Capitolo 5
La Bibbia ebraica presso i cristiani


INDICE DELLA PAGINA

Secondo A. Jepsen la storia del canone biblico presso i cristiani è « ancora tutta da scrivere » (1) Tali parole non erano vere solo nel 1959, ma rimangono tali anche ai nostri giorni. Qui farò seguire solo alcuni suggerimenti per indirizzare il lettore che lo desideri verso una ricerca più accurata e approfondita su questo argomento.

I. Gesù e gli apostoli

1. Gesù .

Il Cristo riconosce l'importanza della Bibbia, convinto com'era che in essa lo Spirito Santo aveva parlato «per bocca di Isaia », di « Davide » (Mt 1, 22; At 1, 16) e di altri profeti. Quando gli Ebrei lo accusarono di farsi uguale a Dio, egli li controbatte e adduce il passo di Salmi che chiama « dèi » i magistrati del tempo. Se dunque la Bibbia applica il nome di Dio a persone a cui la parola divina viene rivolta, tanto più merita di essere chiamato «figlio di Dio » colui che è inviato da Dio per illuminare gli uomini. E rafforza il suo ragionamento concludendo che « la Scrittura (= la Bibbia) non può essere annullata » (Gv 10, 34-35 da Sl 82, 6). Gesù cita poi quel Salmo con il nome di « Legge » (il cui termine preso in senso stretto includeva solo i cinque libri di Mosè): « La Legge chiama dèi coloro ai quali Dio rivolge la sua parola ». Possiamo quindi dedurne che Gesù condivideva l'idea rabbinica del suo tempo, secondo la quale tutta intera la Bibbia ebraica era in senso largo «Legge » di Dio in quanto comunicava la sua volontà.

Da un passo di Matteo sembra persino possibile dedurre l'estensione che la Bibbia aveva al tempo di Gesù e che sarebbe stata identica all'attuale lista ebraica di 24 libri. Quando rivolse il suo biasimo ai farisei, Gesù fece loro sapere che avrebbero subito il castigo per tutto il sangue innocente versato sulla terra dai loro antenati incominciando « dal sangue di Abele sino a quello di Zaccaria, figlio di Barachia, che voi avete ucciso tra il tempio e l'altare » (Mt 23, 35). Di Abele parla il Genesi che costituisce appunto il primo libro della Bibbia ebraica (Gn c. 4); Zaccaria invece viene ricordato nelle Cronache, l'ultimo scritto del canone ebraico (2 Cr 24, 20 ss). Siccome dopo quest'ultimo martire ricordato da Gesù, non poche altre persone furono martirizzate dai giudei, ad esempio il profeta Uria (Gr 26, 23) e il giusto Onia (Dn 9, 26), ne segue che che Gesù con la sua espressione intendeva riferirsi a tutti i martiri ricordati nella Bibbia dal suo primo libro (Genesi) al suo ultimo scritto contenuto nel canone ebraico (Cronache). Che questo Zaccaria sia detto figlio di barachia anziché di Jojada, come si legge nelle Cronache (2) sarebbe dovuto, secondo alcuni, all'errore di un cpista o alla confusione di Matteo causata dall'omonimia del martire ucciso dal re Joas con il profeta Zaccaria, figlio appunto di Barachia, il cui libro si trova nel gruppo dei profeti minori. È tuttavia preferibile, a mio modesto avviso, supporre che Gesù abbia conosciuto dalla tradizione il nome esatto del padre del martire Zaccaria (Barachia), mentre l'autore delle Cronache avrebbe omesso di proposito tale persona perché preferiva ricordare ol nome del nonno paterno (Jojada), il quale aveva salvato Joas da morte sicura mentre era ancora bambino per farlo poi elevare alla dignità regale. In tale modo egli voleva sottolineare ancor più l'ingratitudine del sovrano giudeo che aveva fatto uccidere lo stesso nipote del suo benefattore (3) Se la precedente supposizione è esatta, si dovrebbe concludere che la Bibbia ebraica usata da Gesù corrispondeva praticamente al canone ebraico stabilito proprio verso quell'epoca e corrispondente a quello di Giuseppe Flavio; esso includeva tutti i 24 libri sacri dalla Genesi a cronache senza i libri deuterocanonici.

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2. Gli apostoli

Dopo la morte di Gesù, gli apostoli e i primi cristiani continuarono a leggere nelle loro riunioni religiose la Bibbia degli Ebrei, seguendo l'esempio delle sinagoghe palestinesi. Le "Scritture" ebraiche, composte per ispirazione divina, erano da loro considerate « un pedagogo » a Cristo (Gl 3, 24). L'apostolo Paolo insegnava a Timoteo, e con lui a tutti i credenti, che « ogni parte della Bibbia (ebraica, l'unica allora esistente) è ispirata da Dio e quindi utile per insegnare . . . e capace di rendere l'uomo ben equipaggiato per ogni opera buona » purché vi si accompagni la fede in Gesù Cristo (2 Ti 3, 16). Fatto ben comprensibile se si pensa che « i profeti hanno parlato non per propria intuizione personale, ma perché sospinti da Dio » (2 Pt 1, 20 s).

Che la Bibbia degli apostoli non includesse i libri deuterocanonici, appare dalle 263 citazioni della Bibbia ebraica che si trovano nel Nuovo Testamento e che riguardano sempre i libri del canone ebraico, senza mai riferirsi ai libri deuterocanonici, nemmeno là dove l'argomento lo avrebbe richiesto. Vi si trovano, è vero, alcune allusioni, ma citazioni mai (4) Anzi, se volessimo esaminare ancora più profondamente tali citazioni, vi troveremo richiami ad alcuni libri pseudoepografi, come "Enoc" (Giuda 14) e "L'assunzione di Mosè" (Giuda 9) da parte di scritti giudeo-cristiani (Giuda, Giacomo, Pietro), ma non ai libri deuterocanonici (5) Se poi questi scritti fossero ritenuti sacri (come forse pensavano i giudeo-cristiani), non è possibile dimostrarlo, perché anche nei libri sacri di Luca e di Paolo si citano alcuni scrittori profani, come le frasi: « In Dio viviamo e siamo » (At 17, 26), oppure « i cretesi sono sempre bugiardi, bestie malvage e crapuloni indolenti » (Tt 1, 12). (6) Tali scritti non erano certamente ritenuti ispirati e sacri.

Con il tempo i cristiani, incoraggiati a leggere nelle loro riunioni gli scritti degli apostoli (Cfr Cl 4, 16; 1 Te 5, 27), aggiunsero gli scritti di questi nuovi profeti cristiani alla collezione ebraica e distinsero così la Bibbia in Antico e Nuovo Testamento, seguendo l'espressione paolina: « Le menti dei giudei sono offuscate; infatti leggono l'Antico Patto (Vulgata: Vetus Testamentum, ossia l'Antico Testamento) fino al giorno d'oggi, ma lo stesso velo (di Mosè) rimane su di loro senza venire rimosso» (2 Co 3, 14). Non ritenevano invece del medesimo valore gli altri scritti che pur si leggevano nel culto liturgico, ma che non erano stati composti dagli apostoli-profeti (7) .

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II. Il Canone cristiano prima della Riforma protestante

Fin dal 1° secolo i cristiani in maggioranza erano dei pagani convertiti di lingua greca, per cui adottarono nel loro uso liturgico la Bibbia greca detta dei "Settanta" (traduttori sigla LXX). Sino al tempo di Girolamo qualche vescovo la ritenne addirittura ispirata sulla base del racconto di 4 Esdra e per la sua citazione nel Testamento di Giuda 14; di conseguenza gli attribuiva la stessa autorità dell'originale ebraico (8) .

Le sue differenze con l'ebraico venivano spiegate quali errori di trasmissione da parte dei copisti oppure quali correzioni anticristiane introdotte nell'ebraico dai giudei contrari al cristianesimo. La Settanta divenne quindi l'unica Bibbia dei cristiani, dalla quale derivarono in seguito le prime versioni latine (Vetus Latina). Anche le persone che ben conoscevano l'ebraico, come Origene, usavano nei loro sermoni biblici la versione greca; Girolamo fu attaccato duramente da Agostino perché aveva osato cambiare le foglie di "zucca", chi, secondo la Settanta, avevano fatto ombra a Giona, con foglie di "edera".

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1. I problemi: sua estensione

Per la versione greca dei "Settanta" (LXX) sorgono non pochi problemi, perché ignoriamo da quanti e quali libri fosse costituita al tempo di Cristo e degli apostoli, e se tutti i suoi libri fossero ritenuti ispirati alla stessa maniera o se alcuni vi fossero inclusi solo perché si leggevano in alcune sinagoghe o nella liturgia cristiana.

Anzitutto i manoscritti della LXX non presentano sempre i medesimi libri. Ad esempio, il codice Vaticano (B) del 4° secolo non ha i libri dei Maccabei, che sono presenti invece nel Sinaitico (S 4° secolo, 1-4 Maccabei) e in parte nell'Alessandrino (A, 5° secolo, solo il 1 e il 4), Il terzo di Esdra è presente in B (Vaticano) e A (Alessandrino); la preghiera di Manasse, i Salmi di Salomone e le due epostole di Clemente si trovano nel codice A (Alessandrino); la lettera di Barnaba e il Pastore di Erma stanno scritti nel codice S (Sinaitico). Dal che appare come alcuni scritti vi siano stati inclusi differentemente secondo l'uso liturgico che se ne faceva nelle singole chiese.

