atti da agitarsi dinanzi a detti Consuli, ò Podestà, ò Rettore d'Agnino, e quelli scrivere sopra un certo libro, et darne copia, si come ancora dalli Statuti d'Agnino a ciascuna persona, che ci havesse interesse, et la dimandasse competentemente, da moderarsi per i Consuli et Offiziali di detta Terra, ogni volta che sarà di bisogno, et nella finew del suo Offizio lasciare in pura forma, il libro degli atti attipati nella Terra d'Agnino, appresso i Consuli di detta Terra.




67 Del salario, et mercede delle scritture

Il Notaio ò Offiziale d'Agnino deputato à servire, pigli e possa pigliare, dalle scritture da farsi nella Corte d'Agnino, come segue, e non più della limitazione infrascritta , per l'esibizione o produzione di qualsivoglia instrumento ò libello, ò dimanda, Soldi Dua Imperiali.
- Della domanda , Un Soldo
- Per una risposta a bocca, Danari Sei
- Per la contestazione di lite da scriversi in atti, Danari sei
- Per ciascun trimestre esaminato nella Corte, Un soldo
- Per la pubblicazione di qualsivoglia testimone, Un Soldo.
- Per qualsivoglia giuramento, Un Soldo
- Per qualsivoglia comandamento, Danari sei.
- Per cassatura di un comandamento, Danari sei.
- Per copiatura di un comandamento e per qualsivoglia margine di qualsivoglia scrittura, Soldi dua.
- Per una spaggina da sciversi, Soldi Uno.
- Per il deposito da scriversi in atti, Un Soldo.
- Per un instrumento, Un Soldo.
- Per un rapporto del Corriero, Danari Sei.
- Per una licenza di far pegno, Danari Sei.
- Per una sentenza da riferirsi, o per scriversi in atti, Un Soldo.
- Per la tapia (?), cioè per la somma di valore di soldi Dieci e nove, danari per ciascun soldo, da dicianove soldi in su, cioè ciascuna lira, danari Sei.
- Per qualsivoglia instrumento di procura, Dua Soldi.
- Per il compromesso da terminarsi in atti, Dua Soldi.
- Per un appello, Un Soldo.
- Per un termine assegnato, Danari Sei.
- Per ritrovo de Tre Buoni Homini, Un Soldo.
- Per contumacia, Un Soldo.
- Per Protesta, Un Soldo.






68 Delli beni di un bandito reservati

Iten hanno statuito, et ordinato che ogni persona del Comune d'Agnino che havesse Bando per causa alcuna eccetto per Stato e che sua beni fussino confiscati, che in quel caso si habbia sempre, e s'intendino riservati tanti beni di detto Bandezato, che se gli fusse alcuna donna a maritare, che s'aspettasi maritarla, et dotarla à detto Bandizato, che dette donne si possino dotare, con robe competenti, secondo la facoltà di casa.


69 Del modo di fare le denunzie.

Item hanno statuito, et ordinato, che denuntia alcuna di danno dato non si possa fare nel Comune e Corte d'Agnino passato Sei mesi dal dì della saputa scienza di detto danno, et passati detti sei mesi tale denuntia non vaglia, et il denunziante non sia inteso, e che si possa denunziare così, nel danno dato ne beni del Comune, come ne beni di privata persona.




70 Del modo di dare il giuramento per ritrovare il danno dato.

Item hanno statuito, che il Messo quale darà giuramento à stanza d'alcuna persona nel Comune d'Agnino per ritrovare chi havesse dato danno et trovando il danno dante, detto Messo habbia havere per sua mercede Danari Uno per ciascuna persona à cui havesse dato tal giuramento per trovare il detto danno, e non trovandosi dannatore, non habbia havere detto messo cosa alcuna né mercede per ciò.




71 Di quanto habbia a durare una instanzia di ciascuna causa.

Item hanno statuito et ordinato, che ogni instanzia di qualsiasivoglia causa che vertesse dinanzi à Consuli, et Podestà del Comune d'Agnino, duri, et sia duratura per spazio et termine di sei mesi, cominciando dal dì della Domanda fatta, et infrà detto tempo, detti Consuli, e suo Podestà di detta Corte, sia tenuto per sentenza tale causa havere terminata, et sopra quella havere dato sentenza , sotto pena di Soldi Dieci Imperiali, da essere applicata al Comune d'Agnino.




72 Della prescrizione De Debiti.

Item hanno statuito et ordinato, che ogni persona che domanderà Debito alcuno dinanzi à Consoli, ò sia Podestà della Corte di Agnino, che detto debito si possi domandare insino ad anni dieci, allora prossimi avvenire, et tale anno di debito confesso, ovvero comandamento fatto ad alcuna persona per tale confessione, si possi sempre fino a detti anni dieci seguitare, non ostante capitolo alcuno del presente statuto.




73 Di far pagare le pese, et misure.

Item hanno statuito, che qualunque persona , huomini, et Comune, li quali facessino pagare pesa, ò misura agli Huomini del Comune d'Agnino, che detti huomini, Comune di Agnino, la possino far pagare a loro.




74 Che il Forestiero non possi fare denuntia nel Comune.

Item hanno statuito, et ordinato, che alcun forestiero non possi far denunzia nella Terra et Comune d'Agnino.




75 Della pena di chi cogliessi Olive di altri.

Item hanno statuito, et deliberato, che persona alcuna non ardisca, né presumi cogliere olive, ne li ulivi di alcuno, sotto pena di Soldi Dieci Imperiali, la qual pena si aspetti la metà al Comune di Agnino, et l'altra metà alli Consoli.




76 Quando le foglie del Comune si possino cogliere.

Item hanno statuito, et ordinato, che le foglie del Comune siano, et s'intendino essere diffolate (o diffogliate ?) ogni anno, passato il dì di S. Andrea , et che passato tal dì ciascuno del Comune d'Agnino, cioè uno per fumo, ne possi cogliere un balino per dì, chi haverà Buoi, e chi non haverà buoi, carichi quattro per dì, e chi contrafacessi, caschi in pena di Soldi Dieci Imperiali per ogni volta, et più, et manco, all'arbitrio de Consoli, la qual pena s'aspetti al Comune d' Agnino.




77 Di quelli che non possono havere Offizio nel Comune d' Agnino.

Item hanno statuito, che chi havesse Bando di Rubello, ò fussi Percurio, ò sia Falsario , non possi havere Offizio nel Comune d'Agnino.




78 Che le Condannazioni forestiere siano de Consoli

Iten hanno statuito, et ordinato, che le Condannazioni delli Forestieri si spettino, e siano liberamente delli Consoli del Comune d'Agnino che per li tempi saranno.




79 Della preservazione della casa in pagamento.

Ancora vogliono, che nelli pagamenti che si havessino a fare per alcuno Creditore, sopra beni di alcuno Debitore del Comune, et Corte d'Agnino, s'intendino, et siano riservate le case insino che si troveranno altri beni immobili, ò immobili, che non siano diventati per tenore di alcun Statuto in lò presente volume inserto.





80 Che le condannazioni si legghino in Comune inanzi si fassino.

Item hanno statuito et ordinato, che le condannazioni si debbino leggere in pieno Comune, inanzichè le passino, et il dì determinato a leggere quelle, in quello dì, siano fatti comunicare gli Huomini di detto Comune di Agnino, et ogni persona, che sarà chiamata in persona, ò in famiglia, et non gli sarà venuto, non possi allegare eccezione alcuna contro dette Condannazioni passate.

81 Della pena di chi pigliassi un piè, o ramo di castagni

Il copiatore ha dimenticato di elencare il presente articolo, poi accortosi dell'errore lo ha ricopiato in scrittura minuta sul margine del foglio. Così scrive:
Statuirono et ordinorno che ciascuna persona che piglierà o arrigherà un piè di castagni cada e s'intenda d'ogni piè caduto, in pena di Soldi Dieci Imperiali et chi pigliassi un ramo di castagno cadi in pena di Soldi Cinque et in ogni caso emendi il danno, la qual pena sia del Comune d'Agnino.



Con questo ultimo articolo finiscono le norme dello Statuto. Seguono dopo, in anni successivi che vanno dal 1505 al 1723, solo le variazioni alle norme statutarie, riportate da vari notai e le approvazioni con vidimatura del pagamento delle tasse dei Ministri fiorentini alle Riformagioni.
Qui sotto la prima variazione o modifica allo statuto stesso, così è riportato:


In nome di Dio Amen, Adi 24 di Ottobre 1505, indizione nona.

PRUDENTI HUOMINI:
Agostino di Jacopo de Bianchi da Fivizzano
Lazaro di (illegibile) della Piazza di Agnino
Ambasciatori et mandatari, et sindaci del Comune di Agnino della parte di Lunigiana a potere infrà l'altre cose di nuovo fare Capitoli , et Statuti approvamenti a detto Statuto Comune d'Agnino, come dalla loro autorità eseguire, fecono, ordinano, et deliberano gli infradetti capitoli cioè in prima considerando detti Statuti ad uno Statuto posto nel terzo libro al Capitolo...... sotto la Rubrica......
Del modo di fare le citazioni et rendere ragione, et veduto in quello non essere tempo determinato al reo ad potere rispondere all'attore, et si è contra all'attore quando il Reo negassi, et desiderando che per carestia di tempo non si habbia à fare ingiustizia ad alcuno, ordinano et deriberano, et a detto capitolo aggiungono che il reo habbia tempo à rispondere a qualunque domanda di qualunque persona che gli fossi fatta dieci dì dal dì della domanda prossimi futuri; et l'Attore quando il Reo negassi, ò altrimenti opponessi, habbia tempo à provare, et produrre tutte le sue ragioni, dì venti n. 20.
Item fecono, ordinorno et statuirno detti statutarij, che qualunque persona, così di detto Comune, come di altrove, il quale percotessi i Consoli, ò Officiali di detto Comune, in qualunque luogo, ò in qualunque modo, s'intenda essere et sia ipto facto caduto in pena di Lire Dieci Imperiali, per qualunque volta, della qual pena un terzo sia del Commissario di Fivizzano, che quella pena riscoterà, l'altro terzo del detto Comune d'Agnino, e l'altro terzo sia per assegnamento delle mura di detto Castello, et in quello si habbia à spendere, non ostante alcun altro statuto, ò Capitoli in contrario, ò altrimenti disponente.
Ancora al capitolo 70 del terzo libro sotto la Rub.ca Che le condannazioni de Forestieri siano de Consoli, deliberorno et aggiungono, che la metà di dette condannazioni forestiere, siano de Consoli di detto Comune, e l'altra metà del Notaio, ovvero Officiale di detto Comune, non ostante detto Statuto che dà tutte le Condannazioni forestiere à Consoli di detto Comune, Acta fuerunt omnia suprascripta florentiae in Palatio Dominorus, et in Cancelleria reformatio, nunc presentibus Philippo Niccolai Lippi, et Bernardo Miliani Dei notarij pubblicis Florentini testibus.

..........

Per ragioni di spazio, di difficoltà di trascrizione dello scritto in linqua latina riporto solo qualche altra aggiunta :
Ginese di Michele da Canneto Villa d'Agnino Capitanato di Fivizzano mandatario et Sindaco come disse del Comune d'Agnino, con authorità come disse di poter fare nuovi Statuti et volendo sua detta authorità eseguire fece tutte le cose infradette cioè:
In prima il detto Statutario per rimediare che li Consuli del detto Comune d'Agnino i quali sono tenuti rapportare i Malefizij al Capitano di Fivizzano, che si commettono nel Comune d'Agnino, non siano condannati per non rapportare i malefizij, de quali loro non hanno notizia, procedde et ordinò che per l'avvenire i detti Consoli del Comune d'Agnino, non sieno tenuti rapportare alcun malefizio che si commettessi nel detto Comune, se prima non gli sarà notificato dalla persona offesa, et da altri, ...............................................................................

Item acciocchè i beni degli Huomini del Comune d'Agnin, non sieno tutto di per la moltitudine delle bestie che in detto Comune si tengono dannificati, provvedde et ordinò, che da qui innanzi nessuna persona del detto Comune, ò daltrove, ardisca,ò presuma tenere in detto Comune, più che bestie quaranta minute, frà bestie caprine, et pecorine in tutto, sotto pena di Soldi Dieci il paio il mese, la quale s'intenda applicata al detto Comune, la quale sieno tenuti risquotere i Consoli del detto Comune, i quali Danari Sei debbino convertire nel salario del Capitano, e non il altro, sotto pena a detti Consoli se non la riscoteranno di Soldi Dieci per ciascun di loro e per ciascuna volta, et quando nel tornare all'Alpe le dette bestie fussero cresciute, et multiplicate, habbia tempo il Padrone di esse da Calende di Settembre, sino à Calende di Ottobre, à rendere tutto quello che fosse dalle dette quaranta bestie in sù, sotto la detta pena.

Item atteso i danni, quali tutto sui fanno da forestieri nel Comune d'Agnino, et volendo a ciò provvedere, statuì, et ordinò, che per l'avvenire, qualunque persona forestiera, darà danno nella fola del Bosco del Comune d'Agnino, s'intenda caduto in pena di Lire Tre Imperiali, per ciascuna persona e per ciascuna volta, della qual pena la terza parte sia del Capitano di Fivizzano, che la riscoterà, la terza parte sia dell'accusatore, et l'altra terza parte al detto Comune d'Agnino, et sieno tenuti detti forestieri sempre ad emendare il danno a chi l'havessi ricevuto, et questo non s'intenda quando detti forestieri havessino licenza da detti Consoli e dal Consiglio del detto Comune di potere tagliare, et pasturare nella detta fola.
...........................................................................................
Item corregendo il capitolo........... (al n. 62) del quarto libro di detti statuti, sotto la Rubrica “Della pena di chi palla”, ordinò che alcuna persona, così della Terra di Agnino e sue pertinenze, come forestiera, non possa condurre, o condur fare alcuna sorte di instrumenti, ò suoni, come musetti, tamburrini, ò altra simil cosa , pallare ò far pallare in detta Terra d'Agnino, ò sua pertinenze, senza espressa licenza de Consoli di detta Terra, sotto pena di Soldi Cinque per ogni persona che contrafacesse, e per qualunque volta, da applicarsi detta pena come di sopra, et in detta pena s'intendino incorsi li musetti, ovvero sonatori. Che sonassino contro li comamndamenti di detti Consoli, et il presente statuto non s'intenda haver luogo, quando si facesse nozze, et per la festa di Santo Michele, ò Santo Colombano, ò quando si cantassi Messa novella, et per li tre giorni del Carnevale, in quali tempi, et casi, sia lecito far pallare, senza alcuna pena, salvo se alli Consuli, et Consiglieri di detta Terra in detti tempi, et casi per qualunque importanza, non paressi in contrario, che allora sia lecito comandare come di sopra.
I Dei Domine Amen , Anno Domini Nostri Jesus Cristi ab eius salutifera Incarnatione 1525, indizione quarta, Die vero 24 , mensis Octobris.

.................................................................................
Sono presenti i notai Bartolomeo MILIANI DE DEIS e Leonardo de ORLANDIS de Piscia.

Il libro statutario riporta poi le varie modifiche agli statuti e ogni 2 o tre anni riporta l'approvazione per la validità di ulteriori due o tre o sette anni.
..................................................
Alla data del 5 Febbraio 1564 è riportato il presente scritto:
“Congregati alla presentia di me Notaro , et testimoni infratti, et di ordine et commissione de Consoli d' Agnino l'infrascritti Huomini, et persone del Comune d'Agnino, e nomi de quali sono
Gasparo di Spineta da Montunto (leggasi Montecorto, è un errore di trascrizione dall'originale)
Gaspar di Gio. Domenico da Piazza
Consoli.

Spinetta di Gio. Matteo di Agnino
Piero di Serafino d'Agnino et
Vegnuto di Francesco da Piazza
Consiglieri.

Pedrino di Rimodio
Gio. Domenico di Bertagna
Pier Maria di Michele
Pier Angelo di Bernabò
Dal Castello


Santi di Pier Angiolo dal Gropparo
Bernardo d'Agnino
Gio. di Giò Domenico di Mariano
Pierino di Marchetto
Francesco di Donnese
Gio. di Gio. Domenico detto Giò Mengo
Simone di Pieragnolo
Gio. Pedro di Marco
Antonio di Paglino
Giovanni di Christone
Gabbriello di Pieragnolo
Da Piazza.


Giovanni di Santino
Gio. Domenico di Pedro
Guglielmo di Giovanni
Pier Maria di Ginesio
Lorenzo di Sante
Giovanni di Pier Agnolo
Gio. Domenico di Andrea
Giovanni di Cosimo
Mariano di Pierangelo
Barbolo di Zanobinio
Andrea di Gio. Matteo
Marco di Piaggio
Lorenzo di Christoro
Giovanni di Antonio
Pierotto di Agnolo
Agnino di Jacopo
Gio. Pedro di Rimedio
Monello di Bartolo
Pellegrino di Pedrino
Dalla Villa


Gio. Domenico di Pellegrino
Giovanni di Ginesio
Giovanni di Sante
Antonio di Giovanni
Gio. Batta di Bartolo
Dello Scarro


Lorenzo di Cecco
Zamaria di Lorenzo
Da Monteaiuto (leggasi Montecorto)


Gio. Maria di Biagio da Canneto

Tutti del Comune di Agnino e sue Ville, essendo essere più che di dua terzi degli Huomini di detto Comune, et in loro essere ogni autorità di poter fare statuti, et eleggere Statutarij, et ogni altro Negozio spettante al Comune, et Università d'Agnino, et sua Ville, havendo bene considerato alcuni Capitoli, che hanno bisogno di correzione,. et addizione per l'utile e ben vivere degli Huomini, et persone di detto Comune, tutti di un volere per questo Instrumento, et per ogni miglior modo, et per vigore di ogni autorità, à loro in qualunque modo attributa, hanno aggiunto, statuito, et ordinato, et deliberato, come appresso ex prima............................

Seguono alcune variazioni ai Capitoli, fra cui riporto il seguente:

“Item anno statuito, et ordinato, che per l'avvenire non si possa azzuccare Cerri per fare cascare Ghiande, e che ciascuna persona che li azzoccassi caschi in pena di Lire Cinque per ciascuno, et per ciascuna volta, et l'accusatore sia tenuto secreto, et siali creduto, se sarà preso il Giuramento.”
........................
Chiude così il Notaio:
“Et le predette cose hanno fatte, statuite et ordinate, salvo sempre et riservata l'approvazione, et confermazione de Maggiori Signori Approvatori della Città di Firenze, et ad ottenerla, et domandarla, et bisognando avanti loro Signorie statuire, come di sopra, hanno eletto, et ordinato loro legittimo Sindaco, Priore, et Statutario, il Magnifico Tullio Codiponte Dottore di Medicina, figliolo del Magnifico Stefano Codiponte da Fivizzano, habitatore in Firenze, assente, come presente, con autorità di poter sostituire dandogli nelle predette cose quella autorità che ha tutto il Comune, promettendo et obbligando rogato. Acta fuerunt ege omnia Agnini, in Cimiterio Ecclesie Sancti Michaelis presentibus Polo Antonij de Signano habitatore Arlia et Antonio Joanni Petri de Piastrola Villis Fivizzani testibus. Ceridonius Stradella de Pisis rogatus fuit subscriptit, et signus addidit.”

E' interessante questo documento del 1564 perchè ci da tutti i nomi, o almeno di due terzi, dei capofamiglia allora abitanti in Agnino. Siamo così arrivati alla pagina n. 93 dello STATUTO composto di ben 105 pagine.
Seguono poi alcune aggiunte ai capitoli, variazioni e rinnovi dello statuto da parte di Ministri alle Riformagioni fra cui Lorenzo Cantini e Francesco Maria Giuntini.
A pagina 104 è registrata una delle ultime annotazioni così riportante:
“Adi 20 Maggio 1713, Furono pagate al Monte e alle Riformagioni le solite tasse per la futura approvazione de Vecchi Statuti per altri tre anni, da essere cominciati il dì primo Agosto 1712 , prossimo avvenire, e come segue da finire.”
E subito dopo è riportata la presente annotazione:
“Adi 14 Marzo 1719. Estratta la suddetta copia dal suo originale che si conserva nell'Archivio Pubblico delle Riformagioni e concorda salus. Rogato da Stephaneo M. Fabroni I.V.D. Min. Acc. Reformationes Civitatis Florentiae in fidem subscripta at Laudem Dei”

Dobbiamo quindi ringraziare quindi questo funzionario fiorentino, Stefano Fabroni, se oggi possiamo leggere le presenti pagine!
Dopo la nota del trascritore seguono n. 3 approvazioni in vari anni con il pagamento delle solite tasse e l'ultima è del 26 Giugno 1726 con la quale il ministro alle Riformagioni Gaetano Becattini approva per altri tre anni lo Statuto del Comune d'Agnino.
Infine si chiude la copia dello Statuto con le seguenti parole:
LAUS DEO PATRI

°°°°°





STORIA DELL’ ORATORIO DELLA MAESTA’




Parlare della sua fondazione con precise notizie storiche è cosa ardua e devo quindi seguire in parte la traccia delle memorie scritte dal sacerdote Sisto Corsini nel settembre del 1930, allorquando detto oratorio, gravemente danneggiato dal terremoto del 1920, aveva bisogno di riparazioni.
A noi non resta che accettare la quanto mai discutibile traccia storica di Don Sisto Corsini, parroco di Agnino in quel tempo, che riconduceva alla sua famiglia la contesa proprietà dello stesso.
Scriveva dunque il Corsini che, secondo la tradizione orale tramandata fino ad allora, un membro della famiglia Corsini dimorante a Piazza di Agnino, edificò per grazia ricevuta, una maestà dedicata alla SSma Annunziata; cioè ad onore della annunciazione della Beata Vergine Maria. E la edificò in una località di Agnino della " Cuccaletto”.
In seguito, vi fu formato un oratorio mediante ampliamento. Anche oggi l'oratorio, tuttora esistente ma spogliato di ogni arredo, viene chiamato " L' Oratorio della Maestà"; gli abitanti del soprastante gruppo di case sono appellati " I Re della Maestà" ed il detto gruppetto di case è denominato " Ca' di Re":
Continua la nota del Don Sisto Corsini - basandosi su documenti privati- che, in proseguo di tempo, dopo avere formato l' oratorio predetto, un tale Corsini Gasparo figlio di Paolo da Piazza di Agnino, vi fondò un beneficio di giuspatronato mediante Rogito del notaro SER ANGELO VISDOMINI di ARCOLA (Cancelliere del Vescovato di Sarzana) in data 6 Giugno 1444, sotto il pontificato di Sisto IV.
Compartecipe alla fondazione di detto Beneficio ed al giuspatronato era anche un tale Bernardo di Medin Martelli (famiglia spentasi da molti anni).
Nel 1642 più non esisteva traccia di tale rogito di fondazione, come risulta da uno scritto del sacerdote Giovanni Andrea Corsini da Piazza di Agnino, discendente dalla linea di Corsini Gasparo, fondatore del Beneficio.
Però in data 12 o 22 gennaio 1642 la curia vescovile di Sarzana, in una controversia sorta e durata quattro anni fra il sacerdote Gian Domenico MARTELLI , parroco in Canneto, ed il sopracitato sacerdote Giovanni Andrea Corsini, si pronunciava e sentenziava per iscritto che la cappellania del Beneficio della SSma Annunziata al Cuccaletto di Agnino, spettava di diritto al sacerdote Andrea Corsini: "quale vero e diretto discendente di Gasparo fondatore. In un altro documento del Giovanni Andrea Corsini si apprende anche che Monsignor Vescovo "concedeva 40 giorni di indulgenza a chi, confessato e comunicato, visitava detta cappella."
Fra chi ha goduto del beneficio della SSma Annunziata si sa che nel 1577 l'ebbe il prete Giò Maria Jannetti rettore di Agnino e nel 1609 l' ebbe Spinetta Bravieri, anche lui rettore di Agnino.
Successivamente, un certo maestro Pellegrino di Giovan Martelli della Piazza di Agnino otteneva la licenza dal Reverendo Vescovo di Luni e Sarzana di fabbricare ed erigere nell' oratorio , a sue spese, un altare sotto il titolo ed invocazione di S.Apollonia Vergine Martire della Chiesa, come difatti lo fabbricò.
Con pubblico istrumento del II novembre 1684, rogato dal notaro Giò Battista Santi di Fivizzano datò detto altare ed impegnò al medesimo "in perpetuo ed inevitabilmente" "una pezza di terra vignata et alberata" posta nelle pertinenze di Agnino in un luogo detto "sopra Piazza". E lasciò in usufrutto ai figli Giovanni e Battista quel campo, affinché nel dì di S. Apollonia facessero un officio al detto altare "con quel numero di sacerdoti che piacesse a ciascheduno dei chiamati" compresa la "messa cantata" e tutto in favore dell' anima del suddetto fondatore. In seguito, il figlio del predetto fondatore che si chiamava Giovanni, con pubblico istrumento del 20 febbraio 1698 rogato dal Tommaso Rossi di Fivizzano, accrebbe e riunì un altro pezzo di terra "prativa, olivata, castagnata, querciata," posta in luogo detto "Pastena".
All' inizio del secolo XIX erano padroni e successori nell' usufrutto delle terre predette un certo don Lorenzo di Domenico Pinelli di Agnino ed il sig. Andrea del fu Jacopo Corsini; i quali per non dare luogo a litigi, con una scritta privata del 14 novembre 1821 addivennero a dividere in eguali porzioni la terra di Pastena. La parte superiore di detta detta confinante con la strada pubblica e con Luigi Novelli di Agnino e con Pietro Ciabattini di Fivizzano andò al Corsini e la parte inferiore "secondo l' andamento dei termini apposti dal perito Francesco Antonio Bonfigli di Bigliolo" aspettò al Don Pinelli. Cioè quella terra che "confina di sopra colla porzione assegnata all’ annunciato Corsini e da un lato con Luigi Novelli di Agnino e dall’ altro col Bononi di Virolo”.
Aspri litigi si apersero successivamente fra le famiglie Corsini e BARBIERI di Agnino (Questi ultimi imparentati con la famiglia Martelli della PIAZZA). Infatti dopo il 1796, anno della morte di Don Michele Bertoli di Agnino, ultimo cappellano di detto beneficio, si aperse il campo ad una lite lunga e ostinata.
Da una parte stavano Pasquale, Cesare, Giuseppe (figli di Ambrogio Barbieri) e Michele Rossi dello Scarro, che fu presentato dai Barbieri per nuovo cappellano a detto beneficio. Dall’ altra parte stavano Jacopo di Giò Domenico Corsini insieme al figlio chierico:Felice Corsini che aspirava al Beneficio.
In pendenza della lite morì Don Michele Rossi e allora i predetti Barbieri rinnovarono la loro presentazione nella persona del chierico Giuseppe Barbieri,fratello dei primi. Ma dovettero passare molti anni prima che venisse proferita una sentenza.

Nell'Archivio Storico di Massa alla busta n. 163 riguardante le suppliche ho trovato un'esposto al Vicario foraneo di Fivizzano con la quale Domenico CORSINI si appellava contro un precetto ricevuto ad istanza del cappellamo Gio CONTI. Da questa scrittura s'apprende “ del testamento ricevuto dal Tommaso Rossi sotto il 4 marzo 1705 contenente un legato fatto da GIO. di Pellegrino Martelli, e Donna Domenica Barbieri sua moglie all'altare di S.Appollonia eretto nella Chiesa o sia Oratorio della B.V. Maria al Cuccarello d'Agnino, in somma di soldi 900: cioè di soldi 600 dei beni di Gio. e di soldi 300 de beni della Donna Domenica con obbligo al cappellano da eleggersi di celebrare messe cento l'anno....... Morì la Domenica suddetta prima del marito che rimasto erede usufruttuario della stessa non potè Cesare Barbieri prete proprietario venire all'assegnazione de beni per l'importo di detti soldi 300 à tenore del suddetto legato ne alla deputazione del Cappellano per la celebrazione delle messe, ma il suddetto Gio Martelli sopravvissuto alla moglie mutò il suddetto legato da lui fatto nel suddetto testamento del 1705, e di legato o sia Cappellania laicale ne fondò un beneficio semplice ecclesiastico di fondo però minore delli scudi 600 prima assegnati, mentre assegnò tanti effetti per soli scudi 400: et à questo beneficio si pretende esser stato nominato da Gio Martelli, il suddetto Gio. CONTI. Morto finalmente il Martelli suddetto s'è fatto luogo ad eseguire la volontà della Domenica sua moglie con fare l'assegnazione di scudi 300 da essa lasciati all'altare di S. Appollonia, et à deputare il Cappellano, che però Cesare Barbieri suddetto erede proprietario della medesima nominò Cappellano.”
Tralasciamo di riportare integralmente lo scritto dal quale apprendiamo però che il prete CONTI porta la causa nel tribunale di SARZANA ove “cominciò ex integro la causa, et ottenuta la citazione da trasmettersi all'informante di comparire in Sarzana à rispondere alla scrittura da lui presentata per farla eseguire non si servì ne del pubblico Messo ne di veruno dei famigli della Corte, che vanno gli ordini degli illustrissimi Signori della Giurisdizione di non dare citazioni emanate da Tribunali esteri senza le dovute licenze ma richiese il Corriere della Comunità d'Agnino, ch'è un giovanetto contadino et ignorante.”
Il Domenico Corsini chiude l'esposto chiedendo “di non proseguirsi à far atti clandestini in Sarzana che per altro sarebbero tutti nulli perchè senza citazione dell'informante”

Finalmente con sentenza del 28 Marzo 1806 dell'Avv.Piero Barti di Fivizzano) si dichiarava che il "Gius"di nominare al beneficio suddetto spettasse ai predetti Barbieri e perciò venisse investito per Cappellano “il chierico Giuseppe Barbieri ad esclusione del suddetto chierico Felice Corsini e di chiunque altro.”
I Corsini non si davano pervinti e ricorrevano all'Appello con nuovi atti e con nuovi testimoni al primo giudice di appello di Fivizzano.
Infine, sia perché la cosa si sarebbe trascinata troppo per le lunghe, sia per la discrepanza di atti, la famiglia Corsini viene in trattativa.
Animate dalla comune premura di dare al Beneficio un Cappellano e di provvedere alla coltura dei beni "ridotti in uno stato alquanto deteriorato"e di evitare controversie nell'avvenire, le due famiglie si accordano.
Con una scrittura pubblica del 12 Aprile 1808 redatta dal notaio Francesco Bianchi di Fivizzano, si stabiliva che dovesse "essere investito del Beneficio il Chierico Giuseppe Barbieri e nella seconda vacanza del Beneficio derivata dalla morte predetta o da rinuncia o per altre cause, il "Gius" di nominare il Cappellano aspetti intieramente alla famiglia Barbieri; che nella terza vacanza, viceversa, il"Gius" di nominare aspetti intieramente alla famiglia Corsini".
Tale sistema era da osservarsi perpetuamente e concludendo per due volte aspettava ai Barbieri ed una volta ai Corsini.
Si stabiliva inoltre che, nel caso in una delle due famiglie non fossero esistiti individui capaci, l'altra famiglia fosse tenuta a presentare il proprio candidato. I Barbieri si impegnavano inoltre a pagare Filippi diciotto ad investitura del chierico Giuseppe Barbieri.
Lo scrivente ricava queste note da una copia dello scritto pubblico del 1808, redatta in cinque fogli dall'Avv. Dottore Francesco di Angelo Battaglia notaro in Fivizzano, che lo stesso “fece in dì 24 Dicembre1825 per ordine di Andrea Corsini”.
Nel 1826 e proprio in merito alla suddetta scrittura pubblica, la Curia Vescovile di Pontremoli sentenziava e dava la licenza di prendere possesso del Beneficio al chierico Giovanni Corsini, nipote di Felice e figlio di Andrea (essendo vacante per la morte avvenuta il dì 22 Febbraio 1824 del sacerdote Don Ambrogio Barbieri).Vedasi foto:






Nell’estate del 1855 scoppia l’epidemia di Colera che molti morti miete nel fivizzanese e ben 39 registrati in Agnino.
Dopo i primi decessi in casa, il popolo di AGNINO, trasforma in “Lazzaretto” l’Oratorio della maestà come risulta dai registri di morte del Priore Luca Bongi (vedasi il capitolo specifico).




Sicuramente fino al 1878 l’ oratorio apparteneva ancora ai Barbieri, se nel libro delle messe di quell’anno,(trovato fra gli atti dell’archivio parrocchiale) ci sono registrate per il mese di Marzo n. 9 annotazioni “ per la Cappella Barbieri” , n. 3 per il fu Bambini Giovannino, n. 1 per i miei defunti, n. 1 per Dionisio Bertoli; per il mese di Giugno ben 28 annotazioni “ per la Cappella Barbieri” e solo uno per Veschi Raffaele; per il mese di Luglio sempre dell’anno 1878 altre n. 27 annotazioni “per la Cappella Barbieri”, n. 1 per il defunto di Soliera, n. 1 per un ufficio a Posara. Questo numero straordinario di messe ci dall’idea di quanto era sentita la devozione verso i santi dell’Oratorio.

L’ archivio parrocchiale che conserva le relazioni delle Visite Pastorali alla Chiesa di Agnino ed ai relativi Oratori del Cuccaletto, di Montecurto, di S.Francesco allo Scarro, di S.Genesio sempre allo Scarro ci può offrire una bella panoramica sullo stato del nostro oratorio in parola.
Sotto l’ investitura di Luca Bongi, nel 1857, viene in visita pastorale all’ Oratorio del Cuccaletto il Vescovo Michelangelo Orlandi e dopo suddetta visita ordinò
“- che fossero colorite le cornici delle cappelle degli Altari.
-che dentro un anno fosse accomodato il quadro di S. Apollonia.
-che si mettessero le vetrate ad una finestra.
-che di due pianete di seta di sfondo bianco con fiori rossi ne fosse fatta una.
-che di altre due pianete di seta bianca con fiori rossi se ne facesse una.
-che non si facesse più uso di sei corporali.
Il 25 Agosto del anno 1873 fa visita alla Chiesa priorale di Agnino il Sac. Ambrogio Angeli, visita il nostro Oratorio e detta le seguenti disposizioni:
“-Che fosse risanato e migliorato nel miglior modo all’umidità.
-Che fossero colorite le tabelle dell’altare
-Che fosse accomodato il baldacchino che è sopra l’altare.
-Che fossero prese le necessarie misure per riparare sollecitamente il tetto pericolante.
-Che entro un anno fosse rilegato un messale da vivo.
-Che fosse rammendato un manipolo di seta a vari colori.
-Che fossero messi i bordi ad una pianeta a fondo verde
-Che fosse rammendata una pianeta e stola di seta bianca.
-Che fossero messi i bordi ad un manipolo a fondo bianco.
-Che fosse rassettata una pianeta con manipolo a fondo rosso con fiori a vari colori.
-Che fosse messa la croce ad una borsa a fondo giallo.
-Che fosse rammendata una stola di seta a fondo bianco con fiori rossi.
-Che fosse rammendata una borsa di seta rossa.
-Che fosse rammendata una pianeta di colore nero con il suo manipolo.
-Che fossero rammendati tre corporali.
-Che non si usino più quattro purificatori.
-Che fosse invitato il Barbieri a far costare (?) dell’adempimento del Legato di n. 33 Messe all’Altare di S. Apollonia, ed a carico di sua famiglia.”
Passano nove anni e il Vescovo di Pontremoli, Monsignor Serafino Milani, il 23 Agosto 1882 viene in visita pastorale alla Chiesa parrocchiale di Agnino, della quale era investito il Rev.do Don Andrea Giambuti di Filetto e poi “ Visitando il pubblico Oratorio dedicato alla Santissima Annunziata
Ordinò:
“-Che si mettesse la tela d’incerato sulla Pietra sacrata degli Altari.
-Che si facessero rassettare gli Apparati e la Biancheria e si tenessero assestati nei rispettivi cassetti.
-Che si cambiasse una grata al Confessionale e si mettesse sotto o sopra della medesima l’ Immagine del Crocifisso.
-Che si facesse <quam primum> ripassare e coprire il tetto.
-Che dopo sei mesi si facessero dorare un Calice ed una Patena, diversamente restassero interdetti.
Interdisse 6 Purificatori, 5 Corporali ed una Berretta.”

Dopo 12 anni, nei giorni 11-12-13 Giugno 1894 viene in visita alla Chiesa Priorale di Agnino il Vescovo Alfonso Mistrangelo e dopo la visita all’Oratorio della SS.ma Annunziata del Cuccaletto
Decreta:
“ con l’articolo V
Sia fasciata la Pietra Sacra, mutata una grata e posta l’ Immagine del Crocifisso ad uno dei Confessionali, colorita la porta dell’Oratorio, levata l’ umidità dal medesimo, rimendate nella parte anteriore due pianete delle quali una bianca e l’ altra a righe di vari colori.
Articolo VI
L’ interdetta una stola bianca di seta, un manipolo a colori ed una pianeta nera di filo.”
Infine chiude così “Il presente Vostro Decreto sarà conservato nell’Archivio Parrocchiale e incarichiamo il Molto Reverendo Signore Don Paolo Corsini Priore di Agnino a comunicarlo a chi di ragione e a farcene constare l’esecuzione entro sei mesi dalla data del medesimo. Segue la firma del Segretario Vescovile Sac.Andrea Cazzulo.”
Dalle visite pastorali ricaviamo che l’ Oratorio era considerato pubblico, che il corredo cerimoniale era logoro e mal conservato, che il tetto , allora come ora, aveva bisogno di restauri(forse a motivo dei venti che spazzano impetuosi sul crinale), ma più di tutto che nonostante le disposizioni impartite dal Vescovo i preti pro tempore e la popolazione stessa le prendevano con una certa leggerezza.
Probabilmente negli anni di fine secolo XIX il Beneficio rimane assegnato alla famiglia Corsini e fino al XX secolo, forse per mancanza, nella famiglia Barbieri, di candidati alla successione ma sicuramente è mancato a quest’ultima la consapevolezza di conservare la memoria dei propri diritti. Anche se un piccolo diritto aveva mantenuto mio padre, quando ogni anno, dopo la mietitura, accatastava dentro l’ oratorio, ormai sconsacrato, il proprio grano per salvarlo dalle intemperie ed in attesa della trebbia.
Esercitava tale diritto senza chiedere nulla ai CORSINI, ma mai
mi ha lasciato detto di altri diritti; d'altronde l’ oratorio era stato restaurato, nel tetto, dopo il terremoto del 1920 proprio per intercessione della Famiglia Corsini ed i Barbieri da allora se ne erano disinteressati.
Agli inizi del '900, in seguito ai vari lasciti, le terre del Beneficio erano diverse:PASTENA,
TRA LA COSTA, VALDONEGA, MONTANELLO, MARANO, PREDELLA, SCENTONE,
GROPPO CALDO, CAVANA.
Tutte queste terre sono rimaste in proprietà della famiglia Corsini o, dalla stessa, sono state vendute a privati.
I pochi arredi dell'oratorio sono stati venduti ad antiquari. Una tela raffigurante S. Apollonia è stata trasferita in casa Corsini a Piazza di Agnino. Una balaustra con colonnine tornite in marmo bianco di Carrara del primo seicento fu acquistata nel 1967 dal pittore Triani di Pontremoli, allorquando pitturò la Chiesa di Agnino, che poi se ne servì per arredare la sua villa.
E quell'oratorio luogo di devozione e preghiera,poi lazzaretto, ma oggetto di tante discordie, è stato dimenticato e adibito prima a fienile ed oggi è ridotto in uno stato deprimevole con il tetto da riparare e tutto quanto da restaurare se ancora si vuole conservare questo importante bene storico.

=======================================================-
Le condizioni degli agricoltori lunigianesi verso la fine del secolo XIX

Le condizioni di vita degli agricoltori agninesi, subito dopo la seconda guerra mondiale, erano miserevoli.
L’ eccessiva frammentazione della proprietà ( esistevano famiglie di agricoltori che dovevano vivere con una mucca e possedevano poco più di un ettaro di terreno e sempre spezzettato!) non permetteva di produrre un reddito sufficiente per vivere dignitosamente e prosperare.
Non era quindi possibile neanche spendere in beni essenziali, migliorare il decoro della casa e tanto meno effettuare migliorie fondiarie o spendere in beni superflui.
Queste condizioni erano rimaste immutate da secoli, per meglio comprenderle vorrei qui riportare integralmente quanto scritto per la Provincia di Massa – Carrara nella relazione del Commissario Dott. Agostino Bertani, Deputato al Parlamento, per la famosa Inchiesta Agraria del 1883.
Il territorio preso in esame dal Relatore era quello di Pontremoli, allora non ancora attraversato dalla ferrovia, e quindi in una situazione ancora peggiore del Fivizzanese; ma certamente le condizioni del nostro territorio non erano molto dissimili.
“ L’ aspetto delle abitazioni dei contadini nel circondario di Pontremoli è orrido e miserando. Le vie interne dei villaggi sono veri letamai. Spesso sono ricoperte da volte. Gli scoli delle stalle scorrono sul piano stradale, in mancanza di necessari condotti. Attraversando certi centri, come Codolo alla Chiesa, nel comune di Zeri, Bratto e Braia nel comune di Pontremoli, si è colpiti da un senso di ribrezzo. Non par vero che in quei canili, in quegli antri, debbano vivere esseri umani!
Prevalendo il sistema delle mezzadrie, le case non sono di proprietà dei lavoratori. Non mancano tuttavia i contadini piccoli possidenti, che hanno un simulacro di casa loro. Di giornalieri non ve n’ è bisogno nel circondario, e se taluno ve n’ ha, serve i proprietari vicini, sicchè a sera torna per riposarsi al proprio abiuro, che tiene a pigione per poche lire annue.
Il giornaliero è costretto a limitare il proprio alloggio ad una stanza, che funge da cucina e da dormitorio, mentre il mezzadro possiede generalmente una o due stanze per dormirvi, oltre ad un essiccatoio da castagne che gli serve pure da cucina. Questo locale è diviso da un assito, su cui tengonsi le castagne a seccare. In mezzo al sottostante e basso locale si fa il fuoco, e non vi è sfogo al fumo e ai gas della combustione; la porta e la finestra servono da condotti. E’ strano come le faville che ascendono all’assito, non generino mai, o quasi mai, un incendio. Si sarebbe tentati a credere alla Provvidenza!
Le abitazioni dei coloni, provviste dal proprietario del podere, sono generalmente mal costrutte e peggio mantenute; non hanno spesso intonaco né dentro né fuori.
Durante l’essiccatura delle castagne, cioè dai primi di ottobre a metà novembre od alla fine, alcuno della famiglia del colono dorme nel seccatoio allo scopo di controllare il fuoco e di mantenerlo costantemente; non si fanno riunioni nelle stalle essendo queste appena capaci per le bestie.
Nella montagna, ove la pastorizia è l’ industria principale, si abita durante l’ estate in ricoveri avventizi sulle montagne, cioè in capannucce formate da quattro muriccioli a secco, ricoperte con lastre di pietra sostenute da traversi di legno. Appena vi si sta ritti o vi ci si può adagiare.
Le case coloniche hanno un piano terreno ed un piano superiore a soffitta indifeso dalle intemperie; al pian terreno è la cucina o focolare, il vinaio o legnaio o magazzino.
Sulla soffitta dorme il colono colla famiglia, su di un pagliericcio coperto di lenzuoli di tela di stoppa. A Codolo e altrove si dorme vestiti, su sacconi di paglia.
La stalla ed il fienile fanno generalmente corpo colla casa di abitazione. Il maiale è a due passi dal giaciglio del contadino.
A Filattiera v’ è addirittura coabitazione cogli animali: non è raro vedere la camera di un colono essere divisa dalla sottostante stalla con un semplice assito, avente fessure in cui entra la mano intera.
Sul volto del colono si leggono però bene gli effetti di questo stato di cose.
Molte stalle non sono pavimentate, ed il suolo pregno di orina, manda effluvi deleterii: i concimi vi si conservano in un canto, sotto uno strato di foglie.
La casa colonica non ha cessi; la stalla od il campo vicino ne fanno le veci. Di ordinario i maritati stanno divisi dai celibi e le ragazze dai maschi; ma sovente, per la ristrettezza del locale la stessa camera accoglie i genitori ed i figli. Tale promiscuità non influirebbe però, a detta di molti, sulla buona moralità delle famiglie.
Le camere sono di piccole dimensioni sempre, e tante volte appena han posto per un letto o due; una camera di 10 metri quadrati e di 25 a 30 metri cubi è già una camera di media grandezza.
A Codolo ho visto stanze di forse 12 metri cubici. Le finestre sono piccolissime, mai munite di vetrate, sicché per vedervi bisogna esporsi all’aria esterna, oppure ricorrere alla luce artificiale. Figurarsi i poveri ammalati! Il tetto mal difende dall’acqua l’ abitazione; per pavimento un semplice assito o tavolato; per quanto che i coloni possano reclamare, i padroni sono sempre restii alla manutenzione ed alle riparazioni necessarie alla casa mezzadrie, e ciò lo prova il fatto che le case sono sempre in uno stato di deperimento. I proprietari, avendo sempre i mezzadri con loro indebitati, dicono che fanno anche troppo. Del resto, regna fra i coloni una tale apatia che molti non si sentirebbero neppure la lena di reclamare: e anch’essi del resto poco si occupano della nettezza e comodità della casa; quando le intemperie li costringono a starvi rinchiusi, essi passano la giornata al focolare, in un ambiente così affumicato dove un estraneo non reggerebbe cinque minuti, poiché, come fu detto, mancano i condotti del fumo, consistendo il focolare in una piccola stanza coperta da un graticcio, munita di un finestrino, ed avente nel mezzo il posto del fuoco.
Generalmente la concimaia è tenuta sotto le finestre della casa colonica addossata al muro stesso.
Taluni emigrati, rimpatriano con capitali, potrebbero bensì fabbricarsi una abitazione meno indecente; ma pare che qui via sia l’ ideale del lurido, dell’orrido. Ad essi la decenza pare un lusso inutile.” Continua ancora e conclude “ Nell’interesse della pubblica salubrità, il Governo dovrebbe provvedere a che le case di abitazione raggiungano quegli estremi di abitabilità, che la scienza indica e che l’ umanità e l’ interesse pubblico esigono”.
Passa poi ad analizzare gli alimenti e prosegue così:
“Il cibo quotidiano dei contadini nel circondario è il pane di castagne.
Si fa, mescendo in un vaso di legno o di terra una certa quantità di farina (chilogrammi 0,300 per testa circa) con acqua convenientemente salata; si riversa questa poltiglia entro un largo piatto o teglia di terra refrattaria, sul cui fondo furono stese alcune foglie di castagno, e per una altezza di 2 o 3 centimetri. Si pone il piatto sui carboni ardenti, e si ricopre con un coperchio di ugual natura, preventivamente arroventato. Dopo poco tempo il pane è pronto, e consiste in una gran focaccia del diametro di 50 o 60 centimetri, detta pattona.
La pattona si alterna spesso, nel giorno, colla polenta di granoturco o con una grossolana minestra d’ erbaggi schietti o misti a pasta casalinga o di bottega.
Dalla farina di frumento si toglie la sola crusca più grossa. La farina viene impastata nell’acqua, tagliata a forma dei taglierini comunemente noti, che vengono cotti nell’acqua, assieme a patate, fagioli ed erbaggi, e conditi scarsamente con qualche goccia d’olio o un pezzetto di lardo, oppure con un poco di formaggio grattugiato.
Nell’alta montagna, dove abbonda il gregge, la minestra si cuoce a volte nel latte diluito con acqua.
Di rado si beve vino e limitatamente alla zona vinifera. Il companatico più comune è un po’ di formaggio fatto in paese o di baccalà scadente. Di carne bovina non ne mangiano mai o quasi mai. Di rado qualche po’ di capretto o d’ agnello……. La tassa del macinato fu sentita con aggravio dalla più povere famiglie. Una sacchetta di grano resta dimezzata per la parte che spetta alla tassa, al mugnaio e all’ingordigia del mugnaio.
…..Le acque potabili sono discrete, ma soventi volte scarseggiano, specie nei paesi di montagna e nel comune di Villafranca. Si ricorre quindi a torrenti prossimi od a fonti spesso lontane. Nella campagna si vedono sempre donne con vasi di rame sul capo che vanno e vengono per acqua.
Il contadino è relativamente abbastanza pulito negli abiti. Usa generalmente scarpe ferrate, eccetto che d’ estate, e nel lavoro di campagna, dove sta scalzo. Mutasi la biancheria da dosso ogni settimana, la sola camicia cioè, poiché non porta né mutande né calze. Le donne portano zoccoli. La stoffa di cui si veste, sia d’ estate che d’ inverno, ha l’ orditura di filo di canapa (stoppa) e la tessitura di lana di secondo taglia (guaina). E’ questo tessuto che somministra ai telai del luogo il maggior lavoro; ma non essendovi alcuno che alimenti tale industria, resta di meschino profitto e spesso limitasi al servizio della famiglia. Anche la donna usa nell’inverno tale qualità di vestito; nell’estate ricorre ai bordati ed ora incomincia a impiegare il fustagno per l’ uomo; la biancheria è pure di tela di stoppa, filata dalle donne di casa e sovente dalle medesime tessuta.
Nell’inverno il contadino si munisce di una grossolana camiciola fatta a mano dalle proprie donne o comprata al capoluogo, ove sono i fabbricanti di queste maglie e dei tessuti suddetti che sono conosciute col nome di mezze lane o stamine. Le donne vanno sufficientemente coperte d’ inverno; non così i ragazzi, che potrebbero essere meglio riguardati.
Se non fossero gli ostacoli frapposti dal lavoro agricolo e dalle condizioni finanziarie delle famiglie, la scuola sarebbe abbastanza frequentata; vi è chi, seguendo le istigazioni del parroco, non si cura, anche potendo, dell’istruzione dei propri figli; ma d’ ordinario tutti desiderano che il figlio impari a leggere e scrivere.
Non così della femmina, per la quale è comune il pregiudizio dell’inutilità della sua istruzione.
Il campagnolo ritiene la donna in uno stato di inferiorità; crede che ella debba occuparsi solamente delle cure domestiche, dell’ago e delle forbici; non consente di vedersela al fianco pari a lui istruita nella lettura e nello scrivere. Anche in famiglia, se riceve un amico, desina spesso senza le proprie donne……
In campagna non esistono scuole serali e domenicali. Reggono appena le scuole obbligatorie……
La ripugnanza contro l’ obbligo militare si palesava vivacemente sui primi tempi, nel 1860 circa; ora però i giovani partono per lo più di buona voglia e le diserzioni sono rarissime.
Il numero degli scartati dalla leva per difetti fisici non è rilevante.
Il rapporto fra gli abili ed i riformati è di 3 a 1.
Però nel comune di Bagnone, su 569 inscritti nel decennio 1869-78, si ebbe la sconfortante cifra di 216 inabili.
Generalmente gli scarti si fanno per gracilità, gozzo, ristrettezza di torace, ernia ecc.
… Il servizio militare produce nel contadino un miglioramento morale e materiale; ritarda il matrimonio, impedisce un aumento dannoso di popolazione, educa alla nuova civiltà, insinua maggiormente il sentimento del dovere, distrugge tanti pregiudizi e tante superstizioni.
I piccoli proprietari elettori amministrativi o politici soddisfano all’esercizio elettorale non di propria voglia, ma spintivi dai partiti. Essi seguono generalmente il prete, parroco del luogo.
Di divertimenti il contadino si può dire che non ne ha. Come può esso pensare a divertirsi nello squallore in cui vive?
L’ insegnamento, religioso eseguito secondo le norme del rito cattolico, non ha che debole effetto sul grado di moralità del nostro contadino, benché tutte le esteriorità siano serbate con un rigore strettissimo. Il venerdì ed il sabato i macellai di Pontremoli non aprono neppure bottega.
Il contadino è d’ indole mite per natura, riflessivo, educato al lavoro. Frequenta assiduamente la chiesa perché fin da bambino vi fu portato; crede ciecamente o finge di credere a tutto ciò che vi fu insegnato; ma se non ruba al padrone è per non essere cacciato dal podere in cui si trova relativamente bene. Ha i suoi pregiudizi, le sue superstizioni. Crede al malocchio se il formaggio riesce male o se il bucato non ha raggiunto il suo effetto; vi rimedia ripulendo i vasi con il finocchio; si cura le risipole colle segnature, evita la tempesta suonando le campane, e pone fuori della casa le catene del fuoco, il Cristo, le olive o la palma benedetta. Non incomincia i suoi lavori il venerdì, taglia le piante in certi stadi della luna; fa benedire il bestiame ed i fanciulli stregati da qualcuno e così via.
Tutte queste superstizioni inceppano le azioni della sua vita; lo rendono restio a cangiare le sue abitudini; lo fanno testardo, dubbioso di ogni cosa nuova, nemico della scienza e del progresso.
Nella famiglia del contadino, ogni membro ha le sue speciali attribuzioni, come le sue fatiche speciali. Il capo di casa sorveglia tutti i lavori, tratta ogni affare spettante alla famiglia ed all’azienda; lavora egli stesso finché lo può; resiste alla fatica e vi si assoggetta volentieri. La massaia provvede ai bisogni della casa, assestando le masserizie, imbandendo giornalmente la parca mensa; cura il bestiame nella stalla e lo munge, fabbrica il formaggio, porta acqua, trasporta all’occorrenza i prodotti al mercato, lavora alla campagna se il tempo le avanza. In questi castagneti e vigneti si vedono spesso donne che s’ affaticano come lo potrebbe un uomo. Il portar pesi sul capo è per loro cosa così abituale che non si risparmiano neppure se gravide, puerpere o convalescenti.
I figli maschi danno il maggior tributo di lavoro; si applicano verso i 14 o 15 anni alle opere più faticose, come la vangatura ecc.
Le giovinette ed i fanciulli sono specialmente occupati come guardiani del bestiame; ne provvedono il mangiare e la lettiera; trasportano letami, ecc. Sono sottoposti quasi sempre a fatiche eccessive, tantochè la donna a 30 anni è già vecchia!
Il carico delle ragazze di 18 o 20 anni è di circa 30 chilogrammi; andando al mercato percorrono a volte 10 o 12 chilometri per strade ripide di montagna, con un tal peso sul capo il che le sforma, dilatando loro le vene del collo.
Gli uomini si gravano del peso di circa 45 chilogrammi ed i fanciulli di 12 o 14 anni di 20 e 25 chilogrammi.
La durata media della vita del contadino si ritiene sui 50 anni e anche meno; ma non è tanto raro trovare agricoltori di 70 e più anni.
….Le malattie predominanti nella campagna sono i mali di petto e le affezioni reumatiche durante l’ inverno. L’ incostanza del clima, il niun riguardo nelle fatiche, le case mal riparate ne sono la causa. Nell’estate si hanno febbri miasmiche importate dalla Sardegna e dalle Maremme toscane: le febbri tifoidi, d’ origine locale, sono prodotte dalla insalubrità delle abitazioni e dalla mancanza di buona acqua potabile……
Moralità. – Regna in questi paesi un’ immensa apatia, che rende incapace al bene come al male, peperò non succedono quasi mai reati, a meno di qualche furto campestre….
L’ ubriachezza non è vizio radicato in queste popolazioni: nei di festivi, il contadino che tutta la settimana beve acqua, recandosi all’osteria a gustarvi un bicchiere di vino, ne rimane tosto alterato. V’ hanno pochi individui conosciuti, i quali veramente si distinguono per tale abitudine, ma la massa degli abitanti ha fama di sobrietà. Nella classe agricola, le relazioni di famiglia sono abbastanza rispettate. Ogni podere colonico di media grandezza è coltivato da piccole famigliole, che ben di rado hanno più di sei membri, compresi i fanciulli. V’ è una grande tendenza a dividersi e far casa da sé. I giovani, adempiuto l’ obbligo militare, pensano tosto a crearsi una famiglia propria. Non di rado il piccolo podere coltivo è insufficiente ad alimentare la nuova famiglia, e lo sposo emigra in regioni lontane, lasciando in paese, sola, la giovane consorte, che forse è costretta a ricorrere a mezzi poco onesti di sussistenza. L’ improvviso marito, rimpatriando, s’ avvede di essere stato ingannato, e ciò da luogo a qualche separazione legale. Perciò qualche nascita illegittima…Nel comune di Pontremoli si calcolano annualmente 28 nascite illegittime.
Le ragazze sono poco arrendevoli alla seduzione. Quando si fissa una di queste giovinette, abbassa gli occhi ed arrossisce.
Nel circondario non v’ è prostituzione registrata, e scarsa pure è la clandestina, motivata dal bisogno, provocata dall’abbandono in cui gli emigranti lasciano le giovani spose. Il contadino non frequenta mai la prostituzione delle prossime città, e sono rarissime le malattie veneree.
I centri industriali hanno una fatale influenza sulla moralità dei lavoratori: se qualche campagnolo abbandona il proprio podere per dedicarsi all’escavazione dei marmi, ritornando alla propria casa, è generalmente demoralizzato. Dedito al vino, consuma in un’ ora il guadagno di una intera settimana. Trova il lavoro dei campi, assai poco proficuo, in paragone delle 20 o 25 lire settimanali che percepiva lavorando alle cave marmifere: è irrequieto, turbolento, rissoso.
…… Un mio informatore del luogo così riassume il carattere morale del campagnolo pontremolese: è rozzo, ignorante, testardo, superstizioso; per converso è attivo, lavoratore, sobrio, previdente; prevale in esso l’ interesse; lo impaurisce l’ autorità, lo fa onesto la minaccia. Del resto nessun sentimento di dovere, di patriottismo, nessun nobile sentimento nell’animo. L’ educazione del prete cattolico vi è stereotipata. E’ dovere dello stato distruggere ciò che questi ha creato. Abbiasi anzitutto un giusto concetto dell’istruzione e dell’educazione confacentesi al popolo. All’idea religiosa, si cerchi di far prevalere l’ idea di un dovere civile; non si dimentichi che l’ uomo deve essere per la società, non per un mondo di là da venire…..
Condizioni economiche – Per quanto un contadino possa essere attivo, industrioso, instancabile, proclive al risparmio, non potrà mai, salvo casi eccezionali, riuscire col solo lavoro dei campi ad accumulare il bisognevole per la vecchiaia. Un colono che abbandona un tenimento o di sua volontà o per volontà del proprietario, è sempre gravato di debiti, che non sa come saldare.
Se qualche colono dispone di modesti capitali, sono frutto dell’emigrazione temporanea, mai del superfluo prodotto della terra. Avvezzati alla miseria, sul salario che pare scarso all’operaio cittadino. Esso sa realizzare delle economie, sottoponendosi ad ogni sorta di privazioni.
…… Nessuna Associazione di mutuo soccorso esiste fra contadini. Nel 1876 sorse una Società operaia di mutuo soccorso, ma visse meschinamente, osteggiata fin dalla sua origine dal vescovo locale e da tutte le famiglie agiate. Il pulpito, il confessionale, la piazza, furono luoghi di propaganda ostile. Gli istituti e le famiglie ricche dipendenti dal paese obbligarono gli operai a non iscriversi nel nuovo sodalizio, sotto la minaccia di non dar loro lavoro.”

ooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo

LA BANDA RIVOLUZIONARIA DI AGNINO .



