IL CATTOLICESIMO AL VAGLIO DELLA STORIA
Dal IV secolo alla Riforma Protestante
inserto sulla "Buona Notizia", 1991 a cura di Italo Minestroni

INDICE PAGINA

Prefazione

Capitolo I: La Chiesa e gli imperatori romani

Costantino il Grande (305-307)
Giuliano detto l'apostata (361-363)
I successori di Giuliano
Teodosio (379-395)
Capitolo II: La controversia ariana
Origene
Concilio di Nicea
La lotta
Capitolo III: Le correnti teologiche in Oriente
La Scuola di Alessandria
Tendenze generali
Gli esponenti:
Atanasio (295-373)
Cirillo, vescovo di Alessandria (412-444)
La Scuola di Cappadocia
Gli esponenti:
Basilio il Grande (330 ca - 379)
Gregorio di Nazianzo(329/30-390 ca)
La Scuola di Antiochia
Le Tendenze
Gli esponenti:
Teodoro di Mopsuestia (+428)
Giovanni Crisostomo (354-407)
Teodoreto di Criro (+460)
Cirillo di Gerusalemme (+386)
Efem Siro (306 ca - 373)
Epifanio di Salamina (+403)
Le controversie cristologiche in Oriente
La controversia Apollinarista
La controversia Nestoriana
La controversia Eutichiana
Le controversie cristologiche in Occidente
La controversia Manichea
La controversia Priscillianista
La controversia Donatista
La controversia Pelagiana
La Controversia Semipelagiana
I principali teologi dell' Occidente
Ilario di Poitiers (315 ca - 357)
Ambrogio di Milano (+397)
Girolamo Eusebio (347-419/20)
Eusebio di Cesarea (+339)
Agostino di Ippona (354-430)
Vincenzo di Lerino (+ prima del 450)
Leone il Grande (440-461)
Capitolo IV : Governo ecclesiastico e clero
La nozione di Chiesa
Separazione tra clero e laici
Sviluppo della gerarchia
Sviluppo del papato
Capitolo V: Il culto
Edifici
Feste
Elementi del culto
Sacramenti
Deviazioni del culto
Capitolo VI: Inizio del monachesimo
Anacoreti
Cenobiti
Riassumendo


Prefazione

Sino all'anno 313 la Chiesa fu qualche volta tollerata (sebbene tacitamente) pur essendo sempre sotto la minaccia delle persecuzioni, che, sovente, furono attuate.
Con l'anno 313 (editto di Costantinopoli) le persecuzioni cessarono, anzi la Chiesa divenne la favorita dello Stato, e in seguito unita ad esso.

Fino al 313 quanti divennero membri della Chiesa, lo fecero per convinzione personale. Dal 313 in poi, essendo la Chiesa unita allo Stato, la popolazione dell'Impero ritenne vantaggioso farne parte. Così la Chiesa divenne la Chiesa della moltitudine.

Nello stesso tempo in seno alla Chiesa si accentuarono gli errori e le pratiche pericolose dell'epoca precedente. Una diversità si andrà sempre più evidenziando nella dottrina e nella prassi tra la Chiesa presentata negli Scritti del Nuovo Testamento e la Chiesa visibile, che nel secolo 16°, a seguito di tutti i movimenti riformatori, sfociò nella Riforma Protestante.

Parte prima

La Chiesa Imperiale
(dal secolo IV agli inizi del V)

E' questo un periodo di transizione, in cui si concretizza l'unione tra Stato e Chiesa. Verso la fine di questo periodo si produce un grande sconvolgimento politico con la fine dell'Impero Romano. Prima del 313 le controversie dottrinali in seno alla Chiesa erano state regolate soprattutto mediante scritti. Quelle, molto più numerose, dei secoli 4° e 5° saranno risolte mediante Concili, facilmente convocabili per la protezione dello Stato e per la relativa unità politica.

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Capitolo I

La Chiesa e gli imperatori romani

1. Costantino il Grande (305-337)

Diocleziano aveva riorganizzato l'Impero secondo una tetrarchia, ponendo a capo due «Augusti » (egli stesso per l'Oriente, con capitale Nicomedia, e Massimiano Erculeo (286-305), suo compagno d'armi, per l'Occidente, con capitale Roma) e con due «Cesari » (Galerio per l'Oriente e Costanzo Cloro per l'Occidente), che erano co-reggenti e successori al trono.

