BATTESIMO
di Fausto Salvoni
CAPITOLO QUARTO
IL PECCATO ORIGINALE

Indice
1) L'uomo immagine di Dio
1. A nostra immagine e somiglianza
a) Etimologia
1. L'immagine
2. La somiglianza

b) In che cosa consiste la somiglianza con Dio?

2. Felicità originaria dell'uomo
3. Conseguenze pratiche
2) L'immagine deturpata di Dio
1. Il peccato
a) La cornice del racconto
b) La sostanza dell'insegnamento biblico
2. Conseguenze del peccato
a) Impossibilità di una vita imperitura
b) Perdita della sua supremazia
c) Tendenza verso il male
3) Il peccato originale: storia di una problematica
1. Prima di Agostino
2. L'insegnamento di Agostino
3. Dopo Agostino
4. Dottrina ufficiale odierna
5. Crisi contemporanea

4) Che ci insegna la Bibbia?


Le anime di coloro che muoiono in peccato mortale o con il solo peccato originale discendono subito all'inferno, dove però sono punite con pene diverse (Concilio II di Lione 1274 Denzinger Schonmetzer 858).

1) L'uomo immagine di Dio

E Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».

« Dio creò l'uomo a sua immagine
a immagine di Dio lo creò
maschio e femmina li creò
»
(Ge 1, 26 s)

  1. A nostra immagine e somiglianza

a) Etimologia

Per sé i due termini «immagine» e «somiglianza» presentano una sfumatura un po' diversa:

1. L'immagine ( çèlem) si usa per una statua rappresentante un Dio o una persona; era pure adoperata per le statuette di bitume, di bronzo, di rame o di argilla, dette in assiro-babilonese salmu, che raffigurano la persona che si voleva uccidere tramite la magia nera.

2. La somiglianza (d emut) indica per sé un qualcosa che è simile, ma non identico, all'originale che si intende copiare. Tale vocabolo si usa non di rado nelle visioni apocalittiche per dire che quanto era stato visto assomigliava a un uomo, a un cristallo o a qualche altro oggetto terrestre già noto, pur essendone alquanto differente (cf Ez 1, 5.26.28; 8, 2; 10, 1.21 s). La diversità dei due termini, tra loro affini, fu descritta assai bene da Agostino: « Dov'è un'immagine vi è sempre una somiglianza; ma non sempre dove ci è una somiglianza vi è pure un'immagine ».

3. Tuttavia nella pratica i due vocaboli, specialmente se riferiti a Dio, si equivalgono nella Genesi come risulta dai seguenti motivi: le due parole sono tra loro interscambiabili per cui mentre in Ge 5, 1, parlando della creazione dell'uomo, si usa il termine « somiglianza » (d e mut) – «Nel giorno in cui Dio creò l'uomo, lo fece a sua somiglianza» – nel descriverne l'azione si adopera « immagine » (çèlem): « Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò » (Ge 1, 27). La ridondanza che si ha nella frase « Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza » è dovuta all'uso ebraico di esprimere il medesimo concetto con vocaboli simili. Inoltre qualsiasi immagine di Dio non può mai essere un'immagine perfetta, perché, secondo la Bibbia, Dio è infinitamente superiore alla creatura, per cui l'uomo non può avere che una lontana somiglianza con lui.

vai all'indice pagina

 

b) In che cosa consiste la somiglianza con Dio?

1. Vi è un certo progresso nell'idea: all'inizio tale immagine di Dio riguarda – a quel che sembra – tutto l'individuo umano concreto, corpo compreso, il quale era fatto a immagine divina, così come le statue babilonesi riproducevano il dio o la persona che si voleva raffigurare. L'ebreo primitivo supponeva che Dio avesse – o almeno assumesse quando si voleva manifestare agli uomini – una figura umana. E' un fatto che Ezechiele vide seduto sul trono divino un essere « simile a una figura d'uomo » (1, 26 s; cf 8, 2); secondo Mosè Dio avrebbe scritto le tavole della legge con le sue stesse dita (Es 31, 18). Geremia si sente toccare dalla mano di Dio (Gr 1, 9); Amos lo vede ritto sull'altare (Am 9, 1). Quando Dio appare assume la forma umana e non quella, ad esempio, del torello egizio Api.. Dato questo concetto primitivo assai antropomorfico, è chiaro che l'uomo doveva essere visto, anche per il suo aspetto esteriore, come l'immagine di quel Dio che, apparendo, si presenta in forma umana. Agostino, pur insegnando che la somiglianza con Dio consiste « principalmente nell'anima » vi include pure la forma eretta del corpo a differenza di quella curva degli animali.

Qui sta l'essenza dell'immagine divina: l'uomo in tutto il suo essere sia fisico (Von Rad) sia spirituale (Heinisch), è immagine di Dio. Siamo ben lungi dai miti accadici che facevano uccidere un dio per impastare con il sangue il primo essere umano: « Voglio far sorgere le ossa – diceva Marduk nell'usare il sangue del dio ucciso Kingu – voglio far sorgere le ossa; voglio creare l'uomo con il compito di servire gli dei » (Enuma Elish VI).

2. Con il decorso del tempo l'immagine di Dio va spiritualizzandosi e trascura il corpo per soffermarsi alla sua parte spirituale. proprio per questo tra tutti gli esseri creati, l'uomo è quello che più si accosta a Dio.

Quando io contemplo i cieli opera delle tue dita,
la luna e le stelle che vi hai disposto (penso):
«Che è mai l'uomo perché tu ne abbia a ricordare
e il figlio dell'uomo perché tu ne prenda cura?
Eppure l'hai fatto poco meno di Dio
e lo hai coronato di gloria e di onore»
(Sl 8, 4-6)

Nonostante la sua piccolezza, Dio ha voluto rendere l'uomo partecipe più di ogni altra creatura alla sua gloria e al suo onore, in modo che egli è «poco meno di Dio », evidentemente come lo può essere una creatura umana. Tale valutazione ebraica fu sentita troppo spinta dai traduttori greci della Bibbia (LXX) che ne attenuarono la frase scrivendo: « Lo hai reso poco meno degli angeli ». Abbiamo qui un processo di revisione che cerca di attenuare gli antropomorfismi biblici, quale si ha pure a riguardo degli angeli che sostituiscono in alcune apparizioni (At 7, 35 Stefano) o nel dare a Mosè le leggi sinaitiche (At 7, 38 Stefano; cf Ga 3, 19; Eb 2, 2). Anche per l'immagine umana di Dio, nel periodo intertestamentario e nel Nuovo Testamento si sviluppa una spiritualizzazione, che trascura completamente l'aspetto esteriore del corpo. Ciò appare già nel libro deuterocanonico della Sapienza (sacro per i cattolici), dove si legge:

Sì! Dio ha creato l'uomo per la immortalità;
lo fece a immagine della propria natura.

(Sap. 2, 13; cf 9, 2)

Il fatto che questo libro tenda a mostrare la diversità la diversità del Dio ebraico da tutte le forme visibili dei dèi pagani e tenda a renderlo uno spirito, esclude che lo scrittore abbia in vista la parte corporea con cui Dio si rende visibile. Sulla medesima linea direttiva di pone Filone, che identifica l'immagine di Dio con la spiritualità dell'uomo, il quale è simile a Dio proprio perché pensa.