Fu nella propaganda di idee rivoluzionarie, socialiste ed egualitarie che il paese di Agnino si fece conoscere, nell'anno 1868.
Dobbiamo ricordare che nel 1867, si era insediato il primo Parlamento Italiano, composto da nobili e grandi proprietari terrieri, che avevano di recente accresciuto le loro proprietà terriere a seguito degli acquisti derivanti dalla soppressione degli enti ecclesiastici, mentre non vi erano alla Camera del nuovo Regno d'Italia rappresentanti delle classi popolari.
Cosicché fu facile, per pareggiare il bilancio deficitario, fare approvare nel 1868 la famigerata “ tassa sul macinato” che colpiva proprio le classi più deboli. Questa legge attuata con l' applicazione di contatori meccanici nei mulini aveva provocato l'aumento del pane (il pane aumentò a lire 0,60 centesimi quando un dipendente statale quadagnava 2 lire al giorno|). Da l'imposizione di una tassa così impopolare scaturirono in tutta Italia moti di proteste e rivolte, specialmente nel mondo contadino che era poi il più numeroso ed il più debole. In Emilia braccianti e contadini scesero in piazza, armati di forche e zappe e vecchi fucili, dimostrarono davanti ai municipi, saccheggiarono le case dei ricchi e ci furono scontri con la forza pubblica. Questa introduzione ci aiuta a comprendere meglio gli avvenimenti che coinvolsero il paese di Agnino nell'anno 1868.

Lo studio del Prof. Fabio Baroni “Il mondo contadino e le idee nuove: primi fermenti di lotta sociale in Lunigiana” pubblicato a cura della Comunità Montana della Lunigiana ci fa conoscere che “Il giorno 23 fu arrestato a Tendola Giuseppe Ambrogi detto <Margà> fornaio di Carrara, che era stato ospitato, ferito, a Bibola dal già noto Gio. Batta Ravani, consigliere Comunale di Aulla. L' Ambrogi era armato di due pistole e, durante la sua permanenza a Bibola aveva ricevuto la visita di tre sconosciuti che, chiedendo informazioni sulla sua presenza in paese ad alcune fanciulle, lo avevavo definito <fratello>. Giuseppe Ambrogi, analfabeta, garibaldino, professava principi internazionalisti ed aveva fatto parte della setta la <Congiura> (setta segreta costituitasi nel 1866 a Caniparola di Fosdinovo con fini socialistici).
Questi veniva indicato come il capo della seconda banda che aveva scopi politici ed il cui quartiere generale era presso Agnino di Fivizzano dove pare avesse l'appoggio della popolazione.” (L' altra banda era la banda Luciani che agiva fra Casola e Fivizzano operando anche con furti)
A motivo di questi atti di brigantaggio “ il 20 giugno giungeva a Fivizzano una Compagnia di 52 uomini (inviata dal Ministero dell'Interno) per dare manforte alla Guardia Nazionale e ai Reali Carabinieri.”
Nelle perlustrazioni del 23-25 giugno e del 1° luglio vennero arrestati 18 individui collegati con le bande....ma il consigliere Alfazio ritenne di potere escludere una colorazione politica della banda Margà ormai sgominata. Al 6 luglio fu comunicato che la banda Margà era sgominata ed il Luciani stava fuggendo con due complici.... il fenomeno di brigantaggio poteva dirsi iniziato e terminato nella durata del mese di giugno. Il 13 luglio infatti il ministero dell'interno inviava una nota di congratulazioni perché tutto era rientrato nell'ordine e nella legalità.”
Scrive ancora il Prof. Baroni: nel tentativo di appurare la natura politica della banda <Margà> il consigliere Alfazio condusse una serie di indagini e ne riferì al Prefetto in questi termini “Quelli della banda Luciani sono malviventi oziosi e vagabondi che finora non danno inquietudine grave e non hanno alcuna relazione con que' della seconda banda che ho accennato: di questa ora dirò....stando ai reati finora consumati, alle deposizioni vaghe ed incerte di alcune persone, alle confidenze di qualche agente ed alle dicerie che corrono qui nel paese potrebbe parere che gli individui di tale banda anziché essere malfattori ordinari siano piuttosto i mandatari di una associazione politica avente per iscopo di agitare le popolazioni, tenerle in apprensione, costringere il Governo a tenere per ragioni di sicurezza pubblica la forza militare dispersa per le campagne, onde poter poi a tempo opportuno tentare un colpo contro l'attuale ordinamento politico: vorrebbesi insomma che essi fossero mandatari di una associazione mazziniana-comunista (!) che per questa provincia farebbe capo nella città di Carrara.”
Il Prof. Baroni seguita a riportare “ Gli adepti della banda Margà <vestiti assai civilmente> e il cui <aspetto non è truce come quello dei malfattori>, riuscirono a stabilire contatti con le popolazioni tanto è vero che pur alloggiando ad Agnino non vennero denunciati da nessuno. “ Tutti hanno dichiarato che dai discorsi tenuti esternavano sentimenti di comunismo perché ai contadini hanno detto di non avere paura alcuna, mentre che avrebbero molestato solamente i ricchi, che sono mantenuti da un gran Signorone di nome Mazzini, e che fra pochi giorni avrebbero ricevuto denaro. Detti malfattori trovano molti favoreggiatori nei contadini e più specialmente nella parrocchia di Agnino.
Prosegue ancora Baroni: Mentre le bande Margà e Luciani scorrazzavano nelle campagne, nel 1868 operava in Fivizzano una loggia massonica bassa titolata <Labindo> a cui si affiancò nel 1870 la loggia <Unione e Forza>. ...nel 1872 le due logge massoniche di Fivizzano contavano 100 soci.
Le logge furono il vero tramite di diffusione del socialismo divenendo sempre più strumenti degli internazionalisti.
Dalle note della Prefettura di Massa trasmessa al Ministero dell'Interno in data 3 luglio 1868 risulta che gli arrestati della Banda Margà furono: Maria Gregori, Pasquale Palmieri, Giuseppe Asti, Raffaelle Penelli di Agnino, Filippo Azzari di Moncigoli, Nicola Crocetti dei Cavagini, Giovanni Bezzenghi di Tergagliana, Emanuele Colonnelli di Pian di Molino, Giusepe Natali, Giovanni Novelli di Fivizzano, Andrea Taddei, Carlo Cantoni Francesco Giorgi di Gorasco e Angelo Giannini di Canova quali manutengoli, Francesco Forfora di Vezzanello, Sante Gregori (colono) di Agnino e Francesco Tacchini di Bibola e infine, Emilio Vedovi di Mulazzo quale disertore.

Come abbiamo sopra ricordato già dal luglio del 1868 il movimento sobillatore era rientrato nella normalità ma le nuove idee di socialismo ed uguaglianza provenienti dalle città più vicine di Carrara, Parma e Reggio erano entrate nel cuore della popolazione agninese. Era il substrato culturale che portò appena 35 anni dopo alla costituzione della società di Mutua beneficenza “Fratellanza Agninese”, della quale riporto integralmente lo Statuto ed i componenti.
Particolare non trascurabile: il socio fondatore è Gregorio Gregori figlio forse di quel SANTE
qui sopra menzionato!






Societa’ di Mutua Beneficenza di Agnino e paesi limitrofi.


SOCIETA' FONDATA IL 3/05/1903 DAL PROMOTORE GREGORI GREGORIO



TITOLO I
Origine e scopo della Società e disposizioni Generali.
Art. 1- Il giorno 3 maggio 1903, fu istituita una Società di mutua beneficenza fra gli abitanti di Agnino e paesi limitrofi, col nome di “ FRATELLANZA AGNINESE”.
Art. 2 – Essa ha per principio fondamentale l’ Unione e la Fratellanza. Per iscopo ha la mutua beneficenza economica morale ed intellettuale fra i membri che la compongono, e di cooperare a tutto quanto può essere utile alla Famiglia, alla Patria ed all’umanità e rispettando scrupolosamente le Leggi della Chiesa e dello Stato.
Art. 3 – In particolare la Società si propone di dare un sussidio in denari nei giorni di malattia, di vegliare gli ammalati nei casi d’urgenza e per turno, promuovere la moralità e procurare il buon accordo fra i soci.
Art.4 – Per provvedere ai suoi bisogni ed alle sue spese, la Società ha un patrimonio costituito dalle tasse di ammissione e dalle singole contribuzioni mensuali de’ soci dal frutto dei capitali e dalle donazioni che le potessero venir fatte.
Art. 5 – E’ vietato erogare i fondi sociali in ciò che è estraneo allo scopo dell’istituzione.
Art. 6 – Il Presidente potrà ricusarsi di mettere in discussione una proposta che sia contraria agli interessi della Società o estranea allo scopo per cui essa fu costituita.
Art. 7 – La Società ha la sede in Agnino e nel seno di essa vengono scelti i seguenti funzionari:
5.Un ex Presidente
6.Un Presidente e un vice Presidente
7.Un Segretario di corrispondenza
8.Un Segretario di Finanza
9.Un Tesoriere
10.Due Guardie: una interna e l’ altra esterna.
11.Un Alfiere

Art. 8 – La durata della Società non ha limite e si estingue soltanto per mancanza assoluta dei soci e per votazione unanime degli stessi, salvo a 5 dei fondatori il diritto di ristabilirla con gli stessi intenti di prima.
Art. 9 – Ogni proposta di revisione o modificazione al presente Statuto, potrà essere sottoposta all’approvazione dell’Assemblea in seduta ordinaria, ma non sarà definitivamente approvata se non discussa in tutte le sedute ordinarie per 3 mesi.
Qualora però detta proposta ricevesse 3 voti contrari, essa sarà respinta.
TITOLO II
Dei Soci
Art. 10 – I Soci sono di tre categorie: Contribuenti interessati, Onorari contribuenti, e Benemeriti.
Dei Soci Contribuenti interessati

Art. 11 – Nella categoria dei soci contribuenti interessati sono compresi tutti coloro che esercitano una professione, industria, arte o mestiere, ed in generale quei soci che in caso d’ inabilità al lavoro per malattia od altro, hanno diritto ad un sussidio giornaliero, giusta le norme stabilite dal presente Statuto.
Art. 12 – Le condizioni per essere ammessi nella categoria dei Soci contribuenti interessati sono le seguenti:
12.Avere compiuto i 15 anni e non oltrepassati i 60
13.Esercitare una professione che procuri un onesto guadagno.
14.Non essere affetti da malattia incurabile, né tali da essere impotenti al lavoro.
15.Non vivere d’accatto né di vagabondaggio.
16.Non avere subito condanne per delitti comuni.

Ammissioni e doveri dei Soci

Art. 13 – Colui che vuole essere ammesso come socio contribuente interessato dovrà presentarne analoga domanda al Presidente, corredata di un certificato medico comprovante la sua sana costituzione fisica e l’ assenza di imperfezioni che gli impediscano di darsi a proficuo lavoro.
Art. 14 – L’ istanza dovrà contenere nome, cognome, paternità, maternità, data di nascita e domicilio del richiedente, la sua professione, industria, arte o mestiere, ed una dichiarazione di conoscere e sottostare alle disposizioni del presente Statuto.
Per i minorenni e per coloro che non hanno libera facoltà d’ obbligarsi, la istanza è firmata dalle persone sotto la cui tutela sono posti: le quali persone rimangono per tal modo responsabili dell’adempimento degli obblighi che i tutelati assumono verso la Società.
Art. 15 – L’ assemblea generale dei soci delibera sulle domande d’ ammissione e il Presidente proclama il nome dei soci.
Art. 16 – Ai richiedenti la cui domanda è stata respinta, si annunzierà la decisione, ed essi, nel caso che avessero anticipato danari, avranno diritto al rimborso.
Art. 17 – Ogni socio si obbliga sul suo onore di osservare il presente Statuto, nonché le modificazioni che in seguito si riconoscessero necessarie.
Art. 18 – La tassa di ammissione nella categoria dei soci contribuenti interessati, verrà pagata come appresso:
Dai 15 ai 20 anni compiuti L. 2,00
“ 20 ai 25 “ “ 4,00
“ 25 ai 30 “ “ 6,00
“ 30 ai 35 “ “ 8,00
“ 35 ai 40 “ “ 10,00
“ 40 ai 45 “ “ 12,00
“ 45 ai 50 “ “ 16,00
“ 50 ai 55 “ “ 20,00
“ 55 ai 60 “ “ 24,00

Art. 19 – Entro quindici giorni dalla data della proclamazione, i nuovi soci dovranno pagare la tassa di ammissione e acquistare copia del presente Statuto al prezzo di lire , nonché il distintivo sociale pagandone il costo. Non ottemperando a quanto sopra non avrà diritto alla parola nell’assemblea. La parola sarà concessa per tre volte ogni singola discussione.
Art. 20 – Ogni socio è tenuto a pagare una tassa mensile di lit 1,00.
Art. 21 – Il pagamento della tassa mensile si computerà dal primo giorno del mese nel quale il socio ebbe partecipazione della sua ammissione.
Art. 22 – Quel socio contribuente interessato che al momento di presentazione della domanda di soccorso di che all’art. 13 fosse in mora colla Cassa sociale non avrà diritto ad alcun sussidio.
Art. 23 – Quel socio che si rendesse moroso per un trimestre sarà avvertito dal Segretario di Finanza e se dopo un mese dall’avviso non si sarà messo in regola coll’amministrazione, perderà 15 giorni di sussidio. Protraendosi l’inadempienza a 11 mesi perderà tre mesi di sussidio, ancorché paghi le quote arretrate. – Dopo quest’ultimo termine il Presidente lo escluderà dal Corpo Sociale.
Art. 24 – Il socio che per motivi di lavoro si trasferisse fuori del Comune non perde i suoi diritti, purché seguiti a soddisfare agli oneri prescritti dallo Statuto avvertendo però che non sarà obbligo del Segretario di Finanza di trasmettere l’ avviso di cui all’Art. 23 ed è cura del Socio assente avvisare il Segretario. In questo caso per ottenere il sussidio per malattia deve fare pervenire subito all’ ufficio di presidenza il certificato del medico curante la cui firma sarà legalizzata dal Sindaco, ove si trova; detto certificato dovrà essere rinnovato di otto in otto giorni fino che duri la malattia.
Art. 25 – Il socio chiamato sotto le armi o che volontariamente si arruoli, conserverà tale qualità ed è liberato dal pagamento delle tasse. Sarà suo dovere però avvertire il Presidente quando va in servizio, e quando torna in congedo dovrà presentare regolare certificato medico.
Diritti

Art. 26 – Ogni socio in caso di malattia o di altro fisico impedimento per cui non possa attendere alla sua abituale occupazione ha diritto ad un sussidio settimanale di L. 10. Condizioni per ottenerlo sono: 1mo essere in regola coi pagamenti; 2do esibizione del certificato medico.
Art. 27 – Il sussidio di cui all’art. 26 verrà concesso 6 mesi dopo l’ammissione o riammissione in Società e questo sussidio potrà aumentare quando i fondi di cassa lo permetteranno.
Art. 28 – Non avranno diritto al soccorso quei soci che trovansi affetti da infermità causata da abuso del vino e dei liquori, da rissa provocata da mal costume o da altra causa loro imputabile.
Art. 29 – Nelle malattie croniche e quando il socio per vecchiezza o altro fosse reso assolutamente inabile al lavoro, l’ Assemblea Generale potrà stabilire che gli venga assegnato un sussidio annuale in quella misura che i fondi sociali permetteranno.
Art. 30 – Il socio ammalato che prende il sussidio deve avvertire il Consigliere locale e questo dopo visitatolo ne informa il Consigliere Capo di Agnino; questi si informerà presso il Segretario di Finanza se l’ infermo è in regola coi pagamenti; nel caso affermativo farà registrare la data del certificato medico dalla quale comincerà il sussidio.
In caso di urgenza il Presidente ordinerà di prestare il servizio ai soci di turno come risulterà da apposito elenco alfabetico tenuto dal Segretario di Corrispondenza.
Art. 31 – In ogni caso l’ Assemblea avrà il diritto di discutere sulle erogazioni dei sussidi: il sussidio stesso potrà essere tolto quando circostanze favorevoli porranno il sussidiato in stato da non averne più bisogno.
Art. 32 – In caso di morte di un socio ne sarà informato il Presidente affinché dia opportune disposizioni per tributare al socio estinto gli onori funebri e il socio che mancasse al funerale sarà multato di L. 1, salvo forza maggiore. Tutti i soci interverranno all’accompagnamento con i distintivi sociali e con la bandiera velata a bruno. Il Segretario di Corrispondenza farà due appelli nominali nella sede sociale, prima dell’uscita e del ritorno.
Art. 33 – Le spese di seppellimento del socio sono a carico della Società entro il limite di L. 20.
Il consiglio di amministrazione avrà cura di consultare in precedenza la famiglia dell’estinto.

Dei Soci Onorari Contribuenti
Art. 34 – Sono ammessi nel Sodalizio come soci onorari contribuenti, tutti quei probi cittadini, compresi gli Ecclesiastici e Sacerdoti, che domandino di entrare per beneficare la Società coi rispettivi contributi mensili, coll’opera e col Consiglio.
Art. 35 – Anche ai Soci Onorari Contribuenti si applica il disposto dell’art. 13, eccetto l’obbligo della presentazione del certificato medico.
La tassa di ammissione per questa categoria di soci è facoltativa, non intendendosi di porre un limite alla loro filantropia.
Art. 36 – I Soci Onorari Contribuenti sono eletti ed eleggibili a qualunque carica sociale. Essi però non hanno diritto a sovvenzione o sussidio alcuno.
Gli Ecclesiastici e Sacerdoti non possono essere promossi ad alcuna carica.
Art. 37 – Qualora un Socio Onorario contribuente per cambiamento di stato o di fortuna si trovasse ridotto ad aver bisogno del soccorso della Società, dietro domanda all’Assemblea Generale, potrà essere trasferito nella Categoria dei soci contribuenti interessati, purché sia socio da 5 anni e presenti certificato medico di che all’art. 13.

Dei Soci Onorari Benemeriti
Art. 38 – Per deliberazione dell’Assemblea potranno essere iscritti nell’albo dei Soci Onorari Benemeriti tutti coloro che abbiano reso distinti servigi all’umanità od a questo Sodalizio.
ART. 39 – I soci Onorari Benemeriti sono parificati nei diritti agli Onorari Contribuenti, ma non hanno voto deliberativo nelle Assemblee né sono eleggibili ad alcun ufficio.

TITOLO III
Dei Poteri

Art. 40 – Il potere costituente deliberativo è esercitato dall’intera Società, adunata in Assemblea Generale, ed il potere amministrativo, da un Consiglio Direttivo eletto dall’Assemblea.

Dell’Assemblea

Art. 41 – L’ Assemblea si riunirà la prima e la terza Domenica di ogni mese ed ogni qualvolta il Presidente lo ritenga necessario per urgenti deliberazioni.
Le adunanze dei soci sono ordinarie e straordinarie- Le ordinarie hanno luogo come si è detto nel primo comma – Le straordinarie hanno luogo in 2° convocazione e deliberano qualunque sia il numero dei soci.
Art. 42 – Non saranno ammessi alla sala in tempo di riunione coloro che non avranno pagato l’ ultimo trimestre e le multe di cui fossero stati colpiti, salvo a loro il mettersi in regola col-
l’ Amministrazione.
Art. 43 – L’ Assemblea discute, approva o rigetta ogni modificazione al presente Statuto, le proposizioni, le petizioni ed i reclami degli Associati, i Resoconti e le spese straordinarie, tutto ciò
Che ad essa è devoluto dalle disposizioni dello Statuto.
Art. 44 – Le deliberazioni saranno prese a maggioranza di voti per alzata e seduta o per appello nominale.
Le deliberazioni riguardanti persone, dovranno essere prese a scrutinio segreto.
A parità di voti la proposta si intenderà respinta.
Art. 45 – Le nomine dei Funzionari si fanno per schede segrete ed a maggioranza assoluta dei soci presenti.
Art. 46 – Nella 1° domenica di Aprile di ogni anno i funzionari hanno il dovere di presentare all’Assemblea il resoconto generale della loro gestione.
Art. 47 – Nella terza domenica dello stesso mese di Aprile di ogni anno si procederà alla rinnovazione delle cariche sociali tutte. Tutti i soci sono elettori ed eleggibili, salvo le disposizioni tutte del presente Statuto.
Art. 48 – Di ogni deliberazione presa sarà steso processo verbale a cura del Segretario di Corrispondenza e ne darà lettura all’Assemblea per opportuna approvazione.

Del Presidente e Vice Presidente

Art. 49 – Il Presidente dura in carica per un anno e non potrà essere rieletto per l’anno successivo, ma durante quest’anno conserverà il titolo onorifico di Ex-Presidente.
Art. 50 – Il presidente ha l’ alta rappresentanza della Società. Appone la firma a tutti gli atti, convoca il Consiglio e le Assemblee, regola e dirige le discussioni; vigila perché i titolari e le guardie adempiano ai rispettivi doveri e può sospendere questi ultimi.
Al Presidente insomma è affidata la direzione, sorveglianza ed esecuzione di quanto concerne la Società.
Riprenderà il socio che si presentasse in condizioni anormali, e che disturbasse la seduta. Avrà pure la facoltà di espellerlo dalla sala ordinando ancora al Segretario di applicargli una multa.
Sarà pure in suo diritto di sciogliere le sedute in caso di disordine e allora ogni socio dovrà uscire dalla sala.
Art. 51 – Il Vice Presidente dura in carica per un anno e potrà essere rieletto.
Art 52 – Per l’assenza o per qualunque altro impedimento sono applicabili al Vice Presidente tutte le disposizioni contenute nell’art. 50.

Dell’Ex Presidente


Art. 53 – L’ex Presidente ha la funzione di dare il suo illuminato parere in tutte le questioni che gli verranno sottoposte dal Presidente effettivo e sarà onorato del massimo rispetto da tutta l’ assemblea.

Del Presidente Onorario

Art. 54 – Sarà facoltà dell’Assemblea di nominare a Presidente onorario di essa quella benemerita
persona che avrà operato in vantaggio della Società.

Dei Soci Fondatori

Art. 55 – I soci fondatori che saranno sempre stati puntuali al pagamento delle quote mensili, e che non avranno mai commesso azioni indicate verso la Società e i soci godranno del massimo rispetto e avranno diritto di sede a fianco del Presidente.

Del Consiglio di Amministrazione e dei consiglieri

Art. 56 – Il consiglio Direttivo si compone dell’ex- Presidente, del Presidente e vice Presidente, di 5 Consiglieri, del Segretario di corrispondenza, del Segretario di Finanza e del Tesoriere.
Art. 57 – Le funzioni di questi titolari sono gratuite ed onorifiche.
L’ Assemblea potrà accordare una gratificazione annuale ai 2 Segretari.
Art. 58 – I Consiglieri debbono essere residenti in Agnino; avranno diritto pure di un Consigliere ogni paese limitrofo purchè detti paesi contino n. 6 soci. Essi 5 consiglieri del paese dovranno riunirsi ogni qualvolta il Presidente lo creda opportuno; propongono al Presidente quanto sembra loro utile per il migliore andamento della Società.
ART. 59 – I Consiglieri dovranno essere rinnovati ogni 6 mesi e non potranno essere rieletti salvo il caso in cui mancasse il numero dei nuovi accettanti. Quel Consigliere che mancasse per tre volte consecutive alle adunanze del Consiglio, senza un giustificato motivo apprezzato dal Consiglio stesso, si intenderà decaduto dall’ufficio e il Presidente avrà la facoltà di eleggere in surrogazione uno dei soci di sua maggiore fiducia.


Del Segretario di Corrispondenza

ART. 60 – Esso redige in appositi protocolli e firma col Presidente i processi verbali delle adunanze sì del Consiglio che dell’intero Corpo Sociale, e li custodisce insieme a tutti gli altri documenti, registri e quant’altro fa parte dell’Archivio della Società. Tiene la corrispondenza.

Del Segretario di Finanza


ART. 61 – Il Segretario di Finanza è incaricato della riscossione delle tasse mensili ed è suo obbligo rilasciare a ciascun socio la relativa ricevuta; avvisare i soci prima della scadenza, redigere il registro dei soci e dei funzionari facendovi le variazioni opportune e tiene in pronto il libro di matricole.
Nella 3° Domenica di ogni mese deve versare nelle mani del Tesoriere il denaro.


Del Tesoriere

Art. 62 – Il Tesoriere è depositario responsabile del denaro che incassa dai versamenti che gli vengono fatti dal Segretario di Finanza. E’ suo obbligo di tenere un Giornale di Entrata e di Uscita.
Art. 63 – Esso eseguisce i pagamenti da farsi sopra mandati di uscita, spediti e firmati dall’Ex – Presidente, dal Presidente effettivo e dai due Segretari.
Art. 64 – Il Tesoriere è tenuto a dare cauzione della sua gestione, mediante la firma di due fiduciosi i quali dovranno rispondere per il Tesoriere in qualunque caso.
Il Tesoriere dovrà versare il denaro in un libretto della Cassa di Risparmio presso l’ ufficio postale di Agnino e non potrà ritirare alcuna somma senza le firme dei 4 (quattro) funzionari di cui all’art. 63.
Non potrà tenere presso di sé alcuna somma superiore alle L. 25 per provvedere ai casi d’ urgenza.


Dell’Alfiere



Art. 65 – L’ Alfiere viene nominato dall’Assemblea, sta in ufficio per un anno e può essere rieletto.
Art. 66 – Ha l’incarico di portare la Bandiera della Società negli accompagnamenti funebri e in tutte le circostanze in cui la Società prende parte ufficialmente.
Art. 67 – In assenza dell’Alfiere è in facoltà del Presidente di sostituirlo con altro socio o funzionario.


Delle Guardie


Art. 68 – Le due Guardie della Società dovranno vigilare l’ entrata e dovranno ubbidire ai comandi della Presidenza.


Della Bandiera


Art. 69 – La Bandiera sventolerà alla residenza sociale ogni qualvolta si aduni l’ Assemblea, in occasione della festa dello Statuto e nei giorni seguenti:
Anniversario della morte di Umberto I – 29 Luglio
Anniversario della morte di Vittorio Emanuele II, 9 Gennaio
Anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi, 2 Giugno
Anniversario della morte di Camillo Benso di Cavour, 6 Giugno
Anniversario della morte di Giuseppe Mazzini, 10 Marzo
Anniversario della Liberazione di Roma, 20 Settembre
Anniversario della Fondazione della Società, 3 Maggio 1903

Art. 70 – Colla Bandiera saranno accompagnati tutti indistintamente i componenti della Società – Essa non può essere però portata in convegni privati ai quali la Società non crede di intervenire.


Disposizioni Disciplinarie


Art. 71 – Saranno puniti con l’ espulsione dalla Società tutti coloro che siano stati condannati per furto, truffa, attentato ai buoni costumi e per consacrato fallimento doloso.
Saranno pure espulsi:
17.Quei membri che incaricati di curare l’ interesse materiale e morale della Società alterano i rapporti abusando della loro autorità, in danno del Sodalizio, o di un Socio.
18.Tutti coloro che avessero usato frode od inganno per essere ammessi al godimento della mutua beneficenza.
19.Coloro che avversassero la Società o propalassero contro di essa ingiuriose insinuazioni.

Art. 72 – I soci espulsi perdono ogni diritto di ripetere ciò che avessero versato e non potranno più far parte della Società.
Art. 73 – Qualora però in due anni tenessero buona condotta potranno ritornare in Società.
Art. 74 – La negligenza del Consigliere locale e del Consigliere Capo nel prestare la doverosa sollecita cura al socio infermo sarà punita con una multa di L 1 –A uguale pena sottostaranno i soci che mancassero al loro turno.
Art. 75 – Tutti i funzionari della Società residenti in Agnino, hanno l’ obbligo di assistere alle sedute: ogni assenza, salvo legittimo impedimento, sarà punita con multa da L. 1,00 – I Consiglieri saranno puniti con cent. 50.

Festa Commemorativa


Art. 76 – Ogni anno nella 1° Domenica di Maggio si terrà una festa commemorativa giorno della fondazione,il cui programma verrà stabilito dall’Assemblea Generale. Ogni socio potrà intervenire pagando la sua tangente; potranno altresì prendervi parte le rappresentanze delle Società consorelle vicine.


Disposizioni Transitorie


Art. 77 – Il presente Statuto andrà in vigore col 1 APRILE 1911 epoca in cui cesserà di avere forza ogni Statuto anteriore e contrario. Letto, discusso ed approvato nella seduta dell’ Assemblea del dì 19 marzo 1911.


Regolamento Interno

Modo di tenere la seduta in ordine


Art. 78 – Un colpo di martello vuol dire tutti a posto; due colpi silenzio; tre colpi alzarsi in piedi e quattro colpi riprendere la sedia.

Doveri dei Soci

Art. 79 – Tutti i soci che entrano dopo che la seduta è aperta o pur che escano fuori sono obbligati a dare il rispettivo saluto al Presidente.

Il PRESIDENTE
GREGORI GREGORIO


Amministrazione Sociale

Paolini Raffaele Passato presidente
Gregori Gregorio Presidente
Santini Enrico Vice Presidente
Bertoni Battista Segretario di Finanza
Veschi Attilio Segretario di Corrispondenza
Paolini Andrea Tesoriere
Pretazzini Lazzaro Guardia Interna
Conti Emilio Guardia Esterna
Palmieri Pasquale Porta Bandiera
Bertoni Gelido Consigliere Capo
Alessandrini Carlo Consigliere
Lorenzini Paolo “
Barbieri Pietro “
Pelli Paolo “
Giovannini Luigi “
Bertoni Pietro “

Presidente Onorario
On. Sig. Cav. Avv. ERNESTO ARTOM


Vice Presidente Onorario
Dott. Pietro RIANI – ufficiale sanitario


Soci Onorari
Mazzoni Pietro

SOCI BENEMERITI
Dal giorno 3 maggio 1903 al 1911:

Soci Fondatori


Gregorio Gregori, Promotore
Paolini Andrea
Carlini Carlo
Paolini Raffaelo
Pretazzini Lazzaro
Veschi Attilio
Bonfigli Isidoro
Santini Antonio (defunto)
Riammessi in regola in questa data
Rosetti Domenico
Lorenzini Paolo
Santini Eugenio
S O C I


Argenti Giuseppe Bassignani Attilio
Alessandrini Carlo Bologna Vincenzo
Alberti Francesco Bretoni Gelido
Bonfigli Isidoro Bertoli Pietro
Bretoni Battista Bianchi Lepoldo
Bretoni Pietro Bassignani Azelio
Barbieri Pietro Chiappini Giuseppe
Benedetti Ermenegildo Cresci Paolo
Bassignani Agostino Giovannini Cirillo
Bonfigli Achille Giovannini Luigi
Bertagna Luigi Gelatini Carlo
Bononi Paolo Gianarelli Giovanni
Bertoni Giovanni Lucchini Roberto
Bertoni Giovacchino Mancini Massimo
Barbieri Eugenio Mancini Pietro
Baldassari Angelo Mancini Abramo
Conti Giuseppe Mancini Giuseppe
Cresci Casimiro Martinelli Giovanni
Conti Orlando Nardini Angelo
Conti Emilio Novelli Giuseppe
Confetti Giuseppe Peri Settimo
Capri Domenico Peri Generoso
Palmieri Pasquale fu Lodovico Palmieri Pasquale fu Giosuè
Pretazzini Paolo Pellegri Lino
Paolini Paolo Palmieri Silvio
Paolini Giuseppe Pelli Paolo
Paolini Angelo Rossi Samuele
Palmieri Armando Rossi Paolo
Palmieri Agostino Reani Severino
Paolini Emidio Rossi Michele
Picchiarini Armando Santini Arturo
Santini Lucca Tonelli Raffaelo
Santini Enrico Tamburini Luigi
Santini Eugenio Tesconi Eugenio
Santini Paolo Tosi Domenico
Solari Andrea Tonelli Armando
Sarteschi Alessandro Veschi Samuele
Sinicati Angelo Veschi Livio
Santini Domenico Vaggioli Luigi



=============================================










Le famiglie

Le famiglie ancora residenti in Agnino, alla data di scrittura del presente, sono:
Corsini, Barbieri, Benedetti, De Cesari, Pigoni, Rossi, Bologna, Bianchi, Bassignani, Bertoni, Conti, Nardini, Palmieri, Lorenzini, Pelli, Mazzoni, Signanini, Bonfigli, Bertoli, Lucchini, Veschi, Mancini, Moscatelli, Colombani, Gabrielli, Paolini, Argenti, Battaglia, Valle, Roccia, Bon , Tabelloni, Vitolo ; ma si sono persele tracce dei vari Baldassari, Confetti, Peri, Riani, Sarteschi, Vaggioli, Guidotti, Bacchieri, Jacopelli, Cortesi, Pennelli, Procuranti, Duranti , Francini, Novelli, Verzanini, Velluti, Vegnuti, Asti, Bellotti, Cervai, Camarda, Carassale, Ferrini e “in primis” la famiglia che dal luogo ha preso il cognome: gli “ Agnini”.
Apriamo una piccola parentesi su questa famiglia in loco scomparsa, ma diramatasi in tutta Italia.

Famiglia degli AGNINI.

La famiglia è sicuramente originaria di Agnino come ci ha documentato con albero genealogico l’abate MOROTTI nativo di Prota , nell’anno 1864, ricavando i dati dai registri parrocchiali di Fivizzano. Il primo registrato è ANGELA MARIA nata il 20/03/1557, figlia di JACOPO ANTONIO di mestiere fabbro ferraio in Agnino; ma è logico pensare che gli AGNINI esistessero anche prima del 1557.
Ricordiamo ancora quel Sacerdote Giovanni Agnini che nel 1689 fondò nella chiesa Parrocchiale S. Michele Arcangelo l’ altare dedicato alla B.V. e Santi Giovanni Evangelista e Guglielmo.
Da Agnino nacquero vari rami che si trasferirono a Sarzana, Pistoia, Genova e Napoli. Proprio in nella città partenopea nell’anno 1577 un non meglio individuato AGNINI fu fatto “cavaliere di Giustizia” del Sovrano Militare Ordine di Malta .
Un discendente si trasferì a GASSANO da cui , sempre l’ abate MOROTTI ne ha lasciato il relativo albero genealogico conservato presso la parrocchia di FIVIZZANO. Da quest’ultimo ramo sono venuti fuori vari preti, medici, un cancelliere civile e giudice del tribunale collegiale di PISTOIA. ( Jacopo Agnini nato il 29/08/1772- dec. il 20/10/1861). Un altro dottore GIO. DOMENICO n. il 28/02/1771 assieme al fratello BERNARDO vende tutte le proprietà in GASSANO e si trasferisce nel castello di Pallerone comprato dai MALASPINA. Fu appunto nel Castello che ospitarono, nell'apri le del 1818, il duca di Modena FRANCESCO IV quello stesso che poi finanzio’ l’acquedotto che ancora oggi irriga il piano di Pallerone.
Fu lo stesso Francesco IV, duca di Modena, Reggio e Mirandola a scrivere nel suo diario di viaggio: “ Dopo Rometta si passò a guado l'Aulella per andare a Pallerone ove giunsimo verso le 7 e ¼ della sera e che è a 2 ¾ miglia buone da Soliera. Ivi a Pallerone in casa del Sig. Agnini (che è un antico palazzo Malaspina da esso comprato, ove v'è una gran Sala, molte camere, una bella chiesa in casa...) tutto era illuminato e pronta una merenda; ivi ci aspettò il Delegato Governativo in Lunigiana Mignani ed ivi il Sig. Agnini aveva eretto un monumento per me nella sua sala. Ivi ci fermammo fino alle 7 e ¾ e poi ne ripartimmo e dovendo ripassare a guado in altro luogo il fiume, l'Auletta, che ivi è già grossetta, giunsimo ad Aulla alle ore 8 e ½ circa, che è 1 e ¼ miglia abbondante distante da Pallerone; ivi alloggiammo, mio fratello Ferdinando ed io, e i nostri due cavalieri nel Palazzo Governativo Malaspina ed Aulla fu quella sera illuminata: vi cenammo e s'andò a letto.” (da Giornale dei Viaggi di Francesco IV – La Nuova Tipolito -Felina).
Dal ramo diretto di Agnino cioe’ dai figli del fabbroferraio nacque il 19/10/1641 GENESIO, famoso gireconsulto del tempo che nel 1666 diventò Capitano di Giustizia a Capestrano, il quale nel 1682 sposa FANTONI JACOPA figlia del dr. TERENZIO e di BORNI CORNELIA a sua volta figlia di SCIPIONE. (nella filza n. 128 dell' ASMS c'è agli atti l'interessante patto nunziale)
Famiglia quindi molto in vista nel Fivizzanese, se anche il poeta Giovanni Fantoni-LABINDO ne ha lasciato più volte traccia nelle sue lettere(vedasi Epistolario del FANTONI di Paola MELO).
Famiglia sicuramente benestante ,se ancora oggi nella Prepositurale di Fivizzano, sul lato destro dell’altare maggiore, è collocata nell’altare dei BENEDETTI una bella lapide del 1747 inneggiante a Clara Agnini, moglie amatissima. In Fivizzano la famiglia sfornò dottori e medici come il dottore Bernardo Agnini, che nel 1770 ha dato alle stampe un'apologia in sua difesa.
Vedasi FOTO:

***
Nacque il 29/01/1701 Francesco Antonio AGNINI che divenne AUDITORE ( Primo grado della Carriera di magistrato e titolo di alta importanza) della Consulta di FIRENZE nel 1772 e dichiarato nobile pontremolese nel 1783. Fu questi un personaggio di alto rango culturale come ci dimostra anche la filza n. 130 dell'archivio di stato di Massa ove sono elencati ben 649 libri (oltre ad altri da vendersi a peso) trovati nella sua casa di Firenze ove morì. Mentre in una sua lettera spedita da Fivizzano nell'anno 1835 e diretta ad Agostino Fantoni a quel tempo a Pistoia, scriveva: “ non è facile trovare a Fivizzano moneta Fiorentina, ma manderò dei Napoleoni”. (Arch. Di Stato di Massa fascicolo n. 284)
Fra i discendenti degli AGNINI in SARZANA dobbiamo citare Monsignor FRANCESCO AGNINI che fu VESCOVO DI SARZANA fino al 1853 anno della sua morte ed il cui sigillo vescovile è possibile oggi osservare nel Museo Dei Sigilli sito in Via Prione a La SPEZIA.
Altra figura carismatica fra gli AGNINI che si erano trasferiti a MODENA fu Gregorio AGNINI nato il 27/09/1856 a Finale Emilia da famiglia agiata che fu un pioniere del socialismo. Organizzatore nelle associazioni bracciantili, tra i primissimi deputati eletti al PARLAMENTO nell’anno 1891, membro della segreteria del Partito Socialista italiano, perseguitato dai fascisti e destinato a 89 anni a presiedere la CONSULTA NAZIONALE. Morì pochi giorni dopo, il 5 OTTOBRE 1945.Al suo funerale accorsero migliaia di contadini e braccianti ai quali aveva dedicato tutte le sue forze di uomo di fede e di politico: una canzone popolare del tempo diceva: “Evviva la nostra lega e chi la messa su – E’ stato AGNINI – il nostro buon GESU’”.
Della famiglia AGNINI ne descrive anche il Sig. VENANZIO BELLONI nel suo libro
“UN PALMO di LUNIGIANA” ove parla di PALLERONE e scrive: “
“Nell’ottocento la “ BEFANA” era distribuita dagli AGNINI, successori nelle terre terriere dei Malaspina. I nostri padri e nonni, ricordavano quel giorno nel quale, ogni anno, questi signori distribuivano un frutto (mela o altro) nell’androne che si trova sotto il castello…………
I Malaspina coltivavano pure altre usanze, continuate, nell’ottocento anche dagli AGNINI: nella notte che precedeva la commemorazione dei defunti, nei grandi camini della cucina marchionale si appendevano alle catene i laveggi, ricolmi di fagioli che venivano cotti assieme alla carne di maiale; il tutto veniva distribuito, nella mattinata seguente (giorno dei morti) alla gente.”

Ho potuto conoscere la storia di questa famiglia intrecciando una relazione epistolare proprio con un discendente di questa , il Sig. Vittorio Agnini, residente a TRENTO che si è avvalso anche del mio modesto aiuto per alcune ricerche sulla famiglia stessa.
La famiglia è stata dimenticata in Agnino, ma oggi ricordare che qui è nata e che nel tempo ha dato lumi a tante persone importanti che l’ hanno onorata, sapere che i discendenti portano il nome di Agnino nel mondo, ci onora e ci riempie di orgoglio.


Altra famiglia importante per l’ origine è quella dei CORSINI.
Discendenti della famosissima famiglia Corsini di Firenze che possedeva terre in mezza Toscana. Come siano arrivati ad ad Agnino non lo sappiamo, perché nel tempo se sono perse nel tempo le tracce genealogiche. Di certo conosciamo che i Principi Corsini di Firenze (Proprietari ancor oggi del Palazzo Corsini in Lungarno Corsini - sede della Biennale di Antiquariato) dal 1759 erano proprietari di terre in Gorasco, Giovagallo e Tresana.
Ma veniamo piu’ specificatamente a parlarne ricavandone notizie dall’ opera di Eugenio Branchi “ Storia della Lunigiana Feudale”.
Il principe Bartolomeo Corsini compra nel 1659, indebitandosi di 15000 scudi e con l’ esborso totale di 123200 scudi, dalla Corona Spagnola il feudo di Tresana e Castagnetoli e Giovagallo. Ma il popolo ,che non ne voleva sapere di essere di nuovo infeudato, si sollevò. Il giuramento si ebbe solo dopo che 6 dei principali rivoltosi furono carcerati a Pontremoli. Il Corsini che risiede a Firenze manda in Tresana il suo rappresentante Dott Pietro Bonico, milanese. Quindi “più con la dolcezza che col rigore” ritornò la tranquillità. La venuta dei Corsini in Lunigiana fu voluta dal Granduca di Toscana per strappare Tresana alla corte spagnola. Il Bartolomeo Corsini ebbe 7 figli. Parliamo del più noto : Lorenzo, uomo giusto e rigoroso che divenne Papa con il nome di Clemente XII . (Pontefice che emanò leggi in soccorso dei poveri, restaurò monumenti antichi e si oppose alla distruzione della Repubblica di S. Marino che l’ autocratico cardinale Alberoni voleva incorporare nei possedimenti della Chiesa. )
Fu papa dal 1730 alla sua morte nel 1740. Si intendeva forse più di problemi finanziari che ecclesiastici e quindi era l ‘uomo giusto per sanare le già disastrate casse pontificie. IL Pasquino romano lo criticava così, già da quando era cardinale di San Pietro in Vincoli ( si diceva che mantenesse una meretrice, una certa Clarice):
Quando il tenero Corsini
Se ne va dal caro bene,
la ritrova in tante pene
che staccar non se ne può.
Non migliorò la situazione finanziaria dello stato pontificio il dazio imposto sul gioco del lotto ma seppe comunque circondarsi di funzionari capaci (anche perché nel 1733 era diventato completamente cieco) e dette il via a un gran numero di opere pubbliche. Fece poco per la famiglia salvo l’ acquisto di un grosso palazzo in Trastevere, che poi prenderà il nome della casata. Nel 1754 suo nipote il Cardinale Neri Corsini vi fondò la famosa biblioteca Corsini.
Fra le opere più notevoli intraprese ci fu la costruzione della facciata della basilica di San Giovanni in Laterano; all’interno fece erigere una magnifica cappella intitolata ad un suo parente del XIII secolo, Sant’Andrea Corsini. Acquistò dal Cardinale Albani una famosa galleria di statue che aggiunse alla galleria del Campidoglio. Ma l’ opera più conosciuta di cui avviò la costruzione fu la FONTANA DI TREVI. (inaugurata solo nel 1761 dopo la sua morte). Prima di iniziare i lavori c’era solo un grosso vascone con una già bella fontana di Leon Battista Alberti del 1453, ma la volle sostituire con un’ opera maestosa.: fu scelto il bozzetto del romano Nicola Salvi, opera larga 20 metri per 26 in altezza. Sopra l’ arco trionfale sovrasta un grande stemma di Clemente XII, al centro su scogli e figure si erge la statua di “Oceano” sopra un carro a conchiglione trainato da cavalli marini e tritoni. Sotto la grande vasca a simboleggiare il mare . Certo il più noto monumento di Roma.
In campo ecclesiastico si distinse per avere canonizzato S. Vincenzo de’ Paoli, il santo della carità, e per avere emanato il primo decreto pontificio contro la Massoneria.
Morì il 6 febbraio 1740 e fu sepolto nella fastosa cappella Corsini di S. Giovanni in Laterano.
Il famoso Pasquino disse che “morì pezzente”, per dire che comunque fu mai scialacquatore e quello che fece, lo fece rimettendoci anche del suo e per il bene della chiesa.
Il primogenito di Bartolomeo fu Filippo che successe al Marchesato di Tresana. Deditissimo agli studi, amico di Cosimo figlio del Granduca Ferdinando II, stette in Firenze, ma si occupò del Feudo lunigianese personalmente delegando a ministri intelligenti. Sotto di lui furono fatti ordinamenti municipali che regolavano “Boschi, selve , bestiami”. Filippo fu marchese benvoluto dalla casa Medici, eletto consigliere di Stato e ambasciatore alla Corte di Baviera. Buon letterato fu iscritto all’accademia della CRUSCA e all’ ARCADIA di Roma. Sotto la prima accademia pubblicò a sue spese il quarto vocabolario, ristampò opere classiche; fu onorato di elogi dagli arcadi. Mori l’ anno 1706.Lasciò successore del feudo il figlio Bartolomeo nato nel 1683 che fu guardarobiere del Granduca Cosimo II. A questo Bartolomeo “gli piovvero addosso un’improvvisa carica di onori” allorchè suo zio Lorenzo fu eletto Pontefice.A Roma fu Capitano della Guardia Nobile,Patrizio a Genova e a Venezia: Da Carlo III di Borbone fu promosso suo Cavallerizzo maggiore e ottenne la croce di S. Gennaro.Nel 1737 a seguito di accordi fra il RE di Napoli ed il pontefice fu mandato vicere in Sicilia. “L’ amministrazione del Corsini in Sicilia si meritò molta lode e affetto da parte dei Siciliani……… La fama della sua capacità spinse il Re Carlo III a chiamarlo a Napoli nel 1745 per affidargli la presidenza del suo consiglio di ministri”. Lì fu innovatore della politica e attuò riforme nel commercio, nelle arti ed ecclesiastiche. Morì a Napoli il 29/11/1952.Durante il suo regno la popolazione dei 3 feudi lunigianesi diminuisce. Nel 1710 vi erano 440 fuochi (famiglie), nel 1746 ne erano rimasti 345. Molto probabilmente per i gradi che il BARTOLOMEO occupò a Roma, Sicilia e Napoli “offerirono mezzi a molti dei sudditi suoi di avere impieghi colà, onde l’ emigrazione delle loro famiglie”
Gli succede il figlio Filippo nato nel 1706. Poche volte costui viene in Lunigiana perché anche lui vive a Roma ed a Napoli, senza essere uomo di lettere fu accademico della CRUSCA. Mori nel 1767 lasciando 7 figli avuti da Ottavia di Lorenzo STROZZI duca di Forano. Fra questi figli ricordiamo Lorenzo che fu Cavaliere di MALTA E priore a PISA e poi fu inviato AMBASCIATORE a Madrid da Pietro Leopoldo.
Andrea che fu CARDINALE in Roma e come tale fu uno di quelli che favorì la soppressione dei GESUITI. Mori nel 1795 e fu sepolto nella sua cappella gentilizia nella basilica lateranense.
Bartolomeo nato nel 1729, primogenito ereditò il feudi della Lunigiana. Chiamato a Roma come comandante della guardia nobile pontificia, ma poi vi rinunciò e prese domicilio in FIRENZE. Si occupò dei feudi e fece redigere il primo bilancio ufficiale dei tre feudi di Tresana, Giovagallo e Castagnetoli con il totale entrate scudi 1274, totale uscite 908, resto scudi 366.Fu un innovatore illuminista,, aprì a BARBARASCO un fabbrica di embrici, istituì monti frumentari, scuole elementari, stabilì norme per i prezzi dei cereali. Rese libero il commercio dei coloniali, mise delle regole alle spese comunali. Ma nonostante questo ebbe una forte opposizione da parte dei preti e di notio per motivi che non sono venuti fuori. Fu invece stimato in patria tanto che Pietro Leopoldo di LORENA lo elesse nel 1791 consigliere di Stato. Sposò Maria Felice di Giulio-Cesare Colonna –Barberini Principe di Palestrina ed ebbe una decina di figli.
Uno di questi era Neri nato nel 1771 e che a soli 22 anni andò ambasciatore a VIENNA presso l’ imperatore FRANCESCO. Arrivato Napoleone in Italia, fu chiamato dallo stesso a PARIGI quale consigliere di Stato. Dopo la caduta napoleonica, nel 1815 fu ripristinato Consigliere di STATO a Firenze . Favorì il libero commercio, la formazione di nuove strade, favoreggiò l’ apertura della Cassa Di Risparmio di Firenze, iniziò la riforma del sistema giudiziario, riformò l’ università. Morì il 25/10/1845. Di lui scrisse il Passerini, che scrisse sulla genealogia dei CORSINI, “ Fu Neri Corsini schietto, sincero, dignitoso per costume di famiglia,temperato per carattere, versatissimo nel diritto pubblico ed internazionale, sempre assiduo alla fatica, e non mai vi fu chi si lagnasse di una sola ingiustizia da lui commessa”.
“Ambizioso e altiero ” era invece il fratello Tommaso , nato nel 1767, che fu l’ ultimo feudatario in quanto con l’ editto del generale francese Chabot del 2 luglio 1797 furono aboliti i feudi in Lunigiana e questa passò a fare parte della Repubblica Italiana. Durante i pochi anni del suo regno egli “abbracciò per calcolo i democratici” e così “salvò le sue terre da quegli orrori di guerra che molti dei suoi confinanti soffrirono……. Perdute le terre lunigianesi si ritirò nel seno della sua famiglia in Firenze”. E quando i francesi invasero Firenze nel 1799, al grido “morte agli aristocratici” per evitare insulti e pericoli si ricoverò con il fratello in Sicilia. Saltando qualche passaggio della sua vita dobbiamo notare che “ nel 1809 fu da Napoleone chiamato a Parigi per sedervi fra i membri del Senato, ed ivi fu nominato Ciamberlano imperiale, eletto conte dell’Impero con la prerogativa di conservare ancora il titolo di Principe,” “ Fu incaricato dall’Imperatore (Napoleone) di portarsi ad incontrare ed accompagnare a Parigi Maria Luisa d’ AUSTRIA fatta sua sposa” .
“Caduto l’ impero francese si stabilì a Roma ove da Pio VII fu eletto SENATORE. …. A lui deve Roma nei suoi torbidi del 48 e 49 che l’ ordine pubblico non rimanesse turbato” Lui stesso arricchì la ricca biblioteca di Palazzo Corsini fondata già dal Cardinale Neri- Maria” (fratello del bis-nonno Bartolomeo). Tommaso che morì a 90 anni il 6/01/1856, fece testamento nell’anno 1854 disponendo dei molti titoli e beni che possedeva.
Tresana la lasciò al terzogenito Tommaso e Giovagallo a Lorenzo ma molti beni già dal 1835 Tommaso il vecchio li aveva già alienati .
Questa,per sommi capi, la storia del FEUDO dei CORSINI in Lunigiana e di questa grande dinastia.
Ora come siano arrivati in Agnino la famiglia Corsini non ci è dato di saperlo, probabilmente un discendente è venuti in paese alla fine del secolo XVI dando origine al ramo locale che ha mantenuto memoria della sua prestigiosa origine.
Fra i Corsini da Piazza d’ Agnino si distinse Luigi del fu Andrea Corsini nato il 17/09/1823 che sposò Agata Uberti nata il 23/02/1824 a Poppeto di Castevoli (morì nel 1855 di colera).
Codesti coniugi ebbero tre figli: Lino nato il 27/07/1851 che fu Maestro di scuola pubblica e morì il 30/04/1917; Sisto che fu sacerdote a Quarazzana (vedasi capitolo ad essa dedicato) ; e l’ altro figlio Ettore che, quale assessore più anziano, fu Vicesindaco di Fivizzano. Quest’ultimo sposò una Carlotta Tonelli di Cavallana di Filattiera ed ebbe come figli Clelia, Umberto, Luigi, Lino e Sisto.
Sisto, sacerdote a Quarazzana fu cultore di musica ed è lo stesso che ha aggiornato le note sullo “Stato delle famiglie e delle anime della parrocchia di Agnino fatta nell’anno 1894” dal canonico Corsini Don Paolo fu Andrea dal cui poi ho ricavato le notizie sulla famiglia.
Ultimo discendente residente è il mio amico Ettore Corsini che è figlio di Lino (il mio primo maestro di latino ) che fu assessore al Comune di Fivizzano e la cui scomparsa improvvisa e prematura privò allora il nostro paese di una guida preziosa.

Don Sisto Corsini parroco a Quarazzana

Mentro stavo scrivendo le presenti note ho ritrovato casualmente fra le mie carte degli appunti che ho ricavato almeno 30 anni fa dalle carte di Sisto Corsini. Credo sia importante non perderle.
“ Memorie della parrocchia di Quarazzana.
Quarazzana risiede sopra uno sperone occidentale dell’Alpe di Camporaghena fra il torrente Taverone che ha dietro le sue spalle ed il torrente Rosaro che gli passa sotto dal lato di levante. Vi ebbero antica signoria i Marchesi Malaspina e gli Estensi, i quali diedero in subfeudo ai nobili Buosi della Verruccola questo casale con le pertinenze annesse. In seguito dai Buosi, nel 1247 fu ceduto ad un certo Guido da Godano salvo l’ alto dominio dei primi feudatari.
La parrocchia di Quarazzana è composta dai casali di Fiacciano, Montale, Costa, Albereto ed ebbe il suo massimo fulgore alla fine del 1800 allorchè la popolazione arrivò a quasi 300 abitanti.”
Vediamo chi furono i suoi rettori. Si trova che nel 1863 moriva in Quarazzana il sacerdote Paolo Giannarelli nato a Sassalbo il 30 aprile 1791. Fu soldato di Napoleone I Buonaparte. Un nipote di costui Don Cirillo Giannarelli fu parroco di Magliano succedutovi a Don Luca Bongi andato Priore ad Agnino. Resse poi la parrocchia dal 1864 al 1872 un certo Malaspina Giuseppe nato a Regnano nel 1835, che poi morì di <vaiolo nero> nella Pieve di Bagnone. Successe quindi il sacerdote Luigi Benedetti figlio di Antonio fu Pietro e di Mazzoni Elisabetta nata a Quarazzana nel 1812. “ Don Luigi fu versatissimo nelle discipline filosofiche e teologiche e cultore appassionato della lingua italiana. In Toscana fu oratore sacro di grande fama, mentre rivestiva l’ abito di S. Francesco d’ Assisi con il nome di <Generoso>. Fu Cappellano Regio alle carceri dell’ Ambrosiana di Firenze e fu tenuto in conto da eminenti persone che l’ onorarono di cordiale amicizia, compreso Silvio Pellico. Spogliatosi con ecclesiastica licenza dell’abito francescano viene parroco al paese natale nel 1872 e vi restò fino al 1899, anno di sua morte.” Da notare che fu creato dal Vescovo di Pontremoli <Esaminatore Sinodale Onorario>. Aveva una scelta libreria, che lasciò al Convento dei Francescani di Soliera. Mise alle stampe una “Orazione panegirica di S. Francesco D'Assisi”, letta nella chiesa dei Minori Osservanti presso Fivizzano per la festa del VII centenario il 4 ottobre 1882.
(La cui copia è oggi consultabile fra le Miscellanee dell'Archivio di Stato di Massa).
Al Don Luigi Benedetti successe nella parrocchia il sacerdote Corsini Sisto figlio del maestro Lino nato ad Agnino il 27/11/1871 che vi restò fino al 1917, anno in cui rinunziò spontaneamente alla parrocchia. Ed è nelle suo ordinate carte che si ritrovano le presenti note, ed è lo stesso che traccia i sotto indicati appunti sul carattere del popolo di Quarazzana:
“ Il popolo è attaccato alle vecchie tradizioni, massime nei vecchi e negli adulti. Invidiosi gli uni degli altri. Regna la diffidenza e la finzione, coperta da una forma di fare e parlare rispettosa di fronte ai superiori e delle persone di qualche riguardo o istruite. Dietro le spalle poi spesso non è così. Riscontrasi in generale in tutte le classi, la maldicenza, il pettegolezzo e la curiosità. Il segreto è ben difficilmente mantenuto Vi è timidezza e debolezza di carattere. Facili alla maldicenza, sono facilissimi alla discolpa accusando ed incolpando altri, sempre scusandosi, non mai volendosi dichiarare rei. Puntigliosi ed ostinati. Del resto, i Quarazzanesi sono laboriosi e non dediti al lusso.
Poco o tanto a tutti , le donne comprese, piace il vino. Il pubblico non leva mai lo sguardo di dosso al parroco, del quale si racconta tutto fuori di paese; e con chi ne parla bene, si parla bene; e con chi ne parla male si parla anche peggio; felice chi ne sa dir di più e chi la sa dir meglio!
Si tenga bene a mente che in parrocchia vi sono ancora di buone brave persone, ma non mancano le maligne e le perverse, che spesso si accostano con tutta arte e vestite di un manto non proprio, del quale prima o poi infallentemente si liberano.”
Queste note piuttosto pessimistiche rivelano le difficoltà accettazione di questo piccolo mondo chiuso, ove la vita offriva veramente poco ; la parrocchia poi, per la dimensione culturale del Corsini gli stava troppo stretta. Quando poi alla morte dello zio Don Paolo nel 1915, si rende vacante il Priorato di Agnino il nipote Sisto aspetta una designazione che poi non arriva e questo motivo fu la spinta a prendere la decisione di ritirarsi a vita privata nell’ anno 1917.










Un’altra famiglia che non posso naturalmente dimenticare di ricordare è quella dei BARBIERI.