Un caso a parte è costituito dal libro di Enoc e dei Giubilei, che ora non esistono più nei manoscritti greci conservati sino ad oggi, ma che nei primi tre secoli della chiesa erano assai popolari tra i cristiani. Enoc fu citato anche da Giuda (vv. 14-15) che sembra presentarlo addirittura come ispirato. Fu tradotto verso il 330 in lingua ge'ez dalla chiesa etipicam che tuttora lo ritiene un libro canonico; verso il 500 se ne è fatta una versione slava e, in epoca imprecisata, una sua parziale traduzione latina. I suoi influssi si fecero sentire persino presso la chiesa irlandese.

Il libro dei Giubilei, ritenuto pure sacro dagli Etiopi, proviene come il precedente da una versione greca. Questi due libri si trovavano all'inizio anche nella versione dei LXX? Non pochi lo suppongono, per il fatto che la Bibbia etiopica, proveniente dalla LXX, li accoglie, come li accolgono pure molte chiese primitive, il che milita a favore della loro presenza nell'antica versione greca, la quale era universalmente accolta dalle chiese cristiane. È possibile che tali due scritti (particolarmente quello di Enoc) fossero ritenuti ispirati dalla chiesa giudeo-cristiana e che esistessero nei manoscritti biblici di loro derivazione, ma che poi vi siano stati tolti, quando verso il 4° secolo d.C. i libri di Enoc e dei Giubilei andarono in discredito presso i cristiani della gentilità. Di fatto gli autori che ricordano Enoc sono di origine giudeo-cristiana (Ps - Barnaba) o non ostili al giudaismo cristiano (Atenagora, Clemente Alessandrino, Ireneo, tertulliano, Cosimo di panopoli); lo stesso si dica per la chiesa etiopica che tuttora ritiene canonici entrambi questi scritti. Solo nel secolo 4° gli etnico-cristiani, contrari ai credenti di origine giudaica, potrebbero aver rimosso i due libri, così come inizialmente essi trascurarono o non possedettero le lettere di Giacomo, Giuda e 2 Pietro di evidente origine giudeo-cristiana, per la cui ispirazione molti di loro nutrivano dei dubbi (cfr Eusebio, "Storia Ecclesiastica" 3, 10, 3).

Se il contenuto della Settanta resta così incerto, come si può poggiare su di essa per stabilire l'ipotetico originario canone alessandrino, tanto più che in Egitto gli Ebrei ritenevano di valore normativo ed ispirata solo la Legge (Pentateuco; cfr Filone)? Se la presenza dei deuterocanonici in tale versione greca fosse sufficiente garanzia per la loro sacralità, come mai non vennero accolti dalla chiesa cattolica anche gli altri scritti che pur vi si trovavano, quali i Salmi di Salomone, il 3° e 4° Esdra, i quali ultimi due servirono di base per difendere l'ispirazione della stessa Settanta e venivano stampati fino a poco fa in appendice alle edizioni della Volgata? Se in questo caso, la loro presenza nei manoscritti della LXX non basta a garantirne l'ispirazione, come mai basta invece quando si tratta dei libri deuterocanonici? Siamo di fronte ad un comportamento ambiguo e vario, che di fatto poggia solo sopra la decisione della chiesa, unica norma di fede, e non sulla presenza o meno di questi libri nella Settanta.

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2. Uso liturgico dei libri

E un dato certo che nella liturgia si leggevano non solo i libri protocanonici, ma anche i deuterocanonici (9) Dal momento che le chiese antiche usavano la versione greca della Settanta (LXX), è naturale che moltissimi autori cristiani abbiano letto anche i libri deuterocanonici che vi si trovavano, assieme ad altri libri detti pseudiepigrafi, quali Enoc (10) Giubilei (11) Testamenti dei XII patriarchi, 4 Esdra (12) , i quali, anche se sono di origine precristiana, hanno alcune innegabili aggiunte cristiane. La presenza in qualche manoscritto delle lettere di Clemente, che si leggevano a Corinto, di Barnaba e del Pastore di Er,a, letto a Roma, ci fa capire che essi vi erano stati introdotti per il loro uso liturgico. Lo stesso si ripeté a riguardo delle Odi di salomone, di origine siriaca. Ma dall'uso liturgico di un libro presso i cristiani, è legittimo dedurre l'ispirazione dei sette libri deuterocanonici?. Le liste ufficiali ci fanno capire che tale illazione è erronea.
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3. Le liste ufficiali dei libri sacri

Gli stessi scrittori ecclesiastici, che pur usavano i libri deuterocanonici, quando presentano la lista dei testi sacri, di fatto eicordano solo l'elenco in uso presso gli Ebrei.
 

a) Presso i greci

Non vi è alcun dubbio al riguardo. Giustino (m. verso il 165) non ricorda quasi mai i libri deuterocanonici, anche se ciò si può spiegare con il fatto che egli, disputando con il giudeo Trifone, intende servirsi solo degli scritti ammessi da entrambi: «Per la controversi mi baserò solo sui libri che presso di voi (ebrei) sono accolti per consenso comune» (13) Ad ogni modo questo motivo apologetico non vale per i successivi scrittori, Melitone, vescovo di Sardi, nella sua lettera ad Onesimo, presenta verso il 170 un catalogo dei libri dell'Antico Testamento « che sono generalmente accolti e che sono ispirati ». Dopo essersi recato apposta in Oriente per tale scopo, egli elenca tutti i libri del canone ebraico ad eccezione del libro di Ester, che anche presso i qumraniti non si trova, senza aggiungervi nessun altro libro deuterocanonico.

«Recatomi dunque in Oriente, ho veduto i luoghi dove fu annunziato e si compì quel che la scrittura insegna e vi ho appreso con esattezza quali sono i libri dell'Antico Testamento. Ne ho fatto l'elenco e te lo invio.
Ecco i titoli dei 5 libri di Mosè: Genesi, Esodo, Numeri, Levitico, Deuteronomio; poi Gesù (figlio di) Nave (. . . Goisuè), Giudici, Rut, i 4 libri dei Re; i 2 dei Paralipomeni. I Salmi di Davide, i Proverbi di Salomone, ovvero la Sapienza, L'Ecclesiaste, il Cantico dei Cantici, Giobbe. I profeti Isaia, Geremia, i 12 minori in un sol libro, Daniele, Ezechiele, Esdra
» (14) .

Nel 3° secolo Origene (m. 254) elencava 22 libri sacri in corrispondenza con le lettere dell'alfabeto ebraico e in accordo con l'elenco di Giuseppe Flavio. Egli li presenta ricordando prima i nomi greci ai quali fa seguire il loro titolo ebraico. Alla fine, ad elenco già ultimato, vi aggiunge anche il 1 Maccabei, come un ventitreesimo libro, e quindi da non equipararsi ai precedenti scritti, da lui detti ventidue. E probabilmente un aggiunta posteriore che turba il ritmo del contesto (15) .

Giulio Africano , nel 3° secolo, voleva rimuovere dal testo di Daniele (LXX) i brani deuterocanonoci aggiunti nel greco, perché mancanti nell'originale ebraico, e rimprovera Origene di aver ricordato la storia della casta Susanna (16) .

Nel 4° secolo seguono la lista ebraica: Eusebio di Cesarea (m, 340) (17) Atanasio (m. 373), Cirillo di Gerusalemme (m. 386) (18) Epifanio (m. 403) (19) Gregorio Nazianzeno (m. 390) (20) e il suo discepolo Anfilochio (m. dopo il 394) (21) Tutti costoro usano i deuterocanonici e li dicono utili per istruire i catecumeni (Atanasio), ma li pongono in sottordine di fronte agli scritti biblici degli Ebrei (Cirillo di Gerusalemme).

Questa attitudine sfavorevole all'ispirazione dei deuterocanonici nell'Oriente cristiano antico, è confermata dai canoni 59 e 60 emessi dal concilio di Laodicea in Frigia, Il primo canone (59) prescrive di leggere solo i libri sacri che vengono poi elencati nel seguente canone (60) e che corrispondono ai libri sacri accolti dagli Ebrei; vi mancano infatti Giuditta, il Siracide, 1 e 2 Maccabei (22) .

Nel 5° secolo, l'autore dei Canones Apostolorum, opera che viene generalmente posta verso la fine del 4° secolo (23) non elenca i deuterocanonici. È dunque un dato indubitabile che nell'Oriente greco, benché si leggessero e si usassero anche i libri deuterocanonici, di fatto solo i libri protocanonici, ossia quelli inclusi nella lista ufficile ebraica, erano ritenuti propriamente sacri.