Questa immagine di Dio non si è del tutto persa con il peccato di Adamo, perché anche dopo la colpa si afferma che tale somiglianza divina passò poi al figlio Set (Ge 5, 1 ss). Con tali parole l'autore ispirato vuole anche sottolineare che l'elezione divina è passata da Adamo a Set, anziché agli altri suoi discendenti. Dopo il diluvio si legge che chiunque verserà del sangue umano sarà punito, perché ha ucciso « l'uomo che è immagine di Dio» (Ge 9, 6).

Nel Nuovo Testamento il concetto dell'uomo creato a immagine di Dio è presentato solo in due passi biblici. Nel primo, Giacomo ricorda che la lingua, pur essendo un piccolissimo membro del corpo ha un potere straordinario, quello cioè di benedire Dio, ma anche quello di maledire l'uomo fatto a immagine di Dio (Gc 3, 9). Per motivi contingenti Paolo, volendo obbligare le cristiane di Corinto a portare il velo quando pregano o profetizzano, restringe volutamente il passo genesiaco, scrivendo che solo il maschio è creato a immagine di Dio, mentre la donna lo è a immagine dell'uomo. Qui si abbina il capitolo 2 della Genesi, dove si narra come Eva sia stata creata più tardi dopo Adamo e composta con una sua parte, al capitolo primo che parla invece di immagine di Dio per entrambi. Nel capitolo primo l'immagine divina non riguarda solo il maschio,, ma si estende anche alla donna, come risulta dalla conclusione « creò l'uomo (genere umano collettivo) a sua immagine, maschio e femmina li creò » (Ge 1, 26). Si tratta di un procedimento non insolito da parte del fariseo Paolo, che l'ispirazione ha avallato per ragioni contingenti dovute alla eccessiva emancipazione per quel tempo delle donne corinzie.

Si può quindi concludere che «l'immagine di Dio», la quale all'inizio riguardava l'essere umano totale corpo compreso, si è andata restringendo alla ragione con la quale l'uomo domina le forze più potenti della natura e alla libertà con la quale l'uomo ha perfino il potere di opporsi a Dio e di obbligare Dio ad accettare il suo operato buono a cattivo che sia.

Secondo il Nuovo Testamento la vera immagine di Dio è presentata dal Cristo per due motivi: Primo perché egli è l'uomo più perfetto che sia vissuto su questa terra e che abbia realizzato l'ideale umano. Secondo perché in lui si è incarnata la Parola di Dio, come appare da altri passi biblici (Gv 1, 1 ss). Gesù può quindi dire all'apostolo Filippo: « Chi vede me vede il Padre» (Gv 14, 9). Per tale ragione la lettera agli Ebrei applica particolarmente al Cristo le parole del salmista che in origine riguardavano ogni uomo: « Tu lo hai fatto poco meno degli angeli, lo hai coronato di gloria e onore» (Eb 2, 7). Utilizzando la versione greca (LXX) non fa meraviglia che vi si usi la parola « angeli », ivi esistente. Di fatto il Cristo in modo eminente riproduce l'immagine di Dio presente in ogni uomo. Anche il cristiano che si trova in comunione con il Cristo è lui pure un'immagine di Dio più perfetta di quella che esiste nell'uomo non cristiano; di lui si legge infatti che egli si è «spogliato dell'uomo vecchio con le sue azioni per rivestirsi del nuovo, che si rinnova in una conoscenza superiore a immagine del suo creatore» (Cl 3, 9 s).

vai all'indice pagina

 

2. Felicità originaria dell'uomo

L'uomo creato a immagine di Dio fu posto in un giardino stupendo, che simbolicamente ne esprime la felicità. Egli infatti è in amicizia con il suo Creatore e per questo domina tutto il creato.

1. L'amicizia con Dio è simbolicamente espressa dal fatto che l'uomo nel giardino dell'Eden godeva ogni giorno la visita del suo Dio, che passeggiava con lui alla brezza vespertina (c. 3). Dal momento che dopo il peccato Adamo fugge e si nasconde nel folto del bosco all'udire i passi di Dio, è segno che prima rimaneva e conversava con lui da amico ad amico.

2. In quanto rappresentante di Dio, l'uomo aveva il dominio su tutto il creato e partecipava così all'onore di Dio, suo amico. Il c. 2 della genesi pone in enfasi la superiorità umana con il fatto che l'uomo diede il nome a tutti gli animali. Solo il superiore impone il nome all'inferiore e chi lo riceve è, in un certo senso, sottoposto a chi glielo dona. Anche la constatazione che tra gli animali Adamo non trovò alcun essere pari a sé , dimostra un'altra volta  la sua superiorità sulle altre creature non umane. proprio per tale motivo Adamo si sente solo fino a che Dio non gli ebbe donato Eva, del tutto pari a lui: « ossa delle sue ossa e carne della sua carne ». Tale superiorità appare pure dal fatto che egli fu creato con polvere fine ( cafar min adamà) e non dalla terra grossolana degli altri animali. Inoltre nel primo capitolo della Genesi l'uomo appare nella sua reggia quando tutto è pronto per la sua esistenza, quale vertice e corona del creato. Nel capitolo secondo il medesimo concetto di superiorità è espresso invece con il fatto che egli è il primo ad essere creato, perché primo nella mente di Dio, mentre gli esseri terrestri sono creati per lui. Il dominio dell'uomo sulle altre creature è quasi sempre ricordato nei vari accenni alla creazione umana che si trovano nei libri sacri.

Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e dominate sui pesci del mare; sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra (Ge 1, 18).

Il salmista, dopo aver detto che l'uomo è «poco meno di Dio», continua: «Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi; tutto: i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna; gli uccelli del cielo e i pesci del mare che percorrono le vie del mare» (Sl 8, 7 ss). Anche alcuni libri, ritenuti sacri solo dai cattolici, ripetono il medesimo concetto:

Con la tua sapienza hai formato l'uomo perché domini sulle creature da te fatte e governi il mondo con santità e giustizia (Sapienza 9, 2).

Secondo la sua natura li rivestì di forza
e a sua immagine li formò;
Egli infuse in ogni essere il timore dell'uomo
perché l'uomo dominasse sulle bestie e sugli uccelli
(Siracide 17, 3 s; cf Ge 9).

vai all'indice pagina

 

3. Conseguenze pratiche

L'insegnamento biblico che l'uomo è stato creato a immagine di Dio, è assai rilevante e comporta delle conseguenze notevoli e importanti anche per il nostro tempo. Eccone le principali:

1. Ne viene anzitutto valorizzato il concetto di Dio, che non è affatto egoista, come certe affermazioni teologiche ci indurrebbero a pensare. E' nota l'espressione di Ignazio di Loiola nei suoi Esercizi: Dio ha creato tutto, ma particolarmente l'uomo, per la sua propria gloria. Ad majorem gloria Dei è il motto dei gesuiti.. Ora ciò induce molti a pensare che Dio sia egoista e crei tutto per questo tornaconto personale. Non è l'idea esatta che tali parole vogliono esprimere, anche se non di rado si pensa così. Ora Dio non può ricevere nulla dagli altri, egli può solo dare, non ricevere: « Quel Dio che ha fatto il mondo e quanto in esso, Signore qual è della terra e del cielo, non dimora in templi fatti da mani umane né viene servito da mani d'uomo, quasi che avesse bisogno di qualcosa, lui che a tutti dà vita, respiro e ogni altro bene » (At 17, 24 s). Proprio qui troviamo una enorme differenza tra la creazione dell'uomo da parte di Dio ebraico e quella attuata dal dio babilonese Marduk. Costui crea l'uomo perché gli dei possano riposare nelle loro dimore, mentre l'uomo li servirà con i suoi sacrifici cultuali. Il Dio ebraico al contrario crea l'uomo perché domini da signore, perché sia partecipe della gloria e della signoria divina. Quindi il Dio ebraico crea l'uomo per amore, perché gusti l'amore di Dio e partecipi all'onore e alla gloria divina. E' nel donare, non nel ricevere, che si palesa l'amore di Dio. Quanto più l'uomo si eleva a Dio, quanto più accresce la propria felicità e il proprio benessere, quanto più l'uomo agisce da padrone del creato dominando le leggi della natura, tanto più realizza la propria immagine di Dio.