Non è famiglia nobile, ma da tradizioni dignitose. Lo scrivente , sposato con Mariangela Gia e padre di Gabriele e Francesco, è figlio di Alberto nato nel 1901, questo a sua volta figlio di Pietro nato nel 1874, questo a sua volta figlio di Eugenio nato nel 1840 ?, questo a sua volta figlio di Felice nato nel 1804, questo a sua volta figlio di Pasquale nato nel 1767, questo a sua volta figlio di Ambrogio e poi viene sempre risalendo: Cesare (sposò il 2/6/1733 Palmieri Maria Maddalena che portò in dote scudi 430), Giovanni, Bernabeo e CESARE e siamo cosi all’inizio del secolo XVII subito dopo il Concilio di Trento del 1563 con il quale La Chiesa istituiva i registri parrocchiali con le date di nascita. La famiglia ha avuto varie diramazioni con alcuni discendenti che sono andati a Carrara, Sarzana, Milano, Australia.
La famiglia ha sempre posseduto la “Cabela” che come dice il nome (casa bella) era un fabbricato distinto (molti anni addietro ! Ora è un rudere).
Come già narrato nel capitolo dell’oratorio, la mia famiglia ha avuto più di un prete, uno di questi AMBROGIO nato il 8/04/1835 era figlio del fratello del mio trisnonno Felice e fu un ex- chierico e poi fu ambito fattore del Conte Picedi a Sarzana ove formò famiglia e mori. Ebbe quattro figli: Giuseppe, Alfonso, Cesare ed Aurelio. Quest’ultimo fu scultore e di lui vorrei aprire una parentesi traendola dal libro “Actum Sarzanae 2003” con cui Pino Meneghini ne racconta la vicenda avendola sentita, come pure lo scrivente, dal sarzanese Dante Ricci.
“C’è una targa di bronzo murata nella parte sinistra della facciata del Palazzo Comunale (di Sarzana) da tutti ignorata, e che racchiude invece straordinarie pagine di vita vissuta e di storia cittadina.” Inneggia ai sarzanesi Cesare Canini e Paolo Raso, garibaldini della prima spedizione dei Mille a Marsala. “La scena scolpita nel bronzo, sobria ed elegante, rappresenta un gruppo di giovinetti nudi che, sotto un cielo tempestoso, si lanciano fra le onde marine quasi si trattasse di una gara di nuoto: metafora stilizzata della gioiosa avventura di quei mille giovani che partirono per realizzare un sogno sublime ed impossibile, quello dell’Italia unita ed indipendente. Il tutto con tratti asciutti e grafica leggera e sinuosa, in uno stile che risente delle influenze del Liberty, a quel tempo di gran moda in tutto il continente.




Autore del bassorilievo è lo scultore sarzanese Aurelio Barbieri, che lo incise fra luglio e dicembre del 1910, all’età di 30 anni. Era infatti nato a Sarzana il 17/02/1880, dove il padre, lunigianese di Agnino, si era trasferito per lavorare alle dipendenze del conte Picedi del quale era fattore e la moglie cuoca. Per questa ragione abitavano sul retro del palazzo gentilizio dei Picedi Benedettini, nei fondi che ancora si aprono su Via Rossi, dove si trovava anche lo studio nel quale il giovane Aurelio, che aveva frequentato l’Accademia di Carrara, realizzava la sua vena artistica.
Era un tipo solitario, ricorda Dante Ricci suo discendente, capace quando non modellava forme, di passare gran parte della giornata a leggere, oppure di stare davanti al fuoco del camino per ore, assorto nei suoi pensieri.
Nel corso del 1916, durante gli anni della prima guerra mondiale, gli fu un giorno recapitata la cartolina precetto, con la quale era richiamato in servizio militare. La sua reazione fu dura < non andrò mai ad ammazzare dei nemici che neppure conosco> gridò, e si rifiutò di partire per il distretto di Massa, punto di raccolta del suo battaglione. Queste parole, le sue amicizie di cui si dirà, ma anche la cravatta alla Lavalière che indossa in una foto, ci fanno capire senza ombra di dubbio che in quegli anni di inizio secolo il suo cuore batteva dalla parte di chi difendeva gli interessi del popolo, socialisti, repubblicani od anarchici che fossero.
Solo dopo essere stato minacciato di arresto per renitenza, cedette e partì insieme con il fratello alla volta della città apuana.
La prima notte in caserma fu per lui sconvolgente. Forse per darsi coraggio alzò anche il gomito. Sta di fatto che in piena notte, nella grande camerata dove ormai tutti dormivano, Barbieri si alzò ritto sul letto e cominciò a gridare a squarciagola frasi sconnesse, tanto da svegliare i commilitoni e da richiamare il maresciallo di picchetto che gli si avvicinò per calmarlo. Il sarzanese a muso duro gli gridò allora < Proprio te cercavo!> e così dicendo gli sferrò un terribile cazzotto che asportò letteralmente un occhio a quel poveretto.
Il giovane finì così nel manicomio criminale di Siena, dove rimase rinchiuso per molti lunghi mesi, e dove riceveva cartoline, fotografie, attestati di affetto da parte dei vecchi amici di Sarzana, fra i quali, su tutti, l’avv. Arnaldo Terzi, suo coetaneo (era nato nel 1881), che di lì a pochi anni diventerà Sindaco socialista di Sarzana e che poi morirà nell’aprile del 1945 nel campo di concentramento nazista di Mauthausen.
Tornato a casa nella primavera del 1917, continuò la sua attività artistica fino a quando, il 26 settembre dell’anno successivo, morì a Sarzana a causa della febbre “spagnola”. La tradizione famigliare vuole anzi che Barbieri sia stato la prima vittima sarzanese di quel terribile virus che in Europa fece milioni di morti…..”.
Prima di finire sulla mia famiglia vorrei ricordare prima di tutto il sacrificio di ANSELMO QUINTO n. il 4/10/1910 che faceva parte del IV Reggimento di Artiglieria Alpina in Russia ove morì il 26/11/1943 nell’ospedale di Zubova Poiana durante la famosa ritirata.
E come potrei dimenticare la figura più conosciuta e forse più amata fra gli agninesi del dopoguerra,
che era quella di Primino Barbieri, detto l’ “Americano”?
Con la consorte Meri Pigoni gestiva il bar tabaccheria alla Villa e che “per primo” (tanto per far rima con il suo nome) avviò il commercio del pane cotto in forni a legna. E’ stato il segretario locale nei tempi d’oro della Democrazia Cristiana , confidente dei carabinieri, amico dell’industriale come del più umile paesano. Ha sempre cercato di aiutare tutti nelle difficoltà economiche: quante volte ha fatto da banca senza mai farsi ripagare degli interessi. Quante volte ci ha rimesso anche del suo!
Allora non si diceva “andiamo al bar”, ma anzi “ andiamo dall’Americano!”. Lui era sempre presente per fare una chiacchierata, per sfottere, per ironizzare, per fare due urli durante una partita di briscola o di scopa. Mio cugino l’Americano è stato per tanti anni un’istituzione, sicuramente una persona amante del sapere, affabile, altruista e generoso d’animo; la sua scomparsa ha lasciato veramente un vuoto incolmabile nel paese.
Fra i Barbieri da ricordare un memento particolare va al mio caro fratello GIUSEPPE nato nel 1938, studente modello destinato alla veste talare, ma mancando la vocazione andò militare in Marina e poi dopo un’onorata carriera nella Guardia di Finanza è stato insignito nel 2003 dal Presidente Ciampi del titolo di < Cavaliere della Repubblica > per meriti di lavoro. Ha avuto dalla moglie Piera Corsini due figli Mauro e Stefano entrambi residenti a Livorno. Mauro, diplomatosi geometra ha trovato impiego alle Poste, ma la sua occupazione principale – quasi a confermare un’attitudine “mendelliana” – è occuparsi di arte pittorica. Ha fondato, dirige e scrive su un giornale “Arte a Livorno” che da anni, con uscite mensili, si occupa di pittori livornesi, pittura macchiaiola e post-macchiaiola.
Il suo sito web artealivorno@hotmail.com è un punto di riferimento per amatori ed acquirenti di pittura livornese.
L’altro mio nipote Stefano, Dottore in legge, occupato alla Camera di Commercio, collabora con squisiti articoli per la rivista del fratello.
Sui Barbieri, specialmente sui vizi dei medesimi avrei tante cose da dire, ma forse e senza forse è meglio fermarsi qui!

Su altre famiglie non scrivo, non perché meno importanti ma solo per mancanza di documentazione, di tempo e di… spazio di stampa. Lascio ad ognuno la possibilità di scrivere sulla propria!
Si parlerà ancora di altre famiglie agninesi emigrate, ma il racconto non sarà il mio, che risulterebbe scarno, ma del Professore Pietro Lorenzini, cittadino Americano, figlio di emigrati di Agnino ed ora docente di Storia Moderna presso L’ Elgin College di Chicago – Università Illinois.

Storie di famiglie di Agnino emigrate negli Stati Uniti D’ America

Avevo intenzione di scrivere un capitolo sulla emigrazione Agninese verso il Nuovo Continente, quando casualmente parlando con Rina Gregori mi ha fatto conoscere e poi consegnato una pubblicazione riportante uno scritto del nipote Pietro Lorenzini. Ho visionato la pubblicazione edita dalla Giunta Regionale Toscana quale “ 3° Quaderno sulla Storia dell’ Emigrazione Toscana” curata dalla Prof.ssa Caterina Rapetti che raccoglie storie di emigrazione di diversi autori, fra cui il lavoro di Lorenzini. Per far cosa grata al mio lettore, che entrerà meglio nelle vicende , riporto integralmente, saltando solo la parte iniziale, la descrizione accurata che ne fa l’agninese, ora cittadino americano, Pietro Lorenzini.
Un racconto che abbraccia più generazioni, che si incontra con il “Proibizionismo americano” e con la “guerra partigiana” in Italia e la miseria del “dopoguerra”; un racconto di vera storia vissuta da agninesi emigrati.

Il racconto riporta il sunto di più interviste fatte dal Lorenzini a Pietro Alberto Gregori, Amelia Bassignani,Giuseppe Paolini, Peter e Mary Signanini,Gregorio Nello Gregori, Rosina Gregori, Lino Gregori, Agostino Gregori, Mery Gregori, Pietro Gregori, Rina Gregori, Aida Gregori, Lino Gregori, Gregorio Nello Gregori, Domenico Lorenzini, Guido Lorenzini, Maria Lorenzini, Luisa Lorenzini, Giovanni Rossi, Domenico De Cesari, Reno Rossi fatte sia in Italia che negli Stati Uniti, in un periodo che va dal 1969 all’anno 2000.

Dopo un’ approfondito studio sulle ragioni dell’emigrazione il nostro professore scrive:
“Mentre le ragioni della migrazione dalla Lunigiana sono varie, la principale può essere rintracciata nella crescita demografica e nei limiti dell’agricoltura dell’area montagnosa. Già nel 1873 l’ economia agricola della Lunigiana nella Provincia di Massa Carrara cominciò a soffrire seri contraccolpi che influenzarono la popolazione agricola della zona. Le vigne dell’area furono completamente distrutte a causa dello scoppio dell’epidemia di filossera e della riduzione dell’esportazione di prodotti alimentari in Francia e in Gran Bretagna a causa delle restrizioni imposte dal governo francese e britannico. Un’ altra fonte di reddito da cui i contadini dipendevano era la crescita e la lavorazione del lino che fu pesantemente ridotta a causa di un’improvvisa caduta del prezzo. Oltre ai dannosi effetti causati dai raccolti malati, le fluttuazioni dei prezzi, le misure restrittive dei governi stranieri,e l’ eccessiva crescita della popolazione della Lunigiana (fattore molto comune in buona parte dell’Appennino italiano) danneggiarono severamente la capacità produttiva dell’agricoltura locale. Inoltre la consistente crescita della popolazione funzionò come acceleratore del processo che spezzettava sempre di più il terreno in piccoli lotti. Mentre si assicurava che i membri della famiglia ereditavano buona parte del patrimonio di terra in seguito al decesso del capo famiglia, la consuetudine di ripartire la terra fra tutti i membri rese più difficoltosa la vita basata sull’agricoltura. Dovendo affrontare la realtà della sovrappopolazione e delle limitazioni dei proprietari terrieri di piccola scala, sempre più agricoltori e lavoratori cominciarono a cercare lavoro lontano dalle loro valli e monti nativi. Dall’inizio del tardo XIX secolo, generazioni di Lunigianesi furono attratte dalla fiorente economia degli Stati uniti non solo per un’occupazione sicura e salari relativamente alti, ma anche attirati dalla possibilità di accumulare sufficienti risparmi. La possibilità di accumulare una grande quantità di denaro fu la ragione che indusse molti Lunigianesi ad emigrare negli Stati Uniti. Allettati da storie di innumerevoli lavori ad alti salari, molti emigranti speravano di poter risparmiare buona parte delle loro entrate per poi un giorno ritornare alle loro vecchie case, per comprarne di nuove e per investire in terre comprando i lotti disponibili……….Da artigiani a piccoli proprietari, da lavoratori giornalieri senza terra a mezzadri, i lavoratori della Lunigiana risposero alla chiamata Americana e salparono per le sue terre lontane, senza immaginare le condizioni che li aspettavano, ma con la speranza di aver successo e con la certezza di un giorno ritornare con orgoglio e amore alle loro famiglie e ai loro paesi”.
Continua ancora “ La documentazione scritta che può attestare le sofferenze di questi tenaci emigranti che è rimasta è poca, La maggior parte delle lettere, diari, cartoline de altri scritti che sarebbero stati usati per documentare i desideri e le sofferenze di emigranti da Massa-Carrara sono stati persi o dimenticati …e, in più, vi è la riluttanza della gente di rilasciare scritti privati di famiglia….L’ autore ha limitato la sua ricerca a poche famiglie che sono emigrate dal paese di Agnino”.
Prosegue con la storia delle famiglie:
“ Tra i gruppi di emigranti studiati,la famiglia Gregori del Comune di Fivizzano offre un buon esempio delle tematiche comuni della migrazione della Lunigiana verso gli Stati uniti (tra gli altri Fivizzanesi emigranti vi erano membri delle famiglie Bassignani, Conti, Lorenzini,Cardini, Paolini, Pigoni, Signanini e Veschi). La documentazione del Governo Italiano mostra che i gregari di Fivizzano erano piccoli proprietari che lavoravano piccoli lotti di terra i quali erano stati tramandati da generazione a generazione. Gli appezzamenti di terra dei Gregori erano simili a quelli di altri contadini in grandezza,in numero e produzione. Raramente un singolo lotto di terra, per esempio,era più grande di pochi ettari, e spesso più lotti della stessa famiglia erano separati l’ uno dall’altro. L’ impresa agricola della famiglia Gregori fu un esempio tipico. I terreni di Gregori, sebbene ogni singolo lotto fosse grande pochi ettari e lotti singoli erano spesso separati l’uno dall’altro, erano lavorati dai membri della famiglia con l’ aiuto dei vicini e quando necessario, dei lavoratori giornalieri. Inoltre, la produzione agricola delle proprietà dei Gregori era simile a quella che era prodotta nelle campagne della Lunigiana. I Gregori lavoravano terreni a vigne e castagneti. Nelle loro proprietà i Gregori coltivavano grano, fieno, legumi, patate,ed allo stesso tempo allevavano numerosi animali come mucche, polli e conigli. Per lo più la terra mantenuta dai Gregori riusciva a sostenere la famiglia nelle stagioni migliori, ma raccolti poveri e cattive condizioni del tempo spesso minacciavano il benessere della famiglia.
Non appena nel tardo XIX secolo, l’ emigrazione italiana negli Stati Uniti divenne più frequente molti lunigianesi decisero di emigrare verso la Repubblica Americana per liberarsi degli stenti imposti dalla agricoltura e dalla situazione demografica locale. Gregorio Gregori (lo stesso che fu presidente della Società di Mutua Beneficenza di Agnino, vedasi capitolo relativo nella presente opera) fu uno dei primi ad approfittare di queste nuove opportunità che le migrazioni transoceaniche offrivano. Durante l’ultimo decennio del XIX secolo lasciò il suo paese nativo di Agnino per il terreno fertile della California. A causa della scarsezza della documentazione di famiglia poco si sa della ragione esatta che convinse il giovane Gregorio a lasciare la sua famiglia e i suoi terreni. Ciò che si sa è che Gregorio, che nacque ad Agnino nel 1869, emigrò negli Stati Uniti quando aveva ventitre anni. Arrivato a New York viaggiò 3 mila miglia con il treno fino al nord della California dove trovò lavoro in varie aziende. Dopo aver lavorato nella fattoria vicino Santa Rosa, una piccola cittadina (a circa quaranta miglia al nord di san Francisco) che forniva prodotti finiti alla crescente città di San Francisco, Gregorio trovò lavoro nel porto della città. Infine fu capace di risparmiare abbastanza denaro per ritornare in Italia, sposare e portare la sua nuova moglie, Maria Calmieri, in California. Una volta stabilitosi di nuovo in California, ebbe tre bambini: Beatrice (nata a Santa Rosa nel 1895); Pietro Alberto, più tardi chiamato Alberto (nato a San Francisco nel 1896); e Teresa (nata a San Francisco nel 1898).
Per ventitre anni, Gregorio e Maria e i loro tre figli sono vissuti e hanno lavorato tra Santa Rosa e San Francisco. Durante questo periodo la famiglia Gregori vide la California cambiare da un territorio rurale e relativamente “selvaggio west” ad una regione urbana e cosmopolita.
Questa transizione fu favorita da un “boom” economico e da una crescita demografica di massa alimentata sia da una emigrazione americana verso Ovest, sia dalla migrazione dall’Europa e dall’Asia. Vivendo in California in questo periodo significa che i Gregori vissero uno dei periodi più turbolenti della storia della California e di San Francisco, la più grande città al nord dello Stato. Le sensazioni di vita in questo periodo furono così memorabili per Gregorio, sua moglie e i suoi figli che le tramandarono da famiglia a famiglia, da una generazione all’altra. Una delle storie più memorabili narrate è quella che descrive il pesante bilancio di vite e la distruzione di massa causata dal terremoto del 1906 che ha virtualmente livellato l’intera città di San Francisco e molte delle città della vicina periferia. Altre storie descrivono san Francisco come una metropoli abitata da gente di ogni parte del Nord America, Europa ed Asia. Camminando per le strade della città i Gregari ascoltavano dozzine di lingue e sentivano odori di cibo di diverse etnie cucinato in svariati modi. Un’ altra storia di famiglia spiega come Gregorio avesse visto le grandi foreste al nord della California i cui alberi erano talmente alti che oscuravano il sole a mezzogiorno e furono totalmente distrutti per fare spazio alla ricostruzione della città dopo che il terremoto del 1906 aveva demolito la maggior parte delle strutture esistenti.
Dopo che San Francisco e le città circostanti furono finalmente ricostruite, Gregorio e la sua famigliari trasferirono a Chicago nel 1919 nel tentativo di cercare una migliore occupazione per lui stesso e per i suoi figli. Si stabilirono vicino la zona di Pullman, a sud di Chicago. Pullman fu fondata da un famoso imprenditore Gorge M. Pullman nel 1881. Nel tentativo di aumentare la produzione del suo famoso vagone- treno “ Pullman Palace Car” fondò una città autarchica che fu chiamata come il suo fondatore. Pullman era situata soli pochi chilometri a sud di Chicago, sebbene inizialmente fosse una città governata da lui stesso, in seguito divenne parte della città di Chicago. Tutti coloro che lavoravano nella azienda di Pullman dovevano vivere nella sua città. La città che lui costruì e controllava, incluso le industrie dove i suoi treni venivano costruiti e riparati, era divisa in quartieri per i capi sala delle fabbriche e in quelli per lavoratori manuali.In più in città vi erano negozi, una libreria,vi erano luoghi per incontri e per il tempo libero come chiese e persino cimiteri. Coloro che desideravano vivere e usufruire di qualsiasi struttura della città dovevano pagare l’ affitto alla compagnia di George M. Pullman. Tutto filò liscio per Gorge Pullman fino a che la grande depressione economica del 1893 ridusse i profitti della Compagnia.
Mantenendo un occhio sui profitti in crescita, Mister Pullman aumentò gli affitti e ridusse i salari dei suoi lavoratori. Questi fatti provocarono il primo sciopero nella storia nazionale degli Stati uniti. Guidati da Eugene V. Debs, i dipendenti di Pullman scioperarono nel 1894 e vennero seguiti da migliaia di lavoratori delle ferrovie da Chicago alla California. Alla fine lo sciopero fu interrotto dalle attività coordinate delle truppe governative e dei baroni dell’ industria ferroviaria americana. Nel periodo dopo lo sciopero di Pullman, l’ area di Chicago sperimentò una rapida crescita economica e demografica. La città divenne il centro del trasporto, del commercio e dell’industria dell’intera regione del “mid-west”. Il boom economico di Chicago e la rapida crescita spinsero il governo della città ad assumere più lavoratori per soddisfare il bisogno della comunità in espansione.
Poco dopo il suo arrivo a Chicago, Pietro Alberto e suo padre capirono che potevano ottenere un lavoro sicuro lavorando con la città. In effetti venivano pagati discretamente e ciò che guadagnavano lo spendevano per le spese giornaliere. Dopo che Gregorio fu promosso a supervisore delle luci a gas nelle strade della città e a suo figlio Pietro Alberto fu assegnato il posto da supervisore dei parchi della zona sud, la famiglia Gregari fu capace di mettere da parte abbastanza soldi per comprare la prima casa a Chicago. All’improviso gli eventi mondiali rovinarono la vita tranquilla del clan dei Gregori come per migliaia di altre famiglie lavoratrici. Nel 1917 gli Stati Uniti entrarono ufficialmente nella prima guerra mondiale. Mentre tanti italo-americani celebravano l’ entrata in guerra degli Stati uniti al fianco del Regno d’ Italia e delle altre potenze alleate, la guerra rovinò subito le vite e i piani di migliaia di emigranti italiani. In breve, la guerra causò grandi difficoltà per migliaia di loro. Uno alla volta, queste famiglie si trovarono con i loro figli chiamati a servire le forze armate. La famiglia Gregori non fu un’eccezione. Il figlio di Gregorio Pietro Alberto, venne arruolato nell’esercito e fu mandato nello stato della Georgia, ma prima che potesse essere imbarcato per i campi di battaglia in Europa, la guerra terminò nel 1918. Dopo che Pietro Alberto fu congedato in maniera onorevole dal servizio militare, ritornò a Chicago dove riebbe il suo lavoro che gli permise di contribuire ancora una volta al reddito famigliare. Nel 1921, tre anni dopo che la guerra terminò e ventisette dopo essere emigrato negli stati Uniti, Gregorio Gregori e la sua famiglia risparmiarono abbastanza denaro per ritornare in Italia e soddisfare il loro progetto di espandere i terreni di famiglia nella Lunigiana. Gregorio e Maria così decisero di ritornare a Massa- Carrara. I loro figli nati in America, Beatrice, Pietro Alberto e Teresa decisero di accompagnare i loro genitori in Italia.
Una volta ritornati ad Agnino di Fivizzano, la famiglia Gregori comprò altra terra e ristrutturò le case. Nel frattempo, Beatrice, Teresa, e Pietro Alberto, essendo arrivati ad una età idonea per mettere su famiglia, presto avviarono rapporti sentimentali con persone locali e questi rapporti sfociarono nel matrimonio. Mentre Teresa e suo marito, Nicola Pigoni, decisero di rimanere in Lunigiana, Beatrice e suo marito Domenico Bassignani e Pietro Alberto e la sua moglie Amelia Bassignani, partirono per gli Stati Uniti nel 1921.
Subito dopo il loro arrivo nel suolo americano, Beatrice e il suo marito si diressero in California ove si stabilirono. Pietro Alberto ed Amelia, dall’ altro canto, decisero di ritornare a Chicago.
Dopo aver riottenuto il lavoro con l’ amministrazione cittadina, Amelia iniziò a rendere la sua nuova casa americana il più comoda e accogliente possibile. La tranquilla situazione familiare e la stabilità economica che il suo lavoro gli offriva permisero a Pietro Alberto e ad Amelia di mettere su famiglia. Ebbero cinque figli in rapida successione: Gregorio, Agostino, Mary, Lino e Rosina.
Abbastanza rapidamente, fu evidente che questa famiglia in continua crescita necessitava di una abitazione più grande e più comoda per soddisfare i propri bisogni. Dopo aver venduto la casa che il padre aveva comprato in passato, Pietro Alberto dapprima comprò una casa nella zona di Kensigton, e più tardi, quando questa casa risultò inadeguata per le loro esigenze, ne comprò un’altra nell’adiacente vicinato di Roseland. Questa casa in pietra era una tipica “due piani” molto diffusa nei quartieri di Pullman, Kensington e Roseland. Questa casa a due piani era formata da una cantina, un appartamento al primo piano ed un altro al secondo. Entrambi gli appartamenti erano riscaldati da una caldaia centrale a carbone che faceva fluire acqua calda nei termosifoni situati in ogni stanza degli appartamenti. Questi erano spaziosi e comodi secondo gli standard di vita di oggi. Ogni appartamento aveva tre stanze; una cucina abbastanza grande per fornelli gas, tavoli, sedie, contenitore per il ghiaccio e un lavandino in cui vi era acqua corrente calda e fredda; un soggiorno dove le famiglie potevano rilassarsi sedute su divani e sedie e una sala da pranzo arredata con dei tavoli e sedie di alta qualità predisposta per le cene formali. La classica casa a “ due piani” di Chicago era costruita in modo che gli occupanti potevano trovare conforto sia dentro che fuori l’abitazione. Durante i mesi estivi, gli adulti potevano sfuggire il caldo di mezzogiorno rilassandosi nei freschi portici della casa, mentre i ragazzi potevano giocare nel verde prato che ricopriva il patio. Spesso la maggior parte degli Italiani che occupavano queste case a “due piani” caratteristiche di Chicago, come per esempio i Gregori, utilizzavano il prato dietro alla casa come giardino-orto per piantare prodotti che arricchivano la cucina di famiglia.
Le case a “due piani” di Pullman, Kensington e Roseland occupavano la zona più a sud di Chicago. Dalla fine del XIX secolo, questa zona sperimentò una crescita demografica considerevole. Agli inizi degli anni ottanta del XIX secolo, emigranti da diverse parti degli STATI Uniti e immigrati da tutta Europa si stabilirono nelle zone di Pullman, Kensington e Roseland di Chicago. Tra gli Italiani che vivevano in quell’ area vi erano i Calabresi, i Siciliani,i piemontesi,i Veneti e un piccolo gruppo di Toscani della Lunigiana e della Lucchesia. Durante i primi decenni del XX secolo, i quartierini pullman, Kernsigton e Roseland erano il centro dell’industria di carrozze da treno di Pullman. Inoltre vi erano innumerevoli altre industrie che fabbricavano di tutto dalle scarpe ai vestiti. Nel 1920, in ogni modo, Chicago e soprattutto tutta la zona sud si guadagnarono la fama di centro del crimine. Il fattore criminale di Chicago contava sul fatto che, mentre il Congresso aveva reso la produzione, il trasporto, la vendita e il possesso di bevande alcoliche illegali, l’ infinita domanda del popolo americano per le bevande alcoliche fu soddisfatta con successo dall’emergere di grandi bande di criminali.
Le più famose e conosciute erano le bande formate da siciliani e napoletani. Come risultato si ebbe che, anche il numero degli italiani coinvolti nelle attività criminali era irrilevante, gli italo-americani venivano spesso stigmatizzati come mafiosi dagli altri immigrati europei e dagli angloamericani. In parte questo era dovuto al fatto che molti italo-americani avevano poco rispetto per la legge che rendeva illegali tutte le bevande alcoliche; molti immigrati italiani segretamente facevano vino e grappa, sia nelle loro case che nei posti di lavoro, così potevano vendere l’ alcol fatto in casa agli elementi criminali. Di fatto però la maggior parte di ciò che veniva prodotto era consumato in casa e solo una parte della produzione veniva venduta alla criminalità.
Anni dopo Pietro Alberto conversando con sua figlia Rosina, ricordava che per gli Italiani era un uso diffuso fare vino e grappa in casa, ma il vino e gli altri alcolici prodotti servivano prima di tutto per il consumo casalingo e non per essere venduti. Egli aggiunse anche che persino i preti Scalabriniani venuti da Venezia producevano segretamente vino e grappa nel seminterrato della parrocchia di S. Antonio per uso privato. Anche se la chiesa di S. Antonio si trovava dall’ altro lato della strada della stazione di polizia di Kensington, i preti hanno prodotto vino nel seminterrato della chiesa per tutti i quattordici anni della durata del proibizionismo. Pietro Alberto aggiunse che il vino illegale fatto dai padri Scalabrini si produceva proprio al di sotto di un negozio di abbigliamento di proprietà del padre dell’ agente speciale Elliot Ness, l’ufficiale della polizia federale a capo dell’operazione contro Al Capone e la sua banda.
Per otto anni Pietro Alberto guadagnò un buon stipendio come impiegato dell’amministrazione comunale, ma a causa di un cambio della stessa perse il suo lavoro nella metà degli anni venti. Infine trovò un’occupazione persino più remunerativa per la compagnia di Pullman. Durante questo periodo il reddito di Pietro Alberto fu abbastanza consistente per lui e per sua moglie per arredare la loro casa con mobilia di lusso, per comprare abiti all’ultima moda e per acquistare gli ultimi ritrovati tecnici come ferro da stiro, frigorifero, radio e anche un’automobile. In più Pietro Alberto fu capace di spedire regolarmente a suo padre in Italia e persino mettere da parte una cospicua somma di denaro per se stesso. Alla fine degli anni Venti, tuttavia, successero avvenimenti non controllabili da lui. Iniziò un declino economico esacerbato dal crollo della borsa di New York del 1929. Risultato di ciò fu che Pietro Alberto perse il suo lavoro e insieme con centinaia di altri ebbe ad affrontare un difficile futuro. Nel frattempo Pietro Alberto fu costretto a spendere le sue giornate cercando lavoro e durante la sera per avere sufficiente carbone per riscaldare la casa doveva andare alla fabbrica di Pullman per trovarne un po’ caduto dalle carrozze durante il trasporto. La depressa economia nazionale e le conseguenti crisi di famiglia portarono Pietro Alberto a riconoscere che per lui come per altre migliaia di italo-americani, gli obblighi di famiglia, erano più forti dei legami nazionali. Così, con la remota prospettiva di trovare un buon lavoro per sfamare la sua famiglia e un padre in tarda età, Pietro Alberto, nato e cresciuto in California, a trentatre anni, decide di emigrare in Italia con sua moglie e i suoi cinque figli nati in America.
Una volta sistematosi ad Agnino, Pietro Alberto iniziò a lavorare la terra che apparteneva al suo vecchio padre. Comprò poderi vicino ad Agnino e altre terre vicino a Fivizzano e anche una fattoria di discrete dimensioni vicino a Licciana Nardi (Cuccarello). I terreni erano diventati troppo grandi e troppo lontani per lavorarci giornalmente, così Pietro Alberto trovò 8un mezzadro per lavorarre la proprietà. Gli anni portarono tre nuovi bambini (Rina, Aida e Pietro) alla famiglia di Agnino. Furono capaci di sostenere una discreta vita durante la depressione del “30 e gli anni dei disastri portati dalla seconda guerra mondiale e persino durante l’ occupazione tedesca della Lunigiana.
A guerra terminata, l’economia del Nord Italia e della Lunigiana era in rovina. Una volta ancora molti abitanti della Lunigiana speravano di emigrare. Tra coloro che decisero di emigrare vi erano quattro dei figli di Pietro Alberto i quali erano nati nel territorio americano: Gregorio, Agostino, Mary e Lino. Avendo il beneficio della cittadinanza americana, furono capaci di entrare negli Stati Uniti senza difficoltà. Una volta negli Stati Uniti si diressero a Chicago dove trovarono lavoro in diversi campi.
Agostino portò sua moglie Divina e suo figlio Alberto con lui. In seguito la famiglia si allargò, nacquero Theodore e Eni.
Mary sposò Pietro Conti e subito i nuovi sposi partirono per gli Stati Uniti. Mentre erano a Chicago i Conti ebbero cinque bambini:Nino, Anna Maria, Aida, Rita e Joseph.
Gregorio e Lino erano i soli figli di Pietro Alberto e Amelia a sposarsi negli Stati Uniti. Gregorio sposò una donna di origine venezuelana Mary Valenti, ebbero tre figli: Robert, John e Richard.
Lino sposò una donna americana di origine tedesca e polacca chiamata Marlene.
Lino e Marlene ebbero sei figli: Lori, Nora, Rina e Roni, Lisa e Tammi.
Subito dopo che i suoi figli si furono sistemati nella loro nuova vita di Chicago, Pietro Alberto (che li aveva seguiti) tornò alla sua terra natale. Quando era negli Stati Uniti aveva la sua vecchia posizione nell’ Azienda Pullman. Sebbene gli venisse offerto un lavoro permanente alla Azienda Pullman, Pietro Alberto lo rifiutò perché aveva intenzione di ritornare alle sue terre nella Lunigiana. In meno di un anno, Pietro Alberto lasciò gli Stati Uniti per il suo ultimo ritorno, ma presto un altro membro della famiglia Gregari attraversò l’ Atlantico coprendo le migliaia di miglia che separavano il porto di New York da Chicago.
Rosina, l’ultima dei figli dei Gregari emigrati negli Stati Uniti, nacque a Chicago nel 1929. Dopo solo un mese dalla sua nascita, Pietro Alberto si trasferì con la sua famiglia in Italia. Ora Rosina non ancora ventiquattrenne voleva tornare al suo paese di nascita facendo il tragitto di molti altri Lunigianesi e di buona parte dei suoi parenti durante i decenni precedenti. Di fatto la storia dell’emigrazione dei Lunigianesi negli Stati uniti è la personificazione della storia personale di Rosina e di suo marito. Tre anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale Rosina si sposò con Domenico Lorenzini. Come molti altri, Domenico proveniva da generazioni di contadini che per anni avevano coltivato le terre ad Agnino. I Lorenzini erano piccoli proprietari che possedevano appezzamenti di terra nel comune di Fivizzano. Come molti altri Lunigianesi avevano il vantaggio e l’ opportunità di migliorare la loro situazione economica emigrando negli Stati Uniti.
I primi Lorenzini che partirono per il Nord America furono Paolo Lorenzini e i suoi figli Silvio e Settimo. Come i Gregari arrivarono a New York e dopo si diressero a Santa Rosa, California, intorno al 1890. Anche loro tramandarono storie di esperienze da emigranti ai loro figli e ai loro nipoti. In seguito, Silvio per esempio, raccontò di aver preso il lento e lungo treno a vapore da New York fino alla costa del Pacifico. Nei suoi racconti descriveva i contorni delle grandi pianure, le acque torrenziali del fiume Mississipi in piena e la maestosità delle montagne rocciose, Silvio raccontò anche di un incontro con gli Indiani lungo la strada, quando lui e altri affamati passeggeri saltarono fuori dal treno per raccogliere la frutta e barattarla, una volta scesi dal treno, quando si doveva rifornire di carburante. Una volta in California, proprio come la famiglia Gregari, Paolo Lorenzini e suoi figli lavorarono nelle fattorie e in seguito anche nella città di S. Francisco. In più ricordano i racconti nel multietnico porto della città. Emozionanti racconti di avventura nelle montagne e nelle foreste della California venivano completati da storie delle quotidiane difficoltà sperimentate dagli emigranti che vennero a San Francisco da ogni parte del mondo. Storie di politici corrotti venivano temperate da storie di come la compassione di gente comune salvò centinaia di vite durante il terremoto del 1906.
Così come molti altri emigranti toscani che vennero negli stati uniti, l’ obbiettivo più importante di Paolo Lorenzini e dei suoi figli Silvio e Settimo era quello di mettere da parte una sostanziosa somma di denaro così da fare in modo di ritornare al loro paese e comprare nuove terre.
Da quando i figli di Paolo desideravano sposarsi e mettere su le loro famiglie, i Lorenzini, proprio come la maggior parte degli emigranti, pianificarono di usare i loro profitti per comprare case separate per il loro futuro uso. Mentre negli Stati Uniti Settimo incontrò e sposò Francesca, una donna nata in California ma di origine toscana ed ebbero un bambino che chiamarono Paolo, Silvio, invece, era ancora celibe quando lui e suo padre ritornarono in Italia dopo la Prima Guerra Mondiale.
Una volta in Italia, Silvio sposò Stella Asti di Camporaghena ed ebbero un figlio che chiamarono Domenico. Pochi anni dopo il loro ritorno e quello di Settimo e sua moglie e figlio, entrambi i fratelli comprarono le loro case ad Agnino e allo stesso tempo comprarono delle terre che in seguito coltivarono con le loro mogli. Con il passare degli anni, altri figli dei Lorenzini videro la luce. Silvio e Stella chiamarono i loro bambini Firmo, Guido, Maria, Luisa e Paolo.
Settimo e Francesca chiamarono i loro due bambini Luisa e Alba.
Dagli anni ’20 fino alla fine degli anni ’30, i Lorenzini coltivarono quegli appezzamenti di terra che erano posseduti dal “pater familias”, Paolo, ed anche quelli posseduti da Silvio e Settimo.
Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, comunque, cambiò radicalmente il corso della loro vita.
Silvio e Stella videro il loro figlio maggiore, Domenico, arruolato in guerra. Mentre Silvio disse addio a Domenico mandato a combattere in Francia con l’ esercito italiano, Paolo, il figlio di Settimo, non era ancora abbastanza grande per il servizio militare e così sembrava che sarebbe stato protetto dalla pace e dalla calma delle colline e delle montagne della Lunigiana.
Con il protrarsi degli eventi tuttavia nessuno sarebbe stato risparmiato dalla violenza della guerra.
Nel 1943 Domenico e i suoi commilitoni erano di servizio in un ospedale militare italiano nel sud della Francia con l’ ansia di ascoltare dai loro comandanti notizie sulla crisi militare e politica del governo italiano ed in seguito essere disciolti dall’obbligo militare ed andare alle loro case.
Per non cadere in mano nazista, si incamminò per l’Italia passando dove possibile per le strade ed i sentieri meno trafficati. Dopo il suo arrivo nella Lunigiana, Domenico fu capace di ottenere una carta di identità da un suo zio che era supervisore ad una polveriera vicino ad Aulla. Questa carta di identità gli offrì una certa protezione dalle truppe naziste e fasciste che controllavano l’area.
La carta di identità mostrò tutto il suo valore quando scoprì che suo padre, suo zio Settimo, suo cugino Paolo e suo fratello Guido erano stati arrestati e portati a Palazzo Fantoni (Sede del comando tedesco ) a Fivizzano durante un rastrellamento.
La violenza e la brutalità dell’occupazione nazista aumentò, e Domenico insieme con altri giovani di Fivizzano entrò in azione e si unì all’unità partigiana della zona, la Brigata Garibaldi. Come membro della Brigata Garibaldi per tutta la durata della guerra, Domenico sperimentò paura, lutto ed anche momenti di relativa felicità. Dopo la guerra raramente Domenico parlava degli scontri e combattimenti tra le truppe nazi-fasciste e i partigiani, nei quali entrambe le parti soffrirono gravi perdite. Domenico raccontò invece quando dovette portare il corpo esamine del suo caro cugino Paolo a casa di suo zio Settimo e spiegargli che Paolo era stato ucciso durante un combattimento. Domenico raccontò anche come il dolore di suo zio e di sua zia Francesca fu esacerbato dal pensiero di aver portato il loro figlio a morire in Italia. Niente poteva eguagliare il dolore che Settimo e Francesca provarono per la morte del loro figlio, ma allo stesso tempo dovevano anche sopravvivere ad un loro arresto da parte dei nazisti e Francesca doveva anche sopravvivere a giorni di torture. Tali brutalità, Domenico spiegò, spinsero molti Lunigianesi a correre molti rischi per respingere gli occupanti tedeschi. Domenico parlò anche di momenti di ilarità durante i giorni più bui della guerra. Parlò di come, per esempio, non si potesse dimenticare di una missione di soccorso per salvare un alleato che si era paracadutato sugli Appennini, anche perché costui era una persona alta, di bella presenza la cui caratteristica somatica era un grande dente d’oro messo fieramente in mostra con il suo gran sorriso. In ogni modo i momenti di ilarità erano un lusso per i Lunigianesi durante l’ occupazione nazista. Fino a che la Linea Gotica separava gli alleati dalle truppe naziste, la triste realtà della guerra fu la mobilitazione dei partigiani. Fino alla fine della guerra da parte sua, il suo compito era quello di fare in modo che i gruppi partigiani comunicassero efficacemente ed anche di ricercare armi e munizioni che gli aerei alleati lasciavano cadere nelle aree di alta montagna molto bene conosciute da lui.
La fine della guerra fu accolta dai Lunigianesi con grande soddisfazione per tutti coloro che avevano sperimentato il terribile costo della stessa. In molte famiglie c’erano persone che erano state ferite e uccise ed altre ancora scomparse. In più con l’ economia devastata, le difficoltà che loro spettavano, erano immense. Mentre il tempo rendeva il dolore dei cari morti in guerra meno doloroso, le condizioni post-guerra erano precarie, migliaia erano senza tetto, senza lavoro e con il pericolo di morire di fame.
Considerando questa critica situazione, molti Lunigianesi guardarono ancora una volta alla emigrazione come una buona alternativa alla durezza della vita imposta dalla guerra. Domenico Lorenzini e la sua nuova moglie Rosina Gregari erano tra quelli che capirono che la migrazione forniva opportunità che erano negate dal declino economico e sociale del dopoguerra. In ogni modo, Domenico e Rosina decisero di emigrare dopo che era diventato chiaro che le condizioni dell’economia locale non gli avrebbero permesso di crescere i loro figli Silvio e Pietro (che è l’ autore del presente racconto) , in maniera dignitosa. Domenico e Rosina, quindi,seguirono i passi dei loro parenti emigrando negli Stati Uniti. L’ emigrazione non fu difficoltosa perché Rosina era cittadina americana essendo nata a Chicago nel 1929. Con il necessario visto di ingresso in mano, Rosina, Domenico, Silvio e Pietro salparono sul Conte Biancamano nel 1953 per il porto di New York. All’inizio vollero stabilirsi in Santa Rosa, in California, dopo decisero di spostarsi a Chicago perché i fratelli di Rosina (i quali erano emigrati alla fine della guerra) furono capaci di trovare un lavoro a Domenico in una impresa edile. Una volta a Chicago la famiglia Lorenzini prese un piccolo appartamento in Pullman, il quartiere della città di Chicago. Pullman era diventata un’area che pullulava di immigrati dall’Europa e dal resto del mondo. Famiglie dall’Umbria e da Roma, dalla Polonia e dalla Russia, e persino dall’America del Sud vivevano in queste case a otto piani dove anche i Lorenzini risiedevano. Veramente l’ intereo vicinato era pieno di immigrati di diverse culture e nazionalità. Tra i pochi toscani che vivevano in quella zona vi erano i Rosi, una famiglia della Lunigiana, e gli Olivi, una famiglia di Camaiore. Entrambe le famiglie erano diventate famose in tutta l’ area perché due dei loro figli diventarono dottori di fama, un altro divenne un dentista molto conosciuto ed un altro ancora era stato sull’aereo che bombardò Nagasaki. Gli italiani e i loro discendenti vivevano in Pullman e nelle zone adiacenti di Kensington e Roseland dove vi erano Piemontesi, Veneti, Emiliani,Calabresi, Siciliani e Lucani.

Come altri gruppi di emigranti, gli emigranti italiani e i loro discendenti che vivevano negli Stati Uniti durante la guerra fredda si sentirono obbligati ad identificarsi con la dominante cultura anglo-americana. Di fatto, la pressione coercitiva di questa era così forte che molta gente con i cognomi italiani si sentì obbligata ad inglesizzarli per dare ai loro figli un nome “più normale” per una terra dove si parlava inglese. Così Napoletano cambiò in Napleton e Barbieri cambiò in Barber, e allo stesso tempo chiamare un figlio Brendan e non Marco ed una figlia Wendy invece di Maria divenne sempre più comune nella comunità italo-americana.
(Apro qui , a conferma di quanto sopra, un mio aneddoto personale: era l’anno 1988, con mio cugino Robert, figlio di mio zio, da parte di mamma, Flavio Briselli emigrato dalla Lunigiana in Pensivannia nel 1922, mia moglie Mariangela e il mio primo figlio Gabriele ed altri parenti americani, siamo a pranzare in un ristorante sulle colline che circondano Pittsbourgh. A fine pasto, il cugino americano tira fuori dal portafoglio la carta di credito per pagare il conto e visto che sono a casa sua oltre al fatto che lui è un figlio di emigranti affermato, industriale con aziende di centinaia di dipendenti, non faccio il minimo cenno di intervenire, solo mi accorgo che sulla carta c’è scritto “ Robert Brisel”. Chiedo spiegazioni e allora mio cugino, allargando un sorriso, mi dice “ Sai, ho gli occhi celesti e con questo cognome trasformato da Briselli in Brisel a tutti sono apparso un vero inglese e così la mia vita è stata più facile.” Devo confessare che ci rimasi lì per lì un poco male!).
In breve la pressione per conformarsi alle aspettative dettate dalla cultura dominante anglo- americana era notevole. In più nonostante l’ ovvia necessità di imparare l’ inglese e i benefici acquisita dalla cittadinanza americana, molti Italiani si adattarono allo stile di vita d’oltreoceano così che i loro figli abbracciarono usi e costumi americani. Ma alla fine, un senso dell’identità italiana rimaneva non solo negli emigranti italiani ma anche, con minore intensità, tra i loro figli. L’ esperienza delle famiglie dei Conti, dei Lorenzini e dei Gregori fornisce un esempio del fatto che la focalizzazione della identità collettiva era duale per molti italiani e loro discendenti. Mentre la identificazione con l’ identità americana era diventata evidente per questi emigranti che parlavano inglese e festeggiavano le festività americane come Halloween e Thanksgiving, questi immigrati continuavano a manifestare un intimo rapporto con la loro identità italiana e toscana.
Domenico e Rosina,per esempio, fecero in modo di continuare a parlare italiano con i loro due figli, Silvio e Pietro, per non fare loro dimenticare la lingua madre. ( E noi tutti diciamo, ora, che il sacrificio non è stato inutile; altrimenti non avremmo le presenti pagine!) .
In aggiunta a ciò, alla nascita del loro terzo e quarto figlio, Amelia e Agostino, fedeli ad una cultura lunigianese ed italiana, li chiamarono con il nome dei loro genitori, così facendo rifiutarono la cultura dominante anglo-americana che faceva pressione per nomi prettamente inglesi. Con la nascita di Amelia ed Agostino agli inizi degli anni ’60, Domenico e Rosina comprarono una casa più grande a Roseland, un’area che era occupata prevalentemente da non italiani. Domenico e Rosina ad ogni modo continuavano a parlare italiano con i loro figli anche se spesso i vicini li criticavano sostenendo che chiunque parlava una lingua straniera era un non americano.
Il processo della trasmissione culturale dai genitori ai figli attraverso l’uso della lingua italiana può anche essere visto nelle tre famiglie capeggiate dai tre fratelli Gregori di nascita americana,
Gregorio, Agostino e Lino, i figli dei quali acquisirono una discreta conoscenza della lingua italiana. Allo stesso modo i quattro figli dei Conti impararono a capire l’ italiano. Il processo della trasmissione culturale avvenne nelle case dei Lorenzini, Conti,e dei Gregari in molti altri modi. Tra gli esempi del processo di promozione dell’identità italiana nel tessuto di una predominante cultura americana fu il fatto che, a diversi livelli, il cibo e le bevande che si consumavano nelle tavole dei Lorenzini, dei Gregari e dei Conti, erano prevalentemente italiane. In una società dove la cucina della cultura dominante era meno raffinata perché si pensava troppo alla velocità della preparazione, le madri che spendevano moltissimo tempo nel preparare i pranzi erano viste come un’anomalia. E tuttora, quando le madri italiane trovano lavoro fuori casa, non trascurano il lungo procedimento di preparazione di piatti italiani fatti con i migliori ingredienti. Così, per esempio, quando Rosina Lorenzini trovò lavoro che la occupava dalle quattro del pomeriggio fino alle due di notte, continuava a cucinare pasta, ravioli e verdure fatte in casa con i prodotti del loro orto. Allo stesso modo suo marito Domenico continuava a spendere le giornate di autunno facendo vino “fatto in casa” anche quando trovò lavoro come macchinista in una fabbrica di acciaio in cui lavorava da mezzanotte alle otto, sei giorni alla settimana.

Il mantenimento dell’identità culturale italiana degli italiani emigrati negli Stati Uniti fu un processo complicato. Insegnare italiano ai loro figli in una società che non riconosceva il valore delle lingue straniere minacciava gli emigrati italiani di essere emarginati dalla dominante cultura americana della guerra fredda, e in più, in una società che era sospettosa degli stranieri e di tutto ciò che non era americano, faceva sentire tutti gli emigrati che continuavano a seguire le tradizioni italiche ridicoli. Ma, non era per niente raro per molti italiani esprimere apertamente e formalmente le loro origini italiane. Molti italiani emigranti, per esempio, si univano in circoli privati che promuovevano l’italianità. Gregorio Gregori e sua moglie di origine veneziana, per esempio, erano attivi membri dei “Veneti nel mondo”, come Domenico e Rosina che si unirono al circolo locale “I Toscani nel mondo”

Infine il legame che gli emigranti toscani ed i loro figli avevano per l’Italia e la sua gente è tuttora vivo perché si sono mantenuti quei legami di famiglia e di amicizia d’oltreoceano attraverso corrispondenza, telefonate e continui viaggi in Italia. Tutti i Conti, i Gregari ed i Lorenzini che emigrarono, per esempio, fecero diversi ritorni in Italia tra gli anni ’60 e ’90.
In più i ragazzi nati nel suolo americano continuano a scegliere la Toscana come meta preferita di vacanze e alcuni addirittura hanno fatto affari comprando terre e case in Italia.
Possiamo infine concludere che ci fu da parte di questa gente una prima migrazione negli Stati uniti dalla Toscana, seguita da un ritorno in Italia per poi concludersi con un definitivo stabilirsi in America. Simili viaggi transatlantici succedono tuttora. Questi brevi soggiorni moderni dei discendenti dei Lunigianesi, comunque, avvengono sia per motivi famigliari, sia di vacanze ed anche per motivi finanziari.
Per concludere, si può vedere che la strada che unisce con rapporti a distanza i due continenti è cambiata ma non è affatto meno trafficata.”

Ho voluto riportare integralmente lo scritto del compaesano Professor Lorenzini che, con il cuore ma anche con il dovuto distacco, ci ha descritto le vicende di alcune famiglie compresa la sua.
Non aggiungo altro, per non inquinare questo interessante e particolareggiato racconto.







000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000
ARCHIVI NOTARILI

Molti archivi notarili di Lunigiana antica sono conservati nell'Archivio di Stato di Massa.
E' da tali documenti che abbiamo le prime documentazioni di persone e luoghi.
Ad esempio nei “Protocolli dal MCCCLXXXII sino al MCCCCVIII rogati da Ser Giovanni di Vasolo della famiglia ACCI (di Spicciano ove il cognome Vasoli è ancora esistente) ovvero AZZI poi comunemente detta VASOLI, e da AZZO suo figlio” abbiamo la prima traccia scritta di un atto notarile che riguarda un abitante di AGNINO.
Nell'anno appunto 1382 un certo “ Pietro Orselli de Angneno” stipula un contratto di imprestito con un certo Bondi di Valazzana. E si obbliga a pagare “l'obbligazione” entro un anno “sub pena duplo”.


All foto

Un altro atto riguardante un abitante di Agnino lo si trova fra gli atti del Notaio Bertoli e precisamente alla data del 5 luglio 1486 riporta di un contratto di vendita di una terra silvata ad Antona, allora Comune e vicinia di Massa, per il prezzo di 40 bolognini e precisamente “ Actum Massae in burgo Balnearia (Bagnara) in domo dictorum venditoribus presentibus Domenico qd (quondam) Antonio di Lunexana de vicaria supradicta e Pattino qd. Michele de Agnino habitatore Massa.”

All foto alla data del 110907




Altri atti notarili del secolo XV che riguardano Agnino ed il suo circondario li possiamo leggere nel libro del Prof. Franco Bonatti “La Lunigiana nel secolo XV attraverso i protocolli del Notaio Baldassare Nobili”. Traendole, riporto le seguenti:

1467, settembre 20; Agnino nella via pubblica presso la casa Andrioni.
“Aladino del fu Iacopo Poletti di Agnino dà a Palmerio del fu Guglielmo di Agnino che acquista a nome di Giovanni Antonio e di Giovanni Remigio del fu Battista Franceschini e di Giovanni Rose di Agnino, una pezza di terra posta nelle pertinenze di Agnino n.l.d. <In Lo Guerzedello>, confinante: di sotto con i detti Giovanni Antonio e Giovanni Remigio, da un lato Andrioli Bertolini Orselli di Agnino, di sopra con gli eredi di Domenico <de summo castello>, per il prezzo di L. 11 i.”

1475, gennaio, 10; Bigliolo presso la casa Calzolarii di Lizzano
“ Petrizolo del fu Luchino della Chiesa di Bigliolo vende a Giovanni di Picino di Pratomedici una pezza di terra campiva, situata nelle pertinenze di Bigliolo n.l.d. <In Sangre in su>, confinante: si sopra con i castagni del venditore, di sotto con un prato del venditore, da una parte l'acquirente e dall'altra il venditiore, per il prezzo di 14 L. e s.17 i.
Testimoni: Giacomo del fu Bartolino della Rippa, Luciano del fu Leonardo della Rippa, e il fabbro Antonio del maestro Bernardo di Agnino”

P.s. E' importante questo contratto perchè troviamo traccia del maestro Bernardo , fabbroferraio in Agnino e che dal paese ha preso il Cognome ed è un capostipite della famiglia Agnini. (vedasi capitolo ad essa dedicato)

1471, settembre, 30; Bigliolo presso la chiesa.
“Michele del fu Guglielmo di Montecurto comunità di Agnino, vende a Tono di Marchetto di San Terenzo una pezza di terra vignata e campiva, posta nelle pertinenze di Agnino n.l.d <Al Chioxello>, confinante: di sopra con la via della Comunità, di sotto e da una parte con Bartolo del fu Guglielmo, dall'altra con Marco del fu Rolando de Montecurto, per il prezzo di lire 12 e scudi 10 imperiali......
T. il prete Simone del fu Giovanni Pietro di Podenzana, Giovanni del fu Blanche di Bigliolo, Pietro denominato < Tangardo > del fu Pietro di Fertigliana.”



Estimi di Agnino

Nell'Archivio Storico di Massa abbiamo la fortuna di trovare n. 3 fascicoli che sono gli Estimi del comune di AGNINO dal secolo XVI al secolo XIX

Al repertorio 306 troviamo gli estimi del XVI secolo, libro composto di 232 pagine con le valutazione dei terreni fatta da 4 estimatori eletti in Agnino e secondo le direttive del governo fiorentino.

FOTO:







segue pagina di approvazione del 1551 scritta in bella caligrafia, “dell'estimo et lira del Castello di Agnino e Magliano”. Le pagine interne, scritte alla maniera del “500, sono per me quasi illeggibili.







Al repertorio n 307 troviamo un corposo libro, rilegato in pelle, composto da 702 pagine che è poi il LIBRO DEGLI ESTIMI redatto da uomini “Stimatori del posto” eletti allo scopo dal Podestà nell'anno 1646.
L' ultima annotazione è del 1783.

E' preceduto dalla classica formula “In Dei Domine Amen”
e prosegue “questo è l' estimo della Costa di AGNINO Capitanato di Fivizzano redatto l' anno 1646 d' ordine della Città di Firenze.”..
Sono estimatori eletti:
Giò Pietro Batta da Piazza
Cesare di Bernabeo dalla Villa
Giò Domenico di Michele dell' Escaro
Pier Angelo di Spinetta da Montecurto.


Segue un repertorio alfabetico del contenuto, ordinato dall' A alla Z, ma non ordinato partendo dal cognome, ma dal nome del proprietario; vedasi per esempio la foto della pagina alla
B



foto





Come possiamo subito notare non ci sono ancora i “cognomi”, ma ogni persona veniva identificata con la paternità, così come infatti ancora fino a qualche anno fa si usava nel dialetto contadino, ove le tradizioni sono più dure a morire.
All'interno del libro degli estimi quindi il cognome appare poche volte ed identifica quando è usato le famiglie più importanti o benestanti.
E' allora naturale che il riepilogo delle proprietà viene fatto partendo proprio dal nome e non dal cognome. Ad ogni nome del repertorio corrisponde la pagina in cui è elencata la proprietà.

Scorrendo nella visione del libro, sotto la lettera “A” troviamo per esempio:
Auditore Agnini, ma anche le famiglie Bertoni, Palmieri, Bonfigli, Gargiolli

Alla lettera B:

Bartolomeo D' Antonio
Bartolomeo D'Antonio di Bartolomeo

Alla lettera C:
Cappella di S. Appollonia
Chiesa di S Michele
Convento Cavaglini
Compagnia del Corpus Domini
Cappella di S. Michele
Compagnia di S. Elisabetta di Fivizzano
Compagnia San Martino
Comune di Agnino
Carlo Ambrogio Cargiolli
Carlo Antonio Conti
Corradino Benedetti di Quarazzana
Carlo di Stefano Giannarelli di Sassalbo

Alla lettera D:
Domenico di Maria Antonio Corsini
Domenico Antonio Gabrielli
Domenico e Lorenzo Pigoni
Domenico Antonio Bononi di Virolo




Alla lettera G
troviamo ancora:
Giò Domenico di Benedetto di Marchino
Giò Batta di Pier Angelo Corsini
Giorgio di Stefano di Giorgio ( e con altro inchiostro aggiunto Lorenzini)

Alla lettera L:
Lodovico Terenzio FANTONI
Lisetta di Giò Domenico di Jacopo
conte Luigi FANTONI



Alla lettera N:
Natale e fratelli BRISELLI da Succiso.
I quali come da nota del 5/5/1727 possedevano un prato castagnato alli CAVAGLINI.
Lasciatemi dire che ho trovato con soddisfazione questa annotazione in quanto il mio nonno da parte materna era Antonio Briselli proveniente proprio da Succiso in provincia di Reggio Emilia.




foto




Il volume scritto in più secoli da mani diverse e con inchiostri diversi, con scritture più o meno in risalto, con più annotazioni successive a seguito di morti e divisioni, ha bisogno di una attenta e accurata visione per essere meglio comprensibile.

scorrendo le pagine troviamo che
nel 25 aprile 1782
Il Conte Luigi Fantoni acquista per atto rogato dal notaio Acconci alla data del 05/08/1780 “terre in Agnino” dal sig. Santi- Pigoni.