Solo più tardi, per influsso dei latini, anche gli Orientali nel 622, con la decisione del concilio di Trullo (24) accolsero i deuterocanonici e fecero prprio l'elenco promulgato nel quarto concilio di Cartagine l'anno 419. Non mancarono tuttavia anche più tardi scrittori di valore, come Giovanni Damasceno (m. 574) (25) che contonuarono a seguire l'antico canone giudaico. Tuttavia il loro numero andò sempre più restringendosi, mentre aumentarono i partigiani del canone trullano più lungo. Anche il concilio di Firenze fece uso dei deuterocanonici nel dibattito con gli orientali e li diachiarò sacri (26) .

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b) Il canone delle chiese orientali non greche

Inizialmente i Siri non cristiani, al pari dei Samaritani, avevano una Bibbia che conteneva solo la Legge (il Pentateuco). Più tardi, tuttavia, forse per influsso dei cristiani, ci inclusero anche gli altri libri del canone ebraico, però senza i deuterocanonici.

Questi penetrarono nella Peshitta, solo nel 4° secolo dell'era cristiana, dopo il trionfo di Costantino e per influsso della versione greca (LXX), allora fatta copiare e diffondere per volontà dello stesso imperatore.

L'Ecclesiastico (Siracide), come appare dalle modifiche successive, fu tradotto da persone contrarie al sacrificio del sacerdozio ebraico del tempio di Gerusalemme, da gente che era opposta alla monarchia e paurosa degli antropomorfismi di cui la Bibbia è ricca. Tali persone erano sostenitrici della dieta vegetariana (27) Tendenza questa conforme allo spirito giudaico verso l'inizio dell'era cristiana particolarmente tra gli Esseni, e molto affine alle idee dei cristiani ebioniti. Quindi l'Ecclesiastico, tradotto prima del 3° secolo dell'era cristiana, deriva, a quel che pare, da ambienti assai vicini alle idee degli Ebioniti che dalla Palestina si erano trasferiti in Siria (28) .

Tuttavia i Nestoriani, staccatisi dalla chiesa madre siriaca nel 3° secolo per le loro idee teologiche, che ammettevano due persone in Cristo, l'umana e la divina, contro l'unicità ammessa dalla maggioranza dei cristiani, conservavano l'antico canone siriaco, in quanto hanno una Bibbia priva dei deuterocanonici (canone siro-orientale o nestoriano), probabilmente perché si erano staccati dalla chiesa madre prima della loro inclusione. Non avevano neppure Giobbe, Cantico dei Cantici, 1 e 2 Cronache, Esdra, forse perché il terzo gruppo degli scritti sacri non era ancora ben fisso presso di loro.

Al contrario, i copti e particolarmente gli Etiopi, a fianco dei libri sacri, accolsero, non solo i deuterocanonici, ma anche alcuni pseudoepigrafi, come Enoc, Giubilei, 2 Baruc e 4 di Estra (29) Probabilmente nel fare così seguirono la tradizione giudeo-cristiana giunta fino a loro.

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c) In Occidente

Nell'Occidente latino, dove meno si conosceva il canone ebraico, notiamo una maggiore oscillazione: i più ostruiti nell'ebraico e che furono in contatto con gli orientalli, negano l'ispirazione dei deuterocanonici; i meno esperti invece li accolgono, perché li trovavano nella Vetus Latina, derivata dalla versione dei LXX.

In Gallia, Ilario (m. 367) di Poitiers si ispira ad Origene e non elenca i deuterocanonici (30) .

In Italia, Rufino (m. 410) e Girolamo (m. 420), che trascorsero entrambi molti anni in Oriente, accolsero solo la lista biblica dei giudei. Secon dil primo - che si rifà alle "Catechesi" di Cirillo di Gerusalemme - i libri deuterocanonici non possono essere usati per difendere la fede cristiana (31) per Girolamo si possono leggere per edificazione del popolo, ma non si possono adoperare per sostenere una qualsiasi posizione nelle discussioni dommatiche, perché essi non sono ispirati: « non sunt in canone». Più volte il monaco ne parla. Nella sua « Lettera ai due vescovi Cromazio ed Eliodoro » scrive chiaramente:

«Noi abbiamo tre libri di Salomone: i Proverbi, l'Ecclesiaste e il Cantico dei Cantici. Il libro intitolato l'Ecclesiastico e l'altro, che falsamente si chiama la Sapienza di Salomone, si trova nella medesima situazione del libro di Giuditta, di Tobia e dei Maccabei. La chiesa li legge, ma senza riconoscerli canonici; li legge per edificazione del popolo, ma non se ne serve per provare o autorizzare alcun articolo di fede » (PL 22).

Girolamo non presenta la sua idea come qualcosa di personale, bensì come un dato comune: «la chiesa » è indubbiamente quella di Roma, dal cui vescovo Damaso (m. 384) egli aveva ricevuto l'incarico di compiere una nuova traduzione latina di tutta la Bibbia (32) Non avrebbe potuto scrivere così se Papa Damaso avesse pensato diversamente, per cui già da questo si può arguire che il famoso « Canone biblico » di papa Damaso (a. 392), includente anche i libri deuterocanonici, non può essere genuino. Di fatto tale decreto, che cita il commento di Agostino al vangelo di Giovanni, opera scritta solo nel 414, non può provenire da papa Damaso morto in antecedenza (a. 384); e quindi non rispecchia il pensiero di Roma, bensì delle chiese africane (33) .

Girolamo ritorna sull'argomento nella sua prefazione ai libri di Salomone, scritta verso il 389/390.

«Si tramanda pure il libro panàretos ("tutto verace") di Gesù, figlio di Sirac, e l'altro pseudoepigrafo che si riferisce a Salomone. Il primo l'ho trovato anche in ebraico, dove non è chiamato Ecclesiastico, come presso i Latini, bensì Parabole. Gli si aggiungono Ecclesiaste e il Cantico, che si accordano non solo per l'attribuzione numerica a Salomone, ma anche per il materiale affine. Il secondo libro (della Sapienza) non è mai stato accolto dagli Ebrei, perché il suo stesso stile ridonda dell'eloquenza greca; alcuni scrittori antichi lo attribuiscono al giudeo Filone. Dal momento che la chiesa legge anche Giuditta, Tobia e i libri dei Maccabei, pur non accogliendoli tra gli scritti canonici, ne segue che essa li legge per edificazione della plebe, ma non per confermare l'autorità dei dogmi ecclesiastici » 34 .

Anche nel noto «Prologo galeato» o "protettivo", posto quale scudo difensivo (galea) a protezione delle Sacre Scritture tradotte da Girolamo, l'irruente monaco parla di 22 libri corrispondenti alle 22 lettere dell'alfabeto ebraico, che staccando qualche libro (prima unito), diventano 24, corrispondenti ai 24 Seniori dell'Apocalisse.

«I libri dell'antica legge sono 22, vale a dire i 5 di Mosè, otto dei profeti, nove degli agiografi. Mentre molti uniscono Ruth con i Giudici e le Lamentazioni con Geremia, altri li separano e li considerano a parte in modo da raggiungere il numero 24.
Tale è appunto il numero dei 24 anziani dell'Apocalisse giovannea che adorano l'agnello, dinanzi ai quattro animali che hanno gli occhi sia davanti sia di dietro, perché guardano tanto al passato quanto al futuro . . .
Questo prologo delle Scritture, che sta in principio quale difesa, può convenire a tutti i libri che abbiamo tradotto in latino dall'ebraico, perché si possa così sapere che tutto quanto sta di fuori va posto tra gli scritti apocrifi.
Perciò la Sapienza, che volgarmente si attribuisce a Salomone, il libro di Gesù, figlio di Sirac, Giuditta, Tobia e il Pastore (di Erma) non sono nel canone. Ho trovato in ebraico anche il primo libro dei Maccabei; il secondo è greco come si può documentare dal suo stesso stile
» (35) .

Siccome cinque lettere ebraiche hanno una doppia forma, secondo che siano in fine di parola o in mezzo di essa, ne viene che il loro numero può ascendere a 27. E ventisette possono divenire gli scritti sacri qualora di dividano in due, come si ha nelle Bibbie moderne, i libri di Samuele, quelli dei Re, delle Cronache, di Esdra-Nehemia, Geremia-Lamentazioni. Il numero 27, così ottenuto, era stato accolto anche dal già citato Epifanio. Lo stesso papa Gregorio Magno (m. 604) riteneva che il libro dei Maccabei fosse stato posto tra gli scritti sacri, perché serviva ad edificare la chiesa (36) .

Fu invece in Africa che i deuterocanonici cominciarono ad essere valorizzati. Il catalogo Cheltenham (Inghilterra), detto pure di Momsen dal nome del suo scrittore,  che è di origine africana e risale al 360 circa, include anche tutti i libri deuterocanonici. Particolarmente Agostino, vescovo di Ippona (m. 430), contribuì alla canonizzazione occidentale dei libri deuterocanonici (37) Nei concili locali di Ippona (a. 398) e di Cartagine (397 e 419) (38) egli dichiarò canonici anche questi libri, che trovava nella Vetus Latina. Per influsso delle chiese africane tali libri furono accolti anche dal cosiddetto decreto Gelasiano, attribuito erroneamente a papa Damaso (39) da papa Innocenzo I nella sua lettera ad Esuperio, vescovo di Tolosa (a, 405) (40) .