2. L'uomo a immagine di Dio ha una sua dignità personale che deve essere rispettata per cui non può essere arbitrariamente ucciso. Dal principio che ogni uomo, appunto perché immagine di Dio, è nostro fratello, ne deriva che ogni uomo dovrebbe essere rispettato, non ucciso. Anche se ha compiuto del male è pur sempre immagine di Dio: va corretto e migliorato, va reso inoffensivo verso gli altri fratelli, ma non dovrebbe essere assassinato. La legge del taglione, stabilita dall'Antico Testamento, era stata emanata proprio con lo scopo di impedire che la vendetta dei parenti superasse il danno ricevuto (cf il cantico di Lamec Ge 4).

L'insegnamento biblico, preso nel suo senso più profondo, condanna ogni guerra e ogni assassinio; favorisce l'obiettore di coscienza, sostiene coloro che difendono il diritto alla vita dei propri fratelli. Troppo spesso le Chiese hanno dimenticato ciò quando hanno ucciso gli eretici perché non la pensavano come loro (inquisizione), hanno benedetto le armi fratricide, hanno sostenuto la legittimità delle guerre, dimenticando che per un pezzo di terra o per orgoglio personale si uccidevano migliaia e migliaia di fratelli, creati come gli uccisori a immagine di Dio.

3. L'uomo a immagine di Dio, è destinato a dominare la natura e gli altri esseri a lui inferiori per cui non deve divenirne schiavo. Ne deriva che va sostenuto, difeso e valorizzato ogni movimento di emancipazione, che libera l'uomo dalla schiavitù del progresso, della macchina e di altri uomini. L'uomo non può essere schiavizzato da altri esseri e se non è un pigro scialacquatore e beone – ha diritto alla propria casa, a una vita serena. Se le Chiese non difendono questo, vanificano la stessa dignità umana fatta a immagine di Dio e barbaramente la deturpano.

L'uomo, immagine di Dio, deve rispettare lui stesso la propria identità e non degradarsi nel male. Deve ricordare che tale sua dignità gli proviene da Dio per cui, solo nella comunione con Dio e nell'osservanza del volere divino, potrà esplicare e accrescere la propria immagine divina. Ma quando abbandona Dio e si degrada nella disobbedienza e nel peccato, per ciò stesso svalorizza tale immagine, agisce da schiavo, non da padrone. A buon diritto Gesù disse ai giudei di Gerusalemme:

In verità, in verità vi dico:
chiunque commette il peccato
è schiavo del peccato.
Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi rimane sempre.
Se dunque il Figlio vi farà liberi
siete liberi davvero
(Gv 8, 3; cf Rm 6, 17 s; Sl 4, 30 s)

Di conseguenza quanto più l'uomo si adegua alla volontà di Dio, tanto più realizza se stesso, immagine di Dio, e tanto più si eleva e attua la felicità per cui è stato creato da un Dio d'amore.

vai all'indice pagina

 

2) L'immagine deturpata di Dio

1. Il peccato

Il 3° capitolo della Genesi ci narra come la colpa si sia introdotta nell'umanità e come abbia portato con sé un deturpamento dell'immagine divina donata all'uomo con la creazione. In questo racconto è necessario distinguere la sostanza dalla cornice che l'avvolge. Se la sostanza è un insegnamento perenne, la forma espressiva è tratta da tradizioni leggendarie antiche.

a) La cornice del racconto

Gli elementi che possono rientrare nella cornice del racconto biblico sono il giardino, l'albero della vita, il serpente, i cherubini con la spada fiammeggiante.Un giardino paradisiaco nel quale viveva l'umanità primitiva è una caratteristica ricorrente in molte leggende antiche. L'albero o pianta della vita ricorre in molte tradizioni antiche: Utnapishtim, l'eroe scampato dal diluvio e divenuto immortale, la segnala a Ghilgamesh, che la trova in fondo al mare. Ma una serpe gliela ruba, mentre fa un bagno, per cui egli non può conquistare l'immortalità che è propria degli dei. Non si è invece ancora trovato un parallelo all' albero della scienza del bene e del male . Forse è stato creato un parallelismo con l'albero della vita. Il serpente è un'immagine scelta felicemente dal racconto biblico: esso era ritenuto una bestia scaltra e pericolosa perché si nasconde tra i sassi e d'improvviso scatta sugli uomini mordendoli e recando morte. Gli antichi cananei lo adoravano quale simbolo di vita, di fecondità e di sapienza. Si sono trovati a Betsan e a Gesar terrecotte con un serpente simbolo di una dea cananea. Contro la divinizzazione pagana del serpente, il racconto biblico lo presenta al contrario come una creatura divina: « il serpente... che il Signore Dio aveva creato» (Ge 3, 1). Esso, tuttavia, era un simbolo adatto per presentare la tentazione di Satana, proprio per il valore religioso e idolatrico che i semiti gli attribuivano. Anche i cherubini con la fiamma a zig-zag ricordano le statue dei cherub che giacevano alle porte dei templi assito-babilonesi per difenderli e la fiamma ricorda il fulmine strumento divino di punizione. Tuttavia attraverso queste immagini simboliche tratte dall'ambiente semitico del passato, i testi biblici vogliono trasmetterci un insegnamento del tutto particolare, che è proprio dell'insegnamento divino e che è garantito dall'ispirazione biblica.

