Capitolo 4
Criteri di canonicità o di ispirazione



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Per quale motivo alcuni libri degli Ebrei furono ritenuti sacri, ossia ispirati da Dio, ed altri no? Calvino ricorda una norma che eliminerebbe qualsiasi discussione qualora fosse accolta in pieno dai credenti: la Bibbia ha in sé stessa una tale potenza interiore da interpellare l'uomo più di ogni altro scritto umano. Quindi la Bibbia stessa si autoattesta ed ha in sé la sua propria credibilità (autopistia). Si tratta di un motivo assai valido per molti scritti biblici che poco a poco trasformano il cuore anche più duro, purché una persona con umile sincerità ed amore si dedichi alla loro lettura. Tuttavia come si può dire ispirato un libro, ad esempio Ester, che sembra inculcare il genocidio in massa? Come si possono ritenere ispirati i primi nove capitoli delle Cronache che sono una semplice lista genealogica? Come si possono interpellare tali elenchi di nomi assai aridi e a prima vista unitili? Come mai si può spiegare il diverso elenco esistente tra cattolici e protestanti, per cui i primi accolgono i libri deuterocanonici come ispirati mentre i secondi li respingono con gli ebrei? Come mai Lutero poteva definire la lettera ispirata di Giacomo una "lettera di paglia", se ogni scritto biblico si autentica per se stesso? se i libri sacri si fanno conoscere per proprio conto, come il dolce o l'amaro, perché mai alcuni gruppi religiosi non si accorgono di tale sacralità ammessa da altri, per qualche libro sacro?

Credo sia bene al riguardo mostrare i criteri che furono seguiti dai rabbini del 1° secolo per determinare l'estensione della Bibbia ebraica, criteri che possono tuttora rafforzarci nella nostra fiducia verso i libri ispirati.

Tutti sanno che nell'epoca intertestamentaria erano sorte molte opere attribuite non di rado a grandi personaggi dell'antichità ebraica (Enoc, Isaia, Abramo, ecc.). Inoltre nel 1° secolo dopo Cristo, erano stati composti anche gli scritti del Nuovo Testamento, ai quali i giudeo-cristiani attribuivano un enorme valore. Per questo i rabbini giudicarono opportuno raggruppare i libri per loro sacri, affinché servissero di norma per i giudei. Ecco i principali criteri ai quali si sono ispirati.

1. il criterio profetico

È il criterio fondamentale che servì di base per la scelta dei libri sacro. Ce lo assicura Giuseppe Flavio: Va però notato che l'ispirazione profetica - secondo i rabbini - non si è limitata ai profeti, ma è passata anche ai saggi. Secondo una norma rabbinica «la profezia fu tolta ai profeti e data ai sapienti, i quali non ne vennero mai privati » (Talmud Bab., Baba Bathra 12 a). Secondo i rabbini il saggio re Davide scrisse i Salmi; Salomone riversò la sua propria esperienza nell'Ecclesiaste e forse nello stesso Cantico dei Cantici, anche se la stesura definitiva e posteriore di questi libri si attribuiva ad Ezechia e ai suoi scribi (cfr Pr 25, 1). Con tale paternità si superarono gli ostacoli per i Proverbi e specialmente per l'Ecclesiaste, il quale era guardato con molta diffidenza a motivo delle sue gravi contraddizioni interne (cfr 4, 2; 9, 2) e per il suo scetticismo quasi eretico: « Vanità delle vanità, tutto è vanità » (1, 3). Anche il Cantico dei Cantici godette diritto di cittadinanza per l'interpretazione allegorica che gli si diede, in quanto non vi si vide più un amore puramente umano tra sposo e sposa, bensì tra Dio e Israele. Rabbi Aqiba giunse anzi a dire: Ad ogni modo l'ispirazione profetica si sarebbe arrestata, secondo i rabbini, al tempo di Esdra e Nehemia, per cui vennero da loro respinti tutti gli scritti composti in data certamente posteriore. Ce lo conferma di nuovo Giuseppe Flavio che così scrive: Anche se la stesura definitiva di Daniele è stata certamente posteriore ad Esdra (rivolta maccabaica 170-160 a.C.), esso si poté salvare perché attribuito ad un profeta vissuto durante l'esilio babilonese (586-538 a.C.).