ALL FOTO PAG 613

a pagina 469 del rep 307 troviamo che la “maestà di AGNINO” (cioè l'oratorio di S. Apollonia)
possiede nel 1717: campo olivato alla Cavana, Campo olivato alla Stradella, campo vignato et alberato a Valdonica, vignato et alberato alla Casetta, prato in Pastena e sotto c'è l'annotazione
“non pagante”: cioè come istituto religioso non pagava le tasse.

A pagina 462 troviamo le proprietà' dell'Auditore AGNINI

A pagina 459 le proprietà della famiglia BONONI di VIROLO
A pagina 336 alla data dell'anno 1707 c'è un'annotazione di :“Pozzo con pergolato dentro il CASTELLO”

A pagina. 254 CAPELLA di S. APOLLONIA

A pagina 543 c' è questa annotazione: “ Adi 12 ottobre 1760 si cassa qui a tergo il nome del sig. AVV. Jacopo del DOTT. GINESIO AGNINI deceduto per morbo e vi resta il nome del FRANCESCO ANTONIO AGNINI auditore della Ruota Fiorentina come detto e legittimo erede del Sig. Jacopo morto et intestato e senza figli come asserì il prete Domenico POMPEI Agente del sig. AUDITORE ad istanza e presenza del quale, senza pregiudizio alcuno Domenico Moscardini.”
Seguono poi i campi di proprietà dell'AGNINI (siamo alla fine del 1600):
Monte CORTO, vignato a VALDONICA, vignato alla COLLA, vignato in CARPENA, prato a GROPPO CALDO, prato alla MONTADELLA, prato e castagni al TOFFO, bosco alla CASA DI GOLO, prato e castagni alla VACCARECCIA, prato a PIE' DI CASTELLO, olive alla ARAFOSCOLA, olive alla PREDELLA, campo sopra LA SERRA, campo vignato ALLA SERRA, campo alla ARA VECCHIA, prato con un pè di quercia a GROPPO CALDO, campo alla GHIRARA, prato in CASTAGNEDOLO, caneparo a PIAZZA, campo al MONTALO, a CASOLA ecc.”

Scorrendo nelle pagine troviamo ancora:
Donna Giovanna di Michele di Jacopo,
Don Andrea di Matteo Mattei della Villa
Antonio Maria di Domenico Gia da Collegnago
Michele di Domenico di Lunardo da Piazza d'Agnino ( poi famiglia Veschi)
Tommaso e fratelli figli di Giò Adorni di Fivizzano
Comunella dello Scarro
Domenico Domenichelli da Virolo
Carlo del sig. Ivan Antonio Ortali.
Tommaso d' Andrea detto “ Il gallo”
Beni Comunali: in Germagnola, Bosco al Molino, prato intorno alle mura del CASTELLO, prato dentro alle mura del CASTELLO, bosco al Marano.
Don Lodovico Fantoni
Carlo Ambrogio Gargioli
Don Giuseppe Gragazzi di Succiso
Pietro Ferretti di Collagna
Domenico Ghirlanda d' Antigo abitante ad Agnino
Giò Vannucci di Pognana
Santi di Giò Pigoni Coiari
ed infine a pagina 708 c'è l'ultima annotazione dei campi di proprietà del Conte Luigi Fantoni
alla data del 15 Aprile 1782.

All'interno del fascicolo ( repertorio 307 classificato come ESTIMO DI AGNINO DEL 1646) è riportato il seguente ordine:

Il Conservatore della Giurisdizione fiorentina “ comandano a ciascuna persona di qualunque stato e grado, o condizione si sia, eccettuato l' infradetto, che non ardisca o presuma in alcun modo di sviare, cancellare o correggere cosa alcuna nel presente libro di lire et estimo sotto pena di lire 325 per ciascuna contraffazione”.


Ed infine al repertorio 308 troviamo l'Estimo di AGNINO, COLLECCHIA, CASOLA, CESERANO, COLLA E CECINA. che va dall'anno 1784 fino al 1830.
Le pagine che interessano Agnino vanno dalla prima fino alla 88ma. Sono annotazioni in “dare” ed “avere” delle proprietà, ma fatte in maniera poco precisa, quasi un brogliaccio. E' il libro meno interessante ove si ripetono poi le stesse famiglie.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°


ATTI CIVILI DEL COMUNE DI AGNINO




Sempre presso l'archivio Storico di Massa ho trovato che nel 1934 il Comune di Fivizzano invia, al costituito archivio storico di Massa , fra i tanti documenti, le seguenti carte:

ATTI CIVILI DEL PODESTA' DI AGNINO in sei filze voluminose, e precisamente:
al n. 49 atti dal 1681 al 1699
al n. 50 atti dal 1700 al 1710
al n 51 atti dal 1711 al 1719
al n.52 atti dal 1720 al 1739
al n. 53 atti dal 1754 al 1769
al n 54 atti dal 1763 al 1772

Sono n. 6 FILZE, alcune legate con uno spago, polverose e piene di polvere nera di inchiostri polverizzati e forse mai consultati da almeno 70 anni.
Ci sono contenuti migliaia di atti di compravendita, successioni, livelli, censi, inventari, cause civili, comunicazioni di precetti, tipo il seguente che riporto, che tutti venivano attaccati alla porta principale del paese .
ESEMPIO: “ Io Pellegrino di Giò Battista Cassiere Pubblico della Comunità di Magliano riferisco di avere attaccatto un Precetto nella Porta del Castello di Magliano a stanza di G. Domenico Santino da Magliano”

Ho trovato nella prima filza un interessante inventario del 1685 lo riporto interamente:

ADI 24 MARZO 1684

Inventario delli mobili et altro che si ritrova nella CASA (ma vi è scritto “cassa”) del suddetto Santino di Giò Domenico da MAGLIANO

Tina una et una botte e cassia piena.
Uno scrigno et una zappa
Una vanga et un ferro da segare.
Una groppia e due........ ( parola illegibile) da mietere
Un giaccone e la sua catana e tre lenzuoli (è scritto: linzoli)
Un paio di calze et una camiciola di lana.
Una camicia et una teglia di ramo.
Una catena et un paio di scarpa et il cappello.
Una secchia di legno con la mescola di ramo.
Pennatti uno con tre ......... (parola illeggibile)
un giogo dalli buoi et un paio di tenaglie
piatti per quattro et un tegame di terra
il mortaio con il pistello e una............( parola illeggibile)
la moglia di ferro e tre testi
un sacco e una taschela e una spadda e un sorano
una mastra da fare il pane et un boccale
un tavolino et una panca et un lume di ferro
una sedia rivestita di paglia e una banciola (piccola panca)
una lira da lolio
una tovaglia sul tavolino cucina.

Questo documento ci mostra la povertà di una classe contadina alla fine del 1600. Purtroppo non molto dissimili erano ancora le condizioni alla fine del secolo XX!
Altri due documenti reperiti, questa volta, in Archivio Fantoni dell'ASM è registrato cosa lasciava il contadino a mezzadria al subentrante, nel primo:
“Oggetti sostituiti da Beniamino quando ha lasciato il podere di Noletta: Due picconi, una vanga, una nota da carretto, una Gomera, due trivelle mezzane, e una Bronzina ricevuta come sopra e consegnate al Battaglini. Un paro Tenaglie da bovi, 6 Catene da Bovi e Vacche, 2 Forcati, 1 Giogo, 2 Panche e due Tavole da Tetto, 2 Gradoni ossia Vagli da grano, 1 Graffio per tirare le orecchie al porco, 1 Sluppo, 1 Scrigno di Castagno con chiave, Un Letto à Avezzadio, Una Cassa di Pioppo.”

Nel secondo inventario della fine del Secolo XVIII:
“Inventario delle Robe padronili che lascia Giuseppe Burini mezzadro del Podere di Germagna e Prato Lungo.

Nella casa di Germagna- Mobili:
Una cassa con chiave
Due tavolini
Panche per due letti, e due al fuoco
Tavole di castagno n. 9
Tavole strette di pioppo n. 8
Un Secchione
Due Bigonce
Una botte cerchiata di ferro nel piazzolo di barili 19.
Due sacconi, due matarasse guaste
N. 4 lenzuoli, due di filo e due di stoppa.
Due coperte, una tendina, due asciugamani.
Due cucchiari, cinque forcine di ferro, un coltello da cucina.
Due paioli, uno grande con una pezza in fondo, e un altro piccolo.
Tre gangheri, e due bandelle di ferro da finestra
Un lume da mano coperto
Una lucernina di lamiera d'ottone.

Istrumenti rurali:
Un coltro
Un falcione
Un tomone ?
Un bidente
Latta e piombi, una pila da olio in camera
Mortaio del bottino nella stalla
Chiave del bottino
Un vaso o conca dal bucato

Semi restituiti:
Fagioli bianchi, una quaretta circa.
Fagioli dall'occhio, quasi una quaretta

Casa del Prato Lungo:
Una botte cerchiata di ferro con quattro cerchi
Una Tavola di Castagno
Due tavole di Pioppo
Un Aratolo o Scrementino senza Gomera.”

In Archivio Fantoni alla Busta n 138 troviamo l'ingresso di un nuovo mezzadro: “ Adi 30 Gennaio 1660, Podere di Escaro
Consegno a Domenico di Giò Domenico da Sartarosso Podere di Escaro di la dall'acqua con tutti li luoghi con esso attinenti, et anche il campo Alla Rinchiostia da tenersi a buon mezzadro e restituirsi bene lavorati et assetti come se li sono consegnati.
Per li sopra si consegnò Due tine, una nuova ed una rifatta et anco le quattro Botti buone, co una vecchia con suoi sedili. Una Pilla da olio et cinque Coppi da olio buoni et uno rotto. Due coppi, uno quali nuovo, co uno di un Ciocco di Castagno. Se ne levò uno dei due coppi e si portò a Fivizzano.
Si consegnò una vacca pregna stimata tredici scudi da lavoro da Bagnone. Et un Bue levato da Giò di Gasparino da Monti nostro mezzadro apprezzato ducatoni trentaquattro. Per 1660 sementa lasciata : Grano staia 2, Mistura tre quarti, Segala 2 quarette, Orzo, Miglio, Fave una mina, Canapa quarette due.”



Ritornando agli atti civili del Comune di Agnino, ho trovato una cessione di acqua con disegnato, a tergo, il quadrato di quanta acqua si poteva prendere (o meglio il beneficiario poteva canalizzare, al massimo, l'acqua che sarebbe passata in un quadrato grande come quello disegnato su quel foglio)
Ho trovato un atto del 1693 riguardante una lunga causa fra i Padri Serviti de' Cavaglini contro Giò Jacopo Rossi da Magliano- Escarro.

Ho trovato una quietanza con la quale Domenico Barbieri acquistava una quercia già stimata da altri.
Una causa fatta da Giò Antonio Paolini dalla VILLA a Bartolomeo Giò di Montecorto,
un precetto impartito per far togliere l'acqua che va in cantina, decine di citazioni, successioni ecc. il tutto scritto con inchiostri dilavati, e con le scritture più diverse, artificiose e incredibili; spesso illeggibili.
Leggibili sono invece “I Precetti” scritti su piccoli pezzi di carta ed allegati agli atti a cui si riferiscono. ESEMPIO:
“ Adi 23 aprile 1716
Io Giuseppe di Michele BERTONI Cassiere pubblico della Comunità di Agnino facio riferimento di havere atacato alla porta del CASTELLO un cartelo ad istanza di Domenico BERTONI dalla VILLA di Agnino.”

Ho trovato ancora un documento in cui i cinque comparenti , tutti quanti, firmavano l' atto con cinque segni di croce a dimostrazione del largo analfabetismo che colpiva la popolazione del tempo.
Una causa prolungata per una stretta scala in quel di Canneto.
Persino un documento in cui era scritto “ Al nostro illustrissimo Podestà di AGNNINO” (sì, scritto proprio con due enne!)
Ho trovato , nel fascicolo di cui al numero 52 un documento timbrato con un inchiostro brillante e celeste proveniente da “ Altezza Reale – Granduca di Toscana”

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Catasto Leopoldino




L' Archivio di Stato di Massa conserva anche il primo Catasto ufficiale del Comune di FIVIZZANO, redatto nel 1825 sotto Leopoldo II di Lorena detto appunto catasto Leopoldino.
Alla sezione N sono contenute 5 carte che vanno dal n. 279 al 283 e che comprendono appunto le prime tre le carte del popolo di S. Michele Arcangelo di Agnino, la n. 282 quella del Popolo di S. Colombano a Canneto e la n. 283 quella del popolo di S. Martino Vescovo a Magliano.
Con precisione sono riportate le planimetrie dei campi e delle case, il tutto con una numerazione progressiva.
A corredo esistono poi i libri con le tavole dei rispettivi proprietari a partire appunto dal n. 1 ed a proseguire.
Analizzando appunto il libro riportante la sezione “N” di Agnino Canneto e Magliano scopriamo così che dalla particella n. 1 alla n. 15 il sig. BERTOLI LUIGI di Giovanni era proprietario di ben 1.984.642 braccia di bosco ceduo e pastura.
Per avere un termine di riferimento ricordo che la Chiesa di Agnino registrato al n. 594 possedeva il Cimitero che era di 913 braccia.Quindi il sig. Bertoli Luigi era proprietario di un'estensione di terreno di circa duemila volte superiore a quella del cimitero di Agnino: si trattava dei boschi della Tergagliana!
Altro grande proprietario di terreni della Tergagliana risulta essere Guidotti Luigi di Pier Antonio proprietario di braccia 583110 oltre che di casa e capanna, l'attuale così detta “casina Rossa”.
Ancora un grosso proprietario era Bononi Giò Antonio di Domenico possidente a Virolo, Cannetto ed Agnino.
La particella n. 36 con braccia 342.480 e la particella n. 37 con 657.292 braccia appartenevano ai beni comunali di Posara.
Altri proprietari che a una mia rapida visione sono apparsi risultano:
Barberi Pandolfini Giò Batta di Luigi proprietario alla particella n. 26 di bosco con pastura per braccia 37476, e di altra particella di braccia 72762., Porrini Andrea, Jacopetti Conte Filidauro di Giorgio, Vasoli Alessandro, Fantoni Conte Agostino di Luigi che risulta proprietario di vari appezzamenti anche di viti e olivi, Chigi Cav. Carlo, Veschi Leonardo di Michele che è nominato decine di volte, forse dopo il Bertoli Luigi è il più grosso proprietario terriero. Solo alla particella n.488 posside braccia 155.582 di selva e bosco ceduo.(Memento! I Veschi non comprarono i terreni dagli Agnini?), Mattei Giovan Battista, Ambrosini Natale di Domenico, Lorenzini Paolo,Ciabattini Luigi di Pietro, Corsini Andrea- Felice e Domenico, Barbieri Pasquale D'Ambrogio, Rossi Giuseppe, Paolini Felice di Romeo,Gia Giacinto di Antonio Maria, Palmieri Pietro di Romeo, Gregori Santi di Luigi,Santini Francesco di Domenico, Chiesa di San Michele Arcangelo di Agnino, Bologna Jacopo di Giovanni, Cavalcani Dott Clemente, Beneficio della Maestà S. Annunziata di Agnino, Benedetti Leonardo, Sabatini luigi di Pietro, Pennelli Luigi, Asti Antonio, Raggi Domenico, Corsini Matteo di Jacopo, Riani Don Luigi di Pasquale, Altare di S. Giuseppe eretto nella Chiesa di S.Martino di Magliano che possedeva solo alla particella 501 braccia 26320. E proseguendo: Corsini Andrea, Novelli Giacinto, Bongi Giovan Antonio, Asti Don Vincenzo, iabattini Luigi di Pietro, Gerali Pasquale di Antonio, Tognoli Davide di Michele, Giovannini Nicola, Rossi Don Felice di Michele Antonio, Serafini Francesco, Coiari Luca, Rossi Don Luigi di Michele Antonio, Battaglia Domenico, Barbieri Giuseppe di Ambrogio, Asti Antonio, Lorenzini Elisabetta, Bacchieri Maddalena, Paolini Felice di Romeo,Tamburini Maria nata Pennelli, Canossa Francesco d' Arcangelo, Ortalli Teodolfo, Cimoli Sante di Pietro, Bravieri Giò Batta di Terenzo, Grilli Matteo di Giuseppe, Giannini Luca, Chiesa di Soliera, Agostini Trombetti Armando. Poi ancora : Vecchi Carlo e Giuseppe di Onorato proprietari di oltre 130 mila braccia di terreni vari, Vasoli Jacopo, Conservatorio S.Agostino di Fivizzano che al n. 1871 era proprietario di braccia 29474 di terreno vignato et olivato, Chiesa di S. Colombano, Bononi Don Luigi di Domenico Antonio, Belli Michele Antonio e Felice di Tommaso che tenevano braccia 54566 di selva al n. 2375, Giannarelli Stefano di Antonio, Cresci Domenico, Gerali Giuseppe di Policarpio ed infine Gerali Pietro di Policarpio di Fertigliana-Stato Estense.
Questo breve elenco ove ho sicuramente tralasciato nomi o famiglie è solo per stimolare il lettore a fare più approfondite ricerche personali.









FOTO







ARCHIVIO FANTONI


Da una nota dell'Archivio di stato di Massa si ricava che la famiglia Fantoni fu patrizia e di origini fiorentine, la Repubblica fiorentina ne trasse 3 Priori: Antonio 1464, Bernardo 1474, e Fantone nel 1519. Nel secolo XVI alcuni dei Fantoni emigrarono in Spagna, altri si stabilirono a Pisa; Giovanni di Fantone si trasferì a Fivizzano terra soggetta ai fiorentini e rimasta unita al Granducato di Toscana fino al 1847. Di questa nobile casata, Terenzio, nato nel 1613 fu gireconsulto di molto valore e ricoprì cariche pubbliche al tempo di Ferdinando II e di Cosimo III dei Medici.
Apro un'inciso:
Fu proprio per merito di Terenzio “autore e sostenitore fino alla fine” se fu costruita dai fivizzanesi con il contributo del Granduca la meravigliosa opera della Fontana Medicea in Piazza del Mercato a Fivizzano alla quale aveva dato il suo contributo un abitante di Agnino, come risulta dal pagamento registrato in “Saldi delle Fonti ” ( A.S. DI Massa – busta 132) in data 8 ottobre 1681 “ A Gio. Ant. di Gio Batta d'Agnino lire quattro e mezzo pagate sono per volute di tanti sassi dati per servizio della fonte”. Probabilmente si trattava di sassi in tufo, molto leggeri e atti a costruire le volte.
Ritorniamo ai Fantoni:
Ludovico (1659-1725) fu consigliere di stato dei Duchi di Mantova e oratore a Parigi presso Filippo V re di Spagna, del duca di Mantova Ferdinando Carlo Gonzaga.
Giambattista (1678-17149 coltivò con molta passione la lingua latina, fu reggente dell'Accademia fiorentina degli Apatisti.
Luigi (Aronte Lunense) (1748.-1808) fu accademico georgofilo ed appassionato cultore degli studi classici. Dopo l'abbandono della vita politica si diede tutto agli studi agrari ed al miglioramento dei poderi di Noletta, Germagnola, Pratolungo, Agnino, Cavaglini, Colecchia, Anticcione, Caugliano, Posara, Moncigoli, Borri, Cecina e Gassano senza contare quelli posseduti nel Pisano.


Giovanni (in Arcadia Labindo) (1755-1807), figlio di Lodovico Antonio Fantoni e Donna Anna De Silva, marchesa della Banditella, fu ardente patriota e celebre poeta, noto per i suoi studi e la sua vita avventurosa; ricoprì la carica di Segretario dell'Accademia di Belle Arti di Carrara alla quale seppe dare nuovo splendore.
Agostino Fantoni (1777-1847) figlio del predetto Luigi e nipote diletto di Labindo, coprì importanti cariche pubbliche a Fivizzano, e in altre Città (Pistoia), ma il suo merito maggiore fu di aver raccolto e annotato le opere dello zio e di averle stampate in Firenze nel 1823 con una accurata e spassionata bibliografia del poeta. Dal matrimonio con la genovesa marchesa Maria Teresa Spinola, ebbe quattro figli dei quali Isabella fu “fiamma amorosa” di Giuseppe Giusti ma andò sposa al conte Francesco Caimi di Firenze.
Tutto il carteggio di casa Fantoni, comprendente quello del poeta Labindo e del nipote Agostino, i documenti storici, patrimoniali, giuridici, il carteggio di famiglia; complessivamente riunito in circa duecento buste o fascicoli fu venduto dagli ultimi eredi Fantoni ad un antiquario fiorentino dal quale fortunatamente, agli inizi del secolo XX , fu acquistato dal Ministero dell'Interno e destinato
all'Archivio di Stato di Apuania.

E' proprio indagando fra le miglia di carte che ho ritrovato notizie riguardanti le possidenze della famiglia Fantoni nella Comunità di Agnino. Nel fascicolo n. 72 e 73 dell'Archivio in parola si trovano documenti riguardanti l'acquisto “del podere dei Cavaglini, di Monte Curto e Bottaccio.”
Dal un documento ricaviamo quindi che ben 19 pezzi di terra, facenti parte del soppresso convento dei Cavaglini, erano nella comunità d'Agnino; dal numero 20 al n. 56 erano campi elencati sotto la comunità di Soliera, dal n. 57 al 58 compresi nella terra di Magliano.
Ma negli estratti estimali e descrizione delle terre redatto il 25 marzo 1697 si ricava che la Famiglia Fantoni possedeva già 27 appezzamenti di terra in Agnino.
Ma decine sono i documenti o inventari in cui appare il nome di Agnino.
Il fascicolo n. 138 ci fa sapere che Il Podere del Bottaccio, o Cavaglini era in affitto al Sig: Giuseppe Tamburini nativo di Petrojo Vicariato d' Empoli per la somma di ducati 80 all'anno con una durata di 5 anni e che per quell'anno 1792 , doveva pagare ducati 60 più 3 ducati “per la terra detta il canepaio del mulino del Bottaccio e per la vigna dello scasso”.
Vedasi foto

Nella filza n.169 c'è uno scartafaccio delle spese fatte al Convento dei CAVAGLINI e alla fabbrica di P............(non è scritto il nome!): si apprende così da una scrittura minuta le spese fatte per il muratore che riparò il tetto del convento, le “spese per provviste di baccalà, bambagia, salciccia” ed ancora il saldo del conto ad un certo Antonio Lombardi di Olivola delle vetture di mattoni e mattonelle da lui portate alla “Fornace dei Cavaglini”.


Con una scrittura privata del 19/05/1786 il Conte Luigi Fantoni stipulava un contratto di lavoro con “ Girolamo Manganelli di Siena che si obbliga di andare in un luogo della Vicaria di Fivizzano luogo detto de' Cavaglini per lavorare ad una Fornace da piatti, e pentole di proprietà dell'illustrissimo Conte Luigi Fantoni e di riattare la sopraddetta fornace e renderla capace di cuocere ogni sorta di lavoro di stoviglie di terra con questi patti e condizioni.” che riassumo:
che escano almeno 2000 pezzi, e fino a che il sig. Conte non trovi per lavorarvi “ una persona capace, e di suo genio” .
Inoltre “ che il detto lavorante deva rendere inteso il Sig. Conte, ed insegnarle la maniera con cui si fanno le vernici, e massimamente di quali sono necessarie per piatti, pentole e d altre sorte di stoviglie.” e “ per non sapere scrivere prego il Carlo Giachi che facesse la presente sottoscrizione.”

I lavori andavano veloci, se nell'agosto del 1786 uscivano per “lavori fini”
“un Bidet, un calamaio lavorato, un cafettiera, dieci vasetti da fiori, otto catinelle, quattro mezzine, otto calamai ordinari” e per “lavori grossi: 47 Boccali da notte alla Romana, 122 Botti alla fiorentina, 3 boccaloni da tre fiaschi, 107 dotti fiasco alla genovese, 345 mezzette”.
Il 18 Ottobre 1786 il lavoratore ceramista da ampia quietanza in calce alla scrittura: “Io Girolamo Manganelli di Siena, abitante in Firenze confesso esser stato intieramente soddisfatto sino al presente giorno à forma dei patti di che nella presente scritta dall'Illustrissimo Conte Luigi Fantoni , dichiarando essere stati conteggiati e compresi nella presente ricevuta li Barboni ottantadue salvo che quali ho lasciato l'obbligo ai Cavaglini per restituirlo e lavorarlo, e per non saper esso Manganelli scrivere pregò me Antonio Ferrari di Fivizzano a far la presente ricevuta , in fede.”


Oltra a questa fornace, tre anni dopo, il Conte da avvio ad un'altra opera: la fornace di mattoni di Pratolungo. Infatti dalla Busta n. 188 dell'archivio Fantoni apprendiamo che nel febbraio 1789 viene fatta scrittura privata tra il Conte Luigi Fantoni e Marani Francesco della Barbaria del Marchesato di Olivola “per fare nella prossima primavera una Fornace da mattoni, Embrici e Tegoli” a Pratolungo.
La filza n. 118 ci fa sapere che “il 16/07/1789 furono cominciati i lavori a opere a direzione di Maestro Tommaso e flli Marini della fornace di M.Maddalena di Pistoia” e che furono pagati barboni 4 al “capo mastro fiorentino del conservatorio a disporre il luogo e dare il disegno della fornace”.
Nella filza 118 c'è a conferma un registro delle vetture di mattoni vendute nei dintorni di Collecchia, Serricciolo e Verpiana, tutti relativi alla produzione di Pratolungo. Mentre la Busta 189 ci fa conoscere che dalla Fornace di Pratolungo erano state prodotte dal 17 agosto 1789 ed in un mese n. 1080 coppi, n. 10635 mezzene, n. 1711 mattoni ed il mese successivo di settembre: embrici 660, coppi 1715, mezzene 6683.


La busta n. 188 del medesimo archivio ci mostra una scrittura privata del 30 Settembre 1787 fra il conte Luigi Fantoni “ che volendo provvedere al miglior stato delle coltivazioni” al riguardo del podere di Agnolo ed il Sig. Carlo Cimoli “ attuale lavoratore, si obbliga di fare ogni anno Braccia 35 di Fosse da Vigna fonde e larghe braccia fiorentine due, con obbligo di piantarvi i Maglioli secondo che verrà ordinato dal Sig. Conte Padrone o dal di lui attuale Agente Pietro Tamburini”
“ Che il detto Cimoli si obbliga annualmente a riconoscere al detto Sig. Conte Padrone per Pasqua di Resurrezione di n. 36 ova e due paia di Pollastri, che uno in Agosto e l'altro a disposizione del suddetto Conte Padrone...... e per la piena osservanza di quanto sopra obbliga detto mezzadro lui stesso e i beni de' suoi eredi presenti e futuri.”
Certo le condizioni mezzadrili non erano certo invitanti, per il nostro modo di vedere moderno.
La busta n. 189 ci da notizia di una transumanza locale di pecore che in primavera venivano mandate “a branco” e consegnate al pastore Cardinali di Bottignana ed allora Pietro dei Cavaglini consegna 7 pecore, Pietro di Agnolo 12 pecore, Santino di Giulio da Montecorto n. 9 pecore che unite ad altri si arrivava a n. 151 pecore in consegna al Cardinali. E' naturale che la riconsegna ai rispettivi contadini avveniva poi all'arrivo dell'autunno.

Numerose notizie spicciole, ma importanti per comprendere la vita del mondo agricolo del circondario di Agnino nel “700 e “800, le possiamo ricavare senza ombra di dubbio spulciando le carte di un'altro archivio quello dei “ Piccioli- Fantoni di Noletta”. Detto archivio da pochi lustri è stato ceduto dalla famiglia Piccioli ed accentrato nell'archivio Storico di Massa.
Il Conte Luigi Fantoni , fratello del poeta Labindo, che per gran parte risiedeva nella fattoria di Noletta fu un valente agronomo, studioso appartenente alla Accademia dei Georgofili fondata a Firenze nel 1743. Aveva la bella abitudine, così come i suoi avi o come forse tutte le famiglie possidenti, di annotare su registri le entrate ed uscite dei prodotti agricoli detti allora “grascie” che venivano, nella fattispecie, prodotti nei suoi poderi di Agnino, Cavaglini, Montecorto, Germagna, Agnolo, Pratolungo, Moncigoli-Noletta, Fivizzano.
Analizzando appunto lo scartafaccio numerato come 11 possiamo conoscere le entrate ed uscite sia di Agnino nell'anno 1774 e seguenti, conoscendo così le produzioni di grano, scardela, segale, fave, formentone, panico, miglio, lenticchie, ceci, fagioli, cicerchie, scandela.

F

Dallo scartafaccio n. 17 apprendiamo che per il nuovo scasso a vigna ( del boschetto di Noletta) sono stati acquistati in data: 17/2/1781, n. 80 pali di castagno pagati a Matteo Rossi da Vendaso per scudi 1,2 e per cacca ossia strame di caprino, sempre a Vendaso, compresa la colazione a 3 uomini, scudi 1,4.
- 19/3/1781, n. 284 pali di castagno, uno dei quali in conto del mancante pagati scudi 3,3.
-18/3/1781, mazzi di salici presi dall'Alberti di Collegnago scudi...
-27/3/1781, N. 4 opere di donne a legare e raccogliere i sarmenti, scudi 4

Lo scartartafaccio n. 17 iniziato il 2/7/1782, ci fa conoscere che:
-una beretta nera costa scudi 2
per accomodatura di un paio di calzoni neri e roba presa, scudi 2,12
per risuolatura delle scarpe, scudi 2,40
fattura di una giubba di pane nero, scudi 9
scarpe nuove, scudi 8

Scartafaccio n. 19 che è dell'anno 1803 ove è scritto:
Terminato lo scasso del Boschetto di Noletta, si piantarono ulivi 102 e viti 234 ed inoltre 200 cavoli neri, 34 poponi, cocomeri, cetrioli, fagioli, faggina bianca e data una mancia a Beniamino Guidotti a gratificazione del buon lavoro al boschetto da lui ben eseguito, scudi 14

F

Scartafaccio n. 20:
Pila trasportata d' Agnino a Noletta; con l'annotazione “ per una delle due pile che avevo in casa di Giò Ant. Novelli d' Agnino fatta venire a Noletta con i nudi bovi e dato al Jacopelli Batta, che veniva d'aiuto a condurla con tutto, oltre la mercede, scudi 1

Scartafaccio n. 20:
per K. 23 uova comprate ad Agnino per la mia cucina, scudi 2,6 (K significa chili?)

Scartafaccio n. 21:
-pagate al notaio Jacopo Agnini scudi 12

Scartafaccio n. 22:
In data 23/3/1807 date ad un ragazzo che portò n. 30 allori da Agnino, scudi 10
(Nota: Il Conte Luigi stava costruento il giardino della villa !)
Ma le spese più grosse sono per la moglie, scudi 56; per il figlio Agostino che va a Parma scudi 1810; per il medico di Giovagallo Proconzio Parrini che è venuto più volte a curarlo dalla malattia di occlusione di fegato, scudi 84.
Da un altro registro del 1790 apprendiamo che il vino nero scelto, il bianco, l'aleatico e il vermut prodotti nei poderi sopra elencati sono stati portati a Fivizzano, mentre il vino brusco e marcio è stato lasciato ai Cavaglini.
Dallo scartafaccio con il numero 24 dell'anno 1786 che i vini prodotti venivano classificati come: brusco, vino nero scelto, moscatello, aleatico, bianco e strizzato.
In busta 190 dell'arch. Fantoni c'è l'”inventario della dispensa”; al 27 gennaio 1789 vi è in essere:
Un prosciutto ed un altro manomesso, una coppa, sei mortadelle, 25 resti di cipolle, 3 quarette di noci, due quarette di castagne, due quarette di nocciole, una mezza quaretta di piselli, nocciole grosse di Noletta una quaretta e mezzo, fagioli bianchi due quarette, fagioli dall'occhio 4 quarette, fagioli scritti 9 quarette, 2 panieri di pomi portati da Mattio di Agnino, una mezza secchia di patate di Noletta, pesi 9 di lardo di Noletta, farina di grano pesi 25, farina per la servitù pesi 25, lenticchie pesi 5, una paniera di pomi a parte ...

Da Archivio Fantoni (dati raccolti nel 26/06/2007)

Anche nell'archivio del palazzo Fantoni ci sono carte che riguardano la fattoria di Noletta. Dalla filza al n. 99 ricavo che nel luglio 1812 sono registrate:
opere di donne giornate 43
agosto: opere di uomini 14 opere di donne 12
settembre: opere di donne 25
ottobre: opere di donne 46
novembre: opere di uomini 6, opere di donne 28
dicembre: opere di uomini 9, opere d i donne 45

Come si può notare il ricorso alla manodopera femminile è molto superiore a quella degli uomini a motivo probabilmente del minor costo.
Dalla filza n.100 si evidenziano i lavori del tempo:
-n. 23 oppi ripiantati in zoppe nuove
-pollina comprata per mescolare nel governo degli ulivi
prese da Natale Frassinetti per una stallata di letame benne 18 e pagate borboni 22
lavori a piantare zoppe e scalzare ulivi
vangare e seminare
Sempre dalla filza 100 si apprende che nel 1825, il mezzadro Stefano Lorenzini di Agnino possedeva 2 bovi, 2 vacche di cui una pregna, una manzetta e 1 maiale.
Il contadino Giovanni Domenico Cimoli di Pratolungo: due bovi, due manzi, necchie 27, un maiale.
Ed ancora Francesco Battaglini di Noletta: 2 bovi, 27 pecore, 1 maiale.
Cosi può notare è singolare la mancanza di vacche.
Dalla filza n. 89 si evince che nel 1826:
vendita di una vacca barboni 7.19
vendita di due manzi barboni 16.00
vendita di un bove barboni 18.13
Di contro furono spese barboni 18 per ritingere tutte le vetrate della Loggia di Noletta: furono pagate a Nicola Bertoli per due giornate a fare la nuova greppia in Germania barboni 9: spese per calcina dal Gia di Collegnago borboni 12.12: conto di n.100 cavoli fiori per mettere in Noletta barboni 1.4.
Ma per il mantenimento di tutta la famiglia del podere di Noletta andavano via oltre 200 barboni al mese !
Mentre nel mese di ottobre 1848 sono registrate n. 85 giornate uomo solo per i lavori al giardino.
La filza n. 101 dell'ASM ci fa conoscere che “ nel libro dei saldi della fattoria di Noletta del conte Paolo Fantoni all' anno 1853” non appare più il nome di Agnino. Probabilmente a quella data il podere era già stato venduto.
Mentre la filza n. 131 dell' ASMS ci presenta un preciso elenco dei campi posseduti dalla famiglia Fantoni in Agnino all' inizio del secolo XIX in cui troviamo:
Bosco alli Campacci, prato e castagni al Marano, campo vignato e prativo al Perello, prato olivato al Guarciano, campo vignato alla Ricciara, castagni a Castagnetolo, orti vignato all'Orto, caneparo attaccato alla Casa, prato vignato et alberato alla Casa, prato con guarcie a Piè di castello, prato e castagni sopra Piazza, prato e castagni a Scalamarcione, bosco e cerri ai Cerri, campo vignato alberato olivato al Montale, bosco e quercie al Montale, campo olivato e alberato alla Cavanella, parte di campo vignato alberato olivato castagnato e querciato al Marano ( con la nota 1653 da Maddalena Novelli), prato castagnato al Chioso, prato vignato prativo ortivo alla Corte, campo con bosco a Piè di Castello, campo vignato alberato olivato al Marano, campo vignato alberato olivato al Picedo, campo vignato alberato in Parano, campo vignato alberato e castagnato in Pastena, prato castagnato e cerri alla Contra, prato castagnato al Pozzo, prato castagnato alli Noccioli (con la nota 1661 da Antonio di Lazzarino), campo vignato alberato prativo orticcolo alla Via Piana (1675 da Gasparo di Palmieri), prato castagnato con quercie a Piè di Castello ( 1674 da Pier Angelo di Simone), prato e castagni Sopra Piazza (1693 da Marco Antonio d' Orazio), parte di campo olivato al Guarciano (sotto la via comunale), prato castagnato alla Vaccareccia, campo alberato vignato prativo alla Colla, campo vignato a Valdonega, campo vignato alberato al Poggiolo, parte di campo vignato alberato et olivato al Montale, matà di campo vignato albertao castagnato in Castagnetto, campo vignato alla Piastra (1715 da Orazio Corsini), prato e castagni a Monte D'Aro (nel 1722 da orazio Corsini), parte di campo partivo olivato vignato al Molino, un mezzo di pratro e castagni a Soma la Prota, campo vignato alberato al Poggiolo (1751 da Michele d'Orazio Corsini), campo vignato alberato Alla Lodola, ed infine campo prativo alberato e boschivo al Boschetto acquistato nel 1754 da Pietro e Fratelli Bernardi.
Dopo questo lungo elenco si può subito fare una riflessione: ma agli altri proprietari cosa restava? Visto che quasi tutto apparteneva a questa famiglia? Ma non è tutto, in quanto la filza n. 133 dell' ASMS ci fa conoscere che i Fantoni riscuotevano in Agnino sotto forma di soccide di pollastri, di capre di mucche.
(All Foto da archivio 030707)


La busta n. 302 ci dipana quanto sotto.
La fattoria di Noletta e tutti gli altri poderi dei Fantoni subiscono alla morte del Luigi un generale abbandono di direzione. Ben scusabile considerati i tempi! Siamo negli anni successivi della rivoluzione francese e della creazione della repubblica Cisalpina e poi della Restaurazione
E' per questo che il Conte Agostino Fantoni, allora Commissario Governativoa Pistoia, spedisce in Lunigiana un valido fattore di nome Ermete Vangucci.
Questi dotato anche di una vasta esperienza e di una buona cultura presenta al Conte “Un prospetto delle rendite in generi dal luglio 1840 all'agosto del 1842” corredandolo di Bilanci,note suggerimenti, consigli; perchè la fattoria “manca di sorveglianza e direzione.”
Dopo aver parlato male del fattore precedente “nemico giurato delle scritture e lascivo” descrivendolo come “uno che insuccida la propria coscienza quanto il ladro e talvolta fa più male del ladro stesso perchè con la sua indulgenza genera mille ladri .” prosegue con “Ogni Mezzadro è il Fattore del proprio podere compra e vende Bestiame a suo beneplacito riscuote e paga il prezzo e ritiene in mano il denaro. Porta al Padrone quell'avanzo che crede, senza che alcuno verifichi la quantità dovuta e quella mancante”
Testimonia in carta i fatti specifici:
“I risultamenti di questa condotta sono stati quelle irregolarità di Dati, quella confusione di Partite, quell'incertezza di Conti, quella mancanza di convinzione, e finalmente quei Danni al Proprietario che io mi sto dettagliatamente a sviluppare”. Principia appunto “ ad ispezionare i Conti Colonici per quello che riguarda il Bestiame: a quest'ultimo saldo del luglio 1842, si vedrà che al conto di Giò Rossi D'AGNINO, per quanto abbia sempre tenuto non poche vacche, nel corso di due anni non gli nasce che un solo vitello, e dall'epoca del saldo L'Agente ignorava ancora che da detto Rossi erano state vendute tre vacche alla fiera di Terrarossa, e erano state comprate due alla fiera di Barbarasco, non pagate, perciò le prime in Entrata, le seconde in Uscita.”
Concludendo la relazione, il Vangucci sentenzia “ E' peggio avere un Cattivo Fattore che non avere Fattore!”

Sempre dall'Archivio Fantoni la busta n. 181 ci fa conoscere che la famiglia stipulava contratti di Soccide: “ Scritta di soccida di Capre cinque con Michele di Marco d' Agnino dalla Villa fatta il 27 Marzo 1697” altra scritta “ di soccida di Pecore quattro con Angiola di Giò Domenico d'Agnino, moglie del Cap.le Giò d'Antonio di Lazarino di detto paese fatta il 26 Marzo 1699”, altra scritta “ di soccida di Capre tre con Michele del quondam Pietro dalla Piazza d'Agnino fatta il 10 Ottobre 1707”, altra scritta “ di soccida di Capre tre con Giò del Gaspari del Castel d' Agnino fatta il 17 Ottobre 1707”, infine altra scritta “ di Socida di Capre tre con Domenico di Pietro dalla Villa d'Agnino fatta il 14 Ottobre 1707.”
La Busta n. 187 ci mostra i conti e le quietanze presentate dai sarti e sarte alla famiglia Fantoni e così possiamo conoscere i nomi di stoffe e tessuti che oggi non sono in uso, tipo:
Calzoni di saia, Tessuto di fustagno, Tela di Baviera, Tela di Bologna, Tela di Cambraia, Camelloto scuro, Camelloto di Olanda, Camellotto di Lipsia, Camellotto di Bruxelles, Dobletto bianco, Roana cenerina, Stamina, Tela di Roano, Camicciole di Stagnino, Calzoni di Lucciolato, Basino stampato, Panno Rosso, Seta bianca, Castorino nero.
Mentre dalla Busta 197 ci fa conoscere la produzione totale di vino della fattoria di Noletta
che era stata di libbra 28503 nel 1871 e di quintali 175 nel 1877.
In quegli anni l'attività della fattoria è febbrile; vengono messe a dimora piante rare e fiori che arrivano dai vivai di Firenze, nel 1889 viene dipinta la facciata della villa dal decoratore Gaetano Brunacci su ordine della Contessa Clementina Cellesi, vedova del Conte Paolo deceduto nel 1874.


ARCHIVIO MALASPINA DI OLIVOLA:


Dalla BUSTA N. 1 apprendiamo che il Marchese Carlo MALASPINA d' Olivola che nel frattempo abitava però nel palazzo di Pallerone, il 18 ottobre 1787 dava incarico all'avvocato Giuseppe Maria Uccelli commissario dell'Imperial Feudo di Fosdinovo di concordare con i ministri deputati dal Serenissimo Gran Duca di Toscana di dirimere e concordare diverse controversie sui confini giurisdizionali tra le terre di Magliano, Agnino, Montecorto, Soliera, Collecchia e Ceserano tutte del Vicariato di Fivizzano dominio del Granduca e le comunità di Olivola,Pallerone e Bigliolo appartenenti al Marchesato di Olivola.
Nell'anno successivo, 1788, venivano finalmente posti nuovi termini in pietra come appunto ci tramandano i documenti agli atti in detto archivio.
Ma per tutta la Nobiltà con i loro privilegi feudali, specie per il diritto dei marchesi di imporre tasse, si stavano addensando all'orizzonte eventi catastrofici: la rivoluzione francese era ormai alle porte. Con l'avvento di Napoleone anche in Italia fra il 1797 ed il 1799 vengono creati delle repubbliche con regimi ed istituzioni ricalcate su quelle francesi. Nel marzo 1799 i francesi occupano la Toscana e depongono Ferdinando III di Lorena.
Il popolo diventa sovrano, la borghesia ed i cittadini prendono il potere, il motto sovrano è “Libertà e Uguaglianza”. E' un periodo rivoluzionario, vengono aboliti tutti i feudi e marchesati, aboliti i privilegi, ma viene lasciata ai conti e marchesi la proprietà privata.

La Lunigiana viene incorporata nella Repubblica Cisalpina.
Con l'avvento di Napoleone in Italia arriva una ventata di libertà e uguaglianza che travolge il potere costituito.
Ed è proprio in seguito a tali eventi certamente destabilizzati per il potere della casata malaspiniana che fu scritto un memoriale di 237 pagine che oggi noi possiamo consultare nell'ASMS alla busta n. 2 dell'archivio dei Malaspina di Olivola . Il documento ha questa intestazione: “Difesa dei beni Allodiali spettanti agli ex Feudatari delle Alpi Apuane da presentarsi alli Consigli legislativi della Repubblica Cisalpina”
Leggiamolo e vediamo come la rivoluzione francese fu vista dalla parte di chi la subì:
“ ... Si esagerò che i Diritti dell'uomo e del cittadino riprendevano la loro energia, si declamò che la virtù è la base del nuovo Governo, ma intanto Li scellerati facevano a gara nell'annunziarsi Repubblicani coll'esternare i sentimenti più feroci, e micidiali. Uno tentava vincer l'altro con i progetti dei saccheggi, e dei massacri, tanto che i miseri Feudatari appena potevano dar segno della loro esistenza. Le autorità superiori vollero comprimere i più orribili disordini, ma i perfidi aggressori e con fraudolenti insinuazioni, o con aperta violenza seguitarono ad infierire con ogni genere di malvagità. Crederono di essere assai indulgenti risparmiando le Persone dei Marchesi , e tentando le vie tutte per invadere le private sostanze dei medesimi, onde condurli nella più affannosa e deplorante meschinità. L'ex Feudatario del Ponte (Pontebosio) fù dalla municipalità di Licciana spogliato della sua casa di abitazione situata nel Castello della Bastia. Gli furono occupati l'orto, il giardino, un tenimento olivato, un torchio, due mulini.
Ché non dové soffrire L'Ex Marchese Giovanni di Villafranca ? I di lui antenati avevano concesso
a Diverse Comunità in enfiteusi i torchi e i mulini, e diversi terreni in Villafranca, Virgoletta, Villa , Rocchetta. Fù spogliato barbaramente dal diritto di esigerne le Pensioni.
La Municipalità di Monti, Fenile ed Amola fece invadere l'abitazione dell'Ex_Feudatario chiamata Il Castello di Monti, fece occupare il Torchio, s'impadronì dei mulini con la più sfrenata licenza.
Il Malaspina di Podenzana fù privato dalla Municipalità di Aulla della di Lui Casa di abitazione nominata Il Palazzo, di altro Edifizio tenuto ad uso di osteria, e di una Barca sul fiume Magra. Godendo la Famiglia la cospicua Abbazia dell'Aulla fondata nel 884 , di cui Egli era investito, fù spogliato di tutti i beni alla medesima spettanti e furono sequestrati in mano di estraneo amministratore. La Municipalità di Monti s'impossessò del Torchio e Mulino del Poderetto. La Municipalità di Licciana s'impadronì dei Torchi, e Mulini esistenti nel suo distretto. Erano nel castello di Aulla alcuni vecchi cannoni, e questi pure furono preda degli Aggressori.
I Malaspina di Mulazzo rimaser privi dei Torchi e Mulini di Tresana, come dei torchi mulini e terre, e abitazione fù spaventosamente spogliato l'Ex-Principe Tommaso Corsini Ex-Marchese di Tresana.
L'Ex-Feudatario di Fosdinovo Carlo Emanuello fù tormentato acerbamente perchè con ferma risoluzione si oppose all'invasione della sua casa di abitazione, dei suoi Torchi, dei suoi Mulini.
Si spezzarono le Porte del di lui Palazzo a mano armata, fù arrestato il di lui Agente. Sempre minacciato, sempre offeso, dové soffrire il sequestro di alcuni Beni, perchè egli aveva distratti alcuni vecchi pezzi d'artiglieria di sua appartenenza.
Lungo sarebbe il rammentare tanti altri mali e danni inferiti all' innocente e pacifica Famiglia, sempre compianta dall'universale delle Popolazioni cordialmente commosse allo spettacolo terribile delle di Lei miserie.”
E lungo sarebbe anche per noi elencare tutto il contenuto del documento di centinaia di pagine con cui i Malaspina difendevano le loro proprietà, lascio a qualche volenteroso il compito di trascriverlo integralmente.
Ma anche un altro scritto, da me trovato nell'Archivio Fantoni, ci fa capire come erano visti i liberatori francesi. Questa volta a parlare è il Conte Luigi Fantoni il quale si difende, dopo la dipartita dei Francesi, dall'accusa mossa da alcune famiglie fivizzanesi di essere stato dalla loro parte. Scrive Luigi:
“ La sera del primo Aprile di questo climaterico anno 1799, arrivò il Capo battaglione Francese Desportes con molta truppa francese, ligure, e cisalpina a democratizzare Fivizzano, e venne a dimorare in casa mia con un suo aiutante, un segretario e altri Francesi. L' istessa sera alla fine della cena per ringraziamento mi fece una molta risentita paternale, dicendomi che ero un aristocratico, come possono deporre tutti quelli che erano a quella cena.
All'indomani, dì 2 aprile, sapendosi già in un piccol luogo che io aveva dirette con applauso, allorché venne il Granduca, le Feste pubbliche ( testimonio il Vicario Filippo Cercignani) disse che voleva che io presedessi a far seguire l'innalzamento di detto terzo albero, e succedaneo al posto del primo, e verso sera ordinò al Magistrato il Partito che se ne vede.
Da un Francese aveva sentito la proposizione in questo medesimo tempo, che la Toscana non sarebbe più uscita dalle mani loro, perché in ogni caso La Francia per assicurarsene, oltre il tenervi una forza presidiale, avrebbe levato da tutti i Paesi degli ostaggi delle meglio famiglie.
In seguito avendosi da altri dato l'esempio di abbattere per il Paese gli Stemmi, si sussurrò dal Popolo perché non buttava giù la mia Arme prontamente, onde in fretta mi convenne, essendo assai grande, e di marmo, drizzare degli stili, e spendere circa quattro Zecchini per tirarla giù dalla cantonata della mia Casa, che conservai, peraltro, con molta cura, e speranza in una stanza terrena in detta mia Casa. Fra tutti questi riflessi, il timore, la prudenza, la rabbia, e altre passioni
Così feci, e per il 5 preparai il nuovo albero, suoi annessi, macchine per l'illuminazione, iscrizioni,
discorso, che feci prima del Vicario Regio Riccieri, e del Comandante stesso. Io posso fare deporre per la verità che la notte precedente fui agitato, che punto dalla rabbia, e tinto in viso di mal umore feci eseguire la festa senza nemmeno desinare, come faranno fede de' Forestieri stati a pranzo in Casa mia, né il Popolo benché gli leggessi il discorso, mi vide punto lieto in viso, come alcuno fra esso notò.
Ecco ne' primi cinque giorni della democrazia nostra come seguì la festa per detto terzo Albero.
Si noti poi il mio patimento dall'aver veduto da Francesi di pulire gli Stivali con la biancheria fine damascata, in seguito lo strazio de' mobili de' quartieri buoni, delle grasce che avrebbero potuto nell'altro anno mantenere la mia Famiglia, Saccheggiarmi la Villa, con la baionetta sfondarmi il casino d'un calesse quasi nuovo, tutte cose da non avermi affezionato poco, ne molto al partito loro.
Ma torniamo ai soggetti d'imputazioni fattemi per i primi istanti di questa invasione.
Quando al Mommi scrissi la lettera era io già commissariato dal Magistrato. Era essa, una risposta ad una missiva di detto Mommi, che ritroverò farò vedere quanto era propenso a favorirmi l'Albero.
Io abbondai di lodi e di frasi Repubblicane, e d'inviti (questi voluti dal Comandante Francese) per incoraggiarlo, e tentarlo a farne un dono alla Comunità, ma in fondo attaccato più al suo interesse preferì questo alla generosità di donarlo, ed anzi feci una riduzione a quel di più che domandava nel prezzo. FF il curato Vannucci di Debicò presente li esamini poi il Moro della Bianca, il Jacomelli figlio della Gragnana, ed altri che diranno che assenza che io li scrivessi, detto Mommi non voleva dar nulla, onde nell'assegnatomi breve termine di due giorni, nel quale spazio avendo molta gente su per i monti, il tutto con spesa grande del Pubblico, a cercar detto albero, per finirla mi dovetti prestare a scriverli. La lettera, che si dice da lui, non so con quanta lode messa in Processo.
Circa le iscrizioni del piedistallo dell'albero io le feci la sera del dì 4, e sono un'imitazione di quelle che su i fogli pubblici si legge vanno fatte in Torino. Le scrisse su la tela il pittore Francesco Malloni. Il Comandante le vide avanti e le approvò perché voleva esser lodato: non sono contro la buona morale, ne contro la Monarchia, ne offendono alcuno.
Quanto al discorso è certo che lo feci per comando e presso del Comandante Francese Desportes, avendolo dettato io l' istessa mattina del dì 5 Aprile, conferma ne potrà avere la Fede dell'Amanuense stesso, ma essendoli parso poco energico, vi aggiunsi per compiacere detto Comandante le espressioni postillate di mio carattere. E' un'animosa calunnia il dire che vi aggiungessi dell'altro a braccio. Chi mi conosce sa che quanto veloce, e abbondante con la penna , altrettanto sono incapace di usare facondia estemporaneamente. Se il discorso brevissimo, in statera juventus est minus habens, viene per la ragione, che le cose lette altrui, e recitate = Segnius irritant animos demisa paures, quam quae sunt oculis subiecta fidelibus..........Onde questa minor sensazione non deve farmi inventare malignamente altri addebiti, ed esso discorso stà tal quale è scritto, e poterà trovarsi nelle recondite stanze della mia Casa, ne nulla ha di contrario alla Chiesa , e al Principe. Ma non parendoli assai il mio brevissimo discorso, il Comandante Francese obbligò il Vicario Regio Sig. Luigi Riccieri a farne uno subito dietro al mio, ma non contento di questi due, Egli stesso salì sopra a farne un terzo, che bene non fù inteso.
Tutte le suddette erano funzioni volute de plans, e a me addossate, d'ordine e di commissione come consta, al Comandante Francese, e Magistrato, in un Popolo di 1200 anime solito ricorrermi , e ne primi 4 giorni dell'invasione, onde i suddetti come Mandanti sono tenuti a rilevarmi indenne, ne io non ho colpa nelle sopradette imputazioni, perché era un mero esecutore degli ordini, e tal operato mirava al bene pubblico, che si conseguì, mentre il Paese fu messo in grazia al nuovo Governo, lodato, e risparmiato, per quanto in un sistema rapinatore si poteva ottenere. E non è questa un'ingratitudine di fare dell'ubbidienza da me alle Autorità prestata, del bene ricevuto una ritorsione a mio danno?
Ma prescindendo da tutto questo se si vuole andare dietro alla cattiva impressione che mutata era le circostanze, siasi fatto un brevissimo discorso a un Pubblico, scrutiniamo nella sostanza.
Ho fatto io di capriccio e di volontà nulla? Nò.
Vi era nulla contro il Principe? Nò
Vi era nulla contro la Religione? Nò
Dunque mi deve il Governo piuttosto esser grato, d'averlo fatto io più d'un altro; operché non lo so se uno che non avesse avuto la mia educazione, si sarebbe contenuto senza offendere nulla la persona del Principe, e la Religione. So che ho adempiuto al mio dovere, ma si è evitato nel mio luogo l'esempio di un mostruoso scandalo. Oh vi erano delle espressioni Repubblicane! Bisognerebbe castigare gli Arcivescovi di averne usato nelle loro Pastorali!
Ma se così odiose sono le persone, che hanno fatto discorsi in tal sorta di funzioni, devono distinguersi i volontari da coatti, ed inoltre, quanto me, dovrebbe castigarsi il Vicario stesso Riccieri , abbenché mio Processante, il Proposto Solferini, che predicò per l'albero eretto in Fivizzano dai Pollacchi, che fù il 4° ed ultimo; dovrebbe castigarsi il degno Pievano d'Asciano, che nell'erezione dell'albero fù obbligato dalle autorità Francesi a predicarvi. Ora se questi vanno impuniti, io pure devo andarvi.
Dunque nel Processo non mi vengono addebitati fatti spontanei, e costando la mia innocenza, avanti la venuta de Francesi, e dopo la loro partenza, ne essendovi alcuna cosa ne contro il Principe , ne contro la Religione, tutto si riduce a delle pure apparenze, e dimostrazioni, che gli ordini delle Autorità Francesi, e di Magistrati, le circostanze, o la Prudenza, o la forza hanno potuto, e potevano in quei tempi imperiosamente esigere.