vai all'indice pagina

 

b) La sostanza dell'insegnamento biblico

L'insegnamento fondamentale del racconto biblico è totalmente diverso da qualsiasi leggenda semitica. L'importanza del racconto non sta nell'albero, bensì nel significato del suo nome che suona «conoscenza del bene e del male », con il senso di fare una personale esperienza di tutto ciò che è bene e di tutto ciò che è male. All'ubbidienza fiduciosa in Dio che l'avrebbe condotto a un reale progresso umano sino alla vittoria sulla morte e al colloquio con Lui, Adamo ed Eva vollero opporre la propria indipendenza ed autosufficienza e usarono il libero arbitrio, la loro volontà, non per amare Dio, ma per farsi pari a Lui.. Questa essenza fondamentale di ogni peccato è espressa assai bene da Satana: « Voi non morirete affatto! Anzi Dio sa che nel giorno in cui voi ne mangerete, si apriranno i vostri occhi e diverrete come Dio, conoscitori del bene e del male » (Ge 3, 4 s). La ribellione umana sta nel decidere per conto proprio, indipendentemente da Dio, nel ritenersi autosufficienti ed autodeterminanti, dimenticando la propria relazione con il Signore. Fondamentalmente il peccato è il rifiuto radicale e definitivo del dono di Dio, per darsi schiavi al mondo, alle forse e alle possibilità che l'uomo trova in se stesso. Tutti i peccati al plurale, elencati ad esempio nella lettera ai Romani (c. 1) non sono altro che manifestazioni di questo peccato fondamentale: rotta la giusta relazione con Dio, l'uomo, alieno da se stesso, va soggetto a tutte le altre alienazioni. per esso l'uomo non vede più Dio a attorno a sé, soffoca la percezione stessa di Dio, e pensa di essere arbitro del proprio destino e della storia umana. Nietzsche affermava: Dio è morto, noi lo abbiamo ucciso. Non abbiamo più bisogno di questo vecchio nonno incapace di provvedere a noi. L storia dell'umanità e storia dell'uomo che si fa da sé, senza alcun bisogno di Dio. Costui andava bene per il periodo dell'ignoranza quando l'uomo, incapace di superare la propria paura, si affidava a Dio, ma ora che l'uomo è adulto, non ha più bisogno di tale essere mitico. Anton La Veg – fondatore di una Chiesa satanica – così scrive:

« Ho visto l'aspetto più ripugnante della natura umana. Mi sono chiesto: dov'è Dio? E sono pervenuto a disprezzare i deboli, coloro che di fronte alla violenza si rassegnano con un appello alla volontà di Dio. Mi rendo conto che l'uomo è un essere terribile, il più rapace di tutti. L'elemento vitale è il principe di questo mondo, ecco cos'è il Diavolo (uomo). Perciò io opero – come un dannato – con le arti dell'Oscurità... Lode a Satana!
Il culto del Diavolo non è altro che la religione della carne e della materia. E l'altare nudo e la donna nuda simboleggiano la carne. Essa è la nave viva, il campo delle emozioni
».

La Bibbia Satanica – assai diffusa negli Stati Uniti – è una parodia della Bibbia e del Sermone del monte. Vi si legge:

« Beati i violenti perché a loro appartiene il regno della terra. Se qualcuno ti schiaffeggia sulla guancia, schiaffeggialo sull'altra!... ».

vai all'indice pagina

 

2. Conseguenze del peccato

Il peccato, ogni peccato, deturpò nell'uomo l'immagine di Dio, anche se non la distrusse completamente. Ecco con chiarezza ciò che, secondo la Bibbia, il peccato procura all'umanità.

Nel giardino dell'Eden, quale visir o rappresentante di Dio, godeva familiarità con il suo creatore, con il quale si sentiva in contatto intimo. Mentre prima della colpa Dio era accolto con amore, dopo il primo peccato fu, al contrario, visto con terrore. « Quando sentirono il rumore dei passi di Javè-Elohim che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, Adamo ed Eva fuggirono dalla presenza di Javè-Elohim e si ripararono nel folto degli alberi del giardino ». E alla domanda di Javè perché fossero fuggiti adducono la ragione d'essersi nascosti « perché erano nudi » (v. 7.10). Il serpente astuto (arûm) promise loro monti e mari, ma diede loro la nudità (arôm). La nudità nella Bibbia non è ricollegata con la concupiscenza, ma piuttosto con la perdita del proprio onore, tanto più che qui i progenitori dicono di essere nudi « dinanzi a Dio» che secondo la parola divina è un essere asessuato e privo di concupiscenza. Il vestito, secondo la Bibbia, non serve per nascondere gli organi sessuali, come se questi dovessero risvegliare la concupiscenza, ma per mettere in rilievo l'onore che un uomo e una donna possiedono. Quanto più un uomo o una donna sono elevati in dignità, tanto più portano vestiti fastosi. Quando gli Ammoniti radono i peli agli ambasciatori di Davide e li rimandano denudati fino alle natiche, compiono nei loro riguardi l'affronti supremo che può essere riscattato solo con la guerra (2 Sm 10, 4). Adamo ed Eva (che erano marito e moglie e quindi non dovevano sentire una concupiscenza disonesta l'uno verso l'altro) cercano di darsi un po' di onore mediante un perizoma di figlie di fico, ma il vero onore è dato loro da Dio che li ricopre personalmente con tuniche di pelle (Ge 3, 7.21). Il peccato fa quindi perdere la dignità che l'uomo possedeva in antecedenza, per cui egli non è più l'immagine viva di Dio come al contrario lo era prima. Da questo danno primordiale provengono tutte le altre conseguenze.

vai all'indice pagina

 

a) Impossibilità di una vita imperitura

A Dio solo compete l'immortalità (1 Ti 6, 16) per cui, tramite la sua comunione con Dio, l'uomo aveva la possibilità di partecipare, per dono divino, alla vita eterna. Con l'obbedienza a Dio (simboleggiata dal non gustare il frutto del bene e del male) l'uomo avrebbe potuto crescere robusto, giungere a una vecchiaia invidiabile e passare all'unione più viva con Dio tramite la trasformazione del proprio essere, in modo conforme a quelli che saranno trasformati al tempo del ritorno di Gesù, senza passare per la pena della morte (1 Co 15, 51). La morte avrebbe così perso ogni suo pungolo, in quanto sarebbe stata un passaggio sereno verso la vita più piena con Dio. Ma con la ribellione divenne impossibile all'uomo l'elevarsi a Dio e il partecipare alla sua immortalità. L'uomo che mai fu immortale in quanto non si trovò mai nella condizione di aver mangiato il frutto dell'albero della vita aveva la possibilità di divenirlo. Ma con la sua ribellione fu scacciato dal giardino dell'Eden e di conseguenza perse totalmente la sua precedente possibilità di cibarsi dell'albero della vita, che fu custodito dai cherubini, perché l'uomo non ne mangiasse e non divenisse così pari a Dio con l'immortalità (Ge 3, 23 s).

Nonostante il progresso, l'uomo, che aspira a vivere per sempre, si trova dinanzi al traguardo della morte che non può superare e vincere. Solo da Cristo si possono sentire le parole consolatrici: «Chi ha fede in me, anche se muore vive» (Gv 11, 25 s). E Paolo può così ripetere: « Sono stretto da due desideri: morire per essere con il Cristo: il che è di gran lunga una situazione migliore, e l'altro di continuare a vivere per il vostro bisogno» (Fl 1, 23). La Bibbia che si apre con il perduto giardino dell'Eden nel quale si trovava l'albero della vita (Ge 3), si chiude con la Gerusalemme che per merito di Gesù Cristo scende dal cielo e nella cui piazza giace l'albero della vita atto a donare l'immortalità alle nazioni (Ap 22).

vai all'indice pagina

 

b) Perdita della sua supremazia

Come visir di Dio, che è il creatore e dominatore dell'universo, l'uomo, fatto a immagine sua era destinato ad avere parte in tale dominio. Ma dopo la colpa l'uomo, da dominatore, divenne schiavo. La donna sarà dominata dal maschio che la schiavizzerà:

Verso tuo marito ti spingerà la tua passione,
ma egli ti vorrà dominare
(Ge 3, 16)

La stessa maternità comporterà sofferenza e dolore: « Farò numerose le tue sofferenze e le tue gravidanze, con doglie dovrai partorire figli» (Ge 3, 16). L'uomo destinato a dominare il creato dovrà ormai guadagnarsi da vivere con il sudore della propria fronte:

Maledetto sia il suolo per causa tua! Con affanno ne trarrai il nutrimento per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi farà spuntare per te, mentre tu dovrai mangiare le graminacee della campagna. con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché tu tornerai nel suolo dal quale fosti tratto, perché sei polvere e in polvere tornerai (Ge 3, 17 ss).