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III. Dalla Riforma ad oggi

1) Ritorno al canone ebraico

a) Tra i protestanti. I  protestanti espressero vari dubbi sull'ispirazione dei deuterocanonici, come appare dalle osservazioni di Carlstadt (Andrew Bodenstein), le quali indussero Lutero a raggrupparli in appendice della sua edizione della Bibbia (1534) con la dicitura "Apocrifi": libri che non vanno ritenuti uguali alle S. Scritture, pur essendo ugualmente utili e buoni da leggere". Così fecero pure Zwingli (Zürich-Bibel 1527-29) e l'Olivetano, nelle loro Bibbie, rispettivamente in tedesco e in francese, voluta quest'ultima dai Valdesi nel 1534-35 con prefazione dello stesso Calvino. La confessione gallicana (1550) e quella belga (1561)esclusero i deuterocanonici dalla Bibbia chiamandoli "apocrifi".

La Bibbia inglese di Wycliffe (1382) riprodusse solo i libri del canone ebraico ridotto, escludendone i deuterocanonici. Ma la King James Version (1535) li raggruppò e li stampò in mezzo tra l'Antico e il Nuovo Testamento. La confessione presbiteriana di Westminster (1647) stabilì che questi libri «non sono di ispirazione divina e non fanno parte del canone biblico, quindi non hanno alcuna autorità nella chiesa di Dio e non vanno approvati ed usati nella chiesa se non come scritti puramente umani» (41) .

Dal 1827 le Società Bibliche cessarono di stampare i deuterocanonici, benché ora per la spinta delle traduzioni ecumeniche preparate insieme da cattolici e protestanti, si stia ripristinando l'uso di presentare in appendice anche i deuterocanonici, pur avvertendo che si tratta di libri ispirati solo per i cattolici. È questa un'opportuna modifica, in quanto tali scritti sono assai antichi e hanno il vantaggio di presentarci la preistoria di alcune idee ed espressioni neotestamentarie, che si sono maturate appunto nel periodo intertestamentario e che germinalmente sono presenti in essi. Basti ricordare lo sviluppo dell'angelologia e il concetto di retribuzione. Per fortuna ora non si è più così polemici da rifiutare l'uso e la lettura di alcuni scritti per il solo fatto che di essi se ne servivano i cattolici per difendere alcune loro idee, come facevano i polemisti del passato. Costoro, ad esempio, respingevano il libro dei Maccabei, perché un suo passo serviva da appoggio al concetto cattolico del purgatorio (2 mac 12, 44-45); ora al contrario si preferisce esaminare il contesto del libro e mostrare come tale testo non abbia nulla a che vedere con la moderna dottrina cattolica del purgatorio. Ma anche se lo fosse, non sarebbe un motivo valido per eliminarne la lettura, tanto utile per conoscere la storia del periodo maccabeo. Basta solo affermare, come già insegnava Girolamo al suo tempo (m. 420) che, non essendo un libro ispirato, non può servire per sostenere alcun dogma.

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b) Chiese orientali . Come abbiamo visto le chiese orientali gradualmente hanno accolto anche i libri deuterocanonici, anzi alcune, di origine giudeo-cristiana, vi avevano aggiunto persino alcuni scritti pseudoepigrafi (ad esempio la chiesa etiopica). Tuttavia del 17° secolo, per influsso della Riforma, il problema della canonicità dei deuterocanonici si sollevò anche in oriente. Z. Gerganos (1627), un ortodosso greco che studiò a Wittenburg, fu il primo ad abbandonare la tradizione bizantina per riprendere quella più antica, che escludeva tali libri. Nel 1772 il sinodo di Gerusalemme accettò anche i deuterocanonici come libri ispirati, ma, nonostante tale decisione, ora domina libertà di pensiero al riguardo. (Così mi assicurava Panagiotis Kizeridis, collaboratore per la Bibbia Concordata, Momdadori). Chi vuole li può usare come sacri, mentre chi non li ritiene ispirati è libero di seguire la propria opinione. Il che è tutto dire, in una clima dove la libertà di pensiero è ben più limitata che non presso la chiesa romana.

I russi del 18° secolo nutrirono seri dubbi a riguardo dei deuterocanonici, poi nel secolo 19° passarono addirittura a negarne apertamente l'ispirazione divina. Tuttavia, nel 1956, la chiesa russa li mantenne nella traduzione della sua Bibbia pubblicata appunto in quell'anno.

La chiesa etiopica continua invece a mantenere il suo canone largo, includente oltre ai deuterocanonici, anche altri libri pseudoepigrafi (Enoc, Giubilei).

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c) la decisione del concilio di Trento. l'influsso di Agostino indusse gli Occidentali ad accogliere nell'elenco biblico anche i deuterocanonici, fino a quando tale idea fu ufficialmente sancita, come vedremo, nel concilio di Trento.

Nel corso dei secoli non mancarono evidentemente alcuni teologi di grido che emisero dei dubbi o respinsero i deuterocanonici. La chiesa, pur accogliendo l'idea africana diffusa da Agostino, non proibì loro di aderire alle opinioni restrittive di Girolamo. Tra questi studiosi, che dubitarono della canonicità dei sette libri aggiunti in greco, possiamo ricordare: Ugo di San Vittore (m. 1141), Nicola di Lyra (42) e, al tempo del concilio di Trento, ol noto cardinale Gaetano del Vio (43) Non mancarono in Germania (1527) e in Francia (1530) delle edizioni bibliche cattoliche che presentavano solo i libri del canone ufficiale ebraico, senza i deuterocanonici (44) .

Il punto ufficiale della chiesa latina al riguardo fu presentato da papa Eugenio IV nel suo citato "Decreto per i Giacobiti " (a. 1442), emanato dal concilio di Firenze contro i monofisiti di Alessandria e Gerusalemme (copti), che fecero proprio il canone del terzo concilio di Cartagine (45) .

Nel 1546 il concilio di trento, per contrattacare le opposizioni dei protestanti, ribadì nel suo elenco dei libri biblici ol valore sacro dei deuterocanonici, e concluse con la seguente frase:

«Se una persona prudente, pur conoscendo le predette tradizioni (ecclesiastiche), osasse non accogliere come sacri e canonici questi libri integralmente con tutte le sue parti, così come la chiesa cattolica ebbe l'abitudine di leggerli e come si trovano nell'antica edizione latina della Volgata, sia scomunicato » (46)

Al Concilio di trento fu quindi respinta la proposta del card. Gaetano di ripartire i libri biblici in due classi: a) libri sacri canonici (cioè quelli del canone ebraico) e b) "libri ecclesiastici", che sarebbero gli scritti deuterocanonici, la cui autorità non deriverebbe dall'ispirazione, ma dall'uso che ne fece la chiesa.

I 53 prelati, che ratificarono il decreto, non fecero ricerche al riguardo anche perché non erano affatto degli studiosi ad eccezione del cardinale gaetano. Come scrisse B.F. Westcott: «non vi era alcun tedesco, nessun studioso di fama noto per gli studi storici, nessun che avesse intrapreso uno studio speciale per l'esame di una questione, la cui verità può venire soltanto dalla luce dell'antichità » (47) Infatti nel periodo anteriore alla Volgata le testimonianze patristiche confermano il canone degli Ebrei. Alla Volgata Girolamo premise un prologo, che non venne preso in consoderazione, nel quale, come abbiamo visto, metteva in guardia contro l'ammissione dei deuterocanonici tra i libri sacri. La Volgata fu accolta dalla chiesa cattolica, ma solo dopo numerose proteste suscitate in seno alla chiesa, tra cui quelle dello stesso Agostino che voleva restare fedele all'antica traduzione latina, la quale era stata tratta dal greco e non dall'ebraico, come invece la Volgata latina. Se l'uso della chiesa antica dovesse servire da pietra di paragone per determinare i libri sacri della Bibbia, si dovrebbe accogliere anche il 4 di Esdra, Enoc e Giubilei, dal momento che essi nell'antichità erano ben più usati e citati dei libri canonici di Esdra e Nehemia, tant'è vero che il 4 di Esdra continuò ad essere stampato (assieme al terzo) in appendice delle edizioni della Volgata anche dopo la decisione del concilio di Trento! Lo stesso si dica pure per la preghiera di Manasse. Eppure questi testi così usati nell'antichità non furono accolti dalla chiesa di Roma. Segno che l'uso dei libri presso gli scrittori ecclesiastici antichi non fu addotto dal concilio di Trento come criterio per stabilire l'elenco dei libri sacri. Lo stesso concilio dimenticò pure tutte le liste presentate dagli antichi scrittori cristiani che respingono gli scritti deuterocanonici, nonostante il loro uso ecclesiastico. Tutte queste considerazioni ci fanno vedere come la decisione del concilio di Trento manchi di coerenza storica e non meriti grande attendibilità.