Nel 305 divennero «Augusti » Galerio e Costanzo, e «Cesari » furono eletti Severo e Massimino Daza. Ma il figlio di questi Massenzio (306-312), soppiantò Severo in Occidente, mentre l'esercito della Gallia proclamava Augusto COSTANTINO figlio di Diocleziano (306), e in Pannonia e nel Norico veniva proclamato Augusto Licinio (308).

Nel 311 Galerio e Costanzo Cloro coi due « Cesari» Severo e Massimino Daza, firmarono un editto di tolleranza a Sardica, con cui si riconosceva il fallimento dell'atteggiamento persecutorio contro la Chiesa e si dichiarava permessa per legge imperiale, sia pure con delle clausole restrittive, la Religione Cristiana con le relative pratiche.

In Occidente la situazione politica si inasprì al punto da provocare una lotta decisiva fra COSTANTINO e MASSENZIO, che aveva usurpato il titolo di cesare a Severo.

La vigilia della battaglia contro Massenzio, che avvenne a Roma sul Ponte Milvio (28 Ottobre 312), Costantino avrebbe avuto, secondo la tradizione, la visione della croce con questa scritta: In hoc signo vinces (con questo segno vincerai!). Allora Costantino fece inserire la croce sul labaro.

Sconfitto Massenzio, Costantino divenne imperatore d'Occidente. Incontratosi poi con il cognato LICINIO, imperatore d'Oriente, a Milano (febbraio 313), promulgò il famoso EDITTO DI MILANO, con cui veniva riconosciuto al Cristianesimo la libertà di culto e venivano restituite alla Chiesa le proprietà confiscate durante le persecuzioni.

Pur mantenendo il titolo pagano di Sovrano Pontefice, egli, da politico scaltro, iniziò una politica di favoreggiamento e sostegno della Chiesa Cristiana, perché con essa, che era una forza giovane, ritenne di poter arrestare la decadenza dell'Impero.

Con Decreto, del 321, rese obbligatorio per tutti i cittadini dell'Impero, nel giorno del Sole, la Domenica. Inoltre, diede alla Chiesa il diritto di possedere, riconobbe l'autorità dei tribunali ecclesiastici e limitò certi usi pagani.

Gli sforzi di Costantino (sollecitati dalla madre Elena, che era cristiana), tesero a porre sempre più il Cristianesimo sullo stesso livello di uguaglianza del Paganesimo. Quando poi sconfisse anche Licinio, divenendo così Imperatore d'Oriente (324), invitò solennemente tutti i suoi sudditi ad abbracciare la Religione Cristiana, che sola, secondo lui, poteva dare pace e tranquillità all'Impero.

Mosso da ragion di Stato, si ingerì negli affari interni della Chiesa, ritenendosi non solo «il vescovo dal di fuori» ma anche « il vescovo dei vescovi». Per questo intervenne in tutte le discussioni religiose, soprattutto nella Controversia Ariana, indicendo e presiedendo Concili, come quello di Nicea del 325.

Cercò inoltre di fortificare nella Chiesa il principio di autorità, accordando ai vescovi monarchici una grande posizione sociale e il titolo di «Eccellentissimi », e dando alle decisioni dei Concili l'appoggio del potere statale.

Da questo abbraccio politico, la Chiesa, da una parte vide accrescere la propria autorità ed il prestigio umani, dall'altra accelerò irreparabilmente la sua corsa verso l'Apostasia! La sua fisionomia, quindi, ne risultò gravemente deformata.

La professione del Vangelo divenne di moda: turbe di nuovi fedeli, senza profonde convinzioni personali, si affrettarono a farne parte per desiderio di cattivarsi il favore delle autorità civili; i genitori, parimenti, si affrettarono a battezzare i loro bambini. Così il battesimo dei bambini si generalizzò.

Il principio della «nuova nascita », che è alla base dell'insegnamento di Cristo e degli apostoli, venne trascurato, a seguito di questo affrettato ingresso nella Chiesa. I pagani, entrati in essa, vi portarono tutto il bagaglio delle dottrine, tradizioni, riti e usanze, con grave danno della verità cristiana e della purezza della fede.

Costantino, per completare la rivoluzione religiosa, trasportò la capitale dell'Impero da Roma a Bisanzio sul Bosforo (330), e la chiamò Costantinopoli, la volle abitata da cristiani, governata da magistrati cristiani, perché fosse una città cristiana per eccellenza.