L'uomo recentemente sperava di eliminare ogni sofferenza mediante il progresso: ma purtroppo le sue speranze andarono via via sfumando di fronte alle molte nuove schiavitù odierne: schiavo della macchina, del fumo, dell'orario di lavoro e via dicendo. Divenuto un numero nella moderna società consumistica, l'uomo vede annientata la propria personalità. Non è questo il mondo migliore al quale aspirava!

L'uomo peccatore non vede più nel fratello l'immagine di Dio, ma solo un avversario da superare. Non senza motivo, dopo la disubbidienza dell'uomo nei riguardi di Dio, l'autore ispirato narra l'uccisione di Abele da parte di Caino (Ge 4). Ormai nasce l'invidia, l'egoismo e la vendetta. Dopo la scoperta del rame e del ferro da parte di Tubalqain, suo padre Lamec, rivolgendosi alle sue due mogli afferma tutto gioioso:

Ada e Sella, udite la mia voce, mogli di Lamec, ascoltate il mio dire. Ho ucciso un uomo per una ferita e una giovane per una mia ammaccatura: Caino sarà vendicato sette volte, ma Lamec settanta volte sette (Ge 4, 23).

Di qui nascono tutte le oppressioni, le guerre, gli omicidi, le imposizioni con i quali i prepotenti soffocano i deboli incapaci di difendersi (Rm 1, 18-32). Basta leggere i giornali per constatare ogni giorno come si sia perso da molti il concetto che il nostro prossimo ha una dignità derivatagli dall'essere stato creato a immagine di Dio.

Non deve suscitare meraviglia il fatto che per colpa di Adamo derivino delle conseguenze dolorose a tutti i discendenti: spesso i colpevoli recano danno ai loro posteri innocenti.. Se un ricco sperpera i propri beni, tutta la famiglia soffre la povertà e la miseria. Spesso chi guida la macchina in stato di ubriachezza uccide degli innocenti.. Non di rado l'immoralità dei genitori produce serie malattie nel corpo dei figli. Come la non osservanza delle norme stradali produce morte e rovina, anche l'inosservanza delle norme morali produce gravi malanni.

vai all'indice pagina

 

c) Tendenza verso il male

E' descritta assai bene da Paolo nella sua lettera ai Romani, dove egli presenta la propensione al male dell'uomo peccatore. L'esempio malvagio che ci circonda, la carenza di energia nel fare il bene che con la mancanza di allenamento ci debilita sempre più, la legge che ci mostra il bene senza per questo darcene la forza, costituiscono un perenne impulso verso il male:

Il peccato, presa l'occasione dalla legge, mi sedusse e mi uccise per mezzo suo... Invero io non approvo quel che faccio, perché non faccio quel che voglio, ma faccio quel che odio. Ma allora non sono più io ad agire così, bensì il peccato che vive in me... Io mi diletto nella legge di Dio secondo l'uomo interiore, ma scorgo nelle mie membra un'altra legge, che si oppone alla legge della mia mente e mi fa schiavo nelle mie membra. Me infelice, chi mi libererà da questo corpo di morte? (Rm 7, 11.15.22 s).

Con la colpa di Adamo ebbe inizio la corruzione morale dell'umanità che andò sempre più deteriorandosi con tutta la sequela dei vari peccati personali, provocando tare anche fisiche. Queste a loro volta influiscono sulla psiche umana, iniziando una malefica reazione a catena, quale si rivela nell'umanità. Come quando scoppia una bomba in un aereo tutti muoiono, anche se uno solo ne è il colpevole (colui cioè che vi ha messo la bomba), così avviene per il peccato di Adamo. Di conseguenza i discendenti di Adamo non possono raggiungere con i propri sforzi la vita eterna in quanto, più o meno presto, tutti diventano rei di peccati personali ai quali tende ormai la natura umana. Lo possono solo tramite il Cristo. Il nuovo Adama, generato dallo Spirito Santo, a immagine di Dio, può riscattare l'uomo dalla sua miseria e ricondurlo alla vita eterna e felice della casa del Padre.

vai all'indice pagina

 

3) Il peccato originale: storia di una problematica

Il peccato di Adamo ed Eva (peccato originante) ha pure influito sopra l'umanità intera che ne derivò in modo da costituirla «colpevole» agli occhi di Dio (peccato originato)? Per la storia di questa problematica rimando il lettore che voglia approfondire il tema ai quattro volumi della monumentale opera di J. Gross dedicati appunto a tale argomento.

1. Prima di Agostino

I bambini erano ritenuti «santi» anche senza il battesimo (1 Co 7, 14). In casi eccezionali si amministrava loro questo rito, ma solo perché anch'essi potessero morire da membri della Chiesa, arricchiti del dono dello Spirito Santo.. Ancora Tertulliano riteneva i bimbi innocenti e quindi incapaci del battesimo. Solo Origene ricorreva a una misteriosa colpa antecedente la nascita (unione dell'anima con il corpo secondo la concezione platonica?); sembra invece che Cipriano ammettesse una macchia contratta in Adamo.

2. L'insegnamento di Agostino

Nel decennio dopo la sua conversione (387-397) il vescovo di Ippona sostenne che non vi può essere colpa senza un libero atto personale dell'individuo, per cui i bambini morti senza battesimo, essendo privi di peccato personale, non avranno né premi né castigo.. Sembra che questa idea preluda alla futura dottrina del limbo. Più tardi (a. 413), per influsso di concezioni manichee e di tradizioni africane (Cipriano), al tempo della controversia pelagiana, il vescovo di Ippona attribuì ai bambini appena nati un vero peccato ereditato da Adamo,, che li rende degni della condanna eterna. Con questo peccato trasmesso mediante la generazione, che non è mai priva di concupiscenza, egli cercò di combattere l'idea pelagiana riducente l'influsso di Adamo a un puro esempio negativo, vinto dall'esempio buono dato da Gesù.

Conseguentemente per Agostino chi non è con Cristo tramite il battesimo, è con Satana e quindi va condannato; lo sono anche i bambini morti senza di esso. Naturalmente, non avendo colpe personali, la loro pena sarà « mitissima ». Secondo il vescovo africano « Ogni uomo è Adamo, mentre tra i credenti, ogni uomo è Cristo». Con l'esigere una fede esplicita Agostino non si accorse di rendere l'efficacia salvifica di Cristo inferiore alla potenza malefica di Adamo, contro l'insegnamento di Paolo (Rm 5, 12-21).