Oltre le riferite Giustificazioni che fanno vedere il mio operato essere stato tutto forzato e niente volontario, io posso aggiungere delle ragioni comprovate dai fatti, circostanze e seguenti riflessioni.
Se si riguarderà l'epoca de' fatti che mi concernono, si vdrà che entro il primo mese dell'invasione tutti sono accaduti.
Ne' Paesi piccoli tutto si fa per gara, e per fazione. Io era astiato da quella che dominava il mio dispoticamente, sicché doveva correr pericolo in tanti rovesciamenti di cose, e di avvenimenti, a meno non fossi sortito del mio Paese, non dopo il primo mese, come ho fatto, ma sull'ingresso stesso in Toscana delle Truppe Francesi.
Io, l'avrei fatto, se non avessi temuto fatti più gravi.
Io l'ho fatto peraltro ai primi di maggio vedendo di compromettere la mia persona e mi portai alla dominante per non esser più coartato ad intrigarmi negli affari del tempo e per non esser Testimone della dilapidazione del Patrimonio Pubblico, del quale ero de maggiori contribuenti, e che si faceva da alcune sanguisughe nazionali, che ora ne godono pacificamente il frutto.
Ognuno rifletterà che mi sono allontanato dalla Patria in un tempo, che se fossi stato attaccato al Partito Francese, avrei potuto cacciare, perché di quel tempo essi dominavano in forza le cime degli Appennini, e tutta la provincia di Lunigiana, che hanno evacuata più tardi, e con più disastro del resto della Toscana.
Io non sono mai sortito dai confini della medesima.
Dai Francesi non sono stato trattato come amico, e loro corrispondente, poiché ho sofferto danni nella Casa di abitazione, Villa , Grasce, e Poderi e contribuzioni forzose e fatte in poche ore.
I miei Contadini si sono in Moncigoli, e Posara armati contro i Francesi. Ciò si prova con il saccheggio loro dato, e con la violenza e lo stupro alle loro femmine.
Io gli avea indotti avanti, come volontarj, a militare a mie spese sotto il Nostro Legittimo Sovrano, come costa dalle note date.
Io doveva nonostante per la perfidia, e malignità de' miei nemici, soccombere come vittima o al partito Francese o Austriaco, motivo per cui agitando i Legionari per ogni verso il Popolo, ho dovuto tenermi anche lontano dalla Patria.
Entra tra questi modi la maniera di aver fatto sussurrare fino de' primi giorni il Popolo, perchè buttassi giù la mia Arme gentilizia, assai enorme, come puossi vedere, onde mi convenne frettolosamente drizzare degli stili, onde formare il palco per levarla, e così acquietarli.
Nel lungo soggiorno fatto in Fivizzano della Guarnigione Polacca, fù fatto supporre che nella mia Casa vi fossero nascoste delle Coccarde Imperiali, onde si dovette subire una rigorosa perquisizione, e fù arrestato il mio Agente e Cavaliere Domenico Guidotti, e posto in carcere, come pure si voleva arrestare il mio Fratello Conte Odoardo, che a gravi suppliche, e impegni fù liberato.
Mia moglie per lettera chiedeva carte di sicurezza per tutta la Famiglia, che era seco, e nelle nostre assenze hanno tentato di farci passare per emigrati dirimpetto a Francesi.
Non contenti i malevoli di queste persecuzioni hanno incitato de' birbanti a farmi degli altri turbamenti, e violazioni di proprietà, per le quali cose mi riserbo fare gli opportuni ricorsi, implorando l'assistenza più speciale.
Alla loro doppiezza io ho opposto la mia schiettezza. Non ho negato, e velato quello che mi si è fatto fare. E perché eglino velano, e cuoprono, poiché affettano zelo i miei delatori, le azioni, non coatte, ma volontarie, e le dimostrazioni giacobiniche date pubblicamente dagli altri? Come dunque si è voluto involgere nelle imputazioni, ed astiar me coatto, e lasciar altri volontario?
Nell'accusare dunque il preteso Popolo si è mostrato parziale, meco ingrato, ingiusto, e in conseguenza fazionario, e gli sarà pienamente creduto? Non è già quella la miglior parte del Popolo, mentre nessuno de' galantuomini si é mosso contro di me. Ma alcuni pochi alla faccia della plebe più viziosa, e piena di tare, ed alcuni sedotti contadini, agitati dai capi della fazione del luogo a me contraria, e inimica. E' facile dimostrarlo de' miei accusatori, e testimonj contrari, dal vederli partigiani, e satelliti de' primi, e più fieri miei nemici, che ritenendo la maschera gli hanno fatti segretamente agire, e avendoli scelti birbanti, ancorché lo confessassero, si smentirebbero vituperandoli.
I Capi di questa infernale Fazione, sono già quindici anni, grande spazio dell'umana vita, che mi perseguitano, attraversando tutti i miei fisici, e mortali vantaggi, essendo un continuato sistema di diffamazione, e di calunnie.
L'odio non è tanto contro la persona mia, quanto contra tutta la Casa. La carcerazione del Fattore o Cassiere mio per le supposte nascoste Coccarde Tedesche lo fa vedere; l'arresto che si voleva fare contemporaneamente del conte Odoardo mio fratello, l'essersi anch'egli allontanato quando meditavano di farlo prendere ostaggio; l'accasamento impedito a mio figlio d'una Dama erede , per poche ha avuto quattro mesi, e mezzo di malattia e di disgusto, e a me di spesa a farlo viaggiare, e divagare. Sono tutte ragioni che provano il livore grande de' miei nemici, e persecutori.
Io sosterrò con animo forte per quanto la sensibilità e l'educazione Nobile mia potrà reggerlo, il funesto dono delle sciagure, onde mi hanno caricato, e coperto.
Mi duole abbino aspettato a farlo in un tempo, in cui può il Governo medesimo accreditar le loro oppinioni, e menzogne, ma lo prego, e scongiuro a separar dalla Pubblica causa, e da un simulato zelo, il privato rancore, la bassa invidia, le particolari vendette, e calunnie sopra di me.
E non gli si affaccierà altamente, come si è potuto accusare uno che non s'immischiava in affare alcuno se non cercato? Uno che per non immischiarsi più in nulla se ne era andato via, e s e ne viveva lontano, ora è il 9° mese staccato già dalla sua famiglia, ne mai ha brigato di cacciare, o di figurare? Chi ama più di ogni altro la sua quiete, e di vivere, e tornare sotto le Leggi Sante del suo Principe, cui, e al Pubblico ha date in tante occasioni riprova di zelo, e di attaccamento? Chi per 15 mesi all'anno almeno, attendeva ad eseguire delle coltivazioni, senza taccia di menzogna, le meglio intese, e più belle del Paese? Chi per il Rango più distinto sopra gli altri, e anche per la qualità delle proprietà che occupa, ha più interesse di coltivarle? Ma questa è la posta delle persone oneste quando vengono circuite, perseguitate e calunniate dai Malvagi, come sono tutti i miei nemici.
Dopo la privata si esamini la mia pubblica condotta.”




SUPPLICHE Alla Giustizia di Fivizzano

Fra i documenti trasferiti nel 1934 dal Comune di Fivizzano all'Archivio Storico di Massa vi sono le “Suppliche dall'anno 1666 al 1797” contenute nella busta n. 163 di detto archivio.
Le suppliche dirette al Palazzo di Giustizia erano poi delle denunce scritte, spesso di proprio pugno dal denunciante, su piccoli foglietti mobili. Scorriamo quelle che mi sono saltate all'occhio che riguardano il territorio di Agnino e di comunità vicine. Anche queste vicende ci aiutano a capire come scorreva la vita a quei tempi.

“Adi 31 genaio 1687,
Io Francesco già figlio di Santino Vecchi da Turlago ho riferito che mi sono state rubate tre cesta di carne di porco incirca, ho fatto delle immaginazioni ma per aria, e non so di certo in chi.”



“Adi 19 febbraio 1688,
presente Gio di Gio Angelo d'Antigo, quale disse, come una tal Dona Catta di Carrara, ch'è in sua casa ha partorito un figliol maschio, ch'è stato batezzato, e Arcangelo di Fondi di Carara dice, ch'è stata ingravidata da un Prete, che lo vuol fare allevare.”


“Io Carlo Lorenzini abitante a Magliano, casale di Fivizzano, in una casa a pigione, riferisco al Tribunale di Fivizzano come la notte del 21 Dicembre 1772, mi sono statte rubatte varie cose ivi descritte: sei quarette di robba, due libre di corame, sei libre di formaggio, un zappone, un vaspolo, una vanga, cinque libre di filo filetto, ne faccio tributo al Tribunale affinché scoprendosi il ladro poia rivalermi.”

“Adi 20 ottobre 1772
Io Domenica moglie del quandam Gio Veschi riferisco di essermi statto rubato tre galline il dì sud.to”

“Adi 20 febbraio 1772,
Io Gioà del fu Michelao Bambini di Antigo fu portato a questo tribunale di Fivizzano come mi è stato rubato della carne di maiale libre Vinti. Non sapeva il delinquente.”

“22 febbraio 1772,
Io Franco Falcioni di Camporaghena riferisco a V. S. Illustrissima come il dì sopra corrente mi fu rubato un ferro da lupi nell'alpi, e ciò per mio sgravio senza saperne il malfattore.”

“22 ottobre 1772,
Io Michele Battaglia di Magliano riferisco a questo tribunale che il sopra detto giorno mi fù amazzato un maiale picolo, senza sapere il malfattore, in fede...”

“22 settembre 1772,
Io Gio. Jacopo Briselli di Culagna riferisco al Tribunale dell'Illmo Governatore di Fivizano come verso il fine del mese di Agosto mi è stato sfondato il mio seccatoio dalle Castagne che tengo nella selva di Collegnago loco in Fogola con essermi portato via una quantità di legna di castagno e per non sapere esso Briselli scrivere di esse pregò me Jacopo Antonio Campi di Fivizzano à fare la presente come ho fatto di mano propria.”

“10 Agosto 1771,
Io Giuseppe Asti di Torsana, abitante in Agnino, riferisco alla Corte dell'Illmo Sig. Governatore di Fivizzano, come il giorno quattro del corente agosto trovò mancante in una cesta che tiene appresso la camera uno scatolino di acciaio con entrovi pezze tre dal Tompietto? e paolo e mezzo e non sapere fino ad ora chi possa essere stato il malfattore, ma venendo in cognizione darò gli indizi opportuni et in fede.....”

“10 agosto 1771,
Io Pietro Paolo d'Ottavio Nardini di Camporaghena riferisco al Tribunale del Sig. Cav. Di Fivizzano, come la notte del dì 6 corrente mi fù rubato in campagna una vaccina di pellame formentino e d'armatura aperta e d'anni 8 circa, gravida.”


“31 maggio 1771,
Io Michel Antonio Lazzini d' Agnino riferisco a questo Tribunale come il dì 25 del corrente mese di Maggio mi fù rubata la somara con una poledra lattonza, cioè la madre e la figlia di pellame nero con una lista bianca nel collo da una parte con figlia di pellame grigio et in fede....”


“24 maggio 1771,
Io Bartolomeo Bartolomei di Quarazzana faccio referto come il dì suddetto mi è stato tirato una sicurelata in una coscia alla mia cavalla nel Monte di Agnino, e quanto riferisco a V.S. Ri ferisco a questo Tribunale di V.S.”


“13 aprile 1771,
Angelo Jacopelli mezzadro dell'illustrissimo Auditore Agnini in Agnino riferisce di aver trovato tagliatto n. 19 vitti, nell' orto detto Al Tufo nel Canepaio senza sapere chi sia stato quello che ha fatto detto danno, pottendo posso dire di avere inteso dalla propria moglie, che Caterina Jacopelli ha inteso dire che Giuseppe Palmieri ha detto che lui sa quello che è statto che a tagliato queste vitti, havendo fatto visitare detto taglio dal Sig. Angelo Signanini e da Gio. Antonio Bertoli.”


“27 febbraio 1771,
Marco Rappi Venturelli di Fivizzano notifica come avendo fatto fare due vencigliare, nel luogo detto al Ballatoio pertinenza di Antigo, da sopra ottocento mani, e questi avendoli mandati a cenare da Antonio Signanini garzone del Bertoli di Posara e non vi ritrovo colà alcun benessere stati rubati senza sapere chi.”

Segue un quaderno in cui sono “ gravati per ordine del Magistrato” vari nominativi, alla voce Agnino,figurano: Ambrogio e fratelli Barbieri, Madalena di Gio. Batta di Jacopo, Gio. Domenico di Antonio Corsini, Gio. e fratelli di Michele di Pellegrino, Lazaro e fratelli di Piero, Gio di Nicola di Lorenzo d'Antigo, Beni del Comune di Agnino.
Non ho indicato la somma non avendo riferimento al motivo dell'imposizione.
L'imposizione a carico del Comune di Agnino la troviamo anche alla voce Moncigoli, forse perchè la Comunità agninese possedeva qualche bene in quella moncigolese.

Sono poi passato alla busta n. 676 contenente “ Atti criminali dal 1683 al 1731”.
Qui i fogli non sono più mobili ma si tratta di registri vari tipo quaderni di protocollo.
Una delle prime annotazioni riguardanti il nostro territorio è sotto la data del 17 luglio 1688 quando descrive in più pagine anche con interroggatori “ l'archibusata data a Carlo di Briga di Collecchia. In luogo detto Palleroso è stato colpito con una palla parte nel collo, parte nella golla e capo con perdita di un orecchio....”



“15 dicembre 1684,
Da Arcangelo Antonio Zubbani fù precentato
Matteo Bianchi di Agnino
Gio: suo figliolo
Antonio di Bartolomeo Cappelli da Canneto
Domenico di Gregorio e Gio Batta di Gio Palmieri ambedue di Agnino
per averli trovati à giocare con Carte facce di picche, fiori, quori, e mattoni in casa di detto Matteo Bianchi.”

Per comprendere il reato sopra-denunciato, prego il mio lettore di leggersi al capitolo STATUTO di Agnino l'articolo n. 2 del LIBRO secondo

“7 luglio 1692,
Michele Chelotti del Bargello fa precetto contro: Michele di Orazio d'Agnino per averlo trovato armato d'archibugio da caccia con polvere e munizione senza facoltà e condotto in carcere le prese per haver fatto resistenza, e tolto l'archibuso in famigli, come in Atti”


“7 luglio 1692,
Da Pier Angelo di Gasparri Console e rappresentativo della Comunità d'Agnino fa precetto per seguita rissa fra: Gio Batta Corsini dall'Escaro e suo figlio da una parte, e di Antonio di Gio Domenico Bonfigli con suo figlio di detto luogo dall'altra parte, asserendo havere detti Villani messo mano all'Armibianche, come in Atti”


“Adi 5 gennaio 1703,
Dal Dott. Ginese Agnini (vedasi capitolo dedicato alla di lui famiglia) fu fin sotto il dì 19 ottobre 1703 presentato riferto esserli state rubate trenta benne di legna nel Casale d'Agnino, luogo Ai Cerri di Moncigoli, del tenore che in atti venendone imputati: Romeo di Gio Maria da Canetto, Romeo di Andrea da Virolo, e Santino d'Antonio da Canetto habitante in Fivizzano, come in Atti.”


“Adi 22 luglio 1706,
Gio di Marco Lazzini dalla Villa d'Agnino querelò Gio. di Santino della Bita da Magliano per averli di notte tempo rubate delle canale, come in atti.”


“Adi primo febbraio 1710,
Gio. di Bernabeo Barbieri dalla Villa d'Agnino querelò Michele Veschi e Giò suo figlio da Piazza d'Agnino per averlo percosso con pugni, e causate contusioni, e sgrafiato il viso, e come segue in Atti.”


“Adi 14 aprile 1717,
Pietro del quondam Benedetto Benedetti da Fiacciano si dolse contro Gio. del Giulio Remedi detto della Vedova del Castello d'Agnino per averli rubbati due Recchi, come segue in Atti.”

Segue il giornale dei Criminali descritti al tempo del Governatore Vieri dal 1702 al 1720:

“Adi 22 agosto 1710,
Santi di ....- Parola illeggibile- Palmieri dalla Villa d'Agnino querelò contro Mario? Di Gio. Castagnola da Canetto habitante al castello d'Agnino per furto di fieno, come segue in Atti.”

“Adi 17 febbraio 1724,
Comparisce personalmente Stefano di Giorgio Lorenzini d'Agnino, e querelò di furto contro Antonio di Giuseppe dal Castello d'Agnino, e come segue in atti.”

“ Adi 24 maggio 1725,
Comparisce personalmente avanti sovrintendente, il sig. Gio. Domenico Agnini di Gasparo, e diedde doglianze esserli stati rubati in un suo orto molti artichiochi non sapendo, sin d'ora precisamente il malfatore , e come segue in atti.”



“ 6 genaio 1708,
Comparisce personalmente avanti spontaneamente Dona Elisabetta vedova del Sig. Giò di Domenico da Virolo e querelò contro
Gio. suo fratello detto Codaro da Canetto, e
Domenico di Lorenzo dà Virolo
per haverla offesa e percossa con bastone”


“Adi 10 ottobre 1726,
Dal L.J. dal Bargello fù presentata comparsa contro Antonio Maria del quondam Domenico Gia da Collegnago per averli trovato addosso un puntarolo , e come segue in atti.”



“ 8 ottobre 1726,
Comparisce personalmente avanti spontaneamente Donna Giovanna moglie di Domenico di Lorenzo da Virolo, e querelò contro Donna Augustina moglie di Antonio Bambini d'Antigo per averla percossa, come segue in atti.”


“17 maggio 1694,
Da Michele Chelotti L.J. del Bargello della Lunigiana fa precetto comparissino contro:
Gio di Lorenzo Rossi di Moncigoli e Maria di Lorenzo detta Ginetta d'Antigo, per haverli di notte tempo trovati ad amoreggiare assieme in casa d'essa Maria ....per aver ciò permesso e tollerato contro il Bando Pubblico.”


“24 agosto 1695,
Dalli Consoli della Comunità d'Agnino fu presentato referto contro per esser stato tirata una Archibusata ad una lepre da Gio. di Gio dall'Escaro vicino alla strada nello campo paterno di Domenico da Magliano.....”


“31 agosto 1699,
Comparisce personalmente Dona Maria del Sig. Antonio di Gio Molinari da Fiacciano e querela contro Lorenzo Alderici da Posara per haverla stuprata e resa gravida, e come in atti.”



“Adi 3 genaio 1699,
Da Francesco di Benedetto dal castello d'Agnino fino dal dì 20 giugno 1698 fù presentato referto contro Carlino di Simone habitante à Canetto per averli rubati alcuni ferramenti, e come in Atti.”

“Adi 4 aprile 1699,
Da una Dona di Gio. Domenico de Orazio d'Agnino habitante a Groppoli, fa comparsa d'esserli stato amazzato un temporale, senza incolpare, né nominare chi sia stato per non haverne notizie, e come in atti.”


“Adi 2 settembre 1699,
Comparisce personalmente Gio Antonio Novelli messo pubblico della Comunità d'Agnino , e querelò contro
Antonio di Gio Domenico di Berto della Bitta dall'Escaro per haverli fatto resistenza nell'eseguire il suo mandato, come in atti.”



“ Adi 15 ottobre 1699,
Da Giovanni di Domenico da Magliano fù fattp riferto, esserli stati rubato quattro bracie di tela nel telaro, e nel suo conto del dì 23 suddetto viene imputata la Maria di Lazarino detta La Mora da Magliano, come in atti.”

“Adi 24 maggio 1702,
Da Filippo Diligenti L.J. Del Bargello fù presentata comparsa contro:
Francesco Ferri da Taponecco
Bartolomeo Lipi di detto Stato di Modena per havere scaricato delle some di sale genovese nella Chiesa di Linari, e quello pozia ivi venduto a Franco Grossi da Vaiese, Stato di Parma e come in atti”

In riferimento a questa denuncia, leggere il Capitolo Statuti di Agnino l'articolo n. 15 del Libro Secondo.

%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%


IL MAGGIO


Il maggio è (o meglio era) uno spettacolo popolare in versi e musica fatto all’aperto in un prato o in un’ aia o in uno spiazzo fra i castagni e trae origine dagli antichi riti agresti celebrati in primavera allo scopo di propiziare la fertilità del suolo. Il pubblico assiste disposto a semicerchio e diventa quasi “interprete” del maggio. Senza il pubblico non esisterebbe il maggio.
I maggianti sono compagnie di attori contadini, operai, artigiani vestiti con costumi sgargianti spesso costruiti da soli così come si costruiscono gli elmi piumati , le corone e i pettorali di latta.
I costumi sono sempre gli stessi qualsiasi sia la vicenda narrata.
( Dal prof. Loris Jacopo Bononi – discendente dei Bononi di Virolo-Canneto):

“ Gente di Dio, gente di popolo, gente di cuore:i maggianti, temperamenti cordiali, burrascosi, forti, usi al discorso vociferato, spesso inclini al bicchiere e allo sproloquio………..…Ai tempi nostri la gente ride, spettatori impudenti a tanto mistero, che ci riporta indietro, dove abbiamo perduto nozione di eredità: cromosomi mischiati, geni dispersi”)

La struttura del maggio è a stanze (strofe) divise in quartine o quintine (perfino in numero di 200-300) generalmente a rime baciate:
La musica è limitata ad un violino e/o una fisarmonica: la melodia è fissa per tutta la durata e si trasforma nell’“arietta” in una espressione più lirica o più solenne.
Il maggio è un mondo cavalleresco idealizzato da gente contadina con cultura modesta ma dotata di grande fantasia. In un verseggiare spesso sinteticamente scorretto ma con grande sentimento poetico cantano l’ amore, la bontà e la bellezza.
In ogni compagnia c’ è l’ animatore, il suggeritore (comunemente vestito e sempre in mezzo) gli interpreti e immancabilmente il violinista.
I testi del Maggio trascritti a mano in quaderni e tramandati di padre in figlio narrano di storie di lotte fra turchi e Cristiani, di vicende amorose contrastate a volte a lieto fine e a volte anche tragiche.
Il Maggio aveva la sua forza creativa in GARFAGNANA fino ad arrivare con forza nella provincia di MASSA specialmente nel paese di Pieve San Lorenzo e poi sulle APUANE con il paese di Antona, e anche alle propaggini di Zeri nel paese di Montereggio.
Ma anche ad AGNINO , prima della 2° Guerra Mondiale era sorta una compagnia di MAGGIANTI che si spostava di paese in paese a rappresentare: La Gerusalemme liberata, La guerra di Troia, Pia dei Tolomei ecc.
Ne facevano parte, fra quelli che mi hanno detto: Nardini Giuseppe, Nardini Eleonora, Santini Adalgisa, Pigoni Lino, Corsini Pietro e mio padre Alberto.
Mi raccontava mio padre che il pubblico partecipava con sentimento ed aveva visto anche gente piangere dalla commozione. Il pubblico però non pagava mai il biglietto, ma metteva un’ obolo
solo alla fine dello spettacolo nell’elmo del questuante. Con quel ricavato si pagavano le spese e con il rimanente si organizzava una cena per la compagnia.
La guerra spazzò via con i suoi problemi ogni cosa. E’ rimasto il Maggio in qualche paese della GARFAGNANA, ma mai più fu rappresentato dalla compagnia di AGNINO.
Di un vecchio quaderno scritto a lapis con rime della “Gerusalemme Liberata” ne ho ancora viva la visione fra le scartoffie della mia infanzia, poi anch’esso è sparito come tutte le cose ritenute inutili che cominciamo a valorizzare quando poi non ci sono più.



ARTI e MESTIERI DI UN TEMPO

Lo sviluppo dell’industria, il progresso tecnico, l’ urbanesimo o semplicemente la convenienza economica hanno portato alla scomparsa di certi arti e mestieri che nelle campagne si tramandavano di padre in figlio. Così oggi non si vedono più i pinnacoli di fumo levarsi fra i boschi e che annunciavano il duro lavoro dei carbonai, o non si ha più idea con che cosa si saldassero assieme i sassi delle nostre antiche case. Ecco in una breve panoramica alcuni mestieri dei tempi antichi.

Carbonaie
Queste si fanno scavando una buca nel terreno dove tutto il legname minuto si pone in fondo dritto a forma di piramide. Poi si copre il mucchio di legna con terra a zolle e si lascia un camino centrale da dove esce il fumo. Acceso il fuoco questo, mancando l’ aria, annerisce il legno e lo trasforma in carbone. Fino al dopoguerra era una fonte di reddito non indifferente.
L’ultima carbonaia è stata fatta, per puro scopo dimostrativo, dal concittadino Giuseppe Nardini nell’anno 1980 e l’ esecuzione è stata filmata completamente dal suo cognato PIGONI di La Spezia. Il Nardini, artista nel suo genere e affezionato alle tradizioni, ne ricavò ben 82 sacchi di carbone!
Per fare il carbone erano necessarie ingenti quantità di legna che però ad Agnino non mancano nemmeno oggi visti le centinaia di ettari di bosco ceduo di cerro che circondano il paese. Ricordiamo ancora che, ante 2a guerra mondiale, per trasportare dalla località “ Piano” alla “Serra” i tronchi di quercia, che dovevano servire come traversine per le ferrovie, fu costruita addirittura una funivia.


Calcine
Queste si ricavano dalla pietra calcaria o sasso colombino, cotto in apposite fornaci. Il vecchio procedimento consisteva in questo: si costruiva un muro circolare alto circa tre metri con pietre resistenti alla cottura ed in fondo a questa specie di anfiteatro veniva lasciata un’apertura dalla quale si introduceva uno strato di legna fine per facilitare l’ accensione della legna grossa che si gettava successivamente. Quindi seguiva uno strato di pietra calcarea, ancora legna grossa e ancora pietre, fino ad ottenere 4 o 5 strati di queste. Alla fine si accendeva il fuoco dalla finestrella in basso e si lasciava bruciare tutta la legna. Finita di bruciare, quello che rimaneva dei sassi sgretolati era la cosiddetta calcina che sarebbe servita a costruire castelli e case.
Ancora oggi siamo sbalorditi dalla solidità di certi muri secolari; solidità che deriva dalla trasformazione che fa questa calcina al contatto dell’ aria: più il tempo passa e più indurisce.
Resti di una antica calcinaia sono stati trovati nel mio bosco della “ Para” sopra Cadigolo ai confini del terreno di De Cesari.

Sapone
Le massaie di Agnino facevano il sapone da sole. Prendevano del grasso di maiale o olio di oliva vecchio e lo facevano bollire assieme ad una certa quantità di soda per circa 3 ore, fino ad ottenere un impasto che, una volta raffreddato, tagliavano a pezzi ed usavano. Certo che quel prodotto non aveva il profumo delle moderne saponette!

Mulini
Ha lavorato fino ai primi anni “70, al bivio per Quarazzana , un mulino ad energia elettrica le cui macine in pietra, alla dismissione, sono andare a fare bella mostra nel giardino della villa di “Ca di Golo”. Del vecchio mulino ad acqua sito in località “ Montalo” or non rimangono più che le rovine.

Fornaci
Ruderi di un antico forno che serviva per la cottura di tegole e mattoni si trova dopo la frazione di Piazza in località Narbia.

Bucato o Bugada
Allora si andava a lavare i panni al canalo a “Pedecastello” oppure nelle tre vasche (avanzi delle 3 fontane)
Poi una volta ogni 15 giorni si faceva la bugada che richiedeva anche una intera giornata di lavoro. Si mettevano i panni in una conca (vaso di terra grande e concavo con un foro per l’ uscita dell’ acqua sporca)
Sopra si metteva un vecchio telo e sopra a questo molta cenere di olivo se possibile, ma non di castagno che macchiava le lenzuola. Intanto al camino era scaldato un grosso “parolo” (paiolo) d’acqua e quando era calda si gettava sopra la cenere, l’acqua sempre più riscaldata filtrava, scioglieva la lisciva, nettava i panni sporchi e usciva dal foro della conca (ran o ranno). L’ acqua raccolta in un catino, per tutta la giornata passava dal paiolo alla conca e viceversa. Quando l’ acqua era viscida e scura si tappava la conca e si lasciava in ammollo per tutta la notte. Il giorno dopo le donne si caricavano sulla testa in ampie ceste le lenzuola per andarle a sciacquarle ai lavatoi.
Indimenticabile era il profumo che emanavano le lenzuola pulite in tal modo.
Il sistema della bugada fu abbandonato non appena apparve la famosa “ Lisciva” che era una soluzione chimica di lisciva di soda ma specialmente quando apparvero i detersivi in polvere.
E fu poi l’era della lavatrice!

Scartozzada
Una volta raccolto il granoturco bisognava togliere il cartozzo per far apparire le rape che poi venivano sgranate a mano aiutandosi con un vecchio uncino in ferro. E’ appunto in queste due fasi che i vicini si riunivano e si “davano mano” l’ un l’ altro: erano serate passate in allegria a raccontare favole, storielle con i bambini che si divertivano da matti a fare i salti negli “ scartozzi” cioè nelle foglie che avvolgono la rapa. Con questi poi, i più scelti, venivano fatte le “materazze” (materassi) al posto dove oggi mettiamo la gomma-piuma, la lana, il lattice.

Baco da seta
Prima della 2 Guerra Mondiale, mi si raccontava, che era molto sviluppata la coltivazione dei bachi da seta i cui bossoli affluivano poi allo stabilimento di Soliera Apuana. Per cui ancora durante la mia infanzia vi erano ancora molti gelsi dai quali noi ragazzi raccoglievamo i saporiti frutti.
A riguardo di questa coltura riporto uno scritto di Daniele Canali tratto dal suo libro “Borghesie Apuane dell'800”:
“La presenza della coltura del gelso in Lunigiana risale, quantomeno ai primi del Settecento. Negli anni '30 del dicianovesimo secolo conosce l'ultima grossa espansione per poi andare lentamente scemando a partire dagli anni '70. La maggior parte della manodopera impiegata nel settore veniva assorbita dalla trattura dei bozzoli, mentre l'attività di filatura era assai limitata. La buona redditività di detta industria aveva incentivato la coltura del gelso in tutte le campagne circonvicine, con vivai di particolare interesse a Bigliolo, Collegnago e Soliera e a Terrarossa ed Annunziata già nel circondario pontremolese.
Nel fivizzanese gli operai impiegati nelle due fabbriche di trattura della seta erano 197; 128 operai, di cui 6 maschi, 110 femmine adulte e 12 ragazze sotto i 15 anni trovavano occupazione nella Filanda Cojari (della famiglia Cojari, di provenienza maremmana) di Soliera, dotata di ben 110 bacinelle e un motore a vapore di 5 hp.
L'altro opificio era quello di Giuseppe Ginesi dotato di 54 bacinelle a vapore attivate da una caldaia e da un motore di 2 hp. Questo opificio lavorava per circa 100 giorni l'anno, impiegando 69 lavoranti di cui tre maschi adulti e 59 femmine adulte e 7 fanciulle sotto i 15 anni.
Le campagne circostanti erano costellate di numerosi graticci e i bozzoli venivano venduti o agli opifici suddetti, compresa qualche piccola trattura a bacinella a fuoco, o venivano venduti ad incettatori che percorrevano le campagne e li portavano altrove.”





Fabbrica di vasi e sopramobili
Alla fine degli anni 60 il pittore Anselmo Gabrielli nativo di Licciana Nardi con esperienze manufatturiere maturate a Montelupo si sposa e viene ad abitare ad AGNINO.
Assieme all’ing . Mazzoni ed al prete Don Tedeschi fondano una società per la fabbricazione di artistici vasi in ceramica. Nei fondi della propria casa di abitazione sita nei pressi del bivio per Quarazzana costruiscono un forno, acquistano impastatrici e torni. Dal laboratorio escono vasi, caraffe, piatti, soprammobili tutti immancabilmente smaltati che vengono esposti un giorno in una grande esposizione che suscita ammirazione e stupore. Ma forse per i tempi non ancora maturi per le cose di bellezza, forse per essere troppo fuori delle vie del commercio la produzione supera la domanda, i costi superano i ricavi e la ditta …. fallisce.
Per quanti anni ho visto sacchi di costose polveri per i colori e gessi per gli stampi andare in rovina!
Di quella produzione, mi è rimasto in casa solo un vaso per fiori smaltato di nero.

Foto vaso Corsini:







Tradizioni

Uno dei riti più tramandati e conosciuti di Lunigiana è quello del “Ciocco di Natale” . Rito pagano sicuramente cristianizzato. Di questa tradizione ne ha parlato anche l’ illustre letterato fivizzanese (uno dei primi commentatori della “ Divina Commedia”) Giovanni Manzini da Motta con una lettera scritta al Marchese Spinetta Malaspina di Fosdinovo il 25 dicembre 1388. Quello che io riporto sotto è invece tratto dal libro “ Viaggi Geografici” di Prospero Fantuzzi scrittore di Reggio Emilia ,che nel fare un viaggio da REGGIO alla SPEZIA nell’anno 1829, racconta l’ incontro con Sassalbo “orrido e affumicato” e poi Fivizzano “ tutta nuova , tutta grata, tutta ricca”, Aulla “terra antichissima, ma con abitanti poveri di possessione di terreno”, Pontremoli “ qui tutto ha del grandioso” .
Ebbene il nostro scrive: “Il Zocco è un grosso ceppo di albero, per lo più di olivo, che, con molte formalità e con gran festa, i contadini pongono sul fuoco la sera della vigilia per trarne gli auguri delle raccolte. Ogni casa ha il suo, ma la gioia è comune e consiste nell’ andare in giro per la villa visitando, a vicenda, i focolari altrui e salutandosi con lieti evviva, finchè giunta l’ora della cena per la quale ogni famiglia ha un apparecchio di nove vivande, detto delle nove pietanze. Raccolti nelle proprie abitazioni tutti attendono a mangiare, a bevere e a darsi buon tempo.Se non che, a quando a quando, van gittando sul fuoco or le verdi foglie d’ olivo or il frutto immaturo di esso per ottenere i desiderati presagi.
Dalla foglia che gira e rigira sulla brace, saltella e crepita, argomentano l’ amor dei congiunti e dalla pallida e lunga fiammella dell’ accesa oliva, deducono l’abbondanza de’ vagheggiati raccolti.”
Anche nel mio paese nativo, al tempo della mia infanzia, succedeva qualcosa di simile e ricordo che si riceveva e si andava di casa in casa a far festa, ma bevendo il classico rosso Punch al mandarino, Rum caldo e “ vin brullè”, il tutto immersi in una grande allegria.





Socialità Contadina

La vita in Agnino, paese di contadini, era una vita di società.
Le case nascevano strette una all’altra, c’ era il bisogno di difendersi e nel frattempo di aiutarsi nei lavori comuni; le aie erano luoghi aperti limitrofi a più edifici ove erano svolte alcune attività in comune.
La vita del contadino era caratterizzata da stretti rapporti sociali, ci si conosceva tutti, ci si sposava nel paese e quindi le relazioni erano sempre più strette.
Nel paese si cresceva, si faceva amicizia, nel paese ci si sposava, si diventava vecchi condividendo momenti belli e brutti: era in pratica una famiglia allargata.
Era molto difficile che un abitante di una frazione andasse a fare una passeggiata in un’altra. Ognuno marcava il proprio territorio e su quello si svolgevano le relazioni sociali.
Relazioni sociali stabilizzate da regole non scritte ma inderogabili, l’inizio di alcuni lavori agricoli come la mietitura, la vendemmia, la raccolta delle castagne o delle olive, ma anche la semina obbediva a regole precise; chi vi si discostava era denigrato o messo all’indice.
In paese, come in ogni famiglia, ci si aiutava nelle difficoltà. Quando una famiglia era colpita da una malattia del capofamiglia, che metteva a rischio l’esecuzione di alcune opere importanti, i paesani stessi si accordavano e offrivano, senza alcun compenso, il loro lavoro.
Tutti non dovevano avere tutto perché c’era sempre la possibilità di farselo imprestare: così avveniva per la stadera, per il termometro, per lo strettoio delle vinacce e di molti altri oggetti.
I paesani magari sparlavano fra di loro, ma sempre si facevano visite di cortesia, si andava e veglia.
Fra tutti c’ era un gran rispetto reciproco, ci si salutava sempre. Salve! Ehii! Come Va? O l’esclamazione del nome proprio della persona che s’incontrava : era il minimo che ci si poteva dire incrociandosi: era il segno del riconoscimento, della valorizzazione dell’altro.
L’evento sfortunato, la malattia , il lutto di una famiglia diventava comune a tutto il paese. C’era una vera partecipazione al dolore , derivante dal forte senso religioso oppure dal fatto che il paese rappresentava – dopo la famiglia – il secondo anello affettivo più importante.
Quindi se, per un infortunio, moriva una bestia , era consuetudine macellarla e distribuirla a pagamento alle altre famiglie del paese e state certi che nessuno si tirava indietro.
Altro esempio di solidarietà: quando i cacciatori uccidevano una volpe (considerata allora molto nociva per i pollami, essi stessi passano davanti ad ogni porta, con l’animale morto e penzoloni su di una pertica e raccoglievano dalle famiglie le uova che esse offrivano a ringraziamento dello scampato pericolo.
Ritenevo essere una forma di solidarietà il fatto che ai primi rintocchi delle campane suonanti “a martello”, subito gli uomini si mettevano in agitazione, si radunavano ed erano immediatamente pronti a partire a sostegno e soccorso dell'evento sfortunato, che poteva essere o una capanna , un gradile o un bosco che andavano a fuoco o una persona che era caduta in un burrone. Oggi, dopo la lettura dello statuto del 1492 del Comune et Homini di Agnino sono del parere che alcuni comportamenti di oggi altro non sono che il rifletto di leggi o imperativi del passato che hanno abituato la gente a comportarsi in una certa maniera. Leggasi a tale giustificazione del mio pensiero la norma di detto Statuto ove si parla appunto del suono a martello.
Altra forma di solidarietà contadina si può considerare il permesso concesso ai meno abbienti di ripassare a raccogliere le spighe di grano, le olive o le castagne dimenticate, dopo che il proprietario del terreno, agricoltore o mezzadro, aveva finito la sua opera.
Le veglie di cortesia, come quelle funebri, i riti religiosi compreso il rosario erano altri momenti importanti di solidarietà, ma anche le confraternite religiose, come le società di mutuo soccorso, erano un altro modo istituzionalizzato di vita comunitaria. Ma nulla faceva sentire più solidale che riconoscersi del paese. Per cui se uno “straniero” cioè “non paesano” veniva a lite con uno del proprio paese, era consuetudine che la lite continuasse coinvolgendo altre persone,a volte decine, che intervenivano solo per solidarietà.
Questo è quello che ci ha lasciato il paese, ogni paese d’Italia: il senso stretto della solidarietà che spesso è stato presto dimenticato nella fretta di arrivare, nella corsa ai soli beni materiali, nella diversità degli impegni di lavoro, nella superbia delle effimere “scale sociali” o nell’alterigia delle conoscenze; cerco…. cerchiamo tutti quanti di ritrovarla.








Razza – carattere – lingua
“E’ probabile si tratti del ceppo ligure apuano, romanizzato durante l’impero e arricchito di sangue nuovo dai Longobardi, Goti e Bizantini” (Geminiani Beniamino- Massa Carrara una provincia difficile).
Gli abitanti di Agnino come i Lunigianesi in genere hanno un carattere chiuso e diffidente verso gli stranieri, ma baldoriosi nel divertimento, sensibili e uniti nel dolore come parsimoniosi, gagliardi e tenaci nel lavoro. Parlano un dialetto che, dicono gli studiosi, appartiene al gruppo tosco-emiliano, con prevalenza ora di elementi toscani ora emiliani. Un dialetto che è parlato nel territorio che va dal Rosaro al Taverone, fino ad Aulla e all’Appennino, toccando Villafranca e Bagnone. Dobbiamo però notare che questo dialetto ha delle differenze di pronuncia, seppur lievi, solamente spostandoci di qualche chilometro, cambiando solo paese. Per esempio; in un posto la “e” si pronuncia aperta e nell’altro chiusa, si pronuncia la “Z” al posto della “C”, si termina la parola anziché lasciarla tronca, con una vocale neutra che in alcuni luoghi si avvicina alla “O” in altri alla “U”. Ecco alcune parole del dialetto che vanno scomparendo soffocate dalla lingua italiana che è diventata purtroppo anche un simbolo di elevatura sociale.
Alabrì = preso da avida fame
Ancò = oggi
Catana = giacca
Cioton = lento a muoversi
Corgiola = striscia di cuoio per allacciare le scarpe
Dabon = per davvero?
Frecia = fretta
An pizzèla = sulla punta dei piedi
Polezza = spicchio
Bogia = tasca dei pantaloni
Sgrognon = pugno dato sul viso
Saracca = colpo dato con le mani di taglio e sul collo
Spiantado = senza soldi e proprietà
Starlothiar = guardare di nascosto
Scibiolo = zufolo
Thioca = testa in senso dispregiativo
A pazè = poco fa
Rumenta = sporcizia
Poi ci sono dei francesismi come :
Visavì = guardaroba ( da: Vis a Vis)
Tirabuson = cavatappi ( da: tire bousson)
Oppure parole che arrivavano dall’ emigrazione verso l’ America, tipo:
Sanababeccio = appellativo rivolto a ragazzi irriverenti (da: son of beach !)

Ed ecco ancora una serie di detti popolari in dialetto che ci aiutano anche a capire la mentalità della nostra gente.
Tanto l’ è sonarg ‘n corno com ‘n violin.(non la vuole intendere e fa di testa sua)
Sembr chi tir ‘l fiado con i denti. ( di persona che sta male)
I va chi sembr pagado.
I camin chi sembr ‘n reatin.
Chi d’ venti in ghe nà d’ trenta i n’ spet.
Ins’ arcord dal muso alla boca.
Dov i la port ? A magnar l’ erba n’ti pogi?
I magn con ‘n sfondado.
I fa pù dani che la salagra.
I se l’è cercà con l’ anternin
I è pù vechjo d’l cucù.
L’è come levar na zuca dalla boca d’l porcelo.
I mè cascà giù dai iocchji.
Dì sempr ch l’è cotta.
An san pù ai tempi d carlo cod’ga.
I parl perché i gà la lingua ‘n boca.
I camin con la testa ‘ntl sacco.
A colì l’ ang fa pu malo i denti ( di persona morta)
I la scelta ‘ntl mazzo.
S’ t g-né t’ magn e se nò t mus. (se ne hai mangi ,se non ne hai stai a guardare e fai il muso lungo)
La pecora ch’ la bel l’à perd ‘l bocon.
‘’ Un po’ prun ‘ n bracia alla mà.
I piangie come ‘nà vigna taiada.
I a pià vacca e vitelo.
Pin ‘n po’ ‘n pan (prendi per favore un pane)



Solo per esempio di come si può scrivere in dialetto, riporto un mio componimento, già pubblicato sul giornale locale “Quilunigiana” in data 21/12/1975 e subito dopo una poesia dialettale ancora più vecchia del
poeta-scrittore Marco Vinciguerra di Licciana Nardi.

“ N’ AMIGO “

L’ en passà quark ani
da quand i’è morto,
ma me an’l scordrò pù.

I gav quindsc ani
e hier san, alegro e forto
e nveci n’ quatr e quatrotto is n’è andà.

A m’arcordrò sempr
e la m sembr ieri k’andevn nsema
a cercar d’la coada,
ka gioghevn alla giromela
e ank quand andevn a robar la fava n’ti Pianon.
Poi ank sa n’la magnevn
L’er lo stesso: bastev la sodisfazion
D’ robarla soto l’ naso d’l padron.

Nsoma, una alla fevn e n’altra a la pensevn.

N’ giorno i discn chi stà malo……
Quark giorni dopo i thiamn Orè chi vagh a sonar a morto.

Discemlo voaltri s’la ghè giustizia n’t sto mondo;
i bon i sen van e i cativi i armann.
R.B.



ANDRE’ A ‘N MORT

Cinq preti, un fra’, ‘l discors (quanta buscìa !)
Po’ banda, fiori……, e ‘l diaval portazal via.
Oh mei d’asè i povreti che i s’a n’van
Là a l’utmu let, senza tanti scampan’,
Squas d’ apiatà mentr’ ant ‘na gran pasion
S’ astrug’ al cor d’chi arman, e i piag dal bon.

M. V.


Dietro a un morto

Cinque preti, un frate, il discorso (quante bugie !),
poi banda, fiori… e il diavolo se lo porta via. Oh assai meglio
i poveretti che se ne vanno là , all’ ultimo letto, senza tanti scampanii,
quasi di nascosto, mentre in una grande passione si strugge il cuore di
chi rimane e piange per davvero.


IL DIALETTO FIVIZZANESE DEL 1881
La novella sotto riportata è stata raccolta da quel grande letterato che fu Adolfo Bartoli nato a Fivizzano il 19/11/1833 e deceduto a Genova il 16/05/1894, ma la sua tomba è ancora oggi visibile nel cimitero storico di Fivizzano, ove ogni tanto qualcuno l’adorna di un fiore. . Studiò dagli Scolopi a Firenze. Divenne segretario Dell’Archivio Storico Italiano su proposta del Vieusseux. Fu professore di storia nel liceo di Livorno e poi professore di Letteratura italiana in Firenze, ove pubblicò una poderosa “ Storia della Letteratura Italiana” in sette volumi dove mostrò singolari qualità di critico specialmente su Petrarca e su Dante. Fu fra i più grandi dantisti della sua epoca.
“Se ancor oggi in ogni Divina Commedia ad uso scolastico gli studenti possono aiutare la memoria consultando i disegnini riportanti i vari gironi, le pene inflitte, ecc. , lo devono al Bartoli, che ebbe per primo l’ idea delle <tavole dantesche>” (Amedeo Benedetti in un articolo del 1989). Al Bartoli sono intitolate le scuole elementari di Fivizzano. Le due iscrizioni a “ Re Vittorio Emanuele II” ed “ A Giuseppe Garibaldi” murate sulla facciata del palazzo comunale di Fivizzano sono state dettate dal nostro.



Riporto integralmente quanto scritto dall’Adolfo Bartoli in un piccolo scritto fatto stampare dal medesimo e da Giulio Sansoni il XXIII febbraio 1881 per il giorno delle nozze di Guido Biagi e Amelia Piroli con l’ augurio di piena e lunga felicità. Edizione n. 100 copie numerate della tipografia G. Carnesecche in Firenze.
La copia n. 62 è stata ritrovata dallo scrivente nella biblioteca Marucelliana in Firenze. (in archivio miscellanea Del Lungo n. 75.10).
“ Ho raccolto questa novellina e questa poesia a GRAGNOLA, che è un villaggio dell’ Alta Lunigiana, quasi alle falde delle Alpi Apuane. Mi fu raccontata la prima, insieme con molte altre, da un vecchio contadino, Costante Ercolini; la seconda mi fu detta da una bambina di sette anni, Zelinda Ballerini.
Non credo che il dialetto gragnolese sia stato mai scritto. Da ciò può forse derivare qualche interesse a questa pubblicazioncina. A.B.”


Gh’ er ‘na volta un ladro a Napoli, ch’i se chiamav Ruberto. Questo ladro i ‘ndò a robar al tesoro del re; dopo i ‘ndò ‘n duna boscaglia con una banda d’ asassin. ‘L capo di asassin carigò ‘na mula de soldi per portarli a ca. Ruberto i diss: me a voi ‘ndarli a pigliar e arportarli chi. Quand i fu su ‘n tla strada i ao ‘no stilo belo, e i miss ‘n terra l frodo. Dopo mezo miglio i miss ‘n tera lo stilo. L’ asassin cola mula i pighiest sto stilo. Quand i est arcaminà un pezo, i ardenst ‘ndredo a pighiar ‘l frodo. Alora Ruberto i pighiest la mula con i soldi, e i la mnest pr i violi a la caverna. Quand ‘i fust zu pr un violo i trovast un rospo, e i scansò la mula che la ne schizas. Alora i ‘nd zu a la caverna, e i diss: vdeo s’a son sta bravo d’ arportar chi la mula con i quattrin! Capitest ‘l capo asassin, e i diss: va la che te se’ pu brao che me, e te sarè capo. Donc Ruberto i diss: doman a carighrò ‘na mula me, e a portrò i quattrin cà. I partist con la mula cariga de soldi, e i ‘ndest a ca’ soa a Napoli, i scaricò i soldi e po’ i arvens ‘ndredo. Quand i fust a Napoli, i er un birichin, i spendeo tuti i soldi, e i diss: bsogn ch’a vag al tesoro del re a arpighiarm un po’. I zercò un compagno. ‘L re ch’i ao sospeto, i ao missa davanti al tesoro ‘na bota de pesa tenra. Alora Ruberto i gh’ mandest ‘l so compagno, e lu i’ entrest ‘n tla bota de pesa. Ruberto ch’i ne podev pu levarlo fora, i pighiest un cortelo e i ghe taghiest la testa, e i la por-
test via. ‘ L re i ‘ndò al tesoro e i trovest sto corpo senza la testa. ‘L re i diss: pighierè st’omo, ‘l ligherè a la coa d’un bestio, e i sarà strascinado per la zittà. Cuscì carcun de la so famiglia i pinzeran, e a cognosseren chi i è ‘ladro. I baccon dnanzi a l’ uscio d’la so mogghia, e i domandest a sta dona: cos’ pinzeo? E Ruberto i arespondest: la pianz perché g’avè pighia’ ‘l so bestio. E ‘l re i ne podest scuvrir gnent.Ma i compagni de Ruberto chi eren ‘n preson, i dissn al re: col li ne po’ essr che ‘l nostro capo Ruberto, bsogn pr scurirlo che lu i fazz far ‘na festa de balo, e Ruberto chi è ambizioso de ‘ndar a balar i ghe ‘ndrà; dopo ch’i sarà a balar i g’ha da mandar la so figliola ch’ la ghe fazz un segno ‘n tla schiena con un pnelo bianco. Ma Ruberto i s’ n’acors ch’i er signado, e i segnest come lu prima la figliola del re, e po’ quanti ghe n’er a balar, omi e done, anch’i sonatori. I ‘ndest fora: i sbiri il ligorn; ma ven fora un altro, i ao l’istesso segno; ven la figghiola del re, l’er segnada anca le. Alor, quand i vistn ch’i eren tuti signadi, i li lassestn tuti ‘ndar. E i prisoneri i dissn: questo i è ‘l nostro compagno.
Alora ‘l re i fest pighiar col corpo senza testa, e il fest mettr ‘n mezo a la piazza: alora carcun g’andarà a panzer e a scuvriren ‘l ladro c’ha robà ‘l me tesoro.Ruberto i pensest d’ andar ‘n tun convento de fradice ghe dis: m’avè da far un piansero, d’ mprestarm sett toneghe; una i se la mis per lu e po i comprest un barilo d’ vin. I passest ‘n tla piazza n dov ‘l re i ao misso se’ guardia a col corpo. Sto frado i passest col barilo dal vin. I domandest a sta guardia, eo seda? I g’ arespondestn:a ian seda e fama.I ghe dis: no ve sgomentè, me a g’ho del pan e del caso, e po’ a ve darò anch da ber. ‘N tel vin i g’ao misso l’ oppio. Quandi’i estn bevu e i fustn armesti, i s’ adormin tutti se’. Lu alora i tirè fora le so tonghe e i ghen mis una pr’un. A la matina ‘l i ‘ndest ‘n piazza ‘n carozza e i dis:com’! a g’ho lassà se’ guardia e a ghe trov se’ fradi!e comeo fatto? E lor i arespondestn: no a ne san ghent. I dis ‘l re: s’a podes scuvrir chi è ‘l ladro a ghe darei mi figliola.
Ruberto i ghe dis: e ben, a son sta me, e la parola d’re la ne va ‘n dre’, e a son bon de farne anch d’ l’ altra. I ghe dis: cos setu bon da far? Me a son bon, mentr’ chi è a letto, portargh via i linzoli. Alora ‘l re i dis: s’i vnirà a pighiar i linzoli, me a l’ amazrò. ‘L ladro i fest un omo d’pagghia, e po’ dopo i mis ‘n zima a ‘na pertga e i commenzest a mandarlo su da la fnè. Quand i fust a paro a la fnè ‘l re i ao l’ schioppo carigo, i ghe lassest ‘ndar ‘na schioptà, e i ghe caschest zu ‘n tla cambra. ‘L ladro i er ‘ndà sovr al solaro de la cambra del re.La rezina La dis al re: almanco portlo via de ‘n tla cambra col morto lì. Lu i stest su de ‘na camisa e ‘ntanto Ruberto va zu ‘n tla cambra e arenvolts nti linzoli con la rezina; i finzest d’ esser ‘l re e i ghe dis: a vag a portar via col morto, e ‘ntanto i portest via i linzoli. Torn a letto ‘l re e i dis: i linzoli ‘nd éni? Eh! T’m’è ditto che t’ao freddo e t’zerch i linzoli? ‘nd i ettu missi?
Ah! I respondest ‘l re, Ruberto i è brao e bsognerà ca ghe dian la figliola. Ma tant’è, a ghen voi arfar una o doa. Allora i ghe dis: me a g’hò ‘l me cavalo ‘n tla stalla, setu bon d’ andarlo a robar? Eh ! a n’hò fatto d’ pu bela, e a son bon d’ far anch cla li. Alora va da un falegnamo e fa far un cavalo d’ legno, e po’ va ‘n tla stala e port sto cavalo. ‘L re i ao fatto mettr ‘na guardia su n’ tel so cavalo; ma Ruberto i ao portà con lu un fiasco d’ vin con l’ oppio dentro e i ghel dest da ber. Sta guardia quand l’ est bvu la s’ adormist, e alora lu pigh la guardia e mettla su ‘n tel cavalo de legno e port via ‘l cavalo del re.
A la matina i mont a cavalo e i va dnanz al palazzo del re. ‘L re i ved ‘l so cavalo, e i dis: moramai te ghe n’è anch’una e po’ a te dag la figliola. I dis: cos hoi da far? I dis: la gh’è ‘l rettoro ch’apazzè i a amazzà ‘l porzelo, t’è da portarghlo via con tutti i soldi ch’i a. I dis: a gh vagh fito. Lu alora i pighiest un corbelo e i l’nfiochest tutto. A la sera dopo l’ Aimaria i ‘ndest ‘n chiesa e i azendest tutti i candei d’ l’ altaro; e po’ i s’er ‘nmascrà da San Pietro, i ao attaccà ‘na soga alla cadena d la chiesa col corbelo ‘n fondo, e i comenzest a dir: Padr Romitorio entrate in corbellorio, ‘l Signor v’aspett in glorio – Manzo due ficatelli e dopo vengo – Ma port’ anch’ tutt’ i soldi.
Alora ‘l preto i ‘ndest ‘n ca e i zerchest tutti i soldi, e i ne lassest che zento scudi a la serva.Po’ i va ‘n chiesa, e Ruberto i ghe dis: chi manch di soldi! A n’ho lassà che zento scudi a la serva perché la vorei vnir ‘n paradiso anca lé. Donc entr ‘n tel corbelo. Alora i comenzest a cantar e a tirar su ‘l corbelo. Quand i fust su avsin al volto de la chiesa, i appicchest la soga a un chiodo e i lassest lassù. Dopo i ‘ndest ‘n ca ‘nd er la serva e i ghe dis:a ve men ‘n paradiso anca vo; e alora i la mnest ‘n tel campanilo e i attachest una panera a ‘na corda de la campana e i comenzest a tirarla su e a ‘nzuccarla su pr ‘l muro. E ‘ntanto i ghe diseo: bsogn padir un po’ a ndar ‘n paradiso, e questo i è ‘l to purgatorio.
Quand’ i fust ai fnestron del campanilo dag’na pinta e buttla zu ‘nt mucchio de ludamo. Po’ va zu, piggh ‘l porzelo e portlo al re, e i ghe dis: moramai a n’ho fatto assè.
‘L re alora i ghe dis: si, a t’ho promisso la figliola e a tla dagh.
I fen ‘na bella noza con tre fava còta e un topo arostido, le’ la fust la so mogghia e lu ‘l so marido.

FINE

Questa novella o “fola” cioè favola raccolta da un così insigne letterato e studioso della lingua italiana mi ha, da un lato fatto ritornare bambino quando, prima dell’avvento della televisione, ascoltavo favole analoghe che certi vecchi raccontavano a “veglia” e nel contempo devo far presente la precisione linguistica con la quale il Bartoli ha annotato il racconto che ne fa un testo importante per capire la metamorfosi del linguaggio dialettale,oggi minacciato dall’uso corrente della lingua italiana sempre più diffusa dai mass-media. Per tale motivo, così come succede per il cibo, andremo incontro ad un generale appiattimento del linguaggio.
Ma la “fola” raccolta dal Bartoli nella costruzione del periodo e degli avvenimenti dimostra se non la cultura certo l’ arguzia e la semplicità dell’ animo popolare lunigianese.
Per i più giovani, per comprendere meglio il racconto, riporto alcune parole usate nel testo e di più difficile “traduzione”:
ca: casa, stilo:pugnale, frodo: fodera del pugnale, violi: viottoli, schizas: riferito al pericolo che il rospo schizzasse un liquido pruriginoso, ao: aveva, bota: botte, eo: avete, seda: sete, armesti: sazi, pertga: pertica, cambra: camera da letto, doa: due, moramai: ormai, apazzè: poco tempo fa, fito: subito, corbelo: paniere, soga: fune di canapa (Dante: ) cadena d la chiesa: si riferisce a quelle catene contro i terremoti che legavano i muri delle case o/e delle chiese e che spesso li attraversavano in alto, Padr Romitorio ecc: trovo fantasiosa questa traduzione delle messe in latino spesso incomprensibili al “ volgo”…e arguto è il riferimento all’appetito del prete, panera: cesto in vimini molto più grosso del paniere.

Seguiva poi, raccolta dal Bartoli, questa poesia:

La gh’ er ‘na volta un ragazzin
Zigo com’ un pugnin
Con la barba i spazzo per ca’,
Con do’ dida de panno fin
I s’ fest la zubba e i calzoncin;
I trovè ‘na goccia schrunlà,
I fe’ ‘na sgura e un pennà;
I ‘ndè al bosco a taghiar ‘na guerra,
In tre dì i gh’ taghiest la vesta;
Arivest ‘na Zigala
L’al portest via sott’ un’ ala;
I andè a dormir,
Na pulsa la ghe de’ ‘na pizzarda
E l’al fest murir.


