Paolo è ben consapevole degli insegnamenti ricevuti "dal Signore" (direttamente o dalla tradizione apostolica) e quando dà un consiglio alle chiese, ci tiene a distinguerlo e a non farlo passare per "comando del Signore" (2) . Non è una sottigliezza, ma è una questione di onestà oltre che di responsabilità: avrebbe anche potuto spacciarla per una rivelazione ricevuta dal Signore, ma non l'ha fatto, anche se in certi casi sarebbe stato comodo per risolvere questioni all'interno delle chiese. Leggiamo sempre nella 1 Corinxi, capo 7:
Questi ed altri esempi stanno a dimostrare che la fase orale era molto diffusa e che ci è stata conservata attendibilmente. Coloro che diffondevano la" tradizione" (cioè il messaggio, i detti e gli insegnamenti) risalente a Gesù erano ben informati e potevano "controllarsi " a vicenda: le lettere di Paolo erano fatte circolare fra le comunità (Cl 4, 16), le quali a loro volta evavano relazioni (At 11, 22; 8, 14; 9, 32) e collegamenti reciproci e con la chiesa di Gerusalemme. Paolo conosceva bene Pietro e la sua attività (Gl 1, 18 ss; 2, 1-14) e viceversa; lo stesso "Apostolo delle genti " aveva diversi collaboratori che andavano in giro, ora per avere e portare notizie, ora per diffondere il Vangelo: Timoteo (1 Co 4, 16; At 19, 21; 1 Te 3, 2; 2 Co 1, 19; ecc.), Tito (2 Co 7, 7; Tt 1, 5; 2 Ti 4, 10), Tichico (At 20, 4; Cl 4, 7; 2 Ti 4, 12), Marco (2 Ti 4, 11; At 12, 24;; 15, 36; Cl 4, 10), Luca (Cl 4, 14; Fi 24; 2 Ti 4, 10) e altri. Tutta questa rete di collegamenti ci fa capire come sarebbe stato oltremodo difficile spacciare insegnamenti non risalenti agli apostoli, sia che ciò fosse stato fatto oralmente sia epistolarmente. Quando ciò si verificò, le chiese presero posizione smentendo i "nuovi insegnamenti" in base alla loro origine e la storia del canone ci mostrerà proprio questo. La riluttanza di questa o quella chiesa ad accettare uno scritto come "autoritativo" in materia di fede derivò unicamente dalla provenienza di esso: attraverso l'esame del contenuto (e quindi se era in armonia con quanto avevano ricevuto) e dalle testimonianze che ne davano le altre chiese "sorelle", la comunità, che non conosceva tale nuovo scritto, decideva di accettarlo o di rifiutarlo.
In definitiva si può dire che, nei primi decenni che seguirono la morte di Gesù, la tradizione orale era molto diffusa sia geograficamente sia dal punto di vista del contenuto. Giustamente il Dott. Gerhardsson ha fatto rilevare che « . . . la formazione della tradizione apostolica nel cristianesimo primitivo è ben diversa dalla formazione di tradizioni popolari». Negli scritti, infatti, non è affatto venuto meno il collegamento con Gesù e il suo vivo insegnamento. «Le Scritture - prosegue lo studioso - rappresentano per la tradizione un momento di arricchimento, ma anche, certamente, un fattore di stabilizzazione» (3) . In tale senso il concetto neotestamentario di " tradizione" è in linea con quello giudaico: trasmettere con autorità, e l'autorità di questa tradizione risiede solo nelle persone da cui proviene, gli Apostoli in quanto testimoni oculari.
La fase scritta
Questo dovrebbe essere stato lo specchio della situazione esistente negli anni 30-50 d.C.: la fede in Cristo figlio di Dio veniva annunciata oralmente (Rm 10, 14). Perché allora sorsero gli scritti? Cosa spinse gli apostoli (o i loro collaboratori diretti) a mettere per iscritto tutto ciò che avevano comunicato a "viva voce"? È improbabile che subito dopo la morte e la risurrezione di Gesù i discepoli avessero intenzione di aggiungere altre "Scritture" a quelle già esistenti, Tanto più se si tiene conto che all'inizio c'era l'attesa dell'imminente ritorno e gli apostoli dovevano far fronte a numerosi problemi (vessazioni da parte delle autorità giudaiche, l'assistenza ai poveri, la comunione dei beni, ecc.), oltre che attendere alla predicazione e all'insegnamento. Si pensi a quante volte dovettero ripetere il loro insegnamento sulla vita, gli insegnamenti, la morte e la risurrezione di Cristo!
Ma col passare degli anni la situazione prese altre dimensioni: gli apostoli diventavano sempre più vecchi e la nuova fede assumeva proporzioni inusitate.
1. La distanza geografica
Finché le "chiese" rimasero nell'ambito palestinese fu relativamente facile stabilire un reciproco rapporto, Ma ben presto ci si rese conto (At 10, 15) che anche il mondo "pagano" era destinato a ricevere il messaggio di Cristo, ragion per cui le distanze si dilatarono. Si cercò di ovviare a questa necessità con le lettere: Paolo, divenuto un esperto missionario, mantenne il contatto con le comunità da lui fondate spesso scrivendo e usando non di rado alcuni collaboratori come latori di messaggi (1 Co 16, 17-18; 2 Co 8, 16-24; Ef 6, 21; Cl 4, 7-9; Fl 2, 25-30).
2. La distanza cronologica
Il passare degli anni, l'esperienza acquisita, la consapevolezza del ruolo, indussero gli Apostoli a mettere per iscritto l'oggetto della loro predicazione (1 Co 15, 1 ss; Gl 1, 11 ss). Con tutta probabilità fu l'apostolo Paolo a intraprendere la forma epistolare ora perché qualche chiesa gliene dava lo spunto, ora perché cercava di combattere errori, fraintendimenti e disordini introdottisi in alcune congregazioni. Non mi sembra corretto considerare le lettere come risposte a situazioni "occasionali" e a situazioni specifiche. Anche se ciò è in parte vero, i vari Paolo, Giacomo, Pietro e Giovanni si spingono ben oltre ai casi contingenti delle chiese locali. Si pensi alla ricchezza di contenuto spirituale e al valore permanente di molte lettere di Paolo, della cosiddette "cattoliche" o universali, indirizzate a cristiani di varie regioni e di diversa estrazione.(1) O. Cullmann, op. cit. 215. Nella pagina precedente dello stesso testo, alla nota n. 30, lo stesso autore, facendo propria un'osservazione del Menoud, fa osservare che per l'apostolo Paolo non c'è differenza fra la rivelazioni diretta ricevuta sulla via di Damasco e la tradizione. Entrambe sono in stretto rapporto perché risalgono allo stesso Signore. torna al testo
(2) B. Gerhardsson, "Le origini delle tradizioni evangeliche" in "Studi di Teologia", n. 5 (1979), 35. Con questo articolo il noto studioso svedese critica la tesi per cui fu la chiesa primitiva a creare i testi evangelici in base alla comprensione che essa ebbe di Gesù dopo la risurrezione, Lo consiglio a chi si interessa della storia delle origini e della trasmissione del materiale di cui sono costituiti i Vangeli. torna al testo
(3) B. Gerhardsson, op. cit., 87. torna al testo
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