Il medesimo criterio appare anche nel seguente brano talmudico:

Quindi gli Ebrei accolsero come sacri tutti quei libri che essi ritenevano composti da profeti e che, con l'avveramento delle loro profezie, godevano del sigillo divino. Per tale motivo la prima parte della Bibbia è detta legge rivelata da Dio a Mosè, il più grande dei profeti (Dt 28, 15) e la seconda è chiamata dei Profeti (anteriori e posteriori) in quanto anche i libri da noi impropriamente chiamati storici, per gli Ebrei erano in realtà una profezia presentata con fatti anziché con parole. Infatti Dio può palesarsi sia con la "Parola" sia con le "opere", che sono pur sempre una concreta parola di quel Dio che dirige il corso degli eventi storici. Per questo il vocabolo ebraico "davar" indica non solo "parola" ma anche "fatto, episodio".

Furono così eliminati tutti i libri apocalittici e deuterocanonici che vennero composti quando più non vi era la successione profetica: tale il caso dei Maccabei, di Enoc e di tutti gli scritti pseudoepigrafi.

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2° criterio: accordo dello scritto con la legge mosaica

Mosè era ritenuto il massimo dei profeti perché Dio gli parlò « bocca a bocca » (Nm 12, 6-8), « come un uomo parla con un altro » (Es 33, 11); egli infatti « ascoltava Dio che stava sopra il propiziatorio, in mezzo a due cherubini » (Es 25, 22). Mosè - dicevano i rabbini - ricevette la sua rivelazione per dettatura da un libro già preesistente in cielo. La Legge è quindi direttamente ispirata da Dio; chiunque osi affermare che anche uno solo dei suoi versetti non viene dal cielo, non avrà parte nel mondo futuro (Talmud Bab. Sanh. 99a).

Nella legge sta scritto in germe ciò che i profeti futuri erano destinati ad annunciare:

Quindi ogni testo biblico deve essere in accordo con la Torah (Legge). Di qui i dubbi sorti circa il libro di Ezechiele per le sue molte differenze con la legge mosaica presentate circa la costruzione del futuro tempio di Gerusalemme e la futura organizzazione sacerdotale. Rabbi Hanania ben Ezechia ottenne ben trecento misure di olio in più per poter lavorare giorno e notte con luce sufficiente e così raccogliere tutte le divergenze che ci si trovano con la legge mosaica. La stessa difficoltà si ebbe per il libro di Ester, il quale, per il fatto di non nominare mai il nome di Dio, sembrava uno scritto insufficientemente religioso. Solo quando tali dubbi furono risolti, allora anche questi libri (pervenuti a loro come sacri) furono accolti dai rabbini nella collezione dei libri sacri senza alcuna riserva.

Per tale motivo i rabbini hanno pure eliminato i libri dei cristiani, che alla legge di Mosè, intesa letteralmente, sostituivano un'obbedienza interiore più spirituale. Così i loro libri furono ritenuti scritti di eretici (minim) da non includere quindi nel canone ebraico.

Tale ragione, anche se non espressamente dichiarata, influì nel subcosciente rabbinico e indusse i loro maestri a respingere tutta la letteratura neotestamentaria, letta invece con diletto dai giudeo-cristiani.

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3° criterio: diffidenza verso l'apocalittica

I rabbini hanno escluso tutta la letteratura apocalittica intertestamentaria perché erronea per loro, in quanto la sua predizione non si era avverata. Non aveva forse scritto Mosè che quando il preannuncio di un fatto non si avvera si deve ritenere falso profeta colui che l'ha pronunciato? (Dt 18). I libri apocalittici avevano annunciato l'improvvisa e imminente gloriosa manifestazione del Messia con la confusione dei suoi nemici. La grande rivolta del 66 si ispirava largamente alle idee esplosive degli apocalittici, che garantivano l'intervento prodigioso di Dio a favore del suo popolo. Invece la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. aveva finito con l'annientare tutte le gloriose speranze dei giudei. Perciò i rabbini, abbandonando questi sogni fantastici, sia pure dettati in buona fede, esaltarono l'importanza della Legge e degli altri libri sacri. Inoltre l'uso che alcuni di questi libri (Enoc) ebbero tra i giudeo-cristiani, con l'intento di mostrare come Gesù fosse il Messia atteso, può aver favorito l'opposizione rabbinica a tali scritti (R.C. Fuller).