000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000

GASTRONOMIA
Ciò che oggi fa parlare di Agnino in provincia di Massa e di La Spezia è per la produzione del caratteristico pane cotto nei forni a legna. Dai due forni di Grandetti Nicola e Santini Marco escono centinaia di pani, a forma tonda di circa 800 grammi, dal profumo, crosta e sapore inconfondibili. Un pane che ci ricorda con il suo sapore quel mondo della nostra infanzia quando tutte le famiglie facevano il pane in casa e che durava per tutta la settimana.
Tipici sono i cibi che si fondano sulla produzione della farina di castagna, come;
La polenta dolce che va affettata con un rametto di castagno o erica e insaporita in vari modi: con salsiccia fritta,con sangue di maiale cotto (migliaccio), con latte o con ricotta.
La pattona , frittella cotta al forno avvolta in foglie secche di castagno la cui sagra trentennale ha reso famoso il nome di Agnino in INTERNET.
Il castagnaccio con pinoli e ancora le frittelle dolci
Caratteristici sono pure i testaroli fatti con farina di grano e cotti in testi di terra cotta riscaldati sul fuoco.
I cialdoni cotti con il caratteristico strumento contadino cioè una lunga tenaglia con i terminali a ferro piatto circolare, unti con cotenna di maiale e cotti sempre sul vivo fuoco del camino.
I figadetti cioè fegato di maiale cotto e conservato sotto il grasso di maiale o “strutto”.
Altro piatto caratteristico sono “i fergadei” che non è altro che una polenta di mais con cavolo, zampucci o costole di maiale, fagioli ed il tutto condito con olio di frantoio e formaggio pecorino.
Tipici sono i dolci a base di nocciole e noci e fra i dolci il tradizionale “buccellato”.
Tutte queste pietanze sono derivate dai tradizionali cibi tramandati dal mondo contadino.
C'erano poi delle eccezioni come la famiglia del Conte Luigi Fantoni a Noletta, che nell'anno 1764, già mangiava “Cioccolato con vaniglia”! ( Arch. Fantoni – Massa Busta n. 187)

A tal proposito vediamo cosa scriveva, nel 1865 il prof. Vaccà nativo di Massa e residente a Modena nel suo trattato “Sulla Pellagra” che aveva colpito la popolazione di Massa e sue montagne:
“I contadini della montagna mangiano in generale da un anno all'altro e niente altro mangiano che granoturco. Il quale ridotto in farina suole apprestarsi colà in due modi soltanto, cioè in polenta ed in foggia di pane, il quale ultimo con denominazione tutto vernacola è chiamato Marrocco. E' un pane di pretta farina di formentone appena, e non sempre, privata dalla crusca più lignea con rado e logoro staccio, impastata poi alla peggio con fatica sì ma breve manipolazione tanto da incorporarvi quel po' di lievito (tutto della stessa farina esso pure) che avanzò all'ultimo panificio. La pasta divisa in più pezzi più o meno grossi non tarda molto a dare segni di fermentazione coll'aprirsi alla superficie in larghi crepacci ed allora viene gettata dentro rustici forni riscaldati per lo più senza regola di sorta. Se ne hanno così dei pani spesso malcotti, più spesso riarsi e quasi carbonizzati al di fuori ma dentro inzuppati d'acqua ed ancora pastosi, gialli o giallo-scuri secondo il grado della stacciatura, ronchiosi e solcati ad un tempo, massicci, pesanti sicchè uno di questi pani peserà un chilogramma o un chilogramma e mezzo, mentre a pari volume un pane di farina di frumento levitato e cotto a dovere peserebbe non più di trecento grammi. Ed avesse pure il marrocco dei poveri nostri campagnuoli solamente questi difetti di fabbrica e cottura; ma preparato d'ordinario in soverchia quantità per cansare la briga di rifarlo troppo di spesso, e nulla o mal custodito dalle ingiurie dell'aria presto riviene, massimamente nelle stagioni sciroccali, appo noi frequentissime, e diventa vincido, muffaticcio e talora viziato a segno che i cani stessi lo sdegnano intantoche i miserabili nostri colonni e per fame e per uso continuano pure a divorarlo. Ciò quanto al pane. Quanto alla polenta, è anch'essa ben lungi dal prepararsi con quelle regole e quelle diligenze che bisognerebbero ad averne un cibo salubre. La farina stacciata nel modo ce si diceva dianzi, appena incomincia il grillare della caldaia, è coll'una mano sparsa frettolosamente a pieno pugno e come lanciata nell'acqua, mentre con una specie di bastone o matterello impugnato dall'altra mano si rimena vorticosamente la pasta infinatantocchè questa non sia ben densa e stirata; e tosto appresso, a risparmio di fatica e più ancor di combustibile, si ritira il vaso dal fuoco. E' una polenta, o meglio, una polta, la quale in masse informi, compatte, grumolose, senz'altro condimento che di poco sale si riversa sopra lurida mensa, intorno alla quale la grama famiglia si raccoglie a sfamarsi...... Marocco e polenta. Ecco in due parole il programma del vitto giornaliero, costante e quasi unico di 90 in 100 (e nella proporzione mi tengo al di sotto piuttosto che al di sopra del vero) dei villici della pianura massese. Polenta e marrocco per colazione; polenta e marrocco per desinare; a merenda e a cena le medesime cose, delle quali d'altra parte sì per l'indole poco nutritiva di siffatti cibi, e si per lo spesso e vorace appetito ridestato dalle dure fatiche campestri si mangia ogni volta in buon dato. A queste cose aggiunga cipolle ed agli crudi, qualche legume secco ed erbaggio mal cotti conditi a stento di pochi goccioli d'olio (il quale non ostante i molti e densi oliveti del nostro territorio, si mantiene quasi sempre ad un prezzo superiore alle facoltà dei campagnuoli) aggiunga rare volte nel mese un po' di pane e minestra di frumento, più di rado di qualche salume dei più grossolani (baccalà, salacche , tonnina ecc.) appena nelle grandi solennità l'odore del brodo e della carne onde per miseria sono forzati ad astenersi anche in malattia se pure non si riducono allo spedale, per cui hanno tutti una purtroppo invincibile ripugnanza, ed ella potrà formarsi un'idea della cucina e della dispensa dei campagnoli di Massa........... La più che spartana semplicità del vitto noi già la conosciamo: il vestito è anche il più semplice.
Un cencio spesso lacero di camicia aperta e sciorinata davanti al petto e rimboccata fin sopra i gomiti; un giubboncello di mezzalana quasi mai imbracciato, ma o non portato o messo a armacollo; calzoni dello stesso panno, che meglio si direbbero un perizoma, non discendendo neppure al ginocchio; nuda la gamba, nudo il piede, scoperto il capo, e sta tutto qui l'abbigliamento estivo dei nostri villici per tutti i giorni, un poco più raffazzonato o meno sconcio nei dì di festa, né in verità sotto i rigori invernali molto più rifornito che non fosse in estate, la quale del resto parte per la naturale dolcezza del clima, e parte , ancor più per quelle rustiche pelli provate a qualsivoglia intemperie si fa dai nostri contadini cominciare di marzo e terminare non prima d' Ognissanti o di S. Martino......... Ad aumentare le difficoltà e le gravezze della vite rurali contribuisce altresì la viziosa distribuzione delle proprietà coloniche le quali trovansi frastagliate in molti piccoli e spesso minimi pezzi qua e là sparpagliati a notabile distanza gli uni dagli altri talmentechè i contadini, sebbene appartenenti, o in qualità di mezzadri, o di livellarj, o anche di semplici giornalieri o braccianti ad uno stesso padrone, sono in certe giornate costretti a trascinarsi per lunghi e disastrosi cammini da un luogo all'altro al fine di eseguivi i necessari lavori, allontanandosi così avanti giorno dai propri casolari, né rendendovisi che a tarda sera, per quivi, dopo la cena che Ella sa, prendere sopra i loro giacigli poche ore di sonno. Conseguenza frattanto di questa moltitudine di cagioni mortifere e di sì tapina e misera vita sono i mali e acuti e cronici degli organi digerenti le febbri...., l'emaciazione, il marasmo, le infiammazioni piuttosto spurie che genuine, le emorragie passive, la stessa porpora emorragica, i reumi, le paralisi, le anemie, le idroemie, le clorosi (frequentissime queste ancora nei maschi) lo scorbuto e le cachessie e discrasie d'ogni maniera, le verminazioni, la scroffola, massimamente la meseraica, la precoce vecchiezza, i parti difficili, la grande mortalità delle perpuere e dei bambini, una infinità di malanni più facili a immaginarsi che a dirsi.”
Queste le condizioni dei contadini del circondario di Massa che, se ancora peggiori di quelle dei Lunigianesi non erano molto dissimili.
Certamente le famiglie benestanti e nobili potevano avvicinarsi a tavole diverse e più ricche; sulle loro tavole non mancava nemmeno la carne come ci dimostra
questo documento del 1782 ritrovato in ASMs alla Busta 181. (vedi nota n. 3 )
Ecco quindi che i cibi dei contadini, che oggi noi troviamo semplici ma gustosi, non sono altro che il risultato di enormi sacrifici fatti nella difficile arte di tirare a campare.
Fra gli altri piatti della tradizione contadina, volendo, si potrebbe gustare ancora la zuppa di granchi ; piatto noto già dal 1779, allorchè nella sua pubblicazione “Effemeridi biennali di Aronte Lunense” l'accademico dei Georgofili Conte Luigi Fantoni scriveva “… nel canale di Montecorto generano i granchi di acqua dolce, buoni per purghe, e medicinali, per i quali si dovrebbe introdurre l’ arte di saperli intenerire”.

Un’ altro piatto tradizionale sono le lumache (cotte in diverse maniere) che vanno raccolte di notte, dopo la pioggia, e le giornate più indicate per la raccolta sono quelle di luna piena.


Il termine luna mi riconduce ai giorni del calendario lunare che spesso venivano citati nel mondo agricolo. Parliamo allora di epatta.


EPATTA

DEFINIZIONE DEL VOCABOLARIO: numero che per un determinato anno esprime l' età della luna all'ultimo giorno dell'anno precedente.
DA MIO PADRE ALBERTO ho ricavato quanto segue: è il metodo di calcolo per sapere in ogni giorno dell’anno quanti giorni ha la luna, vale a dire se è luna crescente oppure luna calante e quindi per sapere se iniziare o meno una coltura agricola, se si può tagliare la legna (mai tagliare i pali con luna crescente perché marcirebbero), seminare i fagioli (la semina si fa sempre con luna vecchia), imbottigliare il vino.
Se la luna influenza le maree è ormai certo che influenzerà anche la nascita di un seme, come la chiarezza di un vino ecc.
Quindi senza guardare il calendario e quindi vedere se la luna ha la gobba a LEVANTE (LUNA CALANTE) o LA GOBBA A PONENTE (LUNA CRESCENTE) il mio babbo per qualsiasi giorno dell’anno sapeva dirti quanti giorni aveva la luna in quel determinato dì e quindi sapeva dirti se era LUNA NUOVA (LUNA CRESCENTE) o LUNA VECCHIA (LUNA CALANTE). Sempre il babbo diceva: il calendario lunare è di 29 giorni il 29 li passa al 30 non ci arriva!
Quindi dal primo al 15mo giorno è luna nuova; dal 15 al 29 esimo è luna vecchia.
Da ricordare che l’anno lunare parte dal primo di marzo.
Come faceva il babbo a fare questi calcoli?
Orbene, si parte dal NUMERO FISSO (che cambia di anno in anno) chiamato "EPATTA".
-si aggiunge il numero del mese corrispondente al mese oggetto di ricerca, escludendo però il mese di gennaio e di febbraio. (i quali appartengono all’anno lunare precedente, quindi per calcolo della luna di questi due mesi si parte dall’epatta dell’anno prima)
- si aggiunge il numero corrispondente del giorno oggetto di ricerca
- si aggiunge l'epatta
Se la somma relativa supera il n. 30, il trenta si getta e si prende come risultato la cifra superiore a 30: quelli sono i giorni del calendario lunare; cioè si vede quanti giorni ha la luna , se è vecchia o nuova.
Conoscendo l’epatta di un anno qualsiasi, è molto facile sapere l’ epatta negli anni ad esso più vicini perché, da un anno all’altro, l’epatta aumenta di 11 unità.
(Infatti dodici lunazioni intere formano circa 354 giorni con un residuo rispetto all’anno solare di 11 giorni se l’ anno è comune e di 12 se è bisestile).
Quindi l’ epatta è un numero che va da 0 a 29 perché se arriva a 30 sarebbe come se fosse zero.
Ogni 19 anni l’ epatta aumenta di 12 unità rispetto all’anno precedente, affinché tolti trenta dalla somma di 41, si abbia di nuovo l’ epatta 11 come al principio. Le epatte aumentano di un giorno ogni 300 anni.
L’ epatta del 2005 era 19, quindi per il 2006 è 0 (zero)(perché 19+11=30, il trenta si getta e rimane quindi zero. Nel 2007 sarà 11, nel 2008 sarà 22, nel 2009 sarà 3 e cosi via…

In tal modo sappiamo se si può andare a pescare di notte con la luna piena che ci illuminerà il percorso oppure restare a casa per mancanza di luce se la luna è vecchia ( luna oscurata dall'ombra terrestre).
Esempio: voglio sapere oggi 26 novembre 1998 se la luna è crescente o calante e quanti giorni ha: allora all'epatta che per il 1998 e' di 1 (UNO) aggiungo per il mese di novembre undicesimo dell'anno il n. 11 meno 2 (gennaio e febbraio che si tolgono e se siamo in quei mesi non si aggiungono al calcolo) e poi aggiungo 26 (giorno del mese) il risultato sarà di 36 (trenta si gettano) rimane 6 che vuol dire che la luna ha sei giorni ed è quindi una luna crescente ; che se la vedo in cielo avrà la gobba a ponente e che ci saranno ancora 9 giorni per fare alcuni lavori agricoli confacenti con la luna crescente, che non potrò andare a pescare poiché ancora non rischiarerà con la sua luce la notte.

Infine, posso ben dire di essere orgoglioso di mio padre -nato nel 1901 e con la scuola finita alla seconda elementare- che è stato per anni punto di riferimento della gente di campagna, che a lui si rivolgeva per sapere "quanti giorni aveva la luna" e che questa semplice quanto complessa formula mi ha lasciato in eredità.


NOTE DA ENCICLOPEDIA: EPATTA dal greco aggiungo. Età della luna al primo gennaio, cioè numero dei giorni decorsi dal principio dell'ultimo novilunio, o l' eccedenza di giorni dell'anno solare rispetto all'anno lunare: tale eccedenza aumenta di circa 11 giorni ogni anno. Perciò uno stesso novilunio si presenta anno per anno anticipato di 11 giorni. Per correzione, dopo 3 tre anni, si sottraggono 30 giorni ( mese embolimale) riducendo così la differenza fra l' anno solare e quello lunare e ristabilendo dopo 19 anni la loro corrispondenza.
Vennero usati modi diversi per punto di partenza del calcolo dell'epatta, incominciando dal 1mo gennaio o dal 1mo settembre o da altra data. L' operazione per calcolare l' età della luna per un qualsiasi giorno dell'anno si compie aggiungendo all'Epatta dell'anno in corso, per gennaio e per marzo, il numero dei gg del mese alla data voluta; per febbraio, un giorno in più, da marzo in avanti, tanti giorni in più quanti sono i mesi passati dopo marzo; Ma ogni volta che la somma supera 30, si prende la differenza fra questa somma e trenta


==================OOOOOOOOOOOOOOO=====

I NOMI DEI CAMPI IN AGNINO.

Li riporto, lasciando agli studiosi di lingua il significato dei toponimi, perché sono sicuro che ad ogni nome di campo il mio lettore agninese collegherà, come un flash, un suo ricordo.
Procedendo in senso orario, troviamo sopra la strada provinciale:
Vignalo, Gocchijola, La Contra, Lèbi, Piastronara, Sèra, Casola, Fontana Verda, Montpian, Prada, Cavanèlo, Poggio d’ Scardaccio, Fontanédi, Sér del Monto, Cavanélo, La Coeta, Troscèla, Pra d’Ignan, Bora, Bocci, Fornascéla, Loppara, Comunéla, Tassonara, Pàra, Cà d’ Golo, Pian , Montaforca, Liccia, Ropcaldo, Ara, Campo Grando, Què d’ Sgherro, Valdònga, Carpna, Còla, Brascei, Canoara, Margon, Giardin, Sor la cà, Perdéra, Pianlina, Pradi, Pozzo, Dubiroto, Cupa, Narbia, Scalinada.
Sotto la strada provinciale Fivizzano –Licciana:
Pastna, Trila, Tralorto, Vala, Pezmaiolo, Giogo, Pianon, Olivaccia, Pè d castello, Tufo, Piantarolo, Sèra, Cerétola, Castagnedro, Troghèlo, Ricciara, Borèla, Plizzon, Prèlo, Valapila, Chijoselo, Scenton, Lato, Cavanèla, Molin, Montalo, Bosco di Cavain, Cuccaleto, Prdela, Campacci, Pontafigo, Maran, Vrozo, Plizon, Posticcio, Ricciara, Troghèlo, Noleta, Campomorto, Arafoscola, Cavana, Ottonaio, Guarciano, Piccedo, Vadmolin, Paran.
Parlando dei campi devo ricordare che presso l' Archivio di Stato di Massa sono conservati gli
Estimi di AGNINO del secolo XVI, al repertorio n. 305-306, quelli del 1646 al rep. 307
ed infine al 1784 rep. 308.
L'estimo del secolo XVI è un grosso volume con centinaia di pagine, naturalmente tutto scritto a mano e riportante la proprietà, i nomi dei campi, la stima in scudi e le culture praticate: bosco, vignato, castagneto, prato, olivi. I nomi dei campi sono proprio quelli sopra indicati. I proprietari sono riportati senza il cognome (solo in alcuni e rari casi è presente) ma indicando nome e paternità; esempio: Gaspare di Gio'.





Costruzione della strada carrozzabile provinciale

La provinciale Fivizzano- Licciana che passa per Agnino e che lo ha tolto dal suo secolare isolamento è stata finanziata e costruita una decina d’anni dopo l’unità d’Italia. A dimostrare il fatto ho trovato e ricopiato, tanti anni fa, un compromesso fra la ditta accollataria e l’impresa che ha eseguito lavori nel versante Agnino-Fivizzano. Lo riporto integralmente così come da me copiato.
“ L’anno Milleottocentosessatotto questo giorno ventotto del mese di Giugno in Fivizzano.
Mediante il presente atto a valere in ogni migliore modo il sottoscritto Don Alderico Bonfigli di Magliano nella sua qualità di Accollatario principale della costruzione della strada comunale detta di Agnino dal Ponte di Posara alla chiesa di Canneto da una parte ed il Sig. Raffaello di Michele Veschi di Agnino dall’altra, hanno dichiarato e convenuto quanto in appresso.
I° Il Veschi Raffaello si obbliga di eseguire, in qualità di Subaccollatario, e portare a termine nel modo stabilito dal relativo progetto tutti quei lavori di costruzione di detta strada che restano tuttora a farsi o sistemarsi, esclusi soltanto i puri lavori di mutamento e relative opere di fondazione che restano a carico dell’ Accollatario principale sig. Bonfigli e Soci, e così si obbliga detto Veschi di correggere e riformare il piano viabile nei punti ove ve ne sia bisogno per ridurre il già formato taglio della strada a quelle forme che sono indicate nel relativo progetto, e che potessero venire ordinate dall’Ingegnere Direttore, di costruirvi sopra il relativo massicciato con quella quantità di ghiaia indicata nel progetto stesso, di formare e ridurre i prescritti marciapiedi e zanelle laterali, di ridurre le scarpe dei tagli e dei riempimenti alle stabilite indicazioni; di eseguire insomma tutto quanto e quello che potrà occorrere perché la detta strada venga definitivamente accettata sia dall’Ingegnere Direttore come da chiunque altro dovesse collaudarla, intendendosi dalle parti che relativamente alle suddette opere e lavori, il Sig. Veschi sia entrato e debba sottostare in tutti gli obblighi che potessero incombere all’Accollatario principale Sig. Bonfigli.
II° In corrispettivo di tale subaccollo, e così per prezzo dei lavori tutti ed opere che in forza di esso dovrà il Veschi come sopra eseguire, l’accollatario principale Sig. Bonfigli Don Alderico, si obbliga di pagare al Veschi Raffaello la somma di lire una e centesimi settantasei per ogni metro lineare di strada che da esso Veschi sarà regolarmente ultimata, e che con apposito certificato dell’Ingegnere Direttore sarà stata debitamente collaudata. Però non potrà il Veschi pretendere corrispettivo o compenso almeno per quei lavori di sistemazione che dovesse fare in quel tratto di strada che resta fra il Ponte di Posara e il primo ponte detto del <Grottone>, perché così fra le parti è rimasto convenuto.”


STORIE DI ACQUEDOTTI

Nota del 1732 scritta dal Prete Gio Conti della Piazza di AGNINO e trascritta dal SILVIO ANDREANI
Nel suo libro “Le fontane del Comune di Fivizzano”

“ Anno Domini Nostri Jesu Christi. Amen . Adi 16 settembre 1732.
E essendosi spersa l’acqua della fontana di Narbia e, dopo molte contrarietà e contese, io prete Gio Conti della Piazza di Agnino, essendo andato a Fivizzano dalla Giustizia e di più ancora mi convenne mandare dei memoriali al Magistrato, altrimenti non c’era modo di poterla ricercare, si ritrovò in quel di Lazzaro Palmieri et profonda un homo e mezzo et nella piana di Narbia dove che c’ è sette passi dal canaletto a la polla dell’acqua dove che misurando occorrendo il bisogno di ricercarla, non poteranno fallire et io prete Giò Conti la ritrovai il giorno di San Bernardo alli 20 di agosto di modo che ne diedi la notizia a quelli di Piazza; uno per casa n’andarono a zappare e si trovò il fondo della di lei nascita; altre cose poterei dire, solo dico che gli avevo tutti o la maggior parte contrari.
Questo scrivo e servirà per memoria dando il caso che si dovesse ricercare un’altra volta, che il Signore la perseveri se sia per bene”
Si nota che la località di Narbia è precisamente quella detta della Fontana dalla quale fu derivata la Fonte di Piazza, come sotto indicato.
Nel 1914 la Commissione comunale propone di provvedere alle due borgate di Piazza e di Villa nel modo seguente:
raccogliere più accuratamente la polla detta alla Fontana, condottarla fino a Piazza (abitanti 104) dividerla superiormente e lasciarne quivi sgorgarne un terzo, condottando gli altri due terzi alla Villa (abitanti189), sulla strada provinciale presso la biforcazione della strada comunale per la chiesa, oppure raccogliere le due polle che sgorgano ai cataletti in luogo detto Ai Laghi, l’una polla nella proprietà della Chiesa di Agnino, l’altra nella proprietà di Bertoli Pietro, riunirle, condottarle fino a Piazza e alla Villa come per la precedente.
Con contratto 27/04/1914 Mazzoni Pietro fu Luigi assumeva sopra di sé l’impresa di condurre una parte del sopravanzo della fonte di Piazza alla Villa per un compenso di L. 1700 a rimborso della spesa di tubazione, concorrendo per il resto il popolo, salvo a lui il diritto di fruire del rifiuto.
In adunanza del 26 dicembre 1914 la Giunta prendeva atto della domanda della famiglia Corsini diretta a conseguire il riconoscimento del diritto al godimento perpetuo del sopravanzo dell’acqua che si verifica alla fonte di Piazza di Agnino, trattandosi di sorgente derivata da un suo terreno per alimentare questa come la nuova fonte della Villa.
Questi diritti di sopravanzo sono ancora oggi goduti a Piazza dalla famiglia CORSINI mentre, alla Villa, la famiglia Mazzoni vi ha rinunciato anche per l’avvenuta vendita del Palazzo e dell’orto limitrofo.
Dallo stesso libro di ANDREANI ricaviamo che la fonte che alimenta la frazione del CASTELLO ( 91 abitanti) è discreta , un poco tufacea e nella stagione estiva viene quasi a mancare e che nel 1907 con la spesa di L: 620 fu costruita l’ attuale fonte (con le relative vasche per il lavaggio dei pani) e che rispondeva alle legittime esigenze degli abitanti del Castello.

Sempre parlando d’ acqua e del libro dell’ANDREANI si ricava che nella adunanza del 27 MARZO 1840 si dà la facoltà a Giovanni Barbieri di fabbricare un molino e di prendere l’acqua dal canale che scorre nelle pertinenze del villaggio di AGNINO in un luogo detto a Piè del castello ossia al Latto.
Per quanto a mia conoscenza, credo si tratti del molino di cui sono rimasti i ruderi in località appunto Molin nei pressi del Montalo.

LA TRAGIA O TRAGGIA O TREGGIA

Il nome viene dal latino volgare “treiia” e classico “trachea” (slitta) incrociato con “ veia” (carro)
E’ il più antico mezzo di trasporto, quando l’uomo non riesce a portare il carico lo trascina.
Questo sistema primitivo è nato prima della scoperta della ruota. Lo usavano gli Indiani d’ America
nei loro frequenti spostamenti,lo hanno usato per centinaia di anni, dal nostro medioevo fino ai nostri giorni le popolazioni di montagna. Già 2000 anni fa lo scrittore latino STRABONE ne dava una descrizione che risponde in tutto a quella moderna e precisava che aveva un nome celtico, la si chiamava già allora “benna”!
La traggia o benna va dove non arriva il carro, dove la ruota non girerebbe, in strade sconnesse, ripide, in terreni fangosi: veicolo arcaico ma efficiente!
Strumento di trasporto abbinato sempre al motore animale quasi sempre una mucca o due. Dove non si spreca nulla: la vacca porta , trasporta i pesi, mangia l’erba nel campo ed è subito pronta a ritornare al paese con un nuovo carico e come ringraziamento dà il latte! Le razze più indicate per il tiro delle benne erano la Garfagnina e la Pontremolese , razze che sono sparite in concomitanza all’uso della traggia .
E’ alla traggia e alla benna che bisognerebbe fare un monumento, non esisterebbero i paesi di Lunigiana, , le case, le strade , i frantoi , i ponti i muri di contenimento, gli scassi agrari senza la sua invenzione ed il suo uso costante per secoli. Usata comunemente fino agli anni 70, nel giro di questi ultimi 20 anni è sparita dalle aie, dai borghi e anche dal lessico. Bisogna andare nel museo Etnografico di Villafranca Lunigiana per rinfrescarne la forma.
Vediamo di ricordare:
Le due lunghe stanghe di legno (normalmente di cerro) chiamate gambole (come le gambe)…si univano a forma di triangolo al “piolo” in legno o ferro. (Ferro che si agganciava al giogo)
Su queste appoggiavano, ma libere di muoversi lateralmente (come un rimorchio), due stanghe più corte fermate con cavicchi (pioli) in ferro e unite fra di loro con n. 2 traverse sempre di legno forte. Su questo rettangolo in legno appoggiava una lunga cesta ovale intrecciata con rami normalmente di castagno e allora diventava una “benna” adatta al trasporto di tutto,ma non del fieno per il quale occorreva appunto la “Traggia” composta per la parte di slitta come la benna, ma a differenza di questa al posto della cesta recava un trave centrale incurvata sul davanti, fermata alle “gambole” con le “mensole”, sulla quale erano infilate le “staggie” che servivano a mo’ di forchetta a trattenere il fieno pressato appunto con il “ perselo” (da pressare!) fermato alle varie altezze con dei piolini infilati nelle due “staggie” opportunamente forate.

Esisteva in Agnino, zona di castagni, anche una benna piu’ grossa chiamata “ bennaccio” che serviva per il trasporto delle foglie secche e cardi dei castagni usati come letto per le mucche.


======000000000000000000000000000ooooooooooooooooooooooooooo====

Coltivazione dell'olivo:


La collina di AGNINO che degrada verso Montecorto – Soliera è l’ambiente ideale per la coltivazione dell’ulivo, sia per la natura calcarea del terreno sia per l’ esposizione a Sud con il sole che la irraggia per tutto il giorno e con alle spalle La Torre del Nocciolo (m. 900) e il monte TERGAGLIANA (M 700) che proteggono la coltivazione dai venti di tramontana. E sono stati i nostri antenati che con dura fatica hanno strappando ai boschi i coltivi, hanno costruito muri, poggi, scassato piane, mettendo a dimora qualità leccino, frantoio, moraiolo che danno un ottimo olio, saporito e dorato.
L'olio oltre che per friggere e condire le pietanze veniva usato, un tempo, anche per illuminare la notte alimentando i vari lucignoli, compresa la lampada votiva di ogni chiesa.
Le colline del paese sono coltivate ad olivo da almeno sette secoli come è dimostrato da alcuni articoli dello Statuto di Agnino.
Alla fine del '700 il conte Luigi Fantoni – accademico dei Georgofili annotava nei sui appunti nella villa di NOLETTA : “ l'olio fivizzanese vi viene fabbricato assai meglio che in qualche altro luogo della Toscana.... le olive non vanno ammontate, né riscaldate, ma asciutte e nette di terra ,ed altre lordure, sogliono porle sotto la macina in principio dell'inverno per più di sette staia e verso la primavera per più di sei staia per volta. La macina è di buon macigno liscio e levigato più alta sempre di un uomo, e vien mossa da acqua. Essa stritola le ulive, e i noccioli, e ammacca la mandorla così bene, che ne fa una finissima pasta. Di questa empiono 16 o 18 gabbie grandi per volta da mettersi sotto lo strettoio, e dando poca acqua calda, e lasciando poco morbido il pastone, si cava la prima volta il fiore dell'olio. Indi si rivoltano, si bagnano sempre e si stringono per altre due volte le istesse gabbie, e si viene a cavare sempre maggior infrazione di olio, talmente che si fa gemere sino all'ultima stilla d'olio, levandolo dall'istessa mandorla, e resta la salsa asciutta, e netta , e alta solo un dito , da potersi abbruciare senza pericolo.”

Nonostante la vallata abbia un’ ottima esposizione al sole e quindi si abbia una buona alligagione con frutti abbondanti, questo non la mette al riparo dalle gelate che si ripetono con un ritmo medio di 30 anni. Si verifica cioè il cosiddetto fenomeno del “vetroghiaccio”: gela la linfa che scorre sotto la corteccia e fa seccare le piante d’ulivo. L’ultima grossa gelata c’è stata nel 1985 (è stato allora che con mio grande dispiacere ho dovuto tagliare nel mio campo “Al Guarciano” delle piante d’olivo secolari con circonferenza di 2 metri che già avevano sopportato altre tremende gelate avvenute nel 1956, nel 1929, nel 1901, nel 1885, nel 1847, nel 1820, nel 1798 ed infine “il memorabile freddo del 1709” ricordato dall'Aronte Lunense in Efemeridi Biennali – Livorno 1779.
L'Aronte, cioè l'accademico Georgofilo fivizzanese Conte Luigi Fantoni dalla sua tenuta di Noletta scriveva parlando dell'olivo: “ L'ulivo è la terza pianta da frutto più copiosa. Non si vede che in alcuni luoghi, ed in alcune poste assolatie e calde, né saprei trovarne che a stento una piantata regolare e ben fatta. Si vedono né campi ove più godono, e ne vasti oliveti messe quà e là a caso, o rinate a 4, o 5 insieme dai ceppi rimasti dopo il memorabile freddo del 1709.” e poi continuando critica l'errore dei contadini nel potarlo “ .....tagliando i bassi rami lasciargli il puro tronco, e le cime a guisa di cipressi. A volere dunque far fruttificare questa nobil pianta fa d'uopo primieramente che nel potarla il nostro Contadino la tenga rada, larga, e bassa, levandogli le vette, che troppo in alto salissero.” Continua poi nel ricordare che “le dure pertiche levano sempre il frutto dell'anno seguente” e delle varie qualità d'olivo e delle loro caratteristiche, ne lamenta la generale trascuratezza pur ricordando che “L'Olio Fivizzanese è un grosso capo di richezza, e si vende all'ingrosso a prezzi maggiori che in Toscana.”.
A proposito della gelata del 1820, vorrei riportare il resoconto di un anonimo cronista fivizzanese (da un articolo del 19/03/1955 del defunto Prof. Ezio Pandiani). che così scriveva: “ Il 15 gennaio 1820 si era alquanto calmato quel rigido freddo, che aveva durato per circa un mese, e la poca neve caduta due giorni innanzi cominciava a squagliarsi. Il cielo era quieto, nuvoloso. Alle 4 pomeridiane si presentò una folta nebbia accompagnata da minutissima pioggia, che mentiva la forma di una liquida gelatina e che acquistava consistenza al momento di toccare i corpi sui quali si adagiava. Dopo due ore gli alberi erano già carichi di gelo e, vinti dal peso,cominciavano a rompersi. Questa pioggia durò fino oltre la mezzanotte e la mattina di poi fu miserando spettacolo il vedere, quasi per incanto, un nuovo mondo di cristallo. Tutto ciò che a cielo scoperto era, apparve involto da una grossa crosta di ghiaccio e il suolo ovunque ingombro dai rottami degli alberi, che duravano a cadere con orribile cigolio. Alle ore 11 di Francia si scoperse il sole e cominciò a sciogliersi il gelo, che, cadendo in rottami, formava delle iridi lucentissime. Tuttavia le piante non si sgravarono interamente di quella inusitata veste, che verso il dì del giorno 17 ed è notevole che “il vetroghiaccio” non si estese al disopra di una data linea orizzontale di Braccia 1200 sul livello del mare (corrispondenti a circa metri 720), così che i luoghi più alti del territorio ne andarono affatto esenti……La rovina degli alberi di ogni sorta fu immensa e segnatamente degli olivi. Si temé per il raccolto del vino, ma fu più abbondante dell’ordinario, né fu scarso poi quello delle castagne e dell’olio in relazione ai pochi rami e alle piante che restarono illese.”
Lo stesso cronista riportava una nota della Magistratura di Casola Lunigiana che così si esprimeva:
Olivetti svelti e rotti sulle ceppaie: n. 4316, spogliati affatto dei rami n. 5402, privati in parte dei rami n. 18202. Il Magistrato di Fivizzano non pubblicò una simile nota, ma le deduzioni si fanno facilmente pensando che il male fu pari nelle due Comunità e che Casola aveva “Quartieri” 914 di terra olivate e che Fivizzano ne aveva 3907. (Per il lettore: un “quartiere” corrisponde a mq 3400 attuali). La catastrofe fu così grave che il Granduca Ferdinando III di Lorena condonò per cinque anni la metà della tassa predale ad ambedue popolazioni!
Anche il parroco di Agnino di quel tempo (che doveva essere Don Andrea Pennucci) registrava queste note “ Nella note del 15 Gennaio 1820
Si fece un grande vetroghiaccio il quale arrecò un danno considerevolissimo, tanto agli olivi dei quali non pochi si svelsero e gli alberi quali tutti rimasero diramati, quanto ai castagni alcuni si svelsero e gli altri soffersero danno non piccolo nei suoi rami”.
Anche Don Alberto Pini, Priore d’Agnino dal 1937 al ‘42, annota sotto la precedente la seguente: “Il giorno…. del mese di dicembre dell’anno…. Venne un forte vetroghiaccio, arrecando grandissimi danni alle piante specie agli ulivi. Moltissime le piante svelte, grandi danni alle ramature. Si vedevano gli ulivi che coi cicalini toccavano il suolo. I tronchi erano fasciati di ghiaccio. I danni furono ingenti, il legname ancora sano per fare tavole si vendeva a 6 lire al quintale posto sulla strada.”
Ricavo queste note dal Registro Matrimoni dal 1787-1890, scritte sulla fodera interna.
Il parroco Pini non registra il giorno e l’anno, forse si tratta della gelata del 1929 raccontatagli da qualche parrocchiano.
Ma l’uomo non si arrende mai alle avversità della natura, le popolazioni ritornano normalmente alle usate attività.
Anche gli imperterriti Agninesi, magari fattisi cittadini, ritornano alla cura e alla piantagione di questa meravigliosa pianta che ingentilisce il paesaggio, oltre che a dare un prodotto che è tutta salute.
L’ olio di Agnino dal 1998 si può fregiare del “ Disciplinare di Produzione di Olio Toscano a Indicazione Geografica Protetta “ con il nome aggiuntivo di “ Colline di Lunigiana”.
A buon intenditor……



La coltivazione del CASTAGNO


Prima della seconda guerra mondiale circa un terzo del territorio era occupato dai castagni che con il loro frutto fornivano l’alimento base della popolazione agninese. Tanto che allora il castagno era detto “l’albero del pane” e la castagna il “pane dei poveri”.
Oggi i boschi di castagni sono quasi tutti abbandonati, i castagni sono stati tagliati e quelli rimasti sono in grave degrado anche a causa di una malattia detta “cancro del castagno” che provoca il seccume delle chiome. I castagneti, non più puliti dalla mano dell’uomo, si sono inselvatichiti, al loro posto è cresciuto il ceduo selvatico e nel sottobosco sono cresciuti arbusti infestanti.
Comunque fino agli anni ’60 i castagneti erano curati, potati, innestati¸ i loro terreni erano puliti dalle foglie e dalle felci che venivano portate nelle stalle per far letto alle bestie, le loro chiome erano sfoltite, i polloni tagliati ed il loro frutto raccolto interamente. (Si usa il termine “fare a pietto”).
I boschi di castagni o “selve” fornivano castagne di diverse qualità come carpinesi, rossole, silvestrine, primaticcie, ponticose, brescianine e rastelline di pezzatura piuttosto piccole ma abbondanti come produzione.
Queste erano la prima fonte di sostentamento delle popolazione fin dal medioevo.
La raccolta si faceva nei mesi di ottobre- novembre. Le castagne venivano portate ogni giorno al seccatoio ( o gradile o focolare o metato ) dove su una graticciata di legno venivano deposte per la seccatura. Al centro del locale era lasciato acceso per circa 20 giorni un fuoco di ciocchi di castagno e pula che lentamente affumicava e faceva seccare le castagni in origine fresche ed umide. E a quei tempi non era raro che i gradili, al cui centro scendeva una catena con grosso paiolo ove cuocevano i cibi, fossero usati come cucina, luogo di veglia ed anche dormitorio.
Una volta secche le castagne venivano “pestate” cioè prima dell’uso delle macchine erano battute sbattendole dentro un sacco su di un ceppo di legno al fine di rompere e separare il guscio dalle castagne. Ai miei tempi il lavoro era più facile, passava il “Grulli” con la sua macchina scoppiettante che con la forza del motore separava la guscia dal frutto secco.
Ricordo ancora, quel buon profumo che si spandeva nell’aria e quel gustoso sapore delle castagne molli che noi chiamavamo “fighi”.
Una volta pulite, il guscio o “pula” serviva ad alimentare il fuoco del gradile nell’anno successivo. Le castagne erano scelte e separate; le più grosse servivano per l’ alimentazione umana mentre per quelle rotte e più piccole dette “pisturi” veniva fatta una farina per l’alimentazione animale.
Una volta ritornati dal mulino, ove macine di sasso trasformavano le castagne secche in farina profumata e dolcissima, la stessa veniva pressata in scrigni o cassoni in legno ove durava tutto l’anno. Essa diventava il cibo principale sotto forma di polenta. Se cotta in forno con olio o burro e pinoli diventava il castagnaccio. Se cotta fra due testi di ferro era detta “cian” o neccio. Se poi era impastata con acqua e messa in forno su di un piatto di foglie di castagno, diventava la famosa “pattona”.
Il castagno forniva inoltre dal suo tronco lavorato, tavole, pali, travi, attrezzi agricoli, doghe per botti ed arredi. Quasi tutto era fatto con il legno di castagno comprese le pareti divisorie delle case che erano fatte con polloni intrecciati poi intonacati, sempre con polloni flessibili venivano poi costruite le benne.
Se consideriamo che poi con le castagne si allevavano suini dalla carne gustosissima (oggi introvabile), con la fioritura dei castagni si nutrivano sciami di api che producevano un miele amarognolo e nutriente, che dal sottobosco del castagno si raccoglievano funghi prelibati si capisce quale tributo importante all’economia agricola conferisse il nostro amato castagno.
Certo è che in questi ultimi decenni la coltura del castagno è stata abbandonata, i gradili distrutti, le selve scomparse. Però quando a casa mia, quelle rare volte, mia moglie cucina la polenta di castagne e un effluvio di profumi, di sapori e di ricordi mi invade, ringrazio ogni volta il castagno del suo meraviglioso dono.



Coltivazione del GRANO, battitura e trebbiatura

Agnino oggi è famoso per il suo pane; se a tale meta si è arrivati è sicuramente perché un tempo le sue piane, i suoi ronchi e anche le piccole pianelline erano tutte coltivate a grano. Il grano era poi trasformato in farina nei molini locali o in quelli di Posara. Tutte le famiglie, ogni settimana, erano occupate nel rito della panificazione. Esistevano decine di forni in paese, alla maniera toscana, mentre non ricordo l’ uso del “testo in ghisa” più tipico della Lunigiana Occidentale nell’area che va da Monti a Pontremoli.
Dopo la lavorazione del terreno, effettuata con aratri in ferro trainati da buoi o dai primi trattori seguiva la semina a braccio. Arrivati a giugno-luglio il grano era mietuto con le falci. Legato in mannelli a sua volta raccolti in covoni. Questi erano trasportati con traggia o trattori nella piazza del paese, praticamente nello slargo della via provinciale ove arrivava la trebbia azionata da un potente trattore. Ma ad inizio secolo XX il grano veniva separato dalla spiga con il metodo della “battitura” cioè con l’ uso di legni battitori snodati o correggiati impugnati da salde braccia umane oppure con il metodo di trascinare sui covoni stesi sulla pietra dell’aia una pesante pietra triangolare dotata di un foro ove era fatta passare la catena attaccata al giogo delle vacche. Il grano ancora misto alla pula era poi ventilato e separato con l’ uso della “vassora” dalle donne del paese.
Sempre, sia la battitura che la trebbiatura del grano, erano momenti di grande convivialità e socialità.
Ma meglio far parlare della trebbiatura a Rino Fabbri paesano del vicino paese di Bigliolo, figlio di contadini, diventato scrittore per sfuggire ad una terribile malattia che per anni lo ha paralizzato su una sedia a rotelle e poi portato alla scomparsa prematura solo pochi anni fa.
Con lo pseudonimo di Abrinof scriveva il suo omonimo stupendo romanzo autobiografico, edito nel 1999 da Roberto Meiattini Editore, fra cui leggiamo:
“ Per Abrinof il periodo più bello di tutto l’anno lavorativo era la trebbiatura del grano. La trebbia, grande come una casa, arrivava maestosa trainata dal trattore. Prima di iniziare a battere il grano, la trebbiatrice doveva essere piazzata. Le aie erano troppo piccole per accampare quel treno di una ventina di metri, composto dal trattore, cintone, trebbia e pressa; allora la si piazzava sulla strada, tanto era una strada a termine. Le strade di collina sono sempre in dislivello, quindi la trebbia doveva essere livellata. I quattro macchinisti sotto la guida del padrone, col cricco la sollevavano dalla parte in pendenza e mettendo delle tavole sotto le ruote, e con le apposite calze la livellavano e la bloccavano. I contadini e le contadine seguivano le operazioni di piazzamento con trepidazione come cavalli da corsa, pronti a scattare,ognuno ai propri posti di lavoro: chi ai soii, chi alla paglia, chi a portare i mannelli di grano dalla massa alla trebbia. Quando la trebbia era piazzata, il padrone accelerava il trattore e metteva in funzione la puleggia motrice collegata con il cintone alla puleggia centrale della trebbia che iniziava lentamente a girare, mettendo in movimento le altre pulegge e puleggine collegate tra loro da un’infinità di cinghie e cinghiali che tappezzavano la trebbia. Anche la pressa,collegata con un cintone alla puleggia centrale della trebbia, si metteva in movimento, e in pochi secondi raggiungeva la velocità ideale, e il primo covone di grano veniva imboccato. Per gli occhi di un bambino, quel meccanismo, aveva il fascino di un meraviglioso giocattolo, ed era proprio uno spettacolo vedere il sincronismo fra macchina e uomini. Abrinof non si accontentava di assistere passivamente a quel meraviglioso lavoro, anche se aveva otto-nove anni (si ammalò a 11 anni !) voleva essere uno di loro, così aiutava a preparare i pezzi di filo di ferro per gli uomini che lavoravano alla pressa. Faceva il cappio al filo di ferro con la manovella e lo tendeva sull’apposito cavalletto e lo tagliava. Ma quello che più gli piaceva era, essere alla pressa, immerso nella nuvola di polvere che si sprigionava dalle spighe di grano quando passavano attraverso il battitore. Il grano usciva dalla parte posteriore della trebbia, bello pulito, la paglia con la pula usciva dalla parte anteriore in un mare di polvere che avvolgeva e ricopriva di giallo-ocra gli uomini che lavoravano alla pressa e alla paglia. Alla pressa c’erano due macchinisti: uno da una parte e uno dall’altra, Abrinof andava dalla parte di quello che doveva rimandare i fili di ferro dall’altra parte infilandoli e facendoli scorrere velocemente nell’apposita scanalatura della moia, e il macchinista dall’altra parte che aveva inserito la moia e mandato i fili, li allacciava assieme e dopo alcuni secondi sotto le testate del carrello compressore la balla di paglia era espulsa dalla pressa. Le balle di paglia uscivano dalla pressa alla media di una ogni ottanta-cento secondi, quindi ci voleva molta abilità e concentrazione, e Abrinof in quei pochi minuti che il macchinista lo lasciava lavorare al suo posto, si sentiva grande, ed era felice d’essere lì, sotto il sole infuocato di luglio a sudare e mangiare polvere come un vero uomo.
Il battere il grano non era un avvenimento solo per un bimbo come Abrinof, ma era una festa per tutte le famiglie della collina. Per una settimana la fatica si mescolava alla baldoria. Da casolare a casolare si faceva la battaglia del grano; i contadini si aiutavano a vicenda e facevano a gara a dissetare i lavoratori con il vino migliore, e le contadine-massaie tiravano fuori tutta la loro abilità di cuoche nel preparare gustose colazioni e abbondanti pranzi e cene. Alla sera erano tutti ubriachi di fatiche e di vino. Nonostante la stanchezza, dopo la cena, avevano ancora voglia di cantare e ballare, poi con l’ animo sereno andavano a letto, si facevano una bella dormita e al sorgere del sole erano belli freschi come una rosa di maggio, ed erano pronti per un’altra giornata campale.”






Paraggi da VISITARE.
In 40 minuti a piedi si arriva al monte che sovrasta Agnino, La Torre del Nocciolo a quota 944 metri s.l.m. ove oggi rimangono i ruderi, distrutti da una ruspa, di un’antica torre d’avvistamento forse del secolo XIII e di un triplice vallo residuo di un castellaro. Rovistando fra i massi divelti
Il sig. Nicola Salotti, appassionato di storia locale, vi ha trovato due monete, una sola leggibile con la data del 1396 di coniazione genovese, e una palla d’archibugio; lo scrivente invece vi ha trovato un piccolo frammento di brocca smaltata dello stesso periodo: quindi si può bene affermare che il sito era ancora frequentato nel secolo XIV. Probabilmente era una torre d’avvistamento del feudo malaspiniano della Verrucola sull’importante valle del Taverone che apriva la via al passo del Lagastrello.
A poche centinaia di metri c’ è il cucuzzolo della Prada di Cisigliana ove troviamo un basamento in muratura per la costruzione di una chiesa, la cui opera, voluta dal prete di Pontebosio, abortì sul nascere intorno agli anni 1950.
Sotto si distendono i prati della “Prada di Cisigliana” cantata dal poeta Marco Vinciguerra con queste parole:

“ Prada di Cisigliana:
divina solitudine di beatitudini ricreanti lo spirito,
con in faccia, quali aguzzi possenti triangoli di turchese, le prossime Apuane, attorno un breve arco di duro accigliato Appennino, e un digradar di monti minori e di dolci colli affretantisi, in gran verde, a respirare il mare!

La Torre del Nocciolo è coperta, come dice il nome da noccioleti, invece il monte della PRADA è ora coperto da una fitta foresta di abeti piantati dalla forestale a fine anni ‘50 a mezzo della ditta del Cav. BELLI Ennio di Magliano.Il miglior periodo da visitarla è Maggio allorché i suoi prati sotto la pineta sono coperti da distese di narcisi profumati e nell’aria è tutto “ trilli di allodole, cinguettii di cardellini e capinere, gorgheggi di usignoli”.(Marco Vinciguerra)
Dalla Torre del nocciolo la vista spazia su tutto l’arco dell’Appennino, sul comune di Comano, sulle Apuane e su Fivizzano e sulla Lunigiana.
Proseguendo per il crinale si passa sopra i paesi di Quarazzana, Panigaletto, Cotto, Arlia, Bottignana, Sassalbo e si arriva per bel sentiero alpino fra radure e vista impareggiabile al Passo dell’Ospedalaccio e del Cerreto. ( tempo di andata: 2 – 3 ore).
Al passo dell’Ospedalaccio (per la presenza di un’ antichissimo ricovero- ospedale per i viandanti) sarà doverosa una fermata e allora si potrà riandare almeno con un sogno a 600 anni prima proprio nel 1306 quando Dante Alighieri passò da questo passo per discendere al castello della Verrucosa-Bosi e per poi raggiungere Morello Malaspina a Mulazzo.
“Una cosa è certa che nel 1306 DANTE, esule da Firenze, si trova a Verona ospite di Bartolomeo e Alboino Della Scala. Qui gli giunge la richiesta di Franceschino, Marchese di Mulazzo, che desidera l’ invio di un negoziatore per le trattative che i Malaspina stanno conducendo con il battagliero Vescovo-Conte di Luni Antonio Nuvolone da Camilla.
Dante dovrà rappresentare Corradino e Morello Malaspina impegnati in Sardegna e sarà per definire l’accordo che nel pomeriggio di quella domenica 6 ottobre 1306 salirà a Castelnuovo Magra, al palazzo vescovile, e sottoscritti i patti con il Vescovo scambierà con questi il bacio della pace…” (da I Malaspina di Lunigiana di Umberto Burla).
Ebbene, perché affermiamo che Dante è passato Dall’Ospedalaccio? Un motivo valido è perché era la via più breve che univa Verona alla Lunigiana, ma il più importante è certificato da questi versi del canto IV del Purgatorio:
“…. Montasi per Bismantova in cacume
con esso i pié, ma qui convien ch’ uom voli.”
Probabilmente DANTE transitando a cavallo per Castelnuovo Monti ha potuto ammirare ed è rimasto impressionato dall’imponenza della Pietra di Bismantova tanto da immortalarla per sempre nella DIVINA COMMEDIA.
E allora sogniamo pure, seduti nell’erba del passo, di vedere passare i cavalli e i cavalieri di quella illustre congrega affacciarsi alla Lunigiana per vedere il “ vapor di Val di Magra” .
E il primo nucleo abitato che avrà trovato è Sassalbo, (il paese senza camini perché ogni casa era un focolare ) quello stesso paese a cui diresse , per pura tradizione popolare, le presenti parole
“ Paese che vien notte avanti sera !
Gente da bastro, da bastoni, da galera.”


Altra bella camminata può essere fatta in meno di un’ora alla punta della chiesina e del “Croscion” (esiste una grossa croce in ferro dell’ottocento -Vedi nota 1) della Tergagliana (Vista aerea mozzafiato !) che sovrasta a picco il paese di Fivizzano e dove per arrivarci si passa in stradina fresca e tutta pianeggiante (ritemprata da una fresca fonte all’arrivo) fra boschi di castagni e cerri.
E mentre camminiamo possiamo pensare a come il tempo passa se “ Il 6 ottobre 1243 un certo Gerardo di Malpelo da Rio locava terre poste in Tergugliana e Fiassano” (Documento in pergamena presso Emanuele Gerini e riportato nel “ Saggio d’una Bibliografia Storica Della Lunigiana” stampato in Modena nel 1874)
Dalla chiesina la vista spazia sulle cime dell’ Appennino e sulle Apuane e si domina a vista d’aquila tutto Fivizzano, Verrucola, Pognana, le case sparse, i campi arati e si ammira e si sente lo scorrere del Rosaro che lambisce, 500 metri più sotto, il Monte Tergagliana. E allora volgendo lo sguardo al serpeggiare del fiume e all’imponente Palazzo Fantoni ora Bononi ritornano alla mente i versi dell’arcade Labindo che così ha dato rinomanza al fiume :

“Degli alpini torrenti al flutto rapido
La torbid’onda del Rosaro incalza
E i massi svelti rotolando fremono
Per la scoscesa balza.”

E continuando ancora, così cantava il panorama che circondava la sua casa paterna:

Canuto padre dei temuti nembi
Torna, Isaro, l’ inverno. Odo il torrente
Scender gonfio dall’Alpe, e sotto il monte
Romoreggiar nel tortuoso letto.
Sento fischiar della montagna il vento
Per la ristretta valle, e sulla rupe
Crollare le quercie la ramosa fronte.
Vè, come bianche di caduta neve
Sono le torri di Colonco!

E nella contemplazione del panorama fivizzanese ritornano alla mente altri versi di Giovanni Fantoni, ispirati proprio da quest’ambiente:

Dove si perde nella valle il monte
Bruno per li ginepri, e per le stipe,
E tortuoso rio nato da un fonte
Garrulo scorre fra l’erbose ripe,
Di giunchi intesta, e di palustre canna
Sorge cinta d’ allori una capanna.
Cresce sul monte il giorno, e un vitreo lago,
che forma il rivo, a più color dipinge;
La fertil valle d’ olmi un ordin vago
Maritato alle viti intorno cinge;
Si copre d’ombra il monte, e il sole allora
L’opposta valle, e il vicin colle indora.

(foto)

Il ritorno ad Agnino dalla Chiesina può essere fatto, per non rifare la solita strada, passando dalla “Casina Rossa” della Tergagliana (ove parte il sentiero che conduce a Fivizzano) e poi a Virolo (ove si può visitare il vecchio oratorio della famiglia dei Bononi, dalle forme perfette ma bisognoso di restauri ) e quindi scendendo a Canneto.
Altra bella camminata può essere da Agnino al convento francescano della Madonna dei Colli , sito su una collinetta presso Soliera Apuana, passando fra campi di viti e meravigliosi terrazzamenti di olivi in un paesaggio più dolce, con presenza di cipressi, di campi arati, un paesaggio tipico della Toscana più vera: sembra di essere in provincia di Firenze se non fosse per la presenza costante delle tre cime Apuane.
Dolce e riposante la vista sulla vallata di Pratolungo con il torrente che scorre, i campi arati, i boschi laterali, una natura ancora intatta; assomiglia allo sfondo di certi quadri paesaggistici
del rinascimento!.
Netta la vista sulla collina di Olivola ove si profila la chiesa e le case, ma non più il castello che fracassò con il terremoto del 1920. E quasi non ci pare vero che all’inizio del quaternario cioè circa 1,8 milioni di anni fa quelle colline non c’ erano, ma si estendeva un lago che occupava l’ area compresa fra Bagnone, Filattiera, Aulla e Olivola. Ed è per questo che nei terreni di colmata di questo lago diventati oggi colline (es. in quelle di Olivola) sono stati rivenuti fossili di animali oggi estinti, ma simili a quelli che oggi abitano la savana africana: tipo rinoceronti, cervidi, leoni, leopardi, lupi e mastodonti. Per chi avesse dei dubbi o curiosità non resta che visitare il museo di Paleontologia di via G. La Pira in Firenze oppure più vicino museo archeologico sito nel castello di via 24 Marzo a La Spezia.
Ritornando poi a Pratolungo, la passeggiata può continuare per Bigliolo, al suo castello che fù devastato nel 1525 da Giovanni delle Bande Nere. Bigliolo è oggi famoso per il fagioli, ma anche quelli che si coltivavano ad Agnino, nelle piane vicino alle gore del canale del Lato, di Trila, erano altrettanto saporiti.
Abbiamo parlato di due località del circondario di Agnino: Olivola e Bigliolo, vediamo di conoscerle un po' meglio attraverso una descrizione, fatta nel secolo XVII, da un anonimo scrivano del Marchese di Olivola.

Feudo di Olivola

“Il Feudo di Olivola consistente in tre Comunità che sono Olivola medesima, la quale ha sotto di se le ville di Valenza, Del Piano, Della Quercia, di Vaccarecciam di Sannaco, D' Amola Costa, che fan tutte novantasette fuochi. La Serva d' Olivola è sfasciata, vi è un comodo Castello, che era la residenza dei Sigg. Marchesi antecessori del dominante presente. Bigliolo, che è ripartito in dodici ville che in tutto fanno sessantaquattro fuochi e Pallerone, dove al presente risiede il Marchese Lazzaro Malaspina, che ha sotto di se una villa chiamata la Canova, il numero di fuochi di questa comunità è di cinquantacinque, che in tutto fanno duecentosedici, come apparisce dalla nostra mandata il Maggio scaduto dalli Consoli al Cancelliere G: Batta Piccaluga in Milano. Il suddetto Feudo da Oriente hà confine li Stati del Granduca di Toscana, dà mezzogiorno, e ponente il Marchesato di Aulla, mediante il fiume Bardine et Colla, dà tramontana li Marchesati del Ponte,della Bastia, di Licciana e di Monti, et in parte resta il settentrione li Stati del Granduca. Il sito è montuoso, aspro et incolto in molti luoghi; vicino al fiume Aulella e al fiume Tavarone vi sono dei piccoli piani, non troppo favari, n' è qualche piccolo oliveto, qualche selva di castagni, ma poco fruttifera. E l' habitanti sono miserabili, senza industria, lontani dal commercio, il loro cibo è di castagno, meliche, nenie, panichi, et herbe, la loro bevanda per il più è aqua. L'aria è sana.
Dal Settentrione al Mezzogiorno la confine di tutto il feudo suddetto è di tre miglie italiane. Comincia dalle confini di Magliano, Terra del Gran Ducato sino al fiume Bardine, et altrettanto dal Ponente all'Oriente, cominciando dal fiume Tavarone alla confine di Gorasco terra del Marchesato di Aulla. In tutto ci saranno duecento soldati.
L'entrata feudale è di trentuna soma, e mezzo di formento, che si cassa dalla locazione di tutti i molini che sono tre. Ha quattro macine da torchi per l'ulive, delle quali essendo incerto l'utile non se ne può dare distinta notizia. La quota di tutte tre le Comunità ascende a trentaquattro ducatoni.
Le famiglie, che non sono miserabili danno quattro pesi di paglia per ciascuna, et sei soma , e mezo di Bianco frà tutti tre li Comuni.”



La 2° Guerra Mondiale

Non voglio qui entrare, non avendone né conoscenze né titolo, nel merito dell’analisi dei terribili eventi accaduti durante la seconda guerra mondiale, del fenomeno della resistenza e di quei terribili tempi in cui la popolazione agninese fu coinvolta ed ebbe a patire in lutti, rastrellamenti, soprusi e spaventi. Quante volte da ragazzo ho toccato con mano il solco scavato, nello stipite della finestra della camera dei miei genitori, e provocato dalla raffica del soldato tedesco, che così aveva risposto a mia madre, affacciatasi per invitarlo a non battere più con il calcio del mitra sul portone della casa sottostante, visto che più nessuno vi era rimasto.
Se la mamma non fosse stata svelta a ritirarsi, oggi, non sarei qui a scrivere queste pagine!
Riporto solo, per dovere storico, due brevi note:
La prima la traggo dalla interessante e particolareggiata pubblicazione edita nel 1975 “Avvento del Fascismo Resistenza e Lotta di Liberazione in Val di Magra” di Giulivo Ricci così riportante
“Scontri avvengono in Agnino il 15 febbraio fra una pattuglia del Distaccamento <Savina>, al comando di <Giove> e di <Apollo> e un contingente tedesco.
Il presidio partigiano di Agnino è sopraffatto, ma l’avversario, temendo il sopraggiungere di rinforzi, abbandona la posizione.
Il giorno 23 uno scontro si svolgeva, in seguito ad improvvisa puntata nemica, presso Cisigliana, villaggio di Licciana, sopra Bastia, sul sentiero per Quarazzana e per l’alto fivizzanese e il comanese.”
Da fonte “internet”, con riferimento agli stessi fatti, ricavo che:
“ Nel febbraio del 1945 i Partigiani della IV Brigata Garibaldi Apuana, distruggono una macchina tedesca sulla strada Castelnuovo Garfagnana-Fivizzano uccidendone i cinque occupanti. Nello stesso giorno una pattuglia della stessa formazione si scontra con i tedeschi nel paese di Agnino: sono uccisi un soldato ed un sottufficiale tedeschi. Il paese di Agnino è rastrellato e saccheggiato.”

I Tedeschi rastrellano e catturano fra gli altri anche quel partigiano che aveva sparato. Non essendo nativo della Lunigiana, ma del Sud Italia , per i caratteri somatici viene riconosciuto da un tedesco; tirato fuori dalla fila, tenta di scappare, ma viene immediatamente falciato con una raffica. Con la perdita della sua vita, fortunatamente, gli altri sono risparmiati.

Altra grande fortuna ebbe il paese di Agnino, quando fu bombardato, ma non riportò danni gravi..
A cosa mirasse quel giorno del 1945 l’aereo che improvvisamente picchiò sulla frazione della Villa non si saprà mai. Mirò alle case? A ad interrompere la strada al bivio per Quarazzana?
Fatto sta , che fortunatamente le due bombe caddero a una ventina di metri, sopra il bivio per Quarazzana e non causarono né morti né feriti, ma solo danni ai tetti delle case.
Ricordo ancora , nella mia infanzia alla fine degli anni 50 ,queste due enormi voragini dove noi bimbi andavamo a nasconderci. Poi furono successivamente coperte dalla famiglia Bardi quando costruirono nei pressi la loro casa.
Eppure, come in tante più importanti città, anche gli Agninesi avevano messo nel conto di doversi
proteggere dalle incursioni aree degli alleati e a tale scopo avevano, con non poca fatica, costruito due rifugi aerei scavando dentro la roccia.
Uno di questi era a circa 500 metri di distanza dalle ultime case di Piazza in località Narbia ? e l’ altro sopra la frazione del castello in località la Piastra . Entrambi potevano contenere qualche decina di persone. Ma fortunatamente non ci fu bisogno di usarli.