Per questo dal tempo di Giuliano di Eclana fino ai giorni nostri non pochi studiosi, anche cattolici, ritengono che Agostino sia stato il vero creatore del peccato originale. L'idea di una sofferenza, sia pur minima, dei bimbi morti senza battesimo, perdurò a lungo presso molti cattolici, detti per questo «torturatori dei fanciulli » (tortores parvulorum), anche dopo che era divenuta comune la credenza del loro relegamento nel limbo. Al tempo della teologia scolastica si ritenne illogico che un bambino soffrisse per il peccato di Adamo pur non avendo colpa personale, per cui si ammise che il bimbo morto senza battesimo dovesse godere di una felicità puramente terrestre senza alcuna sofferenza, ma anche senza visione beatifica di Dio. Tale stato fu chiamato Limbo e venne posto di mezzo tra l'inferno e il paradiso. E' la credenza che appare anche nella teologia della Divina Commedia dantesca.

3. Dopo Agostino

L'idea agostiniana del peccato originale – puntellata in seguito con alcuni passi biblici (Ge 3; Rm 5; Ef 2, 3) – si andò sempre più imponendo nella teologia cattolica da essere fatta propria dal Concilio di Trento, il quale ne parla espressamente nella sess. V del 17 giugno 1546:

Il peccato originale è unico all'origine, ma è proprio di ogni altro uomo in quanto gli si trasmette non per imitazione ma per propagazione... esso può venire tolto solo con il sangue di Cristo.

Tale peccato toglie all'uomo la grazia divina e i doni che non gli competono per natura (come l'esenzione dalla morte e dalla concupiscenza) per cui egli non solo non può più unirsi a Dio, ma resta anche ferito nella sua stessa natura che tende più al male che al bene. La teologia protestante luterana è andata ancora più avanti su questa linea e ha pensato che il peccato ha reso l'uomo totalmente peccatore e intrinsecamente corrotto (massa dannata). Tutto quanto egli opera, fosse pure qualcosa di buono, rimane un male agli occhi di Dio. « La sua natura – scriveva Calvino – è a tal punto pervertita, che non può essere spinta, mossa, condotta se non al male. Se così stanno le cose, è chiaro che egli è soggetto alla necessità del peccato».

4) Dottrina ufficiale odierna

La dottrina ufficiale della Chiesa è oggi identica a quella precedente; Pio XII nell'enciclica sulla Chiesa, chiamata il Corpo mistico di Cristo, ripete il concetto del peccato originale tridentino.

Dopo l'infelice caduta di Adamo, l'intera razza umana, inquinata dalla tara ereditaria, perdette la sua partecipazione alla natura divina (cf 2 Pt 4, 4) e noi tutti divenimmo «figli d'ira» (Ef 2, 3).

Il Vaticano II si è accontentato di ripetere che l'uomo, ferito dal peccato originale, è più esposto alle passioni disordinate e raggiunto dalla macchia originale, cade frequentemente in molteplici errori... Ma Cristo con la sua obbedienza vinse e redense la disubbidienza umana e come Nuovo Adamo restaurò nei figli la somiglianza divina (Chiesa e mondo contemporaneo 1, 13 22).

Tuttavia, di fronte a tendenze moderne, che vogliono spiegare il peccato originale come « una imitazione personale» del peccato di Adamo, Paolo VI il 30 giugno 1968, nel suo Credo del popolo di Dio (nn. 16-18), difese l'obbligo di battezzare i bambini perché essi sono privi della grazia divina e macchiati dal peccato originale, « che si trasmette per propagazione e non per imitazione ».

5. Crisi contemporanea

Oggi, da parte di molti studiosi anche sotto l'influsso dell'evoluzionismo che sembra ormai per loro una evidenza indiscussa si sente il bisogno di rivedere la formulazione classica del peccato originale datagli dal concilio di Cartagine del 418, e che era concepito secondo i canoni della cosmogonia e antropologia del passato. Molti hanno sentito il bisogno di reinterpretare la dottrina cattolica tradizionale e ne vanno preparando una trasformazione radicale. Ecco alcune soluzioni date al peccato originale da parte di questi revisionisti:

1. Peccato cosmico. Per Teilhard de Chardin il peccato originale consiste nella limitatezza propria di ogni creatura che è di conseguenza peccabile, ma che, con lo sviluppo umano verso il Cristo, andrà progressivamente elevandosi fino a raggiungere la vetta suprema nella quale sarà del tutto liberata, in Cristo, dal peccato e dalla morte. La salvezza consiste quindi nell'uomo che sale a Dio, anziché nella discesa di Dio verso l'uomo.

2. Peccato nel mondo. Per Schoonenberg e la scuola cattolica olandese il peccato di Adamo non è altro che l'inizio di una serie di altri gesti peccaminosi che, per imitazione del primo peccato, hanno provocato la triste situazione malvagia che ora avvolge l'umanità intera. I singoli uomini non sono colpevoli a motivo del peccato di Adamo, ma per i propri peccati personali. Nell'ambiente peccaminoso in cui vive, l'uomo è quasi costretto a peccare, così come una persona posta in un ambiente saturo di fumo ne assorbe necessariamente il veleno e si rovina i polmoni. E' appunto questo peccato del mondo umano che rende « impossibile all'uomo di amare Dio sopra tutte le cose ed evitare il peccato».

3. Peccato originale alla luce del complesso freudiano . Secondo P. Grelot, « Quando l'uomo emerse (dalla animalità) dovette decidersi per una scelta verso Dio, e questa prova rivelò la limitatezza umana e addusse il dominio del male sopra la nostra razza ».

Tale atto ha provocato la « rottura fondamentale», la « rottura con Dio, la schiavitù del Peccato e della Morte: i due volti di ciò che la teologia chiama, dopo Agostino, peccato originale ». La sua situazione è ben descritta al capitolo 7 della lettera ai Romani, il passo fondamentale al dire di Grelot, per questa problematica: «Esso non indica una colpevolezza nel senso psicologico del termine, ma una rottura effettiva della relazione che costituisce l'uomo nella sua dignità di immagine di Dio (Ge 1, 26 ss) e di figlio adottivo del Padre». Il tentatore per far cadere l'uomo presentò falsamente il comando che egli aveva ricevuto da Dio; gli suggerì che

l'intento della legge sarebbe stato quello di impedire all'uomo e alla donna l'accesso a qualcosa che ora gli appare desiderabile: la donna vede che l'albero era buono a mangiarsi e piacevole agli occhi e desiderabile per acquistare la conoscenza. L'autore di questo interdetto non è quindi il Padre che desidera il bene dei propri figli, bensì il tiranno geloso dei suoi privilegi. Per eliminare tale legalità opprimente, l'uomo e la donna, di comune accordo, si sforzano di "divenire pari a Dio": essi sognano di prendere il posto del Padre detronizzato, il che si può assimilare a un simbolico omicidio.

Questo episodio biblico avveratosi all'inizio dell'umanità, sta alla base del complesso freudiano circa il padre, come autorità repressiva degli impulsi naturali (particolarmente sessuali).

4. Personalità corporativa. M. Flick e L. Alszeghy concepiscono il peccato di Adamo come il rifiuto di dialogare con Dio. Per costoro il peccato originale

è l'alienazione dialogale da Dio e dagli altri uomini, determinata dalla mancata partecipazione della vita divina, che a sua volta è prodotta da una libera iniziativa umana, precedente ogni presa di posizione dei singoli membri dell'umanità attuale.