Dalla documentazione precedente appare ben più sicura e meglio conforme al pensiero della chiesa primitiva l'idea che i deuterocanonici sono dei libri ecclesiastici, tuli per la lettura, ma non collocabili allo stesso livello degli scritti sacri ispirati. Lo proibiscono gli elenchi primitivi dei libri biblici, l'attestazione chiara di Girolamo e i dubbi che sempre sono riaffiorati a loro riguardo. La stessa chiesa cattolica, che poggia sulla tradizione, non può documentare l'esistenza di una costante tradizione favorevole ai deuterocanonici.

Il canone biblico è inscindibilmente connesso con la comunità credente. Nella "Bibbia ebraica" i "figli di Abramo" hanno trovato nei libri biblici la testimonianza di quel Dio, che li aveva scelti tra le naziono pagane per testimoniare lui solo contro tutti gli idoli del paganesimo. I pii ebrei hanno considerato la Bibbia come la vera guida infallibile per condurre una vita conforme ai voleri di Dio. I farisei, raccogliendo la voce della lunga tradizione giudaica, hanno fissato una volta per tutte l'elenco dei libri sacri, scartando tutte quelle opere che per loro non avevano origine profetica.

Gesù ha accolto il pensiero dominante tra i rabbini del suo tempo, ha ammesso per i libri, allora trasmessi come sacri, l'ispirazione divina. Per lui è Dio che ha rivolto la sua voce agli uomini per chiamarli ad una condotta morale conforme alla natura delle cose e che si sintetizza, più che in regole meccanicamente fisse, nella legge superiore dell'amore.

Le chiese cristiane hanno fatto proprio il canone degli Ebrei, al quale le chiese africane hanno aggiunto anche altri sette libri, non accolti ufficialmente dagli Ebrei, e che per questo sono chiamati deuterocanonici. Nonostante l'opposizione di noti teologi, il concilio di Trento, abbandonando l'antica tradizione delle chiese cristiane, ha accolto e fatto proprio il canone africano più esteso. Il protestantesimo, invece, è tornato al pensiero antico ed ha riconosciuto come ispirata solo la Bibbia ebraica, che non contiene i libri deuterocanonici. Sono infatti gli Ebrei coloro che meglio di altri ci possono testimoniare l'elenco dei loro libri sacri.

Ovviamente i cristiani, agli scritti sacri degli Ebrei, da loro chiamato Antico Testamento, hanno aggiunto gli scritti degli apostoli che testimoniano Gesù e il suo messaggio, chiamati Nuovo Testamento. Gli Ebrei, che non accettano ancora il Cristo, si sono fermati, com'è logico, al primo gruppo dei libri sacri, sorti prima del Cristo.

Come si vede la trasmissione dei libri sacri cammina di pari passo con la comunità di fede. Senza il gruppo dei credenti (ebrei, cristiani) gli scritti sacri non avrebbero valore; senza gli scritti sacri le varie comunità non troverebbero la loro identificazione e non si diversificherebbero dalla cultura che li circonda (48) Ogni giorno si assiste al tentativo di imbrigliare il giudaismo e il cristianesimo nella cultura del tempo. Solo la Bibbia ha il potere di guidare ebrei e cristiani al di là e al di sopra della cultura contemporanea per dare loro una più elevata imprinta eterna e divina.

Le chiese cristiane del secondo secolo hanno fissato il loro canone biblico mutuandolo, per quanto concerne la Bibbia ebraica (Antico Testamento), dai rabbini. All'inizio si ebbe naturalmente qualche fluttuazione dovuta a ignoranza di determinati libri da parte di una chiesa o di un vescovo. Il canone attuale più esteso, accolto dai cattolici, proviene dal gruppo ecclesiastico minoritario dell'Africa, che per la grandezza del vescovo Agostino, suo difensore, gradualmente si estese alla chiesa medievale e fu imposto nel concilio di Firenze (a. 1442) anche alle chiese orientali, che prima seguivano invece quello ebraico.

È bene conoscere ed usare (contro l'opposizione ebraica e protestante del passato) anche i cosiddetti deuterocanonici, la cui autorità è piuttosto dovuta all'uso ecclesiastico anziché a Dio. Solo i libri del canone ristretto degli Ebrei raccolgono il consenso di tutti i credenti; ebrei, cattolici, ortodossi e protestanti, per cui possono essere accolti con fiducia quale "parola", che Dio ha inviato per condurci verso la verità che si trova in Lui e nel suo Messia.

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Conclusione
A che serve l'Antico Testamento per il cristiano?

Se l'Antico Testamento è una collezione di scritti giudaici ed israelitici precristiani, come possono questi libri "antichi", sia per il tempo sia per la qualità, essere utili alla chiesa? Tanto più che tali scritti di vario genere, sono tra loro assai dissimili, per cui è difficile trovarvi un comune denominatore e alcune categorie universali.

La risposta è stata diversa nel corso dei secoli (49) I primi cristiani, partendo dall'idea che Gesù è il Messia inviato da una predizione, una profezia che preannunciava il Cristo, attraverso vari schemi tipologici, intesero l'Antico Testamento come l'annuncio implicito del Nuovo Patto. È un po' il metodo usato fino a poco tempo fa dai predicatori che trovavano negli scritti veterotestamentari la presentazione di Maria, madre di Dio, la quale, vinto il serpente demoniaco, sarebbe stata assunta al cielo. Di più i primi cristiani, mutuando dall'Antico Testamento il linguaggio con cui presentare Dio che salva il mondo, videro l'Antico Testamento come il mondo e l'evento di Cristo. L'allegoria divenne così un mezzo per dare un significato moderno e nuovo all'Antico Testamento, perché si accordasse con il Nuovo.

Anzi, quando la chiesa teocratica cominciò a stabilire i suoi dogmi e volle esaltare la propria autorità, l'Antico Testamento con la sua legge e con la corrispettiva autorizzazione a uccidere gli avversari, divenne un po' la magna carta di un dominio teocratico sulla società ad essa subordinata (secoli 4° e 5°).

Con la Riforma (secolo 16°) la Scrittura tornò al suo vero posto centrale spodestando la chiesa, e Lutero cercò di mostrare come l'Antico Testamento debba essere valutato alla luce del Nuovo: la Sacra Scrittura contiene la Parola di Dio (la quale non si identifica tuttavia con quel che sta scritto, ma vi è occultata) e la Legge si trova in un gradino antagonistico al Vangelo. Tale valutazione non fu accolta invece da Calvino che ritornò indietro in quanto vide nell'Antico Testamento una legge tuttora valida per la vita del cristiano e della chiesa, atta a difendere l'ortodossia e il dogmatismo ecclesiale, ispirata nella sua lettera e identificabile con la Parola di Dio. Si ebbe così un movimento retrogrado che ci ricondusse al 4° secolo.

Nell'ultimo secolo si è ripreso l'indagine dei rapporti tra l'Antico Testamento e il cristianesimo e, di conseguenza, si è cercato di chiarire se il canone veterotestamentario abbia ancora valore per i credenti nel Cristo. Si è visto anzitutto che gli scritti veterotestamentari tratteggiano la storia religiosa di Israele il cui centro è dato dalla legge mosaica e il cui coronamento è stato il canone ebraico delle S. Scritture, verso le quali si doveva ubbidienza assoluta. Si è pure notato che la legge è in contrasto con la religione cristiana, per cui molte chiese sono giunte alla conclusione che esso non può più servire ai cristiani.

Tuttavia non si possono dimenticare alcuni punti importanti di convergenza. Anzitutto per i cristiani la salvezza viene da Gesù, proclamato e creduto come il Cristo (Messia) morto e risorto per gli uomini. La Parola di Dio per i cristiani si trova completa solo con il Nuovo Testamento e deve quindi essere proclamata veracemente nella sua interezza.

1. Di conseguenza l'Antico Testamento è Parola di Dio in quanto mostra il modo con cui Dio ha preparato la venuta del Cristo nella pienezza del tempo. Essa ci narra la storia del popolo che Dio si è scelto per sviluppare la storia umana fino alla venuta del Messia. Il Dio veterotestamentario è lo stesso Dio degli Ebrei, di Gesù e del cristiani che ha preparato la venuta del suo inviato e Salvatore e ha predisposto il suo popolo perché attendesse il Messia, purtroppo inteso da molti come un puro rivoluzionario politico (zeloti). Per questo Paolo presenta la legge come il pedagogo che prepara al Cristo: «La Legge è stata il nostro pedagogo a Cristo » (Gl 4, 14). La Bibbia degli Ebrei ci presenta quindi la realtà storica nella quale Dio ha agito per preparare il compimento definitivo che è dato da Gesù.

2. La legge mosaica - decalogo compreso - non è annullata, ma vale in quanto è conforme al Vangelo, anche se deve essere valutata alla luce del messaggio cristiano (cfr Mt 5, 17 s). Ne è stata solo annullata la condanna che essa includeva, mediante la riconciliazione con Dio che ci viene nell'atto d'amore di Gesù compiuto con la sua morte in croce (Cl 2, 14).