Giornate di immensa felicità ebbero poi a passare gli abitanti di Agnino quando nell’aprile del 1945, ormai alla fine della guerra, passarono i primi contingenti del reggimento Nippo- Americano
della 92’ Divisione “Buffalo” della 5° Amata Americana, che provenienti da Montecassino avevano ormai sfondato La Linea Gotica e stavano marciando verso Licciana Nardi – Pontremoli e la Pianura Padana.
Ed è ancora vivo nei vecchi del paese, il ricordo dei faccioni sorridenti dei neri, che offrivano cioccolata e sigarette e ricevevano in contraccambio abbracci, bicchieri di vino e frutta; il loro stupore nel vedere le donne che filavano la lana con la rocca o che tessevano la calza.
Più viva ancora l’ immagine del lungo filo del telefono che gli Americani stendevano per comunicare con le retrovie o dell’aereo “Pippo” che sorvolava sulla lunga fila di soldati.
Fu un giorno memorabile quello, giorno di grande gioia, dopo tanti di paura e di incubi.






IL BIANCO FANTE DI AGNINO

Veduta del Monumento ai Caduti di tutte le guerre sito presso la Scuola Elementare
Foto foto foto

Riporto l’ articolo (a cura Prof. Ezio Pandiani) della GAZZETA DI PARMA del 3/12/1968 allorchè alla presenza delle autorità provinciali e parlamentari si inaugurò il 2 dicembre 1968 il monumento: “ La popolazione della frazione di Agnino ha vissuto ieri una giornata indimenticabile piena di ricordi ed emozioni.Si è inaugurato infatti il monumento ai caduti di tutte le guerre, presenti le massime autorità della provincia ed i parlamentari della circoscrizione. Il monumento sorge vicino alla scuola elementare ed è opera dello scultore Berretta di Carrara e rappresenta molto bene l’ immagine del fante tradizionale; è stato voluto dalla Associazione Combattenti di Agnino che si era resa interprete dei desideri della popolazione.
Alla cerimonia rallegrata dalle note della banda di Moncigoli, erano presenti il senatore Alberto Del Nero, l’Onorevole Meucci, il Vice Prefetto comm. Valerio, il questore Dott. Ferraro, il Sindaco di Fivizzano prof. Moratti, il sindaco di Licciana, il dott. Pacetti, i consiglieri comunali prof. Chinca, cav. Ricci, Sig. Pelli, sig. Turcolini, avv. Ghinoi, il dott Belli, il sig. Furlan, il dott Vita, il consigliere comunale Pigoni, in rappresentanza della federazione provinciale combattenti e reduci e della Associazione Provinciale Nastro Azzurro, il maresciallo dei Carabinieri Gistri, con il brigadiere Bellocci, il dott. Mancini,ufficiale sanitario del Comune, il geometra Tonelli, capo dell’ ufficio tecnico comunale.
La cerimonia ha avuto inizio con la messa celebrata al campo dal parroco Don Ermenegildo Pietrelli. Successivamente il Sindaco di Fivizzano ha espresso un doveroso ringraziamento alle autorità intervenute, al presidente dell’ Associazione combattenti e reduci di Agnino, sig. Bonfigli, che con tutta la popolazione ha voluto che questo monumento venisse eretto proprio nel 50mo anniversario di Vittorio Veneto, soffermandosi sul fatto che il monumento sorgendo vicino alla scuola servirà di sprone e di ammonimento alle generazioni future.
Il discorso ufficiale è stato tenuto dal Sen. Del Nero, il quale dopo aver ricordato i fatti salienti delle ultime guerre ha detto che la cerimonia di oggi non vuole esaltare la guerra e il militarismo ma coloro che sono caduti per la Patria.
Ha preso poi la parola l’ onorevole Meucci rivolgendosi soprattutto alle nuove generazioni ed augurando ad esse che non abbiamo da ricorrere mai alle armi per difendere la libertà e la pace.
Al termine della manifestazione due bambini di Agnino, Pier Paolo Pigoni e Nadia Micheli dopo una breve e significativa poesia, hanno deposto un mazzo di fiori ai piedi del monumento.”


000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000


LE STATUE STELE DEL CIRCONDARIO

Le statue stele sono dette anche statue MENHIR dal bretone Men=pietra e hir= lunga o stele antropomorfe. Isolate o in piccoli gruppi sono state trovate in tutta Europa ed anche in altri continenti, ma è difficile trovarne una concentrazione tanto importante come quelle della Lunigiana. In Europa sono note 1500 stele e statue menhir e circa 600 sono attribuibili al periodo classico cioè al calcolitico: di questi un centinaio in Italia, metà delle quali in Lunigiana.
Per quanto riguarda quelle lunigianesi si è preferito chiamarle statue – stele invece che menhir proprio perché vogliono rappresentare l’immagine umana. Esse rientrano nel più grande fenomeno della cultura megalitica ( dal greco megas Lithos= grande pietra) che si è sviluppato in Europa occidentale a partire dal V millennio ed è perdurato fino alla metà del I millennio A.C.
Troviamo quindi statue stele, diversamente lavorate da luogo a luogo, nella Penisola Iberica, nella Valle del Rodano, a Sion nell’ Alta Savoia, in Bulgaria , in Romania, in Ucraina e in Crimea.
Le principali aree di ritrovamento in Italia sono: Aosta, Valtellina e Valcamonica, gruppo alpino Orientale (es. stele di Arco, di Val Venosta, di val D’ Inarco), gruppo dell’ area medio adriatica (zona marche), Gruppo pugliese ( in puglia es. Castelluccio dei Sauri), area etrusca (es. stele di Volterra , di Massa, di Vetulonia di S.Giovanni in Persiceto), gruppo sardo ( es. Laconi), gruppo della Lunigiana (del quale parleremo più sotto), e gruppo corso (famose le stele di Filitosa).
La funzione delle statue stele è ancora oggi molto discussa per la difficoltà di capire i riti e la spiritualità di popolazioni scomparse. In aree diverse, in zone anche molto lontane fra di loro questi monumenti hanno avuto funzioni e significati diversi che tuttavia sono essenzialmente legati al RITUALE FUNEBRE o al CULTO DELLE DIVINITA’.
Nel primo caso la statua stele rappresenta il segno tombale del capo o della famiglia seppellita.
Nel secondo caso la stele è l’ immagine del DIO, della GRANDE MADRE, O DEL CAPO TRIBU’ divinizzato e la cui immagine veglia sul villaggio, sui pascoli o lungo i tratturi percorsi dalle popolazioni dedite alla pastorizia.
Le statue stele sono state trovate casualmente, spesso lontano dal luogo originario e pertanto prive di quel contesto archeologico necessario per datarle. Tuttavia attraverso alcuni fortunati scavi e l’esame degli ornamenti e delle armi scolpitevi è stato possibile giungere a datazioni abbastanza precise. Queste sono nate in un periodo che va dalla fine del Neolitico (età della pietra) fino ad arrivare anche alla metà del I secolo a.C. La piena produzione si ha in Europa nel periodo ENEOLITICO fra il IV e III millennio a.C. detto anche ETA’ DEL RAME o CALCOLITICO. Anche se poi la produzione continua nell’ETA’ DEL BRONZO e nell’ETA’ del FERRO.
Ma veniamo a parlare delle nostra statue stele, cioè delle statue trovate nella VALLATA Del MAGRA. Qui in uno spazio di 30 x 40 chilometri se sono state trovate più di sessanta, ma mai una sola si è trovata oltre lo spartiacque che separa la Lunigiana dall’Emilia, dalla Liguria, dalla Garfagnana. E proprio questo è uno dei grandi misteri che le avvolge. Come mai non se ne è trovata una in Garfagnana che è poi un territorio molto simile?

Le statue stele della LUNIGIANA sono state classificate per l’ epoca di produzione in tre
gruppi (e questo per la prima volta dal direttore del museo civico di La Spezia prof. Ubaldo Formentini, scelta continuata poi dal Prof. Ambrosi, sindaco e fondatore del museo in Casola Lunigiana) e dal conterraneo studioso Emanuele Anati.



GRUPPO A - Tipo Pontevecchio,a profilo continuo, senza collo, spalla poco marcata. Il volto sempre a U. Il pugnale a lama triangolare portato sul davanti distingue quelle maschili da quelle femminili che hanno i seni rappresentati da due dischetti. Sono le piu’ antiche .Vanno dalla fine del IV alla prima metà del III millennio a. C.

GRUPPO B – Tipo MINUCCIANO. Con testa a semicerchio separata dal tronco mediante il collo. Quindi testa a “capello di carabiniere” che è una peculiarità SOLO DI QUELLE LUNIGIANESI. Anche queste, quelle maschili, hanno il pugnale tipicamente remedelliano e spesso portano sul petto un’ascia. Età del bronzo, intorno al II Millennio a.C..


GRUPPO C – Tipo Reusa o Bigliolo. Sono più statue che stele perchè sono lavorate su 4 lati, sono le meno numerose e le piu’ recenti. Portano armi ( impugnandole) e sono già dell’ età del ferro: pugnali , giavellotti e poche hanno iscrizioni in caratteri etruschi . (incisioni fatte successivamente quando gli etruschi avevano acculturato la popolazione indigena.).


Quello che dobbiamo rilevare subito a scanso di equivoci il collegamento delle statue stele agli antichi abitatori di queste terre: gli antichi Liguri che si insediarono in questo territorio
solo nel III- II secolo avanti cristo quando il fenomeno delle statue stele era già finito. Quelle dell’età del rame sono più antiche di 2000 anni dell’ arrivo dei Liguri!.
I Liguri erano un popolo costiero ( “ questi sono di stirpe diversa, ma simili per stile di vita, occupano la parte delle ALPI che si congiunge agli APPENNINI ed abitano anche un parte degli Appennini” -Erodoto ) che i romani riconoscevano come abili navigatori e pericolosi pirati. Strabone ci racconta che erano anche pastori e producevano miele, legname e cuoio. Posidonio ci dice che la caccia era la loro principale attività. Abitavano in villaggi, e si difendevano dagli attacchi nei castellari ubicati in alto ed in vista uno con l’ altro. Seppellivano i loro morti incenerendoli ed inumandoli in tombe a cassetta. (esempio Gennicciola di Podenzana). I Liguri diedero del filo da torcere più volte alle legioni romane che cercavano una via per raggiungere direttamente la GALLIA e la PIANURA PADANA che già possedevano. Fu solo nel 180 a.C. che le legioni romane ebbero ragione dei Liguri solo con la deportazione: fu così che oltre 40mila Liguri, nonostante le loro preghiere, furono deportati nel Sannio (Provincia di Benevento) ove mantennero per molto tempo le proprie tradizioni.
E’ nel IV millennio a.C. che il fenomeno delle statue stele ebbe la sua grande affermazione in Europa. Allora il clima era più caldo e umido di oggi, le foreste erano dense di querce, faggi, abeti e la nostra Lunigiana, territorio chiuso, protetto, con tanta acqua, con la presenza di arenarie affioranti, con le tre guglie delle APUANE che la dominavano (fra cui il monte SAGRO = Sacro da quanto tempo?) era il luogo ideale per la nascita di questo fenomeno.
Chi le ha fatte probabilmente abitava ancora nelle grotte di EQUI, inumava i propri morti nella grotta detta “Tana della volpe” ove sono stati ritrovati più di 17 corpi e decine di frecce litiche oltre che collane e manufatti in osso.
Le stele lunigianesi sono state trovate spesso nei castagni, questo si spiega perché il castagno si sviluppa in terreni acidi là dove è più facile trovare la pietra arenaria, ma ai tempi delle loro costruzione i castagneti, introdotti dai romani, non c’erano ancora. E questo abbinamento castagni statue stele farebbe pensare a chi sa quante stele ancora sepolte sotto le selve!


Il culto delle statue stele continuò fino al cristianesimo. Tanto che nel 658 d.C. il concilio di NICEA stabilì che le pietre pagane fossero distrutte, le immagini lignee bruciate e che sopra i loro siti fossero costruite delle chiese. Forse è per questo che nella chiesa di SORANO di Filattiera si sono trovate delle statue stele spezzate e poi murate, usate come architrave e una targa in marmo ivi murata dell’anno 753 d.C. riferisce di “ hic idola fregit”, e forse per questo motivo che spesso si ritrovano statue stele mancanti della testa perché distrutte per stroncare primordiali riti pagani. E forse ha tale origine la festa del paese di VIGNOLA di Pontremoli ove alla vigilia di S. Croce, il 3 di Maggio, gli abitanti del villaggio portano in processione dei PIPIN o immagini in legno che poi vengono riconsegnate al prete e al loro posto consegnati dei pezzetti di legno che vengono bruciati davanti alla chiesa. Simbologia della distruzione degli antichi idoli!.
Alcune stele, ritrovate in epoca recente, furono collocate dagli abitanti vicino alle chiese, simboli arcaici di antiche devozioni. Altre stele, ritrovate invece in epoca medievale sono state usate come stipiti di porte,(Codiponte) scalini, (Pieve di Sorano)o come materiale per edilizia (Montecorto di Agnino).





Storia delle scoperte

La prima stele ad essere scoperta fu quella di ZIGNAGO trovata nel 1827 e che attirò subito l’ interesse degli studiosi a motivo dell’iscrizione in caratteri etruschi: considerata in principio erroneamente come monumento etrusco, poi come cippo di confine e poi come divinità. Successivamente nel 1889, Cappellini scopre a 12 metri di profondità, mentre si costruisce l’ arsenale, due statue stele , poi smarrite, con vicine ossa umane. La presenza di queste due sollecitò successivamente alcuni studiosi ad ipotizzare che i costruttori delle stele lunigianesi fossero arrivati via mare (così come quelli che costruirono in Sardegna o in Corsica).
Riguardo sempre alle STELE LUNIGIANESI vi era un’altra ipotesi cioè che il popolo che le ha costruite derivi dall’area alpina ed abbia attraversato la PIANURA PADANA questo perché a Brentonico presso Trento è stata trovata una statua stele molto simile a quelle della Lunigiana.
La terza ipotesi considera che gli antichi lunigianesi siano una tribù autoctona, spinta all’interno da tribù più forti e che abbia acquisito e mantenuto la pratica delle statue stele.
Al momento attuale, non si può escludere nessuna delle tre teorie.


Nel 1910 le statue stele erano 17. Cominciarono le congetture, l’ abate Hermet pensava che fossero dell’età del ferro, Mazzini dell’età del bronzo, Cappellini alla tarda età della pietra. Per quanto riguarda l’entità etnica dei loro autori, all’inizio si disse che erano etrusche, poi celtiche. Dagli anni “30 si susseguirono scoperte ogni anno e nel 1937 erano diventate 32. Ci fu la stasi della guerra, poi nel 1948 Ubaldo Formentini elaborava per la prima volta la suddivisione nei tre gruppi tipologici A, B,C, che ulteriori scoperte non hanno fatto che confermare e questa suddivisione è stata accettata dall’AMBROSI e dall’ANNATI Emanuele.
Intorno agli anni “60 e “70 molti articoli e pubblicazioni furono fatte ( il CORPUS dell’Ambrosi è del 1972) per cui è subentrata nella popolazione locale una maggior attenzione e sono saltate fuori altre stele, cosicché nel 1977 erano diventate 52. Ad oggi sono oltre 60 sparpagliate nei vari musei: la stele di Zignago è a Genova, quelle di Pontevecchio furono portate al Museo Civico di La Spezia, poiché la provincia di Massa non aveva un museo,altre affluirono a Firenze, intorno agli anni 70 Ambrosi portò a Casola quelle trovate di recente. Finalmente nel 1975 fu inaugurato a Pontremoli nel castello del Piagnaro il museo delle STATUE STELE LUNIGIANESI, ove affluirono quelle di Casola e quelle trovate successivamente; ma ancora nel 1999 quando fu trovata la statua femminile di PERDETOLA sopra MINUCCIANO, benché si volesse portare a Pontremoli, fu dalla SOPRITENDENZA di PISA portata a Firenze.


Per quanto riguarda le misure la statua più grande è quella di BAGNONE che è alta metri 2,14 ; la più piccola è la PONTEVECCHIO N° 33 alta solo centimetri 43.
Normalmente le statue stele sono state ritrovate vicino a corsi d’ acqua(Es. Pontevecchio ).

Abbiamo detto che le statue potevano rappresentare luoghi di sepoltura come è il caso di SION in Francia, ma in quelle Lunigianesi, a parte il caso non documentato di La Spezia, non sono mai stati trovati resti di sepoltura. Mentre sono stati trovati ( es in Minucciano) frammenti ceramici che farebbero pensare a resti votivi offerti ai piedi di una divinità. Il problema del significato delle statue stele suscita ancor oggi dibattiti: sono stele funerarie oppure idoli, spiriti ancestrali o immagini di eroi? Le loro enigmatiche espressioni celano un messaggio che ancora oggi ci turba e che attira migliaia di turisti che vanno a visitarle nel museo del Piagnaro.




Armi e ornamenti delle statue stele:

Partendo proprio da tali particolari gli studiosi hanno potuto datare le stele della Lunigiana. Le stele si distinguono:
Maschili e femminili
Quelle maschili hanno sempre armi: pugnali o asce, mentre quelle femminili si caratterizzano per la presenza sempre dei seni e in qualche caso di collane e goliere (normalmente dell’età del bronzo). Le statue stele del gruppo C sono solo maschili.
Il pugnale è l’ oggetto più rappresentato, esso è generalmente triangolare a lama liscia e rileva analogie con quello trovato nella necropoli di REMEDELLO (Brescia) databile alla piena età del rame dai 2900 ai 2400 anni a.C.; in due stele quella di CANOSSA e GIGLIANA è rappresentato chiuso in un fodero quadrangolare.
Alcune statue stele, indifferentemente maschili o femminili, presentano ai lati del volto delle coppelle o cerchi rappresentanti probabilmente degli orecchini.
Nelle statue stele di tipo C appaiono anche perizomi triangolari, cinture, giavellotti ed asce.
Nella statua stele di LERICI appare anche un casco .


Tecniche di lavorazione

Nella quasi totalità delle stele lunigianesi il materiale impiegato è l’ arenaria e a seconda della dimensione il masso poteva superare i 300 chili. Sette statue sono superiori ai 300 chili per cui si è quasi certi che non sono stati trasportati ma utilizzati in loco. CON QUALI STRUMENTI DI LAVORAZIONE SONO STATI SCOLPITI?
Visto che gli strumenti in rame o bronzo non erano adatti a scolpire l’ arenaria che composta da sabbia di quarzo e felpati e miche è molto dura da incidere, venivano allora impiegati strumenti di pietra.
Di pietra era il percussore con il quale venivano creati dei crateri di roccia macinata.
Di selce era la lama dentata che veniva usata come sega, esempio per le piccole incisioni delle dita delle mani.
Un trapano era costituito da una selce montata su un bastoncino di legno che veniva ruotato con i palmi delle mani.
Ciottoli di sabbia più dura opportunamente bagnati servivano a levigare.
Oppure venivano usate punte di ferro acciaioso per le stele di questo ultimo periodo.

Vorrei qui riportare una breve descrizione del defunto Prof. Augusto Ambrosi :
“Per ragioni difficilmente determinabili nella Valle del fiume Magra e dei suoi affluenti si sono conservate immagini in pietra risalenti dalla tarda preistoria agli ultimi secoli che precedettero la romanizzazione (avvenuta nel II secolo a.C). Sono sopravvissute tracce di una grande religione che al superamento dell’età della pietra e al diffondersi di quella grande invenzione che furono i metalli, trasformò la pietra in oggetto di culto, in segno di memoria perenne capace di superare e vincere il tempo….. Che siano divinità vere e proprie o soltanto personaggi emergenti, guerrieri e grandi madri, che si volevano ricordare e commemorare, non ha molta importanza. Questa folla misteriosa e suggestiva, queste pietre, erano certamente monumenti nei quali si trasfondeva una carica di affetto e di amore che,in tutti i casi, doveva confluire in quell’acceso sentimento che oggi chiamiamo idolatria…..Dal III millennio a.C. fino alla romanizzazione le statue stele della Lunigiana, con le loro forme, con le diverse armi, con i differenti amuleti, riescono a darci preziose informazioni sulle popolazioni che le hanno pensate, che le hanno scolpite,che le hanno venerate e che le hanno distrutte”

Ho voluto qui riassumere, per far meglio comprendere al mio lettore, la storia delle statue stele Lunigianesi traendone da varie pubblicazioni ma specialmente dal libro “Antenati di Pietra” del Museo Civico Ubaldo Formentoni (Sp) con testi di vari autori e da “Le Statue Stele della Lunigiana” di Emmanuel Anati.
Ed ora vediamo la storia di quelle più a noi vicine.
Ai piedi delle colline che degradano da Agnino sono state scoperte 4 statue- stele e precisamente a Montecorto, a Bigliolo e a Moncigoli e Soliera. Quindi su questa fascia pedemontana che sta sui 200 metri sul l.m. abbiamo i maggiori insediamenti del periodo neolitico. Dobbiamo allora pensare che il territorio sovrastante non fosse abitato? Certamente sia per la boscosità sia per motivi climatici può essere che gli antichi Liguri Apuani risiedessero più in basso, ma la presenza del castellaro della Torre del Nocciolo e di quello del Monte Tergagliana (la cui presenza è stata descritta in una pubblicazione del secolo XIX ma che io non ho trovato traccia ) ci dicono che la nostra zona, anche per la vicinanza stessa, era quantomeno riservata a zona di pascolo o di caccia. Di caccia sicuramente lo era nelle epoche preistoriche, visto che proprio sulla Torre del Nocciolo il prof. Ambrosi ha lui personalmente trovato una cuspide di freccia con una tecnica musteriana, vale a dire di un periodo che va dai 70mila ai 30 mila anni fa.
Fatta questa premessa andiamo a vedere cosa si scriveva sui quotidiani (ritagli del tempo da me conservati) a proposito delle nostre statue.

MONTECORTO di AGNINO: scoperta nel 1981. La cinquantaseiesima della serie lunigianese. Sasso in arenaria di cm 48x43,5x16,5 molto eroso.
Sebbene sia solo un grosso frammento, acefala e sconciata in varie parti è chiaramente individuabile in un guerriero che tiene sulla mano destra un’ascia e sulla sinistra un lungo giavellotto. La possedeva da oltre 60 anni la famiglia dell’agricoltore Giuseppe Argilla. La singolare pietra, dopo essere stata sconciata e utilizzata come bozza in un vecchio edificio distrutto dal terremoto del 1920, era stata conservata in cantina e poi nell’aia davanti alla casa dell’Argilla. Più volte da parte di antiquari o soltanto di villeggianti quella pietra gli era stata richiesta, ma l’Argilla pur senza valutarne appieno il significato si era sempre rifiutato di cederla. Alla scoperta si è arrivati in questo modo: la scuola media di AULLA, diretta dallo studioso prof. Giulivo Ricci e da lui sensibilizzata, organizza la visita al museo di CASOLA particolarmente attrezzato dal Prof. AMBROSI quando era Sindaco del comune. Una delle insegnanti la sig.ra Giuliana Guastalli Bazzà, rientrata a casa, parla della visita al marito sig. Giuseppe Bazzà (commerciante in macchine agricole) e gli mostra una pubblicazione ove figurano alcune fotografie di statue stele. Il marito ha subito alla mente l’immagine di qualcosa di simile, un’immagine che ha visto tante volte a Montecorto nell’aia dell’amico Giuseppe Argilla. Si reca allora subito a Montecorto, in compagnia del prof. Cavalli direttore del Museo etnografico di Villafranca, che di statue stele ne ha trovato diverse. L’enigmatico guerriero era ancora lì, quasi in attesa di quel formale riconoscimento.
La stele viene portata al museo etnografico di Villafranca, per essere visitata dalle scolaresche e poi va a raggiungere le altre nel museo delle statue-stele di Pontremoli. La stele, come dice appunto il prof. Ambrosi all’epoca, è collocabile nel gruppo “ C “cioè appartenente alla serie più recente quella dell’età del ferro. L’ascia a tallone e il grosso giavellotto la datano in tal senso. E quest’ultimo elemento rappresentato da solo è un unicum. Le altre di questa serie, infatti, o ne hanno due di giavellotti oppure non ne hanno. L’unico rammarico dell’Ambrosi di non averla potuta trovare nel suo contesto archeologico.

BIGLIOLO: Scoperta nel 1975. Quarantottesima della serie lunigianese. Sasso in arenaria di cm 94x54x10 del peso di circa 110 chilogrammi. Rivenuta dal sig. Cesare Ravani e dal figlio Armando (mio compagno di scuola) mentre stavano dissodando con una ruspa il terreno del suocero Alcide Lucchesi in una zona poco distante da Bigliolo in località Belvedere detta anche “ ai falò”. Purtroppo i cingoli della ruspa hanno in parte cancellato il misterioso messaggio scritto in caratteri etruschi che si trovava inciso sulla parte destra del petto. Comunque integra nel resto. E’ maschile, è armata con una di quelle asce da combattimento di stile celtico, porta una cintura, e caso unico in questi monumenti, porta un perizoma a triangolo perfettamente equilatero. Si tratta di una stele appartenente al periodo più evoluto e più tardo, dello stesso tipo di quello di Reusa con la quale ha molti elementi in comune. La testa è a tutto tondo con caratteri naturalistici di grande rilievo.
Dopo quella di Zigzago e quella di Filetto II (Bocconi) questa è la terza ad avere un’intera parola incisa. Sebbene sciupata, alcune lettere sono perfettamente leggibili. Per i caratteri generali la stele può essere assegnata al V.- IV secolo a. C. e cioè precede di poco la romanizzazione delle Lunigiana. L’Ambrosi nota ancora come la storiografia romana ha sempre presentato i Liguri come “illetterati” ma evidentemente essi erano sempre in grado di fissare ad una pietra un loro messaggio, un nome, una dedica, un termine rituale che, come in questo caso, ci giunge intatto da una remota lontananza, ma che per una strana nemesi, un potente mezzo della nostra civiltà oblitera al momento stesso della sua scoperta. Conservata al museo del Piagnaro di Pontremoli, la statua è una delle più rappresentate nelle foto che le riguardano, tanto che nel 2005 si sono svolti a Bigliolo dei festeggiamenti, perché l’immagine di essa è diventata un francobollo europeo.


MONCIGOLI:
Moncigoli I: è un esemplare femminile integro, venuto alla luce nel Piano di Moncigoli. Misura cm 85 x 48 x 8 ed è conservato al Museo Archeologico di Firenze.



Moncigoli II: è un esemplare femminile mutilo. Non si hanno notizie del ritrovamento avvenuto all’inizio di questo secolo. Sasso di arenaria della misura di cm 57x43x12. anch’esso conservato al Museo Archeologico di Firenze.

Soliera Apuana:

Grosso frammento di statua stele, mutile e fortemente degradato, ritrovato in località TORSANO di SOLIERA Apuana. Misura cm 41,5 x 30x 12. Conservato nel museo delle Statue stele di Pontremoli. E’ la n. 54 della serie. L’autore del suo ritrovamento, ignaro di avere scoperto un reperto archeologico, iniziò a scolpirvi la bocca, gli occhi ed il naso. Per fortuna scolpì la parte posteriore della stele!

Non posso terminare questo capitolo senza ricordare la statua-stele da me riconosciuta e da me segnalata alla Sovrintendenza di Pisa.
Premetto che non ha a che vedere con il territorio di AGNINO ma ha che fare con la mia vecchia passione alle vicende storiche locali. Diciamo che già da ragazzo ho sempre guardato i muri, le pietre sui cigli delle strade sempre nella speranza di scoprirne una. Ebbene a 49 anni ho avuto la fortuna di incontrarne una e nella maniera più impensata.
Ecco la storia della statua stele di
PERDETOLA DI MINUCCIANO:

Quel giorno del 22 Giugno 1999 andai a trovare il mio cliente di Banca sig. Pasquino Poletti, che aveva da poco ultimato dei lavori in un’Azienda agrituristica. Il Poletti, un mese prima , aveva raccolto sassi per costruire un muro in un luogo sopra Perdetola di Minucciano a circa 900 m sul l.m., vicino al bivio per “ORTO DI DONNA”.
Siccome delle ruspe avevano sbancato un castagneto per farvi un’industria di lavorazione del marmo, i sassi non mancavano. Improvvisamente si era imbattuto in quel sasso lavorato, lo aveva caricato sul trattore e poi fissato nel muro di recinzione della sua proprietà, senza rendersi conto dell’importanza del ritrovamento né delle leggi che regolano la materia.
Sorprendentemente, alla distanza di 20 metri riconobbi subito l’originalità della statua. Mi avvicinai e ne ebbi la conferma.
Lavorai di persuasione per convincere il cliente a donarla allo Stato. Con la promessa di averne una copia, fu avvisata la Soprintendenza di Pisa nella persona della Dottoressa Paribeni, il prof. AMBROSI e alcuni miei amici fra cui Emanuele Bertocchi ed il maestro Testa . Una settimana dopo alla presenza di tutte queste persone festanti si analizza la statua: femminile, di tipo B, acefala, con ben visibile una buona porzione del collo dove si intravedono i rilievi di un collare ed è ben evidenziata la linea delle scapole fino alle dita della mano destra. Notevoli danni da graffio di ruspa nella parte bassa. Il seno di sinistra sembra scalpellinato ab antiquo mentre non ha danni quello di destra. Il terreno di ritrovamento si trova in provincia di Lucca ed è per tale motivo che non è stato possibile trasportarla al museo del Piagnaro di Pontremoli, fu invece portata a Firenze per restauri!
Caratteristica di questa stele: è la più alta e la più orientale fra quelle lunigianesi. E’ femminile, mentre le tre stele già note di Minucciano sono maschili. Nelle vicinanze è ubicata la località “Orto di donna”. Forse in un tempo remoto quella statua-stele femminile era in bella vista, oppure ne esistevano altre con tratti femminili per questo hanno battezzato il sito “orto della donna”!
La cerimonia di battesimo avvenne alla presenza del ormai vecchio prof. Ambrosi che si aggirava tremolante e commosso nel luogo del ritrovamento.
In data 26/07/1999 la Soprintendenza Archeologica di Firenze inviava al Sig. Pasquino Poletti e per conoscenza allo scrivente ed al Sindaco del Comune di Minucciano la seguente lettera:
“ A seguito della segnalazione da Lei effettuata attraverso il Sig. Rino Barbieri e del successivo sopralluogo della Dott.ssa Emanuela Paribeni, Archeologo presso questa Soprintendenza, e del Prof. Augusto Cesare Ambrosi, è stato possibile riscontrare che il frammento di statua stele da Lei recuperato nella località in oggetto è autentico e di grande interesse. Si tratta infatti della quarta statua stele rivenuta nel territorio di Minacciano ricadente in Lunigiana, mentre è la prima volta che la località di Perdetola/Betolleto si segnala per la presenza di questo tipo di monumenti che rendono del tutto particolare la storia più antica della Lunigiana. Confermando quanto già aveva prospettato la Dott.ssa Paribeni questo ufficio curerà il trasferimento della statua stele presso il Centro di restauro della Soprintendenza, a Firenze, dove sarà possibile eseguire fotografie e l’ intervento di ricomposizione della statua con i frammenti che Lei ha raccolto e conservato dimostrando senso di responsabilità e attenzione non comuni. Ritenendo di poter accogliere la Sua richiesta questo Ufficio provvederà a far eseguire una copia della statua che potrà essere collocata nella Sua proprietà. Il Soprintendente Archeologo – Dott. Angelo Bottini.”

Ancora oggi, molti studiosi ed appassionati non sanno di questo ritrovamento.
Purtroppo, ancora non è stata consegnata al Poletti la copia promessa!
Insisto nel ritenere utile a fini culturali e turistici che nel sito dove è stata trovata una statua stele ne sia collocata una copia. Cosi come riterrei utile a fini pubblicitari e quindi con ritorni economici, che su ogni passo ( es. al Cerretto, Lagastrello, Cisa, Lama Nera, Bratello, Spolverina ecc.) che porta in Lunigiana sia collocata una gigantografia fotografica di una una statua stele a significare l’ originalità del nostro territorio. Questo potrebbe essere un compito della nostra Comunità Montana.





oooooooooooooooooooooo



Pietro Leopoldo D' Asburgo Lorena - la LUNIGIANA con AGNINO

Figlio di Francesco di LORENA e Maria -Teresa d’Asburgo salì al trono di Toscana nel 1765, a soli 18 anni, e avviò un processo innovatore che lo fece definire " principe filosofo " e anche "principe illuminato".
Fu sovrano del Granducato di Toscana dal 1765 al 1790 quando poi succedette al fratello GIUSEPPE sul trono imperiale di Vienna. Il contesto storico illuministico in cui visse fu l’ispiratore delle riforme affrontate in maniera organica e maturate dall’esperienza personale. Egli rifiutava la tradizione e avversava i poteri tradizionali della Chiesa e della monarchia. Diede quindi seguito ad una vasta opera riformatrice in campo giuridico, economico e religioso. Circondandosi di validi collaboratori attuò provvedimenti atti a migliorare l’efficienza dello Stato e a contrastare i privilegi dell’aristocrazia e del clero. Dieci anni prima della presa della Bastiglia formulò nel 1779 una costituzione per la TOSCANA. Iniziò la bonifica della Maremma e della Val di Chiana, pubblicò il primo bilancio dello stato, riordinò la pubblica amministrazione, attuò la riforma del codice penale e quella tributaria. La codificazione del Nuovo Codice Penale nel 1786, ispirato alle idee del Beccaria, ebbe un’enorme risonanza mondiale perché per la prima volta era abolita la pena di morte, l’uso della tortura, la confisca dei beni dei criminali.
Inoltre soppresse antichi e consolidati privilegi feudali, come il “ maggiorascato” grazie al quale solo il figlio maggiore ereditava i beni della famiglia e abolì le immunità fiscali a favore dell'aristocrazia. La vera novità consisteva nel fatto che le autorità locali amministrative non erano più componenti dei ceti privilegiati, ma gente del popolo.
Ma prima di attuare tutte queste riforme questo principe illuminato, ha voluto rendersi personalmente conto delle condizioni in cui era il suo Stato. Iniziò allora a visitare ogni zona della Toscana e a redigere una succinta descrizione per ogni paese visitato.
Trovo molto interessante le annotazioni di questo intelligente e moderno sovrano. Vediamo di estrapolare qualche suo pensiero, così inizia: " La nazione toscana, che in genere è di talento, viva e dolce di carattere, è facilissima a regolarsi colla buona maniera..... Il carattere degli abitanti della Toscana è in genere dolce, docile, di poco coraggio,ma accorto, poco sincero,di molta finezza, portato all'interesse ed a cercare con raggiro di pervenire ai suoi fini; sono estremamente portati alla curiosità e ad indagare dei fatti altrui; sempre disuniti fra di loro, diffidenti ed invidiosi l' uno dell'altro, sfogano il loro cattivo umore in maldicenze, in ciarle, in calunnie ed intrighi di piccolissimo momento. Sono in genere piuttosto devoti, ma più attaccati alle pratiche esterne di religione che alla vera morale della medesima..... L' ozio regna in tutti i ceti, il gusto continuo per i divertimenti...... l’eccessivo lusso che regna nelle donne di tutti i ceti, molto superiore alla loro condizione ed entrate, sono la causa del libertinaggio" Per rimediare a questi inconvenienti, è essenziale, in quanto alla religione di rimpiazzare di mano in mano, in occasione di vacanze di vescovadi, vescovi dotti ed illuminati......
. Si dovrà " sopprimere i loro conventi e servendosi dei patrimoni dei medesimi per soccorrere i patrimoni ecclesiastici e gli ospedali....
E' essenziale di vigilare sulla scelta dei giudici, cancellieri e ministri dei tribunali di giustizia, procurando che siano persone di conosciuta abilità, talento, onestà e condotta, e d’invigilare sul contegno loro.....
E' essenziale di fare invigilare attentamente sopra i procuratori e loro contegno nella difesa delle cause, usando il massimo rigore contro i medesimi, quando o con raggiri o per interesse, prolungano le cause in pregiudizio dei clienti..............
Nella scelta degli impiegati è necessaria l' onestà, l' abilità e capacità queste sole qualità vanno avute in mira nella nomina, avanzamento e rimpiazzo dei medesimi, senza aver riguardo alcuno alla nascita, condizione, famiglia, bisogni, né anzianità di servizio, che non devono essere considerate che quando sono accompagnate dai meriti e qualità dette di sopra. Sarà bene che le provvigioni addette agli impiegati restino fisse, senza mai variazione alcuna per non guastare il sistema.
E' essenziale per chi governa di mostrarsi popolare, di salutare indistintamente tutte le persone, anche del popolo, di farsi vedere a piedi, d’intervenire alle feste popolari, ai palj, alle feste di ballo nel carnevale, ai corsi, alle pubbliche passeggiate; mostrando sempre di gradire tutte le attenzioni del pubblico e del popolo e di prendere parte a quel che gli fa piacere.
E' importantissimo di usare la maggior vigilanza per allontanare tutti i vagabondi, avventurieri, donne di teatro senza destino, pellegrini, ciarlatani,saltimbanchi, che sono sempre persone equivoche e pericolose, come anche i vagabondi forestieri, questuanti e simili vengano accompagnati al confine.
Chi governa in toscana è essenziale che ascolti tutti, riceva tutte le persone di qualunque ceto e condizione , dando udienza ugualmente a tutti, ascoltando tutti con buona maniera e pazienza, in specie la gente di campagna...... bisogna incoraggiare la gente, in specie bassa, perché non abbiano soggezione e di dargli con buona maniera tutto il comodo di esporre quello che vorrebbero... usando molta prudenza per non riscaldarsi mai, non lasciarsi preoccupare né prevenire, non esternare il suo sentimento negli affari."
seguono poi alcune considerazioni sul carattere dei toscani delle varie provincie.
"I Toscani hanno generalmente molto ingegno, vivacità e talento naturale, benché sia poco coltivato colli studi e coll’applicazione..... In Firenze la nobiltà è estremamente ignorante... unicamente occupata all’ozio,senza cultura né istruzione e generalmente con poco o punto onore. Sarebbe portata ad essere prepotente con il popolo... disprezzando e trattando tutti dall’alto in basso. E dunque non bisogna " mai impiegar in impieghi gentiluomini fiorentini, perché troppo facili a farsi dei partiti, a brigare ed a sfogare le loro private passioni e vendette. Sono (i nobili) superbi e falsi di carattere e credono che tutta la Toscana debba contribuire unicamente al piacere e vantaggio loro, come era al tempo di repubblica; e siccome è importantissimo di abolire questa massima e di procurare sempre il vantaggio alla campagna, giacché per mille ragioni i denari della campagna colano nella capitale. Per questa ragioni la nobiltà di Firenze è stata e sarà sempre contraria e nemica del governo......
Il popolo in campagna (fiorentina) generalmente è dolce di carattere, rispettosissimo ed obbedientissimo verso il governo ed i superiori, sufficientemente colto,di buona maniera, devoto, molto industrioso e laborioso."
Poi descrive della LUNIGIANA da lui visitata nel Luglio del 1786:
" La nobiltà della Lunigiana è sufficientemente istruita e buona, il popolo è industrioso, ma ignorante, armigero, portato al vino ed alle risse, non vi è secondo ceto, i preti sono in numero eccessivo, ignoranti e rissosi, dediti al vino e scandalosi." " Gli abitanti delle ville hanno molto timore della casa di correzione e di essere arruolati per soldati. Nelle terre di Fivizzano e Pontremoli è grande il lusso, le idee di nobiltà e l’inimicizia tra un paese e l' altro, come tra Albiano e Caprigliola, tra Fivizzano e Pontremoli . Uno dei gran mali di quella provincia è l' ignoranza, la passione del bere e di litigare per i più piccoli interessi con animosità e risse, i delitti che vi vengono commessi dai forestieri e la facilità che hanno mediante tanti feudi quelli che commettono dei delitti di potersi salvare, e finalmente l' eccessivo numero di preti, che è esorbitante, essendovi una specie di lusso di volere avere in ogni famiglia di contadino il prete.
Questi e quasi tutti i curati sono ignorantissimi, scandalosi, dediti alle donne e ubriaconi; si credono affatto indipendenti dal governo e disprezzano ogni castigo...... Questi preti si mettono poi a girare fuori della Lunigiana, nel Parmigiano e Veneziano, fanno il cappellano, mettono insieme dei denari e tornano a casa per convivere con i loro parenti contadini e fra i quali questo è una specie di commercio. A questo male, divenuto ormai insoffribile e della maggior conseguenza, va rimediato con sollecitare efficacemente a Roma l' elezione di un nuovo vescovo in Pontremoli che abbia sotto di se tutta la Lunigiana, con l' impedire al vescovo di Sarzana d' ingerirsi nelle cose di Lunigiana.....
Vi sono nella Lunigiana poche famiglie molto ricche, ma tutti sono possessori o più o meno, avendo ognuno le sue terre e castagneti in proprio, anche i più poveri.
Continui sono i progetti di fare strade in Lunigiana per la Lombardia, Modenese, Parmigiano e Fiorentino: a questi non gli va mai dato orecchio, si spenderebbero delle somme immense attesa la situazione locale e la Lunigiana non avrebbe che il vantaggio del limitatissimo transito che ha di presente anche quando avesse strade eccellenti, non avendo generi né prodotti da esportare.
I piccoli feudatari fanno continuamente delle vessazioni ed angherie ai loro sudditi: non occorre confondersi, la Lunigiana non sarà mai né potrà essere di più di quello che è presentemente."
(Fortunatamente per noi le cose andarono diversamente: nel 1830 fu iniziata la Reggio-Fivizzano-Carrara ultimata due anni dopo sotto il Regno di Leopoldo II. Nel 1867 fu fatta la rettifica Aulla –Fivizzano. Nel 1854 sotto il Duca Francesco V di Modena fu presa la decisione di costruire una strada fra la Garfagnana e Fivizzano, opera che verrà ultimata solo nel 1883. Nel 1870 era in costruzione la provinciale che univa Fivizzano via Agnino a Licciana.)
Pietro Leopoldo viene a visitare FIVIZZANO facendo la via di FOSDINOVO passando sotto l' arco di Caniparola e scrive: " Si lasciano a mano diritta le ville di Vinca, Uzzone, Ugliancaldo e Tenerano, i feudi di Aulla, di Olivola, di casa Malaspiana e quello di Gorasco di casa Corsini, e dietro Fivizzano si vede Signano e Pognana e da lontano i tre conventi soppressi dei serviti di S. Giorgio, Agnino, e Posara, stati soppressi dai frati medesimi per serbarne l' entrata a quelli di Toscana.
Fivizzano: La terra di Fivizzano è bella, ben situata, ben fabbricata con una bella piazza ed una buona fontana in mezzo alla medesima: fa 2000 anime. Il vicariato gira 30 miglia ed ha 50 ville vicino a 12000 anime. Tutto Fivizzano fa una sola cura, con una buona chiesa vasta e ben tenuta, nella quale vi è molta vanità e lusso nelle funzioni sacre, con spendere in parati, cere etc. Il preposto è il solo curato ed ha 50 scudi di congrua che gli dà il vescovo di Sarzana ed un solo cappellano con scudi 24.Il medesimo si duole che di 13 preti che sono in Fivizzano, nessuno vuole assistere la chiesa...... Vi è un convento di 7 agostiniani che uffiziano bene la loro chiesa a vantaggio del popolo. Fuori del paese vi è un convento con 16 zoccolanti i quali assistono al popolo e sono molto utili tenendovi sempre un lettore collo obbligo di far la scuola a 70 ragazzi del paese e legger filosofia ai chierici del paese.... Il camposanto fabbricato fuori del paese è in buon grado e ben situato.
Si fu a vedere il conservatorio di S. Maria della Verrucola, situato sopra un fiume tra due monti a un miglio e mezzo fuori di Fivizzano in un antico castello o sia rocca di un feudatario con una ventina di case di miserabili intorno ad una cura… La fabbrica è angusta, scomoda, fredda, cattiva, mal situata e mal tagliata, benché le mura siano forti.”
Il suo imparziale giudizio è ancora negativo dopo la visita al Cancelliere Chiari “ … gli estimi sono pessimi e confusi a segno che non vi si capisce più nulla e che presto bisognerà rifarli non conoscendosi più nei catasti né stime né cifre…. L’ archivio della cancelleria è in luogo angusto e in massima confusione ed è tutto mangiato dai topi”
Il conservatorio della Verrucola è ridotto a 9 velate e 6 converse, tutte vecchie, vi è solo una Vannucci di Pietrasanta donna capace e di spirito, essendo tutte le altre assai deboli.
Ad ogni problema presentato il nostro da anche delle soluzioni però quando gli si prospetta una strada carrozzabile “ per tutta la Lunigiana da Sarzana fino in Lombardia per Sassalbo” scrive “ su questo non va dato ordine nessuno, non potendo sussistere”.
Le posizioni di chiusura più completa sul finanziamento di vie di valico attraverso la Lunigiana sembrano , guarda il caso, quelle stesse che ha oggi la Regione Toscana sulla Direttissima, sull’ autostrada Modena-Lucca, sulla Livorno-Civitavecchia: passano i secoli, i regnanti, i governi ma la mentalità centralistica è rimasta!
Da Fivizzano il nostro Pietro Leopoldo si dirige verso Bagnone passando da Posara, alla Madonna di Moncigoli, alla Madonna di Soliera (ora Convento) “dove vi è un’immagine miracolosa in un oratorio “ si va verso Monti passando per Ponte” (Pontebosio), si tocca Merizzo e arriva così a Bagnone” che definisce “ Bagnone è paese povero, piccolo e brutto, non avendo né commercio né transito, e solo la piazza ed il borgo giù è buono” “ la chiesa è ben tenuta ma con troppo lusso di feste, lumi , musiche etc. a cui sono portati gli abitanti di Lunigiana e che andrebbe riformato”.
A proposito della chiesa di Bagnone sento qui il dovere di inserire una memoria storica del canonico Pietro Andrei (Archivio Storico di Massa -busta n. 7) il quale ci racconta che l'architetto costruttore della chiesa stessa fu lo scultore Pelliccia Gastone nato a Monti nel secolo XVII. Studiò a Roma, fece la chiesa di Pontebosio e quella di S. Stefano. Rifece più ampio e più comodo l'ospedale di Fivizzano fra gli anni 1654 e 1722. Infine, il canonico Andrei ci racconta che fu ucciso, mentre attendeva alla costruzione del palazzo marchionale di Aulla, da un muratore milanese per gelosia di mestiere e fu poi sepolto nella chiesa di Aulla.




Ritornando al nostro, Pietro Leopoldo prosegue la sua visita a Filattiera e poi a Pontremoli dove “ le case sono piuttosto pulite e la strada è bella; farà 4 o 5 mila anime. …. Vi sono molte famiglie nobili, di benestanti e molte di mercanti; i primi hanno molta aria e presunzione di nobiltà, vivono però con molta proprietà e senza lusso. I mercanti sussistono sul commercio di transito e deposito delle mercanzie tra Sarzana e la Lombardia; tutto il resto, alla riserva di pochi manifattori, è tutta gente bassa, ignorante,rozza dedita al vino, che campa con andare a opera. Il popolo, specie nella valle di Zeri, è armigero, poco dedito alla subordinazione, sussurrane e portato a fare dei complotti, il che proviene dalla facilità di andare fuori del confine. E anche qui “ Il numero dei preti è eccessivo tanto in città che in campagna”.
Di molte altre cose Pontremolesi si occupa e si interessa il nostro Pietro Leopoldo e lasciando La Lunigiana traccia questi suoi pensieri “ Continue sono le picche e gelosie fra le rispettive ville, al che bisognerà avere molta attenzione. Generalmente parlando, la migliore gente e più quieta, sì del popolo che dei benestanti, è nel vicariato di Fivizzano; i più poveri sono nel vicariato di Bagnone; i più comodi, ma il peggior popolo, è quello di Pontremoli, in specie la gente bassa,e cattivi , armigeri, rissosi, violenti e arbitrari sono quelli della Valle di Zeri e delle Ville di Filattiera, Guinadi, Gargalla, Rossano e Caprio.”

Quanto sopra è solo un sunto dei temi toccati dal Principe Pietro Leopoldo I di Lorena, ma credo che sia sufficiente per capire il significato indagatore dei suoi viaggi e sia una bella panoramica sulla Lunigiana del secolo XVIII. Ma vediamo che effetto questa visita aveva avuto.
Dobbiamo ricordare che dal 1477, dopo la dedizione alla repubblica Fiorentina di Fivizzano, era stato ivi istituto il CAPITANATO che governava sulla terra di FIVIZZANO e sulle sue CASTELLA.
TERRA E CORTE: cioè sulla terra di FIVIZZANO e sulla sua corte ripartita in quattro quartieri detti:
Guardia, comprendente Certaldola, Cagliano, Cerignano e Posara.
Verrucola, comprendente Collegnago, Uglianfreddo,Castelletto, Mommio, Signano, Verzano E turano.
Fittadisio, comprendente Arlia, Bottignana, Cotto, Fiacciano, Piastorla, Panigaletto, Pognana, Sassalbo e Quarazzana.
Montechiaro, comprendente Mazzola, Spicciano, Terenzano e Turlago

Facevano corona a Fivizzano i ventuno Comuni aventi statuto proprio denominati i CASTELLI del CAPITANATO e cioè: Agnino, Argiliano, Casola, Castiglioncello e Reusa,Collecchia, Cecina, Ceserano, Colla e Magliettola, Comano, Gassano e Groppoli, Groppo S. Piero, Isolano, Luscignano, Magliano, Montedeibianchi, Moncigoli, Regnano, Soliera, S. Terenzo, Tenerano, Ugliancaldo.

A seguito della visita sopra menzionata il sovrano Pietro Leopoldo I con motuproprio del 24 febbraio 1777 sopprimeva ben 31 comunelli (fra cui quello di Agnino) cioè Terra più i 21 comuni delle castella e compresi i 9 appartenenti alla Podesteria di Codiponte (cioè Cascina, Alebbio,Aiola, Equi, Monzone, Prato, Sercognano e Vinca), formando sulle rovine di questi la grande Comunità di Fivizzano che aveva una superficie di 265 Km.
A governo pose una Magistratura con titolo e nome di Gonfaloniere con l’ aiuto di 5 Priori e di 57 consiglieri uno per ciascuno dei comunelli soppressi. Consiglieri che venivano eletti in base al censo e alla capacità.
Quindi ogni frazione aveva il proprio consigliere ed era ben rappresentata.
Ma con la legge elettorale del 1865 che aveva introdotto nelle liste elettorali amministrative il contenuto delle politiche e quindi erano eletti n. 30 consiglieri in base ai voti ricevuti, ecco che la comunità di Agnino, prima fra tutte le frazioni, in nome anche dei sezionisti di Magliano e Canneto chiedeva il 14 novembre 1870 il reparto dei consiglieri per frazioni. Con successive istanze anche altre frazioni come Quarazzana, S. Terenzo, Bardine, Ceserano, Crespino, Gassano, Cecina, Cotto,Arlia e Bottignana avanzano la stessa richiesta. La commissione comunale all’uopo costituita emise però nel dicembre del 1870 parere contrario adducendo il fatto che quasi tutte le frazioni avevano comunque un rappresentante, che dato che il livello dell’istruzione era basso gli eventuali eletti non avrebbero dato affidamento, ma avrebbero potuto generare scompiglio ove era ordine e buona armonia. A far parte della commissione vi erano l’ avv. Pietro Arancini, il cav. dott. Leopoldo Barberi, l’avv. Vincenzo Coiari. A seguito di detta relazione il consiglio comunale adunatosi in seduta straordinaria, il 24 dicembre 1870 deliberò, con 12 voti favorevoli e 9 contrari, di respingere l’ istanza.
Ci fu un secondo tentativo nell’anno 1888 ma anch’esso naufragò per firme non autenticate dal notaio. Un terzo tentativo ci fu con la delibera del 12 agosto 1891 che approvava a che i consiglieri fossero ripartiti per frazione in ragione della popolazione. Ma tale delibera fu annullata dalla Giunta Provinciale Amministrativa in seduta del 11/11/1891.
Ricavo queste notizie da uno scritto in data 1914 del Silvio Andreani “ La miglior forma di rappresentanza per l’ amministrazione del Comune di Fivizzano”.
In detta pubblicazione l’ autore Andreani suggerisce delle riflessioni personali : “ La frazione che, nell’organismo amministrativo, è ciò che è la cellula nel corpo umano, costituisce il primo nucleo della attività economico-sociale nel Comune, ha una fisionomia propria, molte volte un dialetto, sempre abitudini e costumi speciali consacrati dalla tradizione storica… è un’unità costituita da più persone, che convivono in un medesimo luogo ed hanno interessi separati e distinti dagli altri centri. Siccome la frazione è istituzione naturale, è sempre esistita…. La troviamo nell’epoca greca e nella romana sotto il nome di Pagus, e la vediamo confondersi colla parrocchia nei paesi cristiani, per trasformarsi poi in comune nell’Evo medio.
L’esistenza di enti che abbiano in parte o tutti i diritti dei cittadini raddoppia e moltiplica le forze della nazione, essendo elementare che, oltre le energie intrinseche ad ogni individuo, si aggiungono le energie della collettività. Succede al contrario che, colle fusioni e obliterazioni di accentramento, raccomandate dagli economisti che , nel comune minuscolo, scorgono l’ impotenza a sostenere i gravi oneri per gli aumentati pubblici servizi, spariscano le responsabilità e l’ iniziativa individuali; e gradatamente, alla forza interna di espansione che è vita, va sostituendosi nella soddisfazione dei bisogni locali, il parassitismo delle oligarchie e delle clientele e la compressione burocratica che è morte.
Di qual tesoro di forze sane e rigeneratrici non ha fatto mai getto il legislatore, uccidendo la frazione!”
E continuava ancora “ io desidererei che il numero dei consiglieri da assegnarsi a un comune fosse proporzionale non solo alla popolazione complessiva, ma anche al numero delle frazioni che lo compongono, all’oggetto di evitare, in caso di reparto, l’ inconveniente gravissimo di raggruppamenti artificiali di frazioni che non hanno fra loro coesione di interessi e di tradizioni. Scendendo nell’applicazione del principio, il piano di reparto da adottarsi per il pletorico Comune di Fivizzano, dato il numero fisso di 30 consiglieri, potrebbe essere il seguente:
all. file






Il convento dei Cavaglini


Il soppresso convento dei Cavaglini apparteneva all’Ordine dei Servi di Maria, detti anche Padri Serviti.
L’ Ordine dei Servi di Maria è sorto a Firenze nel 1233, subito dopo i due grandi Ordini Mendicanti di San Domenico e San Francesco. L’ ordine si è formato quando sette mercanti fiorentini si sono dedicati alla vita contemplativa ed eremitica. Luogo del loro ritiro fu Cafaggio, dove attualmente sorge la Basilica della SS.ma Annunziata. In seguito, in cerca di maggior solitudine, si ritirano sul Monte Senario a 800 metri s.l.m. a 18 chilometri da Firenze. Ben presto nascono nuove comunità a Siena, Borgo San Sepolcro, Città di castello. Nel 1304 il Papa Benedetto XI approva la Regola dei Servi di Maria; a quella data l’Ordine contava 250 frati e 27 conventi in Italia e quattro in Germania. Ma alla fine del 1400 i conventi erano diventati 170 ed i frati 1200.Mentre alla fine del Cinquecento i conventi erano diventati 240 ed i frati oltre 1800.
Nel Seicento vede la figura emergente del frate Paolo Sarpi, fortemente osteggiato dalla Curia Romana specialmente per la sua Istoria del Concilio tridentino. Per cui nel 1652 il papa Innocenzo X dopo un rigoroso censimento degli istituti religiosi impone una loro ristrutturazione forzata; ciò comporta la soppressione di 102 conventi su 261 (ed in questo ne fa le spese anche il nostro dei Cavaglini). Nel Settecento i Servi raggiungono il più alto numero di unità (circa 3000) ma a fine 700 l’ Ordine conosce una serie continua di soppressioni , prima con Pietro Leopoldo, poi con Napoleone e quindi con lo Stato Unitario Italiano. Solo nel novecento l’ Ordine ha una espansione mondiale, nascono le Missioni dei Servi di Maria e le Fondazioni in Argentina, Canadà, Messico , Australia, Filippine, Ungheria , India ed Africa. Nel 1964 l’ ordine arriva a circa 1700 unità.
Ricordiamo che appartiene all’ordine dei Servi di Maria anche il santuario della Madonna della Ghiara a Reggio Emilia, ove fin dal 1600 è mèta di pellegrinaggi la famosa immagine della Madonna di Reggio rappresentante la Vergine Maria che adora il proprio figlio, con la scritta: Quem genuit adoravit ( Adorò colui che generò); la stessa immagine venerata nella Chiesa Prepositurale di Fivizzano già dal 1596.
Fatta questa doverosa premessa ritorniamo a parlare del Convento dei Cavaglini e riporto allora le scarse notizie da una pubblicazione del 1972 o quaderno n. 1 con il quale il frate Ubaldo M. Forconi iniziava (in ordine alfabetico) a parlare dei luoghi di presenza dei Servi di Maria.
Così scriveva “ AGNINO < SS. Annunziata>
Tra i monti della Lunigiana, di fronte al massiccio su cui si trovava l’ Eremo di S. Giorgio, ( su questo eremo vedasi nota a fondo) è Agnino piccolo Borgo di disagevole accesso. Due viaggi mi sono stati necessari per ritrovare le vestigia di questo piccolo Convento che della Sua Chiesa aveva fatto un Santuario, giacché non si trova nel Borgo ma in una valle remota e solitaria – lo raggiunsi finalmente il 4 aprile 1967 e potei prendere qualche fotografia di quel che restava. Se avessi avuto la fortuna di trovarlo un mese prima avrei potuto almeno fotografare anche la Chiesa mentre, quando la vidi io, per fatale coincidenza, era già fasciata dalle impalcature e manomessa perché si stava trasformando in edificio di abitazione civile dai proprietari attuali del luogo (nota dell’autore).
Rileviamo dagli ANNALI DELL’ ORDINE che nel 1517 tanto la Comunità di Agnino (Castello tra i monti della Lunigiana in Diocesi di Sarzana e sotto il dominio del Granduca di Toscana) ora nella Parrocchia di S. Michele Arcangelo di Agnino, Comune di Fivizzano, Provincia di Massa Carrara, Diocesi di Pontremoli, che il Sig. Pietro Angeli contemporaneo, donarono ai Servi di Maria un luogo non molto distante dallo stesso Borgo chiamato <Ai Cavaglini>.
Qui si cominciò la costruzione del Convento e della Chiesa per lo zelo dell’Ordine e specialmente del Padre Fra Francesco da Licciana, altro Borgo dello stesso dominio, e con l’ aiuto delle offerte dei fedeli.
Il tutto venne presto completato in modo semplice ed umile come del resto lo richiedeva l’ angustia e la piccolezza del luogo.
La Chiesa però venne costruita in modo più decoroso ed assai curata e consacrata alla B. Vergine Maria sotto il titolo della SS. Annunziata, l’Immagine della quale in pittura era profondamente venerata sull’Altar Maggiore per le innumerevoli grazie ricevute dagli abitanti della zona; tanto più che la tradizione asserisce la Sua Apparizione in un luogo vicino, in proda ad un torrentello, dove ancora si può vedere la figura della Madonna in bassorilievo di marmo; segno di questa devozione i numerosi ex-voto collocati nel tempio.
L’ immagine della Madonna con l’ Altare si dice trasferita in un’altra Chiesa delle vicinanze, ma non siamo riusciti ad individuare quale; (Si tratta della chiesa di Posara !) il marmo miracoloso si trova sempre al suo posto in un tabernacolo o tempietto in pietra costruito dai Frati dell’epoca.
Nel 1652 in data 1° ottobre, il Papa Innocenzo X sopprimeva tutti i Conventi di così poca importanza dove non si fosse potuta osservare la disciplina regolare; in un primo tempo furono inclusi in questo numero (furono 71 i Conventi soppressi per i Servi di Maria) anche i Monasteri di Marradi (FI) e di Agnino, ambedue col titolo della SS. Annunziata. Di fatto però del Convento di Agnino, per la Benevolenza del Vescovo e del Granduca, non venne mai passata ad altri la proprietà, finché l’ anno seguente 1653 fu riconosciuta l’ importanza della Comunità e della Chiesa e il 15 novembre la Congregazione ne reintegrò il possesso ai Padri Servi di Maria (nota: Ann. O.S.M. T. III – PAG 214).
Il Convento di Agnino risulta ancora nei cataloghi dell’Ordine fino a circa la fine del “700; scomparve certamente durante la bufera della soppressione napoleonica ai primi dell’ottocento; oggi, anche per la penuria di Religiosi, non avrebbe motivo d’ essere.
Prima di terminare, diremo che si riscontrano nelle strutture trasformate ad abitazione civile, numerosi elementi claustrali, come archi, pilastri, mura, finestre,ecc a parte l’ edicola dell’Immagine miracolosa.
Una cosa curiosa ho notato: una pietra marmorea che ora serve da scalino in una gradinata esterna e che porta una iscrizione scolpita così: < Sicq. Laeti PP. Sp. Bib.> che lascia in una incerta curiosità; dove era posta? Cosa voleva dire? Forse sulla porta della cantina? Forse voleva significare: e così i Frati contenti e felici (ivi) si rifornivano di spirito (vino)? O forse da qualche parte in chiesa ai piedi di un eventuale altare dello Spirito Santo?
Si può aggiungere, per finire, come la vita di questi Religiosi fosse di fatto quella degli eremiti perché si trovavano ad abitare in una zona ben lontana da ogni centro abitato ed in piena boscaglia; probabilmente i loro contatti con i Confratelli si limitavano ad incontrarsi qualche volta con gli eremiti del San Giorgio e certamente con i Frati del Convento di Corvaia. Il Priore di questo convento quando doveva recarsi al Capitolo Provinciale a Firenze, compieva l’ arduo viaggio, in genere, col Priore del Convento di Agnino: viaggio che spesso veniva interrotto a Pisa perché <per la piena D’ Arno> non si poteva passare e conveniva tornare a casa. (Nota:Dal 1° Volume Amministrativo del Convento di Corvaia a pag. 136 per l’ anno 1680: <E più spesi lire otto e soldi 16 per andare a Capitolo a Fiorenza, benché non potei andarci per l’ acque grosse d’ Arno, assieme al Priore d’ Agnino; spesi detti sette e mezzo nel calesso ciò tanto per uno con il Priore d’ Agnino, e non lo potessimo havere a meno, e soldi dodici spesi a Viaregio a far colazione et un giulio diedi a passare il Serchio che era grosso etc.>.
Devo fare notare che la località Corvaia è presso la frazione di Vallecchia in Versilia, ecco quindi che il nostro Priore del Convento dei Cavaglini aveva da camminare un bel po’ prima di avere un compagno di viaggio, poi sosteneva delle spese e qualche volta non arrivava alla meta!