Tre sono quindi gli elementi di questo peccato:

a) personalistico: incapacità di dialogare con Dio e con gli altri uomini;

b) ontologico (o essenziale): privazione della grazia santificante che pone in comunione con Dio;

c) comunitario: solidarietà del genere umano.

Quando nell'evoluzione umana, l'uomo abbandonati gli stadi preumani, raggiunse l'autocoscienza, rifiutò consapevolmente la via del dialogo con Dio per seguire la strada che egli si tracciò per proprio conto. Di conseguenza, allo sviluppo gioioso, simboleggiato dal paradiso terrestre, si sostituì in tutta l'umanità, personificata in Adamo (personalità corporativa), l'economia della croce e della sofferenza. Il dialogo con Dio riprende invece nella nuova famiglia cristiana che è la chiesa

5. «Addio al peccato originale» . Questa espressione sembra che sia stata lanciata dal prof. Haag nella prefazione al volume di U. Baumann da G. Gross nella sua storia monumentale sul peccato originale, fu sostenuta in modo magistrale da D. Fernandez e da A. Vanneste. Quest'ultimo così afferma:

In fondo, si potrebbe dire che noi abbiamo preteso asserire che il peccato originale non esiste. Di farro, noi abbiamo detto assai nettamente che, a nostro parere, non v'è alcun senso nell'ammettere l'esistenza storica di un peccatum originale originans, d'un primo peccato commesso da una prima coppia umana (o da un primo gruppo umano), che avrebbe avuto un'importanza tutta particolare nella storia religiosa dell'umanità e che sarebbe stato all'origine della situazione peccaminosa del fanciullo che viene al mondo. Di più, noi non crediamo nell'esistenza di una qualche macchia (macula) nell'uomo che nasce, di una peccatum originale originatum, nel senso di uno stato peccaminoso che sarebbe anteriore ai peccati personali liberamente commessi. Noi riteniamo che, strettamente parlando, esistono solo i peccati personali, dei quali in fin dei conti il peccatore è responsabile.

Per lui (se ho ben capito) il peccato originale vuole solo mettere in rilievo che, nonostante la libertà individuale, tutti gli uomini peccano.

6. Consenso moderno quasi unanime

a) Tutti i teologi moderni sono più o meno d'accordo nel non ritenere probativi i passi usualmente addotti a dimostrazione del peccato originale, così come si concepiva in passato e, sostanzialmente, sono d'accordo con l'interpretazione che presenteremo più avanti (Rm 5, 12-21; Ef 3, 4).

b) tra i teologi contemporanei è pure andata in discredito l'idea di una felicità naturale propria del Limbo, dal momento che tale stato ultraterreno non è documentabile né con la Bibbia, parola di Dio né con la tradizione primitiva. Nemmeno si pensa ragionevole tornare alla teologia agostiniana che attribuiva un senso assoluto al passo di Gesù: « Se uno non rinasce d'acqua e di spirito non può entrare nel Regno di Dio» (Gv 3, 5) per sostenere la punizione eterna dei bambini morti senza battesimo. Tali parole dette da Gesù adulto a Nicodemo adulto non possono avere un senso generale estensibile ai bambini, incapaci di attuare una rinascita spirituale interiore che richiede comprensione, fede e accettazione personale del Cristo. E' poi irragionevole che Dio punisca esseri privi di colpe personali solo perché nati da Adamo, in quanto oggi si tende a mettere maggiormente in rilievo la responsabilità individuale. Ad ogni modo se Dio condannasse questi innocenti irresponsabili, come si può dire che egli vuole realmente la salvezza di tutti gli uomini senza che alcuni abbia a perire (1 Ti 2, 5). Per cui i teologi contemporanei vanno riesumando l'antica idea, che il Gaetano presentò al Concilio di Trento e che non fu mai condannata, vale a dire che per loro vi siano altre vie di salvezza oltre al battesimo.

c) I mezzi salvifici per i bimbi morti senza battesimo, suggeriti dai cattolici, si possono ricondurre a due raggruppamenti con interventi divini straordinari oppure ordinari:

(a) Tra gli interventi straordinari abbiamo due ipotesi di E. Klee e di E. Schell. Per il primo, morto nel 1840, Dio stesso nell'attimo della loro morte illuminerebbe miracolosamente i bimbi rendendoli capaci di scegliere il Cristo o di rifiutarlo, decidendo in tal modo con libertà personale il loro proprio destino.

Per E. Schell (m. 1906) la stessa morte – effetto e castigo del peccato originale – sarebbe una specie di sacramento espiatorio, sufficiente per rimettere la colpa. Dominava tale idea nel seminario cattolico di Detroit (USA) da me visitato nel 1973.

(b) Senza alcun intervento straordinario di Dio, i bambini che muoiono senza battesimo sono salvati, perché vi è in essi una brama, un desiderio del battesimo, emessi per loro dai genitori cristiani (Gaetano) o dalla chiesa che, inviata dal Cristo proprio per diffondere il messaggio salvifico, non può che volere la salvezza di tutti, e quindi anche dei bambini. Di conseguenza la mancanza di fede del bambino battezzato è supplita, secondo Agostino e Tommaso dalla fede della Chiesa.

vai all'indice pagina

 

4) che ci insegna la Bibbia?

Il pensiero biblico è ben diverso da quello sostenuto dai fautori del peccato originale. Infatti esso non insegna l'esistenza di un peccato originale trasmesso per generazione, che rende colpevole l'uomo prima di un suo peccato personale, anzi ci insegna che gli uomini saranno giudicati esclusivamente per le loro proprie colpe personali e che i bambini sono salvi anche senza battesimo

1. Passi non probativi. Gli unici passi con i quali si cerca di sostenere l'idea del peccato originale sono due testi paolini, che dobbiamo brevemente esaminare.

a) Efesini 2, 3: « Eravamo per natura figli d'ira»: da tutto il contesto (contro il parere di alcuni commentatori più antichi, come Knabembauer) appare che qui Paolo non vuole insegnare come la natura umana, sin dalla nascita,  sia sottoposta al peccato originale e quindi condannata alla pena eterna. Egli si rivolge a persone che in passato hanno compiuto peccati personali (v. 1-2), per cui « la loro natura lasciatasi andare ai capricci del volere peccaminoso e ai cattivi impulsi umani» è oggetto della giustizia divina e quindi incapace di salvarli. Si può quindi ammettere con lo Schlier, che « in sostanza Paolo parla qui degli effetti del peccato originale sull'esistenza umana», non di un peccato insito nella natura umana sin dal momento della nascita.

b) Paolo ai Romani (5, 12-21) . Il versetto sul quale maggiormente insistono i difensori del peccato originale è il seguente, rimasto incompleto sotto la dettatura dell'apostolo (anacoluto):

Perciò, come ad opera di un solo uomo il peccato fece il suo ingresso nel mondo e ad opera del peccato la morte, per cui la morte passò in tutti gli uomini, perché (ef'o) tutti hanno peccato (5, 12).