Costantino si battezzò a Nicomedia per il ministerio del vescovo ariano Silvestro, solo pochi mesi prima di morire. In Sardegna, Costantino è venerato come Santo.

Così egli gettò le basi di uno Stato cristiano, ma anche quello della Chiesa di Stato, ovvero del Cesaropapismo: sistema di governo che, in seguito, nell'Oriente greco divenne una norma stabile e irremovibile.

I figli -- Costantino 2°, Costanzo 2° e Costante -- che gli succedettero, erano stati allevati nella fede cristiana e continuarono l'opera di cristianizzazione dell'Impero (iniziata dal padre), ma con l'uso della forza. Costantino 2° (337-340) proibì dappertutto i sacrifici pagani (341); Costante ordinò la chiusura di tutti i templi pagani (346) e Costanzo 2° fu un tipico rappresentante del Cesaropapismo (337-361).

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2. GIULIANO, DETTO L'APOSTATA (361-363), nipote di Costantino, per aver rinnegato la fede cristiana, cercò di ristabilire nell'Impero il Paganesimo, abolendo tutti i privilegi di cui godevano i cristiani. Favorì l'eresia e le scissioni all'interno della Chiesa. per fare cosa grata agli Ebrei e, verosimilmente, anche per dimostrare che le parole di Cristo (Matteo 24, 2) erano infondate, progettò di ricostruire il tempio di Gerusalemme; ma terremoti e incendi frustrarono l'impresa.

Preso dall'ideale di una chiesa di Stato neoplatonica, cercò di riformare l'antica religione pagana. Ma ebbe scarso successo. Combatté il Cristianesimo perfino con gli scritti, e, in particolare coi tre libri « Contro i Galilei».

Si disse, tra i cristiani, che fosse morto gridando: « Galileo, hai vinto!», ma si trattò di un invenzione, per quanto corrispondente alla verità dei fatti.

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3. I successori di Giuliano ebbero un diverso atteggiamento verso il paganesimo, sebbene cristiani convinti. Un contegno riservato pieno di prudenza tennero GIOVIANO (363-4), VALENTINIANO (364-375) e l'ariano VALENTE (368-378), quelli in occidente e quest'ultimo in oriente. Invece più risoluti contro il Paganesimo furono GRAZIANO (375-8) e VALENTINIANO 2° (383-392).
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4. TEODOSIO (379-395), chiamato da Graziano a succedere a Valente, dopo un primo tempo in cui agì con riservatezza, procedette in seguito energicamente contro il Paganesimo, cedendo nell'intolleranza. Proibì il culto pagano, assimilò i sacrifici e la divinazione al crimine di lesa maestà e tollerò che i monaci nel loro fanatismo distruggessero i templi pagani. Così il paganesimo fu costretto a rifugiarsi nelle remote campagne (paganus = pagano, originariamente significò «paesano»).

Per eccessivo zelo compì un'orribile strage di pagani (390) a Tessalonica, di cui fu rimproverato acerbamente da Ambrogio, vescovo di Milano, il quale lo sottopose a pubblica penitenza.

Con l'editto «De fide Catholica » (febbraio 380) impose a tutti i sudditi quale norma, o credo religioso, il simbolo di Nicea e divenne così il vero fondatore della CHIESA CATTOLICA DI STATO. Dal 388 in poi chiuse numerosi templi pagani, alcuni dei quali vennero distrutti (come il Sarapèion di Alessandria d'Egitto, nel 391), mentre altri vennero adibiti a culto cristiano.

Per effetto di questa unione tra Stato e Chiesa, questa si mondanizzò e si allontanò sempre più dalla sua originaria purezza dottrinale. E' doloroso constatare come i cristiani, a distanza di così poco tempo dall'essere stati oggetto di persecuzioni, siano divenuti a loro volta dei persecutori.

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Capitolo II

La controversia ariana

1. Origene

Un prete di Alessandria, ARIO, negava la divinità di Cristo, e specialmente la Sua eterna preesistenza. Riteneva Gesù Cristo una creatura, anche se la prima di tutta la creazione.

Sconfessato dal vescovo di Alessandria ed escluso dal sacerdozio, trovò appoggio presso altri vescovi, in particolare presso Eusebio di Nicomedia, che godeva molto favore presso la corte imperiale.

La Chiesa d'Oriente fu subito in subbuglio e divisa.