3. L'Antico Testamento è un libro canonico in quanto serve per comprendere il Nuovo. Questo infatti ha ereditato dal primo la terminologia, le espressioni e le idee con le quali ha rivestito l'esperienza cristiana. È quindi impossibile comprendere il Nuovo Testamento senza conoscere quanto gli scritti veterotestamentari ci suggeriscono. Gli ispirati scrittori cristiani per proclamare l'evento di Cristo hanno utilizzato il linguaggio veterotestamentario e hanno accolto la comprensione di Dio e del mondo che ne avevano i profeti ebrei. Chi non conosce la Bibbia ebraica non può capire nella sua giusta misura il Nuovo Testamento.

4. Gesù non è stato un maestro fuori del suo tempo, un simbolo o un'idea, ma un uomo la cui persona e il cui insegnamento affondono le proprie radici nell'Antico Testamento. È l'Antico Testamento che dà realtà e consistenza al Nuovo (e viceversa). Se avessimo solo i libri neotestamentari capiremmo meno il Cristo, non comprenderemmo nella loro interezza certi lati della sua figura e della sua azione, non afferreremmo in pieno il suo vero essere e il suo valore. È l'Antico Testamento che ci guida perché noi possiamo intravvedere nella lettura neotestamentaria, non soltanto l'aspetto moralizzante o spiritualizzante, ma le sue vere dimensioni grandiose in cui si palesano la potenza, la giustizia e la misericordia di Dio (50) .

5. Il compito attuale dei cristiani «è quello di seguire il Nuovo Testamento e cercare il modo . . . di tradurre oggi, un'altra volta, su basi ermeneutiche e storiche migliori, l'antico linguaggio veterotestamentario nella proclamazione dell'unico atto di Dio in Gesù Cristo » (Gunneweg o.c. p. 236)

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Note a margine

(1) A. Jepsen, "Zur Kanongeschichte des Alten Testament", in "Zeitschr. Altest. Wissenschaft" 71 (1959) 114-136. torna al testo

(2) Esdra 5, 1 lo dice figlio di Iddo, mostrando l'incertezza della paternità. torna al testo

(3) Il "figlio" può anche indicare "discendente" e quindi nipote. Si tratta di un problema non ancora del tutto chiarito. È poco probabile che questo Zaccaria vada identificato con l'omonimo "Zaccaria, figlio di Baris" (detto pure Bareis, Baruch, Bariscaeus) che fu ucciso poco prima del 70 d.C., durante la prima guerra giudaica, sia per il nome diverso del padre, sia perché ucciso dagli Zeloti e non dai Farisei, a loro ostili, sia perché ancora vivo al tempo di Gesù. In tal caso il "loghion" di Gesù non sarebbe autentico, ma creato da Matteo. torna al testo

(4) Echi di libri deuterocanonici gia hanno in Gm 1, 19 «lento a parlare» dal Siracide 5, 11; Eb 11, 34 s « trovarono forza nella loro debolezza . . . altri furono torturati non accettando la liberazione loro offerta» è una probabile allusione al martirio di Eleazaro e dei sette figli maccabei (2 Mac 6, 18 - 7, 42). Ma tali libri deuterocanonici non sono mai citati nel Nuovo testamento, torna al testo

(5) Per le allusioni agli pseudoepigrafi cfr Giuda 9 che parla della disputa di Satana per il corpo di Mosè, episodio che secondo origene (De Principiis 3,2,1) proveniva dalla "Assunzione di Mosè", testo ora smarrito, perché l'attuale "Assunzione" è in realtà un "Testamento di Mosè" (cfr Charles, "Apocrypha and Pseudepigrapha" vol. II p. 408 nota2). Giuda 6 sembra alludere ao "vigilanti" (angeli) di Enoc che lasciarono la loro propria dimora e si diedero a unioni maritali con donne terrene (da Enoc 12-16). Tale "profeta" è ricordato al v. 14. Cfr su cuò F. Salvoni, "E andò nello spirito . . ." in "Ricerche Bibliche e Religiose" 6 (1971) 57-86 specialmente pp. 71-73). Anche la descrizione degli empi in Giuda 14 è l'eco di simili descrizioni esistenti nella "Assunzione di Mosè" 7, 7-9; 5, 5 (cfr Charles II, p. 412). L'episodio di 2 Ti 3, 8, dove si parla di Jannes e Jambres oppostisi a Mosè, proviene, al dire di Origene, dall'apocrifo libro, ora perduto, di Jannes e Jambres ("In Matteo" 23, 37 e 27, 9). Anche Ebrei 11. 37, che parla dei profeti segati (eprìsthesan), allude al "Martirio di Isaia", un apocrifo composto all'inizio dell'era cristiana e che fa appunto segare Isaia in due parti con una sega di legno, per ordine di Manasse (5, 1 ss, Charles o.c. p. 162). torna al testo

(6) La prima citazione è di Cleante 7 o di Orato, "Phaenomenon" 5, la seconda di Epimenide, "De Oraculis", detto da Paolo « uno dei vostri profeti», torna al testo

(7) «Sappiamo che essa (1 Clemente) da molto tempo e anche ai nostri giorni è letta pubblicamente in moltissime chiese durante le riunioni dei fedeli» (Eusebio, Storia Ecclesiastica 3, 16, Del Ton, p. 189). Gli Atti dei martiri si concludono spesso con una dossologia, che rivela il loro uso liturgico presso le chiese dell'Africa, della Gallia e dell'Italia (cfr H. Delehaye, "Les passions des martyrs" 1921). torna al testo

(8) Ireneo, Adv. Haer. 3,2,3-4; Cirillo di Gerusalemme, Catechesi IV 33-34; Agostino, "Sulla Dottrina Cristiana" 22; "la Città di Dio" 8, 11 (qui parla della traduzione sotto Tolomeo non direttamente della sua ispirazione). Tale idea fu accolta pure da P. Bénoit, ""La Septente est-elle inspirée?" . . . in "Exegèse et Théologie" Vol I (Paris 1962) pp. 3-12. Lo segue P. Auvray (cfr P. Grelot, "La Bible Parole de Dieu", Pqris 1965 p. 166). Fu combattura invece da Girolamo (J. Jensen, "God's Word in Israel", Collegeville, Liturgical Press 1967 p. 34). torna al testo

(9) Usano i deuterocanonici: Ippolito (m. 258-260) a Roma; Ireneo in Gallia (m. circa 190);Tertulliano (m. dopo il 225) e Cipriano (m. 258) in Africa; Clemente di Alessandria (m. 270), Metodio (m. 312) e Gregorio Nisseno (m. 395) in Oriente. È superfluo riportare le molteplici citazioni. Tuttavia costoro usano pure alcuni pseudoepigrafi, per cui se la loro testimonianza vale per gli scritti deuterocanonici, deve valere anche per gli pseudoepigrafi che per loro sarebbero stati sacri come i deuterocanonici.
Spesso si afferma, con troppa disinvoltura, che i padri apostolici usarono indiscriminatamente i libri protocanonici e quelli deuterocanonici (così, ad esempio, L. Pacomio, "Dizionario teologico interdisciplinare" 1, p. 210). In realtà Clemente Romano nella sua lettera ai Corinzi 3, 4 e 7, 5 non cita affatto la Sapienza; nel caso in cui egli cita un testo canonico usa la forma «perché si adempisse la Scrittura» (epetélesthe to ghegrammenon cfr 3, 1, dove cita Dt 32, 12). Questo non appare nel caso di un deuterocanonico. I tre ragazzi nella fornace non risalgono a un brano deuterocanonico, ma a Dn 3, 24; in 55, 4 Clemente non cita il libro di Giuditta, ma solo ricorda il dato storico della uccisione di Oloferne da parte di questa eroina. Policarpo ("Ai Filippesi" 10, 2) scrive che «l'elemosina libera dalla morte»; egli non dice però di citare lo "scritto" di Tobia (4, 10 2 12, 9 AB, manca in S). Si potrebbe anche trattare di un detto tramandato oralmente; se viene da Tobia non si usa la parola «dice il Signore, sta scritto». Poteva anche non essere ritenuto ispirato. Atenagora ("Supplica per i cristiani" 9 PG 6, 908) parla di un Dio unico che non tollera concorrenti. Lo si fa derivare da Baruc 3, 36, ma potrebbe anche essere da Es 20, 3, tanto più che prima si parla di profeti: Mosè, Isaia e Geremia, senza ricordare affatto Baruc. torna al testo

(10) Il libro di Enoc è assai utilizzato dai padri: ricordo la lettera di Barnaba (ca a. 70, 16, 4 che cita Enoc 89, 56); il martire Giustino (ca 170, "Apologia" 2, 5 che cita Enoc 9, 8-9; 15 8-9); Atenagora (ca 170 "Legatio pro christianis" 24, 25 che cita il c. 8 di Enoc); Ireneo (m. ca 202, "Adv. Haer." 4,16,2 che cita Enoc 12, 4-6); Tertulliano (ca 197-223) che considera Enoc come "Scrittura sacra" ("Apologeticum" 22 che cita Enoc 15, 8-9, ecc.); Clemente Alessandrino in "Stromata" 3, 9 cita il cap. 8 di Enoc e Origene, pur non ritenendolo ispirato, lo cita con rispetto ("Contra Celso" 5, 52-54; "De Principiis" 1,3,3, ecc.). Queste e molte altre citazioni si possono leggere in Charles, o.c. II, pp. 181-184. torna al testo