La traduzione latina (Volgata) ha maggiormente accentuato il vincolo tra il peccato di Adamo e l'umanità posteriore, in quanto, al posto di « perché tutti hanno peccato», ha invece « nel quale tutti peccarono » (in quo omnes peccaverunt). Dunque per il peccato di Adamo tutti gli uomini sono divenuti peccatori. Tuttavia con la tradizione orientale la parola greca ef ô va tradotta «perché » anziché « nel quale», per cui la colpevolezza umana è attribuita alle colpe personali di tutti gli uomini. Paolo non si interessa dei fanciulli che muoiono da bambini (situazione anormale), bensì della situazione in cui si trovano i destinatari della lettera che erano adulti e personalmente colpevoli. Quindi il Lyonnet a buon diritto traduce il passo in questione con « perché» tutti peccarono (così pure Grelot, Flick, Alszeghy). Molto bene il Grelot osserva che questo brano è stato letto troppo spesso in chiave antropologica anziché cristologica, come voleva Paolo. Lo si è addotto per mostrare che tutti gli uomini sono divenuti peccatori per colpa di Adamo, mentre Paolo vuole piuttosto mostrare che essi sono salvati in Cristo. Per opera di Adamo, fece il suo ingresso la condanna a morte (fisica) e si è iniziata la serie dei molti peccati personali, che creano nel mondo attuale un ambiente saturo di peccaminosità, il quale ci rende più difficile vivere bene. Tuttavia non è detto che l'attuale tendenza al male, di cui parla lo stesso Paolo (Rm 7) sia già un peccato per conto proprio; lo diverrà solo quando l'uomo vi acconsente con un'azione peccaminosa personale: « il peccato che abita nell'uomo presa occasione dal comandamento, mi sedusse e mi fece morire» (Rm 7, 11). Paolo vuole piuttosto asserire la signoria del Cristo sulla morte e sul male umano; da Adamo venne la morte fisica, da Cristo la vittoria sulla morte; da tanti peccati (e non da uno solo) venne il male attuale, ma su tutti essi dominò il Cristo: «mentre la giusta condanna seguì a una sola colpa, invece il dono del divino amore che giustifica seguì a molte colpe ». «Ora se per la colpa di uno solo regnò la morte mediante quell'uno, tanto più (poll ô mall ô ) quelli che ricevono l'abbondante favore divino e il dono di essere giusti, regneranno nella vita per mezzo dell'unico Gesù Cristo » (Rm 5, 16 s).

Spesso si ingrandisce il danno recato da Adamo e si dimentica che così facendo si diminuisce l'efficacia del dono divino e la vittoria luminosa dal Cristo, molto più sovrabbondante del male recato dal primo uomo. Questo testo classico ci autorizza a pensare che l'opera redentrice di Cristo va bel al di là della rovina procurata dal peccato di Adamo, e ci autorizza a pensare che automaticamente raggiunga anche i bambini incoscienti, così come senza propria responsabilità vengono inseriti nel mondo peccaminoso degli uomini.

2. L'idea di una condanna dell'uomo per il peccato di Adamo è contraddetta dai molti passi biblici nei quali si parla del giudizio finale: questo sarà individuale e non collettivo; riguarderà i peccati personali e non quelli degli altri, sia pure il peccato di Adamo: «Tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la retribuzione di quel che ha fatto, sia di bene sia di male, mentre era nel corpo» (2 Co 5, 11). « Ognuno di noi dovrà rendere conto di sé a Dio» (Rm 14, 12). «Allora il mare restituì i suoi morti; la morte e il soggiorno dei morti restituirono i loro morti e ciascuno fu giudicato secondo le sue proprie opere» Ap 20, 13). Anche Gesù, nel verdetto finale che darà agli uomini, parla solo di opere di misericordia attuate o non attuate da loro verso il prossimo bisognoso (Mt 25). Secondo il messaggio biblico è il nostro comportamento quello che conta, non il fatto della disubbidienza di Adamo. Lui era responsabile delle sue azioni, noi lo siamo delle nostre. Quindi non siamo costituiti peccatori dal suo peccato, ma solo dalle azioni personali compiute durante la nostra vita terrestre. Dio ci ritiene responsabili solo delle nostre azioni, non delle altrui.. In Cristo nuovo Adamo avremo la vittoria sulla morte e la salvezza dai nostri peccati personali. E' quanto germinalmente afferma il testo genesiaco in un passo che a ragione viene chiamato il « protovangelo». Al serpente Dio dice: « Porrò inimicizia tra te e la donna; tra la tua progenie e la sua progenie; questa progenie ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno» (Ge 3, 15).

In questa discendenza vittoriosa che schiaccia la serpe tentatrice appare all'orizzonte la visione della futura vittoria sul male dell'umanità vittoriosa unita a Cristo suo capo.

3. I bambini sono già salvati . I teologi avrebbero dovuto capire da tempo che è assurdo attribuire a un bambino uno stato morale privo di Dio. Costui non ha avuto ancora occasione di prendere posizione per o contro Dio. Egli è in uno stadio pre-teologico e, strettamente parlando, non si può dire né giusto né colpevole. La Bibbia non parla validamente che dell'uomo entrato nel mondo degli adulti, al quale soltanto si possono applicare le categorie morali.

Ad ogni modo «Dio vuole tutti salvi», afferma categoricamente Paolo ( 1 Ti 2, 5). Dunque vuole salvare anche i bambini.

Gesù infatti predilige i bambini, li abbraccia (Mc 10, 16), li presenta come esempio da imitare e vuole che gli uomini diventino simili a loro perché possano salvarsi.. Se io devo divenire simile a loro, è segno che essi sono già con Gesù, fino a quando non si staccano da lui con un peccato personale. Sembra quindi logico dire che i piccini, prima di una loro colpa personale, sono amici di Dio non in virtù di un rito (battesimo), ma per loro stessi. Se così non fosse, dovremmo dire che la potenza malefica di Adamo è superiore alla potenza salvatrice di Gesù. Adamo renderebbe peccatori tutti i bambini con la loro stessa nascita, mentre Gesù salverebbe solo quei bambini (e sono una minoranza) che si innestano a Lui con il battesimo. La maggioranza dei bambini morti in passato e anche oggi (la morte predomina nei paesi meno evoluti e non cristiani) perirebbe a motivo di Adamo, lasciando Gesù incapace di salvarli. Proprio il rovescio di quanto afferma Paolo, per il quale la potenza salvatrice del Cristo è di gran lunga superiore al danno causato da Adamo. Mi sembra quindi logico concludere che come il bambino inconsciamente, senza saperlo e volerlo, proviene da Adamo ed è inserito in un mondo malvagio, così lo stesso inconsciamente partecipa dei benefici che derivano dal Cristo per la stessa volontà divina che vuole tutti salvi. Quando in seguito il bambino, divenuto adulto, compie un peccato personale e rompe così la sua relazione con il Cristo, solo allora egli deve ristabilire di volontà propria tale comunione con Dio, tramite il Cristo, per mezzo di una fede personale congiunta con il ravvedimento, simboleggiati nell'immersione ed emersione battesimale. Mi sento quindi d'accordo con il teologo cattolico G. Panteghini, il quale afferma:

Ogni uomo viene al mondo sotto l'influsso simultaneo di Adamo e di Cristo. Essendo però prevalente l'influsso di Cristo, prima delle opzioni personali è in stato di amicizia con Dio. Cade così la preoccupazione per la salvezza dei bambini morti senza battesimo e perde significato l'ipotesi teologica del limbo.

vai all'indice pagina