La vita nel Convento non doveva essere facile, come si ricava da un lettera spedita il 23 aprile 1728 dal Frate Priore dei Cavaglini fra Antonio Carlini,( a proposito di un lascito di Giuseppe Sarteschi fatto nell'anno 1647, ai Padri dei Cavaglini, e per un contestato censo aperto a favore della famiglia Acconci con interventi pecuniari successivi di Terenzio Fantoni).Lettera che fu inviata al Conte Antonio Fantoni in Fivizzano (ritrovata in Archivio Storico di Massa – Fantoni busta n. 199):
“Ho inteso dalla Gentilissima Vostra,. ieri trasmessami, quanto occorre circa il consaputo affare del Capitanato, e la premessa che Lei mi fa di dovermi portare costì Lunedì prossimo, per discorrere unitamente col Ministro male intenzionato verso di noi, come benissimo mi accorsi ancor io, quando giorni fui ad informarlo delle nostre ragioni. In ordine al che io rispondo alla Vostra Illustrissima, e Le dico, esser impossibile la mia venuta da Lei, nel giorno di Lunedì venturo, a causa che io aspetto qui a favorirmi il Padre Teologo Garbi, che di presente si ritrova in San Giorgio da quelli Eremiti, e come egli ieri mi scrisse, dimani verso il tardi vole essere da Lei per riverirla assieme con la Signora, per poi dimani a sera portarsi qui, e Martedì rincaminarsi verso Pisa. Veda qual giorno li pare più à favore da Martedì in là, per l'accennata sessione e favorirmi di notificarmelo, non mancherò di venire.
Temo però assaissimo dell'esito poco felice, e di dover soggiacere ad una lite in cui si rende impossibile al Conto, al presente, imbarazzarsi per non havere danaro da spendere, in quest'annata così miserabile, in cui son necessitato comperare pane, e vino per il mantenimento dei miei religiosi Che così il mio Conto habbia da patire l'asciutto? gli converrà havere patienza, e quando sarà tolto tutto il modo di aiutare alli Religiosi del medesimo, inarboreranno la Croce e se ne anderanno processionalmente da chi si deve per implorare un aiuto o un accomodo. Vostra Illustrissima vorrebbe che noi principiassimo la lite con gli Acconci, ne io dicio di non volerla principiare, ma ad esso non si puole, perchè il Conto non ha un quattrino da spendere, anzi è in debito di più di 40 piastre. Se Lei volesse accettare le nostre ragioni che habbiamo contro l'Acconci , il Conto gliele cederebbe purché Lei lo rilevasse indenne e potrebbe guadagnare quella moneta che Lei dice di dover guadagnare. Se poi non le vuole accettare bisognierà che il conto suddetto soccomba al pagamento delle 200 piastre, in accomodo di tanto l'anno e non tutte in una volta, se qui ci hanno da stare Religiosi , essendo impossibilitato il trovarle senza che si vandano stabili, e per vendere questi, Lei mi insegna, aversi per scritto la debita Licenza. Insomma io non nego di volerla soddisfare a pagare il Capitaniato, dico bensì , che la minaccia di esecutoria che Lei mi fà, bisognierà che io la consulti con li miei Superiori, senza il consenso dei qualli, non posso fare cos'alcuna, per non soggiacere alli di loro castighi. Basta la discorre seco meglio a bocca. La prego perdonarmi l'incomodo e col farle umile (? illegibile), ansioso dei suoi pregiatissimi comandi, resto V. S. Obbligatissima

Umilissimo Fra Antonio Carlini Priore
Cavaglini, 23 Aprile 1728


Un'altra lettera, da me trovata in archivio Fantoni busta 248, datata 1755 è inviata dal Padre Giuseppe Maria Baroni dal convento di Cavaglini a Lodovico Antonio Fantoni (il padre del poeta Labindo) e ci fa capire le non ottime relazioni dei Padri dei Cavaglini con il Priore di Agnino, a quel tempo Don Andrea Ambrosini perchè così riporta:

“Avendo presentito che il Sig. Rettore di Agnino, mediante il suo nipote Bartolino abbia interposto il patrocinio di Vs/ Illustrissima, stante alcuni interessi già purificati per Sentenza che ha con questo Convento, questa sembrandoli ingiusta, vuole appellarsi a Firenze, credendoli poterla superare mediante la Sua protezione. Il nostro Convento e la religione tutta professa infinite obbligazioni a Vostra Illustrissima, e dal nostro Padre Generale ne fu dichiarato il Protettore, onde voglio sperare , che non sarà per far cosa, che possa apportar pregiudizio a questo povero convento, per secondare le idee stravolte. E disdicevoli del detto Sig: Rettore, avendoci fatto tribolare un anno intiero senza concluder mai cosa alcuna, negando sempre l'evidenza, come meglio potrà Vostra Illustrissima informarsene, e dal Sig. Vicario. E dal Sig. Battini, che hanno vedute e considerato tutte le chiarezze e sopra quelle rettamente giudicato.
Condoni vostra illustrissima l'incomodo che gli ho recato, e con rassegnarle i più umili ossegui tanto del Padre Naldini, che del padre Nobili, e di tutti i religiosi con divota stima mi do l'onore di dirmi


Di Sua Illustrissima
Cavaglini 9 marzo 1755

Umilissimo Devotissimo Obbligatissimo Servitore
Frà Giuseppe Maria Baroni

Un'altra lettera del gennaio 1702 che ho trovato il 24/04/07 riporta:

“Il Priore e Frati de' Servi di Agnino, distretto di Sarzana riverentemente espongono alla E.E. Vostra come ex persona di un Pre Sacerdote figlio di Detto Conto, possiedono in Escaro una certa stanza tutta in malo stato, bisognosa di risarcimenti, né torna il conto a resarcirla, perché anco è difficile a trovare d'appigionarla ed è di valore scudi Diciotto, moneta romana incirca: supplicano pertanto umilmente E.E.V.V. D'opportuna licenza di poterla vendere, e con retratto rifabbricare un'altra casetta pel ricovero del Bestiame, di che ne hanno necessità.”


Altra notizia riguardante il Convento dei Cavaglini la ricavo dalla “Storia di Fivizzano” del Don Michele Mascardi che la scrisse quando era parroco alla Pieve di Vendaso; è del 8/07/1784 e così specificata “ Si ordina (a Fivizzano) la fusione di una campana grossa detta campanone per l’orologio pubblico da porsi sul campanile della parrocchiale. Si dovettero chiudere finestroni sotto il palco delle campane e porvi l’oriolo con la mostra di 12 ore e trasportarvi in detto posto l’oriolo per farlo battere da più vicino nella campana detta e riattare l’orologio alla francese. Per fondere la campana grossa furono ricercate le campane delle già soppressa Compagnia di santa Elisabetta esistente in detta terra e di altri luoghi onde mettere insieme la quantità necessaria di bronzo. In quella circostanza fu ritirata anche la campanella del tribunale che ebbero di Frati di San Francesco nello decorso aprile del peso di libbre 35 ed ebbero, in cambio, la campanella che la Comunità aveva comprato del soppresso convento dei Servi di Maria dei CAVAGLINI del peso di libbre 132 senza riparazione e ciò per opera ed impegno dell’Ill.mo Sig. Francesco Giuseppe Adami Gonfaloniere dell’attuale magistrato e sindaco del convento. Questa campanella detta della Consolazione fu tosto messa dai frati in campanile. La campana grossa pesava 60 pesi.”

Siccome la Libbra di Fivizzano (divisa in 12 once) valeva grammi 325,90, le 132 libbre della campanella corrispondono a 43 chilogrammi ! Se consideriamo i pesi era invece di 48 kg.

Ricordo le misure di Fivizzano:
Peso di Fivizzano : kg. 8,148
Braccio mercantile: 72,58 centimetri
Soma per aridi –n.4 secchie di Fivizzano: 126,64 kilogrammi
Soma per liquidi –n. 2 barili : 65,63 litri
Barile da vino : 32,81 litri
Pertica di 6 braccia : metri 3,40
Braccio da legno : 48,63 centimetri
Braccio per fabbriche : 58,36 centimetri
Braccio quadrato : mq. 0,34
Oncia (divisa in 24 denari) : grammi 27,16

Ritornando al nostro convento dei Cavaglini, conosciamo che lo stesso con tutte le terre annesse fu comprato nel secolo XVIII dalla nobile famiglia Fantoni di Fivizzano.
Una mia ricerca nell'Archivio Storico di Massa ove è concentrato l'archivio Fantoni ha potuto appurare che la filza n. 170 di detto archivio riporta dettagliatamente i beni fondiari del soppresso convento dei PP de' Cavaglini, per il quale il conte Agostino Fantoni ne pagava dal 1786 “le comuni gravezze”. Vi sono elencati ben 56 campi con relativi confini e coltura, tutti ubicati nella Comunità di Agnino; aggiungendo poi quelli della Comunità di Soliera si arriva a un totale di ben 88 campi.
Fra le sparse carte ho trovato anche un foglietto scritto dal Conte Agostino FANTONI ( che era nipote del poeta LABINDO – GIOVANNI FANTONI e figlio del Luigi Fantoni- accademico dei Georgofili. Che fu anche Maire di Fivizzano, Commissario Regio all' Isola D'Elba, Maire di Pistoia) nel quale gettava giù le seguenti parole che dovevano scolpirsi su una lapide, che forse è anche stata apposta, ma sicuramente oggi smarrita.
Lo scritto è successivo alla morte della di lui moglie Marianna Vallisneri nativa di Reggio Emilia ma deceduta a Fivizzano, subito dopo un parto e a causa di cancro all'utero.
Così scrive il Conte Agostino:
“ A Lode, Onore, e Gloria
di questa miracolosa Immagine
Della Madonna de' Cavaglini
Il profanato, e distrutto Santuario
Alla Venerazione dei Fedeli
Lodovico Agostino Fantoni
Nuovamente Restituì”
e subito dopo:
“ A Dio Massimo Onnipotente
Quest'atto di pietà
In suffragio dell'Anima
Della Dilettissima sua Consorte
Marianna Vallisneri di Reggio
Offre e consacra”



Abbiamo già detto che l'altare della Chiesa dei Cavaglini è stato portato nella Chiesa di Posara questo perchè a Posara doveva nascere il nuovo Convento di San Colombano, sempre dell'Ordine dei Servi di Maria, ma le vicende napoleoniche sviarono il progetto.
A precisazione di questo, un documento conservato nell'Archivio di Stato di Massa (Arch. Malaspina di Olivola Busta n. 8 fascicolo 37) ci fa conoscere che il 21 Giugno 1784 regnando sul Feudo di Olivola-Pallerone il Marchese Carlo Malaspina una diatriba si aperse fra il legale rappresentante del soppresso Convento di Posara detto ancora dei Cavaglini ed il Marchese Carlo.
Motivo della discordia era stato l'incameramento da parte dei Malaspina delle terre appartenenti al Convento e poste nelle pertinenze di Bigliolo e precisamente del podere “Montebarelli”.
Con mandato del 16/07/1783 il Padre Filippo Maria Battini aveva avuto la facoltà di potere allivellare, vendere e gestire tutto il patrimonio del soppresso Convento di Posara-Cavaglini; mandanti e testimoni, tutti Servi di Maria, sono Padre Giuseppe Maria Donati, Padre Federico Bertini, Padre Pietro Braccini e Dr. Benedetto Rosignoli – Priore Provinciale.
Con successivo documento del 22 maggio 1784 il Padre Filippo M. Battini si impegna “a pagare scudi 34 moneta di Fivizzano annualmente e perpetuamente” al Marchese di Olivola a pagamento della restituzione dei beni di Montebarelli incorporati nel Marchesato e che a seguito di tale impegno annuale perpetuo venivano restituiti.
Tale somma era da pagarsi al Parroco pro- tempore di Olivola e dovevano servire per la scuola di Olivola, Pallerone e Bigliolo allo scopo “ dell'ammaestramento e cristiana direzione della Gioventù”. Siccome poi il Padre Filippo Maria Battini decideva di “allivellare o vendere tutti i beni in Lunigiana stante la detta soppressione”, il Marchese Carlo Malaspina, ancora prima della soppressione della dignità Feudale, concorda tale facoltà a condizione che, “ una volta tanto siano pagati al Marchese Carlo o successori scudi 1000 di detta moneta, e fuor di ogni spesa, et aggravio e fatto tale pagamento come sopra, cessi l'annua responsione delli scudi 34 e resti allora sciolta ogni obbligazione riguardo alli medesimi, e quali scudi 1000 sia in facoltà di detta Religione di pagarli ancorché non alienasse”. Ed ancora “il sopresso Convento in occasione di essere liberato dalle gravezze della Camera Marchionale, assume il peso di una messa cantata da Requiem l'anno in suffragio delli pij e fedeli Defunti della prelodata Casa Malaspina”.
Le presenti note si sono potute ricavare in base ad un estratto copia fatto dal Notaio Niccola Baffi di Fosdinovo sui Pubblici Registri del Notaio Cesare Maria Vallerini allora Podestà di Pallerone.

Ritornando all'edificio convento dei Cavaglini, questo ha subito profonde trasformazioni architettoniche che hanno cancellato l’impronta di eremo a cominciare dalla prima, richiamata dallo scritto del frate Ubaldo Forconi, eseguita dalla Famiglia Palmieri, poi dall’acquirente successivo che la trasformò in casa di vacanza e poi ancora dagli attuali proprietari che hanno aggiunto anche la piscina. Solo la suggestiva cappella con la cinquecentesca immagine marmorea in riva al fresco canale “ del Latto” è rimasta la stessa.

Eremo di S. Giorgio

Lo scritto del frate Ubaldo Forconi dice essere Agnino di fronte al massiccio ove si trova l’eremo di S. Giorgio; è come se dicesse che Agnino si trova di fronte al Pizzo D’Uccello in quanto l’eremo Di San Giorgio, appartenente anch’esso all’Ordine dei Servi di Maria, sorgeva su uno sperone di roccia fra i paesi di Vinca ed Aiola a circa 3 chilometri sopra quest’ultimo. Il convento era situato a 900 metri sul mare ed era un superbo edificio a due piani che occupava una superficie di 800 mq.
Di questo non rimangono oggi che poche macerie, alcuni archi e pietrame sparso sui fianchi del monte.
Lasciamo da parte le leggende che circolano sul suo fondatore che si sa di certo essere il nobile veronese Matteo Filippo Caldani, il quale amico del notaio Ascani Prospero di Monzone nell’andare a caccia su quei monti aveva scorto un piccolo oratorio dedicato a San Giorgio martire. Quando Il Caldani fu toccato dalla grazia divina si raccomandò all’amico notaio per avere dal vescovo di Luni- Sarzana il permesso di andare ad abitare, per motivi spirituali, presso l’ oratorio. Il vescovo glielo concesse e gli promise la sua assistenza.
Lasciata Verona il tenace Caldani arriva alla meta il 20 agosto 1604. Cambia il suo nome da Matteo Filippo per prendere quello di Fra Giovanni Maria, sì da alla vita eremitica e con altri confratelli fonderà e costituirà l’ Eremo di San Giorgio dove vivrà per il resto della sua vita fino a morire a 86 anni nel 1659.
Passò tutta la sua vita in una straordinaria austerità, passava la notte in preghiera per poi il giorno lavorare come manovale all’opera conventuale. Con l’ aiuto della provvidenza, delle elemosine dei valligiani, delle cospicue ricchezze ereditate dalla mamma, dell’aiuto d’altri eremiti che a lui si erano uniti quali prete Diodato, Paolo di Vinca, Giovan Battista da Monzone, Michel’Angelo da Cascina riusci nell’opera intrapresa. Infatti già nel 1609 il Pontefice Paolo V concedeva indulgenza ai pellegrini che si fossero recati al Monastero di S. Giorgio. Nel 1613 venne costruita la Cappella in onore di S. Barbara a spese del vescovo Salvago che così volle sciogliere il voto fatto quando si trovava in galera nelle mani degli eretici a Gratz. Avviene poi nel 1617 un tentativo di unione con i Camaldolesi, ma dopo 10 mesi di convivenza i frati camaldolesi se ne vanno. Esito più favorevole hanno invece le trattative tra San Giorgio e Monte Senario sopra Firenze: dal 1627 San Giorgio farà parte della Congregazione degli eremiti di Monte Senario fino alla soppressione di questi due eremi nel 1778. Verso la fine del “700 l’Eremo con la sua chiesa erano imponenti ed armonici. L’ Eremo costruito su uno sperone di roccia battuto da freddi venti di tramontana e libecci di una violenza paurosa, tanto che le celle poste a mezzogiorno vennero abbandonate e presto cominciarono ad andare in rovina come pure le pitture della Chiesa . “ Il piano terreno dell’eremo si estendeva su due corridoi in forma di croce perfetta: nel braccio verso levante si trovava la cucina con in fronte il guardaroba, in quello verso settentrione la dispensa ed il refettorio; questo aveva la capienza per ventiquattro posti ed era ben affrescato da pittori di chiara fama; tutta la parete interna dell’ ingresso portava la figura della cena del Signore di Matteo Roppelli decorata a fresco da Stefano Lemmi da Fivizzano, mentre la parte di fondo rappresentava, sempre del Lemmi, il popolo ebreo idrolatante il vitello d’ oro mentre Mosé riceve le lapidi della legge sul monte Sinai. Il piano superiore comprendeva le celle dei Frati e la libreria, questa arredata da scaffali in noce lavorati con molta maestria. …. Le celle erano così disposte: otto dalla parte di mezzogiorno; tredici dalla parte di tramontana, anch’esse costruite interamente a volta; in fondo un appartamento privato, fabbricato a spese del Conte Fantoni di Fivizzano, costruito per suo uso e per i suoi eredi… ed infine, di fronte a questo, dalla parte di levante sopra il loggiato della Chiesa altre tre piccole cellette: Di fronte alla scala che sboccava in detto corridoio chiamato il dormentorio, era collocata una graziosa immagine di Maria col Bambino in Braccio in terra cotta pitturata a fresco da Antonio Conestabili. Annessi al Convento, con lavori audaci e particolarmente gravosi data l’ impennata della montagna intorno all’edificio, si erano ricavati ampi campielli coltivati ad ortaggi sostenuti da muraglie di grossezza fenomenale. Passiamo ora alla descrizione della Chiesa che fu iniziata usufruendo di parte dell’antica chiesetta già esistente dedicata a San Giorgio; questa, che conteneva l’ immagine di San Giorgio in bassorilievo di marmo (che è posta oggi sul portale della chiesa Parrocchiale di Aiola), diventò il fulcro intorno al quale si sviluppò il corpo della nuova Chiesa che venne terminata in sei anni di lavoro e l’ aggiunta di quattro cappelle laterali, due per parte. Le due ai lati della Cappella Maggiore formavano la Croce della Chiesa, le altre nel corpo della Chiesa dedicate a S. Filippo Benizi l’ una e al parto della Vergine l’ altra, con una tela di Stefano Lemmi rappresentante lo stesso mistero; delle due Cappelle formanti la Croce una era dedicata ai Sette Beati Fondatori dei Servi di Maria ornata da una tela del fiorentino Antonio Pillori, l’ altra alla Madonna Addolorata con tela del Filippi di Sarzana. L’ Altar Maggiore era consacrato al glorioso Martire San Giorgio Protettore e Titolare dell’Eremo. La Chiesa era divisa in quattro arcate per parte, sostenute da otto colonne lavorate a scalpello con basi e capitelli d’ ordine toscano.
Nel mezzo della Chiesa, secondo l’uso eremitico, si trovava il sepolcreto per gli eremitici, i resti dei quali, per quanto ne sappiamo, non sono mai stati rimossi e dovrebbero ancora trovarsi sotto il cumulo di macerie esistenti; tale sepolcreto era tutto scavato nella roccia che forma il monte. Dinanzi alla facciata della Chiesa per tutta la lunghezza si apriva un ampio porticato sostenuto da quattro pilastri in pietra scalpellata riquadrati con tre spigoli ad ogni angolo e le mostre interne ed esterne; lavoro in ordine toscano, meno il cornicione in ordine ionico. Per il lavoro della facciata venne spesa una cifra enorme se si pensa che era stata stimata da diversi periti per una somma di circa 4.000 scudi dell’epoca. Prima di salire il gradino del presbiterio verso mezzogiorno si apriva la porta della Sacrestia d’ ingresso all’interno del Convento….. Così ha termine il racconto della storia di San Giorgio. In quel tempo gravitavano intorno a San Giorgio diversi ospizi minori quali quello di Posara (o Cavaglini), Strada, Torrevecchia di Fosdinovo. Per la vita monastica ed eremitica i tempi alla fine del “700 si facevano difficili a causa dell’intromissione del potere civile nelle cose religiose.
Avvenne quindi che il 3 settembre 1778 il papa Pio VI° sopprimeva la vita eremitica di Montesenario e quindi trascinando alla morte anche l’ Eremo di San Giorgio. I padri eremitani dei Servi di Maria furono costretti a trasferirsi altrove: la comunità di Fivizzano supplicava il granduca lorenese di concedere loro la chiesa curata di Posara per erigere colà un nuovo convento; il che fu permesso con rescritto sovrano del 15/11/1779, ma nel 1784 la costruzione dell’edificio iniziato rimase interrotta. E’ lecito supporre che almeno qualche religioso in qualità di custode rimanesse sul luogo (dell’eremo) per salvare il salvabile finché non venne dato il colpo di grazia con la soppressione napoleonica degli Ordini religiosi all’inizio del XVIII° secolo o forse con quella dello Stato Italiano del 1866”.
A proposito del Conte Fantoni ed i suoi rapporti con l'Eremo trovato in Busta n. 206 dell'archivio Storico di Massa il seguente documento che ho trascritto:
“AVE MARIA S. Eremo di San Giorgio 24 Novembre 1753
Si fa piena, ed indubitata fede da me infradetto Scriba del Capitolo, che nel libro capitolante segnato C. A116 si trova registrato l'infradetto partito del sopradescritto.
Adì 7 settembre 1753
Avendo il suddetto R. Padre Vicerettore radunato il Capitolo conventuale colle solite formalità, dopo le solite preci, espose che l'Illustrissimo Sig. Conte Lodovico Antonio Fantoni di Fivizzano bramoso di verità ogni anno al nostro Santo Eremo, per godere la solitudine, ed attendere agli Esercizi Spirituali, gli avea fatto la richiesta che gli fosse permesso dagli R.R.P.P. Vocali di far terminare perfettamente l'ultima stanza del Convento, con farvi fare a sue spese una Finestra grande a levante, la volea, con due catene e chiavi di ferro, ed un camino, farla mattonare, e di poi mobiliare con tutto il bisognevole, per servirsene in quel tempo, che si potrebbe starsene colla Famiglia Religiosa, a denota delle nostre Costituzioni, pagando ancora la sua dozzina a disposizione della dimora, e considerando i Padri che ciò rindondano in Beneficio, ed aumento dell'Eremo, tanto per lo spirituale che per lo temporale, risolsero di concedere a questo Signor Benemerito della nostra Religione, ed assicurare quella Stanza , per suo servizio e dimora in ogni caso, che gli piaccia venire a passare alcuni giorni con noi, colla riflessione che così detta libera l'Infermeria, e la Foresteria, che in sua venuta sempre starebbe occupata, e mandatone il Partito, restò vinto con tutti li voti favorevoli in numero di cinque, e nessuno contro. In fede di che si sono qui sottoscritti tutti li Padri vocali: Io Fra Agostino vicerettore approvo, Io fra Bonagiunta approvo, Io Fra Giovacchino approvo, Io Fra Filippo approvo, Così è Fra Paolo suddetto Scriba del Capitolo mano propria ed essendo quanto la verità hò munita la punza col Sigillo del mio ufficio In Fede.”
Ma che vita si svolgeva nell’Eremo di San Giorgio? Ebbene abbiamo una lettera scritta da Frate Benedetto che scrivendo all’amico frate Vincenzo Mellini, conosciuto a Montesenario ed in quel momento residente nel convento di S. Giuseppe in Innsbruck (Austria) intorno al febbraio del 1632 trattava dell’eremo di san Giorgio dove egli abitava assieme ad altri otto eremiti., Era loro superiore lo stesso fondatore fra Giovanni Maria Caldani e tutti erano impegnati a fare i muratori e i manovali nella costruzione dell’eremo.
La vita al piccolo convento dei Cavaglini non doveva essere molto diversa da quella sotto descritta.
Tralascio una gran parte iniziale della lettera, quindi fra Benedetto parla del fondatore fra Giovanni Maria con queste parole: “ Il suo dormire era in terra sopra le tavole nude e con una sola coperta, e così osservò per 25 anni anco quando per necessità usciva dell’eremo. Il mangiare per due anni che stette solo, furono herbe, frutti e legumi;cominciò poi ad avere de’ compagni e per amor loro allargarsi alquanto,non però mai per lo spatio di 25 anni comparì se non vivande povere e grosse, né mai si comperò per servitio loro carne né pesce. Il suo trattare era libero e schietto, accomodandosi alla qualità e comodità di ciascuno e cercando di giovare a tutti con avvertimenti e parole di salute. In questa maniera il nostro Padre Giovanni Maria acquistò non solo la benevolenza del popolo, ma ancora grand’ oppenione e stima, dando egli di tutto l’ onore a Dio e l’ utile alla fabbrica di San Giorgio, la quale ridusse in assai buona forma di chiesa, campanile, celle et altre officine ad uso e capaci di dieci o dodici eremiti. Osservava alcune regole e modi di vivere religioso datoli dal vescovo, stando sotto la sua obbedienza……. Et adesso è nostro rettore e tutto intento a perfezionare l’ opera incominciata….. Per questo cominciammo anno passato una buona fabbrica, in pro et utile della quale facciamo il nostro esercizio, perché chi fa rena, chi con gl’ asini la conduce , chi aqua dalla fontana,la quale habbiamo un poco lontanetta, come sarebbe dall’eremo di Monte Senario all’orto vecchio, chi mura, chi fa il manuale. In somma, dopo l’opere della chiesa tutti ci occupiamo in questo, imitando San Francesco di Paola che nell’edificazione della sua chiesa faceva il medesimo, perché questo ci pare adesso il maggior nostro bisogno per maggior servitio del Signore, il quale ci ha fatto grazia di vedere già alzata tutta la pianta, per insino al piano superiore; e perché anco in ciò abbiate qualche parte, gliene mando un piccolo disegno, il quale habbiamo avuto mira d’accomodare di maniera sì come tutte le altre cose, che ci possino stare dodici padri del coro e sei laici. ……Siamo nove in famiglia, viviamo di limosine, le quali troviamo abbondantemente, e speriamo anco con un poco di tempo che non haremo bisogno di accattare, poiché l’eremo ha qualcosa e tutta via acquista. Il nostro chiuso è grande quasi come quello di Monte Senario, ma più ripido e sassoso; ci è un poco di bosco e di prato e molti pianelli, simili a quelli che a Monte Senario chiamavamo gl’orticini, de’ quali ne caviamo legumi di tutte le sorti abbondantemente per tutto l’anno, cavoli et erbaggi in quantità; ci sono delle vite, e l’ uva matura bene quando la stagione va a proposito,sì come i fichi, e quest’anno in questo mese di agostane habbiamo avuti quasi ogni mattina de’ fioroni o primaticci, però che i settembrini non maturono, e per l’ Assunta se ne colse una piena zana per dare a’ forestieri; vengono su molti altri frutti, come peri,meli, susini,noci e nocciuoli. La tornata all’eremo è faticosa, perché dalla radice del monte insino all’eremo ci sono quasi due miglia di salita ripida e cattiva strada. L’aria è buonissima et a mio giudizio meglio di quella di Monte Senario, manco fredda, e temperata dall’aria marina che habbiamo vicina”.
Finisce così questa descrizione fatta sulla vita dell’eremo da parte di fra Benedetto. L’ originale autografato è conservato a Innsbruck.
Ho ricavato queste notizie da due studi che ho visionato su fogli mobili fotocopiati i cui titoli sono:
“Storia dell’Eremo di san Giorgio in Lunigiana (Dipendenza di Monte Senario)” e “ L’ amicizia tra due eremiti dei Servi in una lettera del 1632 sull’eremo di S. Giorgio in Lunigiana” editi dall’Ordine dei Servi di Maria. Ci serve a capire meglio l’ ambiente culturale, religioso e la vita monastica che si svolgeva a cavallo dei secoli XVII e XVIII in questi conventi dell’Ordine dei Servi di Maria, come era appunto quello dei Cavaglini.



00000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000







Agnino e l’ ARTE
Due grandi opere, site nel Comune di FIVIZZANO, una nel campo della pittura e una nel campo della scultura, ci parlano di Agnino:
Nella chiesa di SANTA Maria Assunta in POGNANA è conservata una acquasantiera in marmo a coppa ottagonale su pilastro recante nella cornice dalla vasca l’ iscrizione dedicatoria: HOC O(OPUS) FECIT FIERII PRESBITER GASPAR OLIM GULGIERMI DE AGNINO ANO DNI 1474 DIE XX APRILIS.
Reca scolpito su un lato lo stemma con lo spino fiorito dei Malaspina all’epoca signori ancora di Fivizzano e dall’altra parte uno scudo con un monte a 3 cime con le lettere P.G. IL MEDESIMO Presbiter Gaspar (PALMIERI GASPARE) originario del paese di AGNINO. Dall’altra parte lo stemma dei Malaspina di VERRUCOLA con i quali il nostro Palmieri Gaspare era in buona relazione. La stessa pieve contiene un piccolo bassorilievo in marmo di pregevole fattura riproducente le sembianze sempre del medesimo parroco GASPARE PALMIERI oriundo di AGNINO. E’ della metà del secolo XV. Giovanni Petronilli parlando di questo bassorilievo scrisse in <Ritratti e paesaggi di Lunigiana>: “una grande medaglia con il ritratto di un nobiluomo, modellato alla maniera di un Donatello o di un Pisanello, tanto spicca per grazia, morbidezza e nitore di segno”
Nella sala del sindaco del Comune di Fivizzano c’ è una pala della metà del XV secolo, opera pittorica di ZANOBI MACCHIAVELLI (nato nel 1418 morto nel 1479) che il VASARI nelle “LE VITE dei più eccellenti Pittori” dice discepolo di Benozzo Gozzoli e questo a sua volta allievo di Lorenzo Ghiberti e del Beato Angelico. Orbene, detta opera raffigura SAN NICOLA DA TOLENTINO, che con una mano sorregge un libro e nell’altra un lungo giglio fiorito, figura che si staglia sul fondo in oro della tavola e sotto è tracciata l’iscrizione BERTULI DE AGNINO anno (?) che rinvia al committente, probabilmente un agostiniano, originario di Agnino della famiglia BERTOLI. Questa opera destinata al costruendo museo del comune proviene dal convento di S. Agostino di Fivizzano fondato nel 1392 dagli Agostiniani, con l’ appoggio di Nicolò Malaspina d ella Verrucola. Opera già vista dal vescovo Monsignor ANGELO PERUZZI nella sua visita pastorale del 1584 e descritta con queste parole “ …. Altare Sancti Nicolai de Tolentino est sub capellula et satis ornatum icona pulcra….”
Questa insigne opera ornava come altre il complesso religioso degli AGOSTINIANI arricchito poi nel 1583 del dono del prezioso parato donato dalla città di SIENA al Papa Nicolò V, di origini Sarzanesi, ma con mamma , donna Andreola BOSI, imparentata con i MALASPINA della Verrucola ed il cui bisnonno Puccio di Duccio Bosi aveva costruito a Fivizzano, nel 1335, la Chiesa Di San Giovanni Battista vicina al convento degli Agostiniani. L'anno successivo e precisamente il 12 settembre 1336 veniva concessa “ Indulgenza a favore della Chiesa di S. Giovanni Batista di Fivizzano accordata da alcuni Vescovi e da alti superiori Ecclesiastici nominati nella carta. Dato in Avignone”
“ 28 giugno 1343 – Ugucciolo del fu Atto confessa avere ricevuto a mutuo da Guidone Rettore della Chiesa di S. Giovanni Batista di Fivizzano la somma di soldi 44 ed uno staio di grano e promette di restituire il tutto entro lo spazio di un mese. Fatto in Fivizzano. Rogato per Lapo del fu Bonsegno della Verrucola.”
ed ancora:
“3 marzo 13.. - Indizione V. - Stefano di Tura da Cisigliana dona a Giudone del fu Giustamonte rettore della Chiesa di S. Giovanni Batista di Fivizzano che riceve a nome di detta Chiesa un pezzo di terra prativa posta a Quarazzana, descritto nei suoi termini. Fatto a Fivizzano. Rogato da Ser Giovanni del fu Franceschino.”
La donazione del trittico parato avvenne grazie all'intercessione del Teologo Agostiniano Agostino Molari che nacque a Fivizzano nel 1527, fu poi Vicario Generale dell'Ordine per bel tre volte, poi Sagrista della Cappella Apostolica e confessore dei Papi Gregorio XIII e Clemente VIII. Morì e fu sepolto in Santo Spirito a Roma nel 1595.
Fu sicuramente tramite la sua intercessione se avvennero i seguenti avvenimenti, che io ho ricavato come i tre precedenti del secolo XIV, da degli appunti di Francesco Battaglia, notaio e avvocato fivizzanese vissuto a cavallo fra il 700 e l'800, e che lui a sua volta aveva preso da pergamene depositate nell'Archivio Diplomatico in Firenze e che riguardavano atti dell'Abazia di Linari . Li riporto integralmente
“11 maggio 1448 – Bolla di Nicolò V con la quale viene accordata indulgenza di anni sette e sette quarantene, a tutti quelli che interverranno alla festa di San Giovanni Battista, chiesa di Fivizzano. Dato in Roma.”
“13 aprile 1508 – Bolla di Giulio II diretta a due Canonici della Chiesa di Luni, e al Vicario del Vescovo di detto luogo con la quale elegge in nuovo commendatariov del Monastero di Linari di detta diocesi Pietro Angelo di Simone da Spizano (leggasi Spicciano), Pievano della Pieve di S. Pietro a Offiano della diocesi di Luni. Dato in Roma.”
“23 gennaio 1539 – Lazaro del fu Lorenzo da Crespiano Arciprete di S. Maria di detto luogo e Batista di Baldassare da Montecorto. Arciprete di Santa Maria da Soleria, commissari apostolici deputati alla causa tra il monastero di S. Bartolomeo di Linari e il Comune di Groppo S. Pietro, approvano e confermano un Lodo spettante a detto Monastero e da detta Comunità dato da Paolo di Bartolomeo da Spizano Arciprete della Pieve di S. Pietro a Offiano, e dal medesimo Lazzaro sopradetto. Fatto nella Canonica della Pieve di S. Maria de Soleria. Rogato Costantino del fu Jacopo da Spizano notaro.”
“24 gennaio 1543 – Privilegio di Dottorato in Scienze Teologia a favore di fra Andrea da Fivizzano dell' Ordine di S. Agostino. Data nel comune di Cocobale nel territorio di Lucca”
“9 settembre 1578 – Altare privilegiato sotto il titolo di S. Stefano nella Chiesa di S. Giovanni Battista di Fivizzano per la Bolla di Gregorio XIII. Dato in Roma”
“13 febbraio 1583 – Giovan Battista Bianchetti Canonico di S. Pietro fa fede come da Papa Gregorio XIII sono stati donati alla Chiesa di S. GiovanniBatista di Fivizzano alcuni paramenti sacri descritti nella carta.”
“9 maggio 1583 – Spedizione di altri paramenti all' istessa Chiesa per lettera di Fra Agostino dell' Ordine di S. Giovanni Batista di Fivizzano Sacrista del Palazzo Apostolico. Dato in Roma”
“1 ottobre 1583 – Gregorio XIII con sua bolla sopprime il Monastero di Linari aggregandone i beni e gli obblighi alla Chiesa di S. Giovanni Batista di Fivizzano. Dato in Frascati”
“21 aprile 1591 -Possesso preso del Monastero di Linari dal Procuratore della Chiesa di S. Giovanni Batista di Fivizzano in ragione della bolla sopra accennata . Fatto nella Chiesa di S. Bartolomeo di Linari. Rogato Lorenzo di Michele Pianucci da Buggiano, notaro pubblico.”
“13 giugno 1592 – Copia dal Breve di Clemente VIII con il quale vien confermato a Generale dell' Ordine degli Eremiti di S. Agostino di Fivizzano Fra Andrea Securani di detto luogo. Dato in Roma”
Con l'annessione dell'Abazia di Linari arriva a Fivizzano anche la ricca biblioteca con numerosi incunamboli.
Il convento degli Agostiniani fu poi soppresso nel 1786 dall'Arciduca D'Austria Pietro Leopoldo in allora Granduca di Toscana.
In una relazione del 1732, il medico fivizzanese e studioso Pier Carlo Vasoli descrivendo lo stato della Chiesa di San Giovanni Battista annessa al convento, scriveva “… Sotto al detto ( altare dell’ Angelo custode) è l’ altare S. Nicola da Tolentino, l’ immagine del quale mirabilmente dipinta da Zenobio Macchiavelli è più adentro in proprio nicchio, e più in fuora sono diverse ottime pitture di nostro Stefano Lemmi.”
Con riferimento alla sopraindicata annotazione del Vasoli, sono riuscito ad avere una vecchia foto, scattata prima del terremoto del 1920, in cui si vede il quadro di S. Nicolò da Tolentino incastronato nel dipinto del fivizzanese Stefano Lemmi con davanti , in bella mostra, il parato del papa Niccolò V.

FOTO (altare di S. Nicola da Tolentino della Chiesa di S. Giovanni con il piviale del papa Niccolò V)
Purtroppo la vecchia fotografia non rende giustizia della bellezza dell’arte sia dei dipinti che del parato di Nicolò V, che fu confezionato per solennizzare la canonizzazione di San Bernardino da Siena voluta da Niccolò V nel 1450. Il parato è stato tessuto in velluto a Firenze e questo ce lo dicono le tecniche stilistiche a cromatiche. Nel suo genere è un unicum, con scene di Cristo che cammina sulle acque e l’ Incredulità di San Tommaso presente sullo scudo del piviale; con il motivo di melagrane su tronchi ondulati molto simile alla tenda del padiglione sotto il quale appare la famosa Madonna del Parto dipinta intorno al 1460 a Monterchi (AR) da Piero della Francesca. “Il tessuto già sontuoso per gli ornati e i materiali usati, dispiegandosi alla luce, si carica di continui riflessi d’ oro che contrapposti al lucente pelo di seta crea effetti chiaroscurali inusitati.” (tratto da Il parato di Niccolo V del Museo Nazionale del Bargello).
Il terremoto del 1920 rovinò completamente il tetto della Chiesa di San Giovanni. I fivizzanesi depressi, anziché ripararla, decisero per la demolizione e al posto della chiesa rimase una bella spianata ove nel 1965 era l’ ingresso dell’Istituto Tecnico per Ragionieri intitolato ad Angelo e Luigi Sambuchi (fivizzanesi morti volontari, il primo a Curtatone nel 1848 ed il secondo a S. Martino nel 1859. Purtroppo anche questa intitolazione è caduta , nell’oblio generale dei Fivizzanesi , quando l’Istituto è stato accorpato al Belmesseri di Pontremoli).
Questo spazio è stato finalmente ricoperto dal Comune di Fivizzano nel 2005 con una nuova costruzione ove sarà ospitato il museo di Storia fivizzanese, che però non potrà più esporre il Piviale di Nicolò V in quanto questo paramento è ritornato a Firenze (ora al MUSEO DEL BARGELLO) nel 1937, venduto con insistenza dagli amministratori comunali del tempo per il prezzo di lire 201965, il tutto per far fronte alle casse disastrate dopo il forte terremoto del 1920. Con il ricavato fu costruito un asilo.
E siccome non c’è due senza tre, altri amministratori, nel dopo guerra, regalarono – per non sapere dove metterli – decine di antichissimi e preziosissimi libri del Convento Agostiniano ai frati francescani di Soliera Apuana. Il fondo del convento di Soliera Apuana (costituito fra l’ altro di incunamboli e di 304 cinquecentine) è stato accentrato da pochi anni nella Biblioteca dei Frati Minori Francescani in Firenze.
Ma prima ancora verso il 1841 il medico Michele Angeli si scagliava contro i Fivizzanesi rei della demolizione delle mura “Chi colla scusa che fanno ombra alle case vicine, cosa per altro assurda, poiché le mura giungono appena al primo piano, fra le mura e le case v’è da per tutto una spaziosa strada e di quando in quando vi si trovano degli ameni giardini; chi col pretesto di far qualche soldo, tutti tendono a distruggerle…. Io vi prego pria di rovinarle a rimirar meglio la bellezza e l’utilità che recano al paese.”
Purtroppo dobbiamo constatare che i Fivizzanesi vantano anche altri tristi primati come, se è vero quello che si racconta, non abbiano voluto che la ferrovia passasse per Fivizzano, non hanno voluto negli anni “60 il Centro Tennis, è stata una dura lotta la rettifica della SS 63 con la costruzione della variante di Fivizzano, hanno contestato le colonie estive dei bambini perché facevano rumore, non hanno voluto che sorgesse in Cormezzano un nuovo centro sportivo, hanno permesso che il nuovo centro artigianale fosse costruito in Rometta in una zona certamente non centralizzata rispetto al Capoluogo. A tutto questo aggiungiamo una nota che ho ricavato dal Corriere Apuano del 13/4/1940; l’articolo del giornale parlava dell’incontro, avvenuto 65 anni prima fra Don Bosco Santo ed i giovani preti Don Groppi di Cerignano e Don Ravani di Bigliolo i quali si erano prodigati, lavorando di piccone e pala, alla costruzione di un collegio e Chiesa alla Spezia sotto la direzione e benedizione del Santo. Ebbene l’ articolista così finisce : “Dalla testimonianza di qualche vecchio Fivizzanese, risulta che prima di scegliere la Spezia per un suo nuovo campo di apostolato, Don Bosco aveva fatto sopraluogo a Fivizzano, progettando di impiantarvi collegio e chiesa, con evidente vantaggio morale e materiale della regione; ma l’ allora imperante congrega radical-massonica, ne frustrò il disegno, e oppose tali ostacoli alla sua esecuzione, da indurre Don Bosco a mutare divisamento.”

A parte le elencate tristi scelte fatte dai fivizzanesi del passato, Fivizzano è sempre stata per il “Contado” e per i paesi limitrofi, ieri più di oggi, il polo di attrazione, il centro ove andare a fare le spese. Luogo di fiere, di mercato, luogo ove si amministrava la giustizia, si pagavano le tasse, ci si approvvigionava di sale e tabacchi, ci si curava la salute, si svolgevano le pratiche burocratiche; in una parola “la Città”. Oppure a definirla come quell'amico di Agostino Fantoni con l'aggettivo “Alma città di Fivizzano” . Oggi, per tanti motivi che non stiamo ad elencare, ma di cui la civiltà dell’automobile è in gran parte responsabile, Fivizzano ha perso la sua centralità e la sua attrattiva ma non certamente la sua bellezza e la tranquillità che oggi solo i piccoli centri possono dare. Speriamo che i suoi abitanti riacquistino la fiducia in se stessi, la voglia di fare e di crescere. Speriamo di sapere scegliere amministratori energici, capaci, coraggiosi e di larghe vedute che antepongano alle proprie mire personalistiche la voglia di fare scelte coraggiose per fare uscire questo Comune dalla marginalità e dalla crisi occupazionale, che porta oggi le sue migliori linfe, diplomati e laureati, ad una continua emigrazione. Spero che questo succeda in modo da sfatare quella vecchia sentenza di Leopoldo di Lorena : “Non occorre confondersi. La Lunigiana non sarà mai né potrà essere di più di quello che è presentemente !”.
Ritornando alla nostra foto: anche il quadro del Lemmi che contornava la pala di S. Nicolò è sparito e non si conosce ove sia finito.
Per concludere: dobbiamo essere ben orgogliosi se un’ opera artistica, ordinata da un “Agninese” è stata per tanto tempo abbinata ad un’ altra stupenda opera appartenente nientemeno che a un Papa.
Chiudiamo cosi in “gloria” questa panoramica storica e sociologica su Agnino; una delle novanta frazioni del Comune di Fivizzano, uno dei tanti caratteristici paesi di Lunigiana.
Non credo di avere detto tutto, di averlo detto bene, certamente ho scritto di più di quello ero intenzionato a fare con il rischio di essere stato troppo prolisso e di avere detto di cose banali, ma comunque fedele al vecchio detto: “nel più ci sta il meno !”
Ho scritto solo per amore, per contraccambiare tutto quello che il mio paese mi ha dato. Spero di non avere annoiato il lettore; se sono riuscito ad incuriosirlo, vuole dire che questo lavoro non è stato vano. Ho cercato di mettere assieme qualche coccio per capire da dove veniamo, chi siamo; perché di una cosa sono certo: oggi più che mai la nostra civiltà, nel grande o nel piccolo, ha bisogno di ritrovare se stessa, di conservare i propri valori prima di affrontare le sfide di un mondo ormai globalizzato.
Tanto più dureremo, quanto più sapremo conservare la memoria della nostra storia!
Tanto più siamo moderni, quanto più abbiamo memoria del nostro passato!
Fine
----------------------------------------------------------------------------------------------------
L’ autore Rino Barbieri, è nato ad Agnino di Fivizzano il 16/04/1950 ed abita dal 1979 a Fivizzano. Ora in Via Vigna di Sotto, 96. Diplomatosi ragioniere, ha lavorato in una Banca come impiegato e poi come direttore. Appassionato di storia, letteratura e arti visive. Curioso di natura, pignolo, non appena libero dagli impegni del lavoro, ha potuto mettere su carta queste note, frutto di molte letture di vicende locali; il tutto per restare fedele al motto: “ colligite fragmenta nec pereant”.
email: barbieri.rino@virgilio.it

NOTE:
1)La croce in ferro ottocentesca aveva a sua volta sostituito una croce di legno originariamente posizionatavi per volontà del futuro venerabile “Padre dei poveri” Padre Angelo Paoli, carmelitano nato ad Argigliano nel 1642 e morto a Roma nel 1720. Il religioso aveva studiato presso i Carmelitani di Siena, diventato sacerdote prestò la sua opera a Pisa, Cupoli, Monte Catino, e a Fivizzano nel Convento del Carmine.. Il libro di Pietro Tommaso Cacciari stampato in Roma nel 1756 ci fa conoscere Padre Angeli come devotissimo della passione del Cristo per cui provvide a far erigere molte croci sulle colline intorno a Fivizzano, fra cui, lo affermo qui, anche la nostra sul Monte Tergagliana. Trasferitosi a Roma, fu sua l'idea di metterne una al centro del Colosseo, luogo imbevuto per lui del sangue dei martiri.
Nota n. 2) Riporto una memoria del Conte Agostino Fantoni ove a proposito di banconote e misure scriveva nel 1825 (ASMS busta n. 71 ): “Per formare un Francescone occorrono Barboni n. 14, e nel Bestiame di valuta 13. E Barboni 6 formano uno Scudo di Fivizzano. La Lira di Genova sono Barboni due. La misura del grano si fa a secchia e quarette. Che 8 quarette fà una Secchia, la quale ridotta a Fiorenza due Scarpe fanno un Sacco. La libra è finita. La Lira fiorentina si spende a Fivizzano per Lire 1.1 Il Bestiame è a Zecchini, Barboni e Soldi. Il Barile del Vino di Fivizzano è Soldi 16. La Lira di Parma sono Soldi 6 di Genova pari a quelli di Fivizzano. Due Teresine formano un Zecchino e Soldi 4 di Fivizzano.”
Dopo tutta questa dissertazione noi non abbiamo che da ringraziare la rivoluzione francese e quindi Napoleone che con l'invasione dell'Italia ci ha portato il sistema metrico decimale che ha semplificato molto le misure di peso e lunghezza e poi ancora l' Unione Europea che ci ha portato l'Euro. Immaginiamoci, se non fosse cambiato nulla, cosa sarebbe oggi un viaggio fra Massa e Parigi. Quante monete troveremo? Quanti sistemi di misura?
Nota n. 3) “Associati nel negozio del macello di Fivizzano” ove troviamo le famiglie più agiate che sborsano per la costituzione di detto negozio 104 Scudi a testa e sono ivi elencati “ Conte Fantoni, Conte Benedetti, Acconci, Avv. Sarteschi, Gargiolli, Magnani, Battini Ponzò, Ortalli, Vannucci di Pognana, Cav:re Querni, Adami, Duranti, Rossi, Agostini, Avv. Tomei, Secondi, Fagnini, Grandetti di Spicciano, Angeli di Mazzola, Serafini di Prato, Dr. Santi Momi di Turlago, Tonelli di Reusa, Bononi di Virolo.”
Nota n. 4) Per “mezzaioli” deve intendersi “mezzadri”; la mezzadria è un contratto con il quale il proprietario concede ad un agricoltore un podere con casa d’ abitazione avendone in cambio la metà del ricavato; al proprietario rimanevano a carico le imposte pubbliche e gli alloggiamenti della famiglia e del bestiame, il contadino aveva l'obbligo di fornirsi di strumenti di lavoro e fare regalie in uova, polli, uve scelte, castagne ecc.
Vediamo un contratto tipo di fine '700: “ Adi Febbraio 1779
Con la presente benché privata scritta da valere e tenere come se fosse pubblico giurato Istrumento con le solite necessarie clausule informa et si dichiara come l'Illmo Sig. Conte Lodovico Antonio Fantoni Patrizio Fiorentino commorante in Fivizzano dà , e concede a Mezzadria tutti i suoi Beni e Terre componenti il Podere di Gassano à Giò Mancini di detta Villa di Gassano presente et accertante con gli infrascritti patti et obblighi cioè: I) che la Mezzadria debba avere il suo principio il Primo Marzo, e continuare per anni due, con dichiarazione che non seguendo la disdetta quattro mesi avanti il termine di detti due anni, s'intenda rinnovato per altrettanto tempo, e così successivamente, perché così si fa.II) Che debba detto Mancini da buon padre di famiglia coltivare à suoi debiti tempi li beni, e terre tutte componenti il d. podere, e questo sempre più migliorare, né deteriorare, altrimenti sia tenuto, come si obbliga a tutti li danni, de quali perché così fosse.III) Che sia tenuto detto Mancini piantare ogni anno Otto Piedi di Castagni in quelle terre ove sarà il bisogno, con fare a proprie spese le buche proprie, e necessarie per fare dette Piantate ; com'altresì scapezzare, ed innestare ogni anno altri dodici piedi di castagni di quelli che vi sono presentemente, e che sono capaci di tal innesto. IV) Che debba ogn'anno detto Mancini come medesimo si obbliga di fare à proprie spese cinquanta Braccie di Fossa da Viti, e piantare dette Viti con loro Oppi buoni, ed opportuni. V) Che alle respettive raccolte delle Biade, e Grasce debba il detto Mancini avvisare il Suddetto Sig. Conte acciò possa mandare il suo Agente, ò altre persone di suo servizio per dividere dette raccolte, e dopo divise sia tenuto il detto Mancini, al quale sarà per tale effetto consegnata una Bestia Somarina per ritenere in detto Podere, trasportare tali Biade alli magazzini di detto Sig.Conte in Fivizzano senza che questo sia tenuto a nessuna spesa e vettura per il trasporto di dette Biade, e Grasce, eccetto che del sole Vino del quale si obbliga detto Sig: Conte di pagare le vetture, con che debba detto Mezzadro caricare anche detta Bestia Somarina della quale non dovrà pagare vettura alcuna per essere quella Bestia del Sig. Conte Padrone. VI) Dovrà pure detto Mancini portare a Fivizzano la metà di tutti li frutti, che si raccolgono in detto Podere, cioè Pera, Pomi, Citase, Noci, Nocciole, Fichi, ed altri di simil sorte. VII) Che detto Mancini sia tenuto, come si obbliga, portare per Pasqua di Resurrezione, e in altri tempi, come praticano li altri contadini, del detto Sig: Conte, le solite regalie d'Ova, Pollastri. VIII) Che debba pure portare ogn'anno in Fivizzano due Benne di Sermentie, e due altre di Legnie grosse di quercia, ò Cerro come praticano gli altri contadini. IX) Che rispetto alle castagne,
foto 1643
fiore dei nostri boschi
     
Qui puoi inserire un testo di fondo pagina
 
LE CONDIZIONI METEO LOCALI
Il Paese con lo sfondo le Apuane
Chiesa con limitrofo cimitero
mosaico ULTIMA CENA
Mosaico dell' Ultima Cena da LEONARDO, sito sull'altare maggiore
IL BIANCO FANTE : monumento ai caduti in guerra
Alpi Apuane
Fotografia in b/n degli anni
Qui puoi inserire un testo didascalia
Frazione IL CASTELLO negli anni 60
Qui puoi inserire un testo didascalia
la chiesa nel 1930 dopo i restauri  per i danni da terremoto del 1920
Il paese visto da ovest
Panorama di AGNINO visto da ovest
antico bassorilievo di immagine votiva
Case del Castello nei primi anni 60
ACQUASANTIERA DELLA PIEVE DI POGNANA
Opera in marmo del 1474 riportante il nome del committente prete Palmieri de AGNINO"
dopo 40 anni alcune case sono scomparse nella vegetazione
Vedasi il sito: WWW.AGNINO.IT
Tavolata conviviale fra paesani agninesi
mura del castello
Le mura del Castello corrono per più di 100 metri
FOTO : quelle più in alto nell' orto della famiglia Bianchi.
affresco su case abbandonate al CASTELLO
Qui puoi inserire un testo didascalia
PANORAMA SUL PAESE E ALPI APUANE
architettura rustica
LA CASETTA A PIAZZA DI AGNINO
VISTA SUL CASTELLO. CLICCA QUI PER AVERE PIU' NOTIZIE
antico portale alla VILLA
traggia nel borgo
     
Qui puoi inserire un testo di fondo pagina
 
se clicchi qui vai a home page
Qui puoi inserire un testo didascalia