(11) Per le citazioni del libro dei Giubilei cfr H. Ronasch, "Das Buch des Jubiläen", Leipzig 1874 pp. 251-382; per il libro di Esdra cfr Cornely "Historia critica. Introductio in V.T. libros", vol 1, Paris 1894, p. 215. torna al testo

(12) Il 4 Esdra (5, 35) è citato da Clemente Alessandrino con le parole "il profeta Esdra dice" ("Stromata" 3, 16), dalle "Costituzioni Apostoliche" (8, 7 cita 8, 23), da Ambrogio che lo considera addirittura scrittura sacra. torna al testo

(13) Giustino, "Dial. contro Trifone" 120 PG 6, 756; quindi egli non ricorda la morte di isaia tagliato in due con una sega di legno che viene da un apocrifo. Secondo lui gli Ebrei avrebbero tolto dalla versione greca dei LXX ciò che favoriva il Cristo (ivi 71 PG 6, 643), vale a dire la verginità di Maria nel concepire Gesù. Non si può evocare questo passi per dire che Giustino accogliesse anche i libri deuterocanonici, come sostiene L. Pacomio, ("Dizionario Teologico interdisciplinare" III p. 219), perché non vi è alcun accenno al riguardo. torna al testo

(14) Presso Eusebio, "Storia Eccl." 4, 26, 14 Del Ton p. 321. torna al testo

(15) Eusebio, "Storia Ecclesiastica" 6,25,24 PG 20,580, Del Ton, p. 485. Origene attesta che i cristiani dubitavano di un passo deuterocanonico di Daniele e che i "giudei" respingevano il libro di Tobia (Peri Archòn" PG 11,461). Nel "Peri Archòn" 4, 33 PG11,407 B distingue i libri ammessi da quelli non accettati da tutti, tra cui pone la Sapienza. torna al testo

(16) Giulio Africano, "Epistula ad Origenem". Origine vi risponde citando (PG 22, 18) «non togliere gli antichi segno della terra», ma si guarda bene dal dire ispirata la storia di Susanna. torna al testo

(17) Eusebio per l'Antico Testamento incomincia con il riportare l'elenco di Giuseppe Flavio, già da noi riferito ("Storia Ecclesiastica" 3,10,1-4), poi riferisce quello che Melitone presenta nella sua lettera ad Onesimo (ivi 4,26,13-14), Conclude infine, riferendo il canone di Origene (ivi 6,25,1-3). Tutti questi elenchi non ricordano i libri deuterocanonici; il fatto che Eusebio non aggiunga alcun commento al riguardo, mostra che lui pure ne condivideva il contenuto. torna al testo

(18) Atanasio (m. 373) nella sua "Epistula festalis" 39 dell'anno 367 dà l'elenco dei soli libri protocanonici (PG 26, 1176 EP n. 791); vi manca Ester (come in altri casi), ma al suo posto vi è Baruc dopo Geremia. Alla fine così osserva: «Per maggiore accuratezza devo aggiungere che oltre a questi vi sono altri libri, che non sono inclusi nel canone, ma che i padri hanno deciso di leggere per meglio apprendere la parola della pietà, vale a dire: La Sapienza di Salomone e la Sapienza di Sirac; Ester, Giuditta, Tobia, la Didaché o Dottrina degli Apostoli e il Pastore (di Erma)».
Cirillo di Gerusalemme parla di 22 libri nelle sue "Catechesi" (4, 35 PG 33, 497) e ne ontroduce l'elenco con queste parole: «Solo questi 22 libri devi meditare accuratamente, perché li leggiamo con sicurezza nella chiesa. Molto più pudenti e religiosi di te erano gli apostoli e gli antichi vescovi, rettori della chiesa, che li tramandarono» (ivi), torna al testo

(19) Epofanio, "Adversus Haereses o Panarium" (scritto nel 374-377 8,6 PG 41, 213 EP 1091). Vi sono solo i protocanonici (più Baruc e la lettera di Geremia); le edizioni usuali vi aggiungono pure Tobia e Giuditta, che però mancano nella edizione critica di K. Holl (p. 191). Termina alla fine: «Vi sono pure altri due libri che sono dubbi, vale a dire il Siracide e la Sapienza di Salomone, e alcuni altri ancora che sono apocrifi». torna al testo

(20) Gregorio Nazianzeno nel suo "Carmen" 12 del libro I (PG 37, 472 EP 1020) elenca solo i protocanonici dell'A.T., ossia "22 libri". torna al testo

(21) Nel suo "Carmen ad Seleucom" elenca i medesimi libri di Gregorio di Nazianzo. Tralascia Ester, benché aggiunga alla fine del precedente elenco: «A questi libri alcuni includono anche il libro di Ester» (PG 37, 1594 EP 1078). torna al testo

(22) E usulamente assegnato al 364, ma secondo Hefele-Leclerq fu tenuto in data imprecisata tra il 343 e il 381. Il canone 60 fu contestato da Westcott, ma in realtà esso non fa che confermare la pratica comune nelle chiese dell'Asia Minore. torna al testo

(23) Cfr F.X. Funk "Didascalia et Costitutiones Apostolorum" I, Paderborn 1905. torna al testo

(24) Mansi II, 939. torna al testo

(25) Giovanni Damasceno, "De fide orthodoxa" 4, 17 PG 94, 1177-1180. torna al testo

(26) Cfr OEC p. 548 "Bulla unionis coptorum, Denz. Sch. 1334-1335 a. 1442. Si legga pure la Bolla "Cantate Domino" swl 4 febbraio 1441. A. Freis "Der Schriftkanon bei Alexander dem Grossen", in "Divus Thomas" 1951 pp. 345-368, 402-428. torna al testo

(27) P. di Lagarde, "Libri Apocryphi Veteris Testamenti Syriace", Leipzig 1861; J. Ziegler, "Sapientia Jesu Filii Sirac" Göttingen 1965; L. Levi, "The Hebrew Text of the Book of Ecclesiasticus", Leiden 1903, Y. Yadin, "The Ben Sira Scroll from Masada", "Sirach in Hebrew", in "Biblica" 45 (1964) 133-167. torna al testo

(28) M.M. Winter, "The Origins of Ben Sira in Syriac", in "Vetus Testamentum" 27 (1977) 237-253. Sulle dottrine degli Ebioniti cfr Epifanio, "Panarion" 30; Giustino, "Dialogo contro Trfone" 47; Ireneo, "Adv. Haer." 1,26,2; 2,2,7; 3,15,1; 3,21,1; 4,33,4; 5,1,3; Tertulliano, "De Praescriptione Haereticorum" 33; Egesippo, in Eusebio "Hist. Eccl." 2, 23; 3,11,19.22; Origene, "Contra Celsum" 5, 65; Ippolito, "Philosophumena" 7, 34; 10, 22; Eusebio, "Hist. Eccl." 3,27; 4, 17. torna al testo

(29) Presso la chiesa etiopica vi sono due elenchi di libri sacri, uno più esteso e l'altro più ristretto. Una recente pubblicazione della chiesa etiopica (Wondmagegneliu, The Ethiopian Orthodox Church, Addis Abeba, The Ethiopian Orthodox Mission 1970 p. 77 ss) elenca i libri sacri, dando il canone breve; essi sono: «l'Ottateuco, i Re, Salmi, Salomone, Sirac, Geremia, Ezechiele, Esdra, Isaia, Profeti minori, Cronache, Giobbe, il libro dei "Giubilei" (Kufale), Maccabei, Enoc, Tobia, Ester, Giuditta, Vangeli, Paolo apostolo, Atti degli apostoli, Apocalisse e i "quattro libri del Sinodo» . . . La Bibbia contiene cose difficili da capirsi? La chiesa etiopica sostiene che ogni cristiano non può interpretare le scritture per conto proprio. Questo spetta alla chiesa che è stabilita da Dio per insegnare la verità; altrimenti ne risulterebbero divisioni, confusioni e sovrabbondanza di sette e il rifiuto dell'ispirazione e della autorità della Bibbia. Coloro che hanno l'autorità di interpretare la Sacra Bibbia e di trarne gli ordinamenti della chiesa sono i sacerdoti, i dottori e i maestri, che hanno ricevuto lo Spirito Santo, nei quali dimora il Cristo e che sono stati stabiliti al posto degli apostoli (Wondmagegneliu ivi). Il 4 di Esdra si trova nel canone più esteso della Bibbia; cfr Sean P. Kealy, "The Canon: An African Contribution", in "Biblical Theologie Bulletin" 9 (1979) 13-26. torna al testo

(30) Nel suo "Tractatus super Psalmos", scritto verso il 365, Ilario, che conosceva le opere di Origene, dice chiaramente: «Canone delle scritture dell'Antico Testamento: libri 22 (PG9, 241 EP 882 CV22 ed. A. Zingerle 1891). Alla fine aggiunge: «Qialcuno pensa anche di aggiungervi Tobia e Giuditta, per ottenere il numero 24 secondo le lettere dell'alfabeto greco». torna al testo