Inoltre i rabbini hanno sempre scoraggiato le speculazioni riguardanti le origini (del mondo) e la fine dell'universo. Essi erano giustamente convinti che l'ebreo è completo quando ascolta la Legge e ubbidisce. Essi hanno quindi escluso dalla Bibbia gli scritti apocalittici, che provocavano invece un interesse esagerato verso l'epoca finale dell'umanità, dimenticando tutto quel che si sarebbe dovuto fare nel momento in cui si viveva. I rabbini hanno così eliminato gran parte della letteratura apocalittica dedita a grandi sogni speculativi circa il mondo futuro, nell'intento di rendere più sopportabile la difficoltà del momento.

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4° criterio linguistico

Furono inclusi nel canone solo quei libri che erano stati scritti originariamente in ebraico (o aramaico), per cui vennero spazzate via tutte le opere, giudaiche o cristiane, composte in greco. Non si accolsero in tal modo il libro della Sapienza, il 2° Maccabei, scritti recentemente in greco. Di conseguenza anche tutti i libri dei cristiani, che erano stati composti in greco, non poterono godere alcun diritto di cittadinanza sacra presso gli Ebrei.
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5° criterio liturgico

Secondo lo Osborn furono accolti come sacri quei libri che venivano adoperati nella liturgia sacra del tempio o della sinagoga (1) Quando a Nazareth, nella riunione del sabato, Gesù lesse il testo di Isaia profetizzante la venuta del Messia per « evangelizzare i poveri e per liberare gli oppressi » non faceva altro che leggere il libro sacro presentatogli dagli inservienti secondo l'uso sinagogale (Lc 4, 17-19). È possibile che già verso il 1° secolo d.C. vi fosse un ciclo annuale o triennale di letture tratte dal Pentateuco e dai Profeti. Anche se la lettura attuale delle cinque Meghillot nelle feste liturgiche ebraiche è di uso più tardivo, può tuttavia rispecchiare una consuetudine più antica, anche se non del tutto identica nella selezione dei brani (2) .
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Conclusione

Si può quindi concludere che i libri sacri andarono gradualmente imponendosi come ispirati non tanto per la loro spiritualità, perché in tal caso sarebbero più spirituali l'Ecclesiastico e l'Imitazione di Cristo che non il libro di Ester, ma perché, essendo stati scritti da profeti, erano sentiti dai rabbini come libri utili ed essenziali alla difesa del giudaismo e alla missione storica del popolo ebraico tra le nazioni. Si sentì che per mezzo loro la "Parola di Dio" (davar 'elohim) si rivolgeva al suo popolo per istruirlo e rimproverarlo, ma sempre per fargli superare tutte le prove: « Egli ci ammaestrerà nella nostra condotta e sui sentieri per cui dobbiamo camminare. Perché da Sion uscirà la Legge e da Gerusalemme la parola del Signore » (Is 2, 3). I pii giudei intuirono che questi libri costituiscono davvero la « Scrittura ispirata da Dio, utile a insegnare, a riprendere, correggere, a educare alla giustizia, per rendere completo l'uomo di Dio, e per prepararlo a compiere ogni opera buona » (2 Ti 3, 16).
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Note a margine

(1) Così G. Osborn, "Cult and Canon", Uppsala 1955. il suo libro ha suscitato una controversia, per la quale rimando a A. Guilding "The Fourth Gospel and Jewish Worship", Oxford 1960; L. Morris, "The New Testament and the Jewish Lectionaries", London 1964. torna al testo

(2) Le meghillot ("rotoli") sono i cinque libri letti in alcune festività: Il Cantico dei Cantici alla festa degli Azimi (15-21 Nisan = marzo/aprile); Ruth a Pentecoste (6 Siwan = maggio/giugno); le Lamentazioni nel nono del mese di Ab (= luglio/agosto); l'Ecclesiaste (Qohèlet) nella festa dei Tabernacoli i delle Tende (15-21 Tishri = settembre/ottobre); Ester in quella dei Purim ("sorti" il 14-15 Adar = febbraio/marzo). torna al testo



Dopo questo questo quarto capitolo della prima parte dell'opera " Il Romanzo della Bibbia" di Fausto Salvoni, edito dalla Libera Facoltà Biblica Internazionale di Via Del Bollo 5, Milano, 1980, puoi proseguire la lettura nel quinto capitolo.