(31) Rufino, "Commentarius in symbolum apostolorum" (scritto nel 404) n. 37 PL 21, 373 EP 1344, non ricorda alcun libro deuterocanonico. Interessante la sua conclusione al n. 38: «Va ricordato che vi sono anche altri libri che non sono canonici, ma che dai maggiori (di noi) sono detti "ecclesiastici": Sapienza di Salomone, Sapientia di Sirac, Tobia, Giuditta e i libri dei Maccabei . . . Tutti questi si vollero leggere nelle chiese, ma non se ne può dedurre l'autorità per confermare la fede. Tutti gli altri sono detti apocrifi e non si possono leggere nelle chiese» (ivi). torna al testo

(32) L'amore del papa verso Girolamo appare dal tono confidente con cui gli scrive: «L'unico mio desiderio è di parlare con te, in modo familiare, dei libri santi; io (Damaso) ti interrogherò e tu mi risponderai» (Ep. 36, 1). Il papa spesso gli chiede consiglio, perché, con la sua conoscenza dell'ebraico, gli spieghi il senso di alcune parole (osanna ed altre): «Di questo servizio come di tanti altri, la nostra riconoscenza ti ringrazierà in Cristo Signore». «Tu dormi - gli scriveva il papa e da molto tempo ti abbandoni alla lettura piuttosto che alla composizione; pertanto con l'inviarti queste piccole questioni ho lo scopo di risvegliarti . . . All'opera dunque!» (Ep. 3, 35). E Girolamo si scusa facendogli conoscere il suo molto lavoro, come la traduzione dell'opera sullo Spirito Santo di Didimo il greco: «così non penserai più che io non faccio null'altro che dormire, dato che a tuo parere leggere senza comporre è dormire. per questa risposta scusa la mia fretta e i miei ritardi. Scusa la mia fretta perché in una notte di veglia ho dettato (al tachigrafo) quello che avrebbe richiesto delle giornate. Scusa i miei ritardi perché tale occupazione mi ha impedito di rispondere immediatamente alle tue questioni» (Ep. 36, 1). Papa Damaso lo riteneva degno di divenire suo successore a Roma; ma, con la morte del suo benefattore, Girolamo ebbe solo opposizioni create dalle divisioni, per cui Girolamo si recò a Betlemme. In tale clima di mutua comprensione, come si può pensare che Girolamo sui libri deuterocanonici esprimesse solo il suo parere, diverso da quello della chiesa? torna al testo

(33) Cfr Denz Sch. 177-180 con la discussione relativa. Essa è riferibile piuttosto a Gelasio che a Damaso. torna al testo

(34) "Praefatio in libros Salomonis" PL 28, 1242 EP 1372. torna al testo

(35) Questo prologo galeato (PL 28,556), assieme a molti altri prologhi del genere, si possono leggere nelle edizioni più antiche della Bibbia, come ad esempio in quella edita dal tipografo Giacinto Marietti nel 1851 e che poi furono rimossi per motivo di opportunità. Verso il 390-391 Girolamo scrisse di essere stato indotto a tradurre Tobia solo per insistenza di amici, ma fece ciò molto rapidamente in un sol giorno ("Praef. in 1. Tobiae" PL 29, 23-26). Questo lo ha fatto «per ottemperare ai vescovi». È meglio infatti «dispiacere al giudizio dei farisei e ottemperare al comando dei vescovi» (ivi PL 29, 35). Ciò prova solo che tale libro era letto nelle chiese, ma non che fosse ritenuto ispirato (cfr Lettera a Cromazio e Eliodoro; cfr pure Ep 53, ad Paulin. PL 22, 545-548). Nel 394 scrisse che «quanto non si trova presso di loro (gli Ebrei) va respinto» ("Praef. in Esdram" PL 28, 1403). Nel 403, scrivendo a Leta (lett. 107), riunisce i deuterocanonici con gli apocrifi e dice che «in essi si trovano molte cose errate (vitiosa)» (Ep 107 ad Letam 12 PL 22, 877). Nel 405 dichiara di non aver voluto tradurre i frammenti deuterocanonici di Ester (forse 11, 9 - 16, 24) perché «composizioni di scolari» ("Praef. in librum Esther" PL 28, 1433-1435). Nel 406, per i frammenti deuterocanonici di Daniele, ricorda come Origene, Eusebio, Apollinare ed altri, non abbiano voluto «rispondere a Porfirio in quanto essi non hanno affatto l'autorità della S. Scrittura» ("Prol. Comment. in Dan." PL 25, 493). Nel 415 dichiara di essersi occupato solo a tradurre Geremia, ma di «non aver voluto tradurre il libro di Baruc e la lettera pseudoepigrafa di Geremia» ("Prol. Comment. Jerem." PL 24, 680). Gran parte di questi prologhi si trova nella già citata edizione della Volgata apparsa con i tipi del Marietti. Pur citando circa 390 volte i deuterocanonici, Girolamo li considera sempre come "ecclesiastici". Solo nella lettera 65 a Principia (ad Principiam), nell'anno 386, unisce il libro di Giuditta ad altri due canonici: «Ruth, Ester e Giuditta hanno tanta gloria da ottenere il nome di volumi sacri» (PL 22, 623). Ma contro, per il libro di Giuditta cfr "Praef. in librum Judith" (PL 29, 37-39). Cfr L. Schade, "Die Inspirationslehre des hl. Hieronymus", Freiburg 1910, pp. 163-211. Meno drastico il suo rifiuto in "Prol. Comm. in Abac.", PL 25, 1274 s; "Prol. Comm. in Agg." 1, 5 PL 25, 1394; Ep 54 ad Furiam 16 PL 22, 559. torna al testo

(36) Mantennero dubbi per i deuterocanonici Gregorio Magno (m. 604, "Moralia" 19, 21, 34 PL 76, 119) e Giovanni Damasceno ("De fide orthod." 4, 17 PG 94, 1176-1180). torna al testo

(37) Cfr "De doctrina christiana" 2, 8, 13 PL 34, 41. torna al testo

(38) Questi canoni si leggono in H.T. Bruns, "Canones apostolorum et Conciliorum saec. IV.V.VI.VII" Berlin 1839 (Vol I). torna al testo

(39) Papa Gelasio, "De Canone S. Scripturae", Denz. Sch. 179 (attribuito falsamente a Damaso). torna al testo

(40) Innocenzo I, "Epistula "Consulenti tibi" ad Exuperium"m in Denz. Sch, 213. torna al testo

(41) Cfr S. Sandmel, "Old Testament Issues", London, S C M Press 1969, p. 252. torna al testo

(42) Ugo di San Vittore, "De Script. et scriptor. sacris" 6 PL 175, 15-16. Nicola di Lyra (m. 1340), "Postilla Praef. in Tobiam in Esther" 10 (ed. Venezia 2, 1588, 283 b e 314 a). Così pure Rodolfo Flaviacense (m. 1155), "In levot. 14 Praef." in "Bibl. Max. Patrum Lugd" 17 (1677) p. 177; Giovanni Sarisberiense (m. 1180), EP 143 PL 199, 126.129; Ugo di San caro (m. 1263), "Prol, ub Josue" un "Op. Omnia" Lione 1669 vol. I, p. 178 a 3, 139a. torna al testo

(43) Gaetano del Vio (m. 1532), "In omnes 11, Script. Comm." 2, Lione 1639 p. 400; così prima S. Antonio (m. 1459), "Chron." 1,3,5 e 9; "Summ. Theil." 3,18,6. Egli così affermava che il concilio di Firenze avesse già sancito il canone ufficiale della chiesa includendovi tutti i libri deuterocanonici (a. 1442), torna al testo

(44) Cfr H.H. Howarth, "The influence of S. Jerome on the Canon of the Church", in "Journ. Theol. St." 10 (1909) 481-496; 11 (1910) 321-347; 12 (1911) 1.18. torna al testo

(45) Cfr sopra nota 26. torna al testo

(46) Conc. Trento, Sess. IV, "Decreta de S. Scriptura" 8 aprile 1546 Denz, Sch. 1502-1504 (la citazione è al n. 1504). Questo decreto fu richiamato e confermato anche nel Vaticano I (1870 Denz. Sch. 3006). torna al testo

(47) Westcott, "Bible in the Church" p. 257. torna al testo

(48) Cfr l'editoriale di "Interpretation gennaio 1977 (p.10). torna al testo

(49) Cfr A.H. Genneweg, "Understanding the Old Testament", Philadelphia Wstminster Press 1978. torna al testo

(50) Cfr W. Visher, "Levangelo secondo Giona". "L'Ecclesiaste, testimone di Cristo". "Il significato dell'Antico Testamento per la vita cristiana". Piccola collana moderna n. 11, Torino, Claudiana 1966. torna al testo


Dopo questo questo quinto capitolo della prima parte dell'opera " Il Romanzo della Bibbia" di Fausto Salvoni, edito dalla Libera Facoltà Biblica Internazionale di Via Del Bollo 5, Milano, 1980, si può proseguire la lettura della seconda parte, relativa al Nuovo Testamento, a cura di Franco Rossi, nel sesto capitolo.