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2. Concilio di Nicea

Per ristabilire la pace nell'Impero Costantino indisse subito un Concilio a Nicea nel 325. Vi intervennero da 250 a 300 vescovi, tra cui i due campioni dell'ortodossia, Atanasio, diacono e poi vescovo di Alessandria, e Osio di Cordova. Il Concilio fu presieduto da Costantino: il Vescovo di Roma vi inviò un suo rappresentante.

Le discussioni sinodali furono talvolta molto lunghe e agitate, tanto che Costantino intervenne nell'assemblea con la sua parola per raccomandare moderazione e concordia.

Respinta decisamente una formula di fede ariana, presentata da Eusebio di cesarea, il Concilio proclamò la divinità e la preesistenza eterna del Figlio, generato e non creato, consustanziale (greco: omòusios) al padre (il cosiddetto «SIMBOLO DI NICEA »), e pronunciò l'anatèma contro gli ariani. Ario e i due vescovi, che non vollero firmare la formula, vennero esiliati. Lo stesso Eusebio di Nicomedia, che aveva sottoscritto la formula, ma che poi aveva ritirato la firma, venne bandito per qualche tempo.

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3. La lotta

Ma gli ariani non si dettero per vinti. Unitisi a molti del partito del centro, che avevano sottoscritto la formula senza troppa convinzione e a coloro a cui non piaceva il termine «consustanziale » applicato a Cristo, cercarono di screditare il loro principale avversario Atanasio, divenuto nel frattempo vescovo di Alessandria. In un Concilio tenuto a Tiro (335) lo destituirono dalla sede episcopale e fecero sì che Costantino lo confinasse a Treviri e richiamasse Ario.

Poiché, dopo Costantino, si succedettero a capo dell'Impero imperatori di fede cristiana, oppure favorevoli agli ariani, Atanasio per ben cinque volte venne deposto e inviato in esilio, e altrettante reintegrato nell'ufficio di vescovo.

Per cercare di comporre il dissidio tra i seguaci del simbolo niceno ed ariani si tennero parecchi Concili. nel Concilio di Antiochia (341), indetto dai vescovi orientali favorevoli all'Arianesimo, venne da loro proposta una formula di fede, in cui non figurava «l'omòusios », che gli occidentali non accettarono.

Allora l'imperatore Costante convocò un Concilio a Sardica (343), durante il quale gli occidentali riconfermarono la formula nicena, mentre gli orientali se ne andarono perché era presente Atanasio.

Costanzo imperatore, contrario all'ortodossia nicena, convocò un nuovo Concilio a Milano (355), in cui prevalsero gli ariani, che condannarono gli ortodossi, esiliando i vescovi sostenitori della formula nicena.

Al Concilio di Sirmio (359) si cercò l'accordo mediante una formula ambigua, ma che condannava Atanasio. Anche Liberio, vescovo di Roma, e Osio di Cordova sottoscrissero questa formula ariana.

Si tenne poi un ulteriore Concilio di Alessandria (362), in cui Atanasio cercò di tendere la mano agli avversari. Ma alcuni vescovi, tra cui Lucifero di Cagliari, non furono d'accordo e promossero una scisma.

Teodosio imperatore convocò un nuovo Concilio a Costantinopoli (381), al quale furono ammessi solo coloro che accettavano la formula del Concilio di Nicea. Dopo di allora l'Arianesimo scomparve dall'Impero Romano. Ma frattanto il vescovo Ulfila l'aveva introdotto tra i Goti, per cui continuò a sopravvivere tra i popoli  Germani per parecchi secoli.

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Capitolo III

Le correnti teologiche in Oriente

La Scuola di Alessandria

(a) Tendenze generali : I teologi di questa Scuola furono gli eredi della mistica di Orìgene. Perciò interpretavano le Scritture in senso allegorico; insistevano sull'unione stretta della natura divina e della natura umana in Gesù e sul fatto che, mediante la redenzione, anche noi diventiamo partecipi della natura divina e ritenevano che la morte di Cristo era stato un sacrificio offerto a Dio.

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(b) Gli Esponenti furono Atanasio e Cirillo di Alessandria.

ATANASIO (295-373), i cui fatti principali della vita sono stati riferiti, quando si è parlato della Controversia Ariana, non era affatto portato verso la speculazione, sebbene avesse una incomparabile chiarezza di pensiero per raggruppare tutte le dottrine cristiane attorno al tema centrale della Rivelazione di Dio in Cristo.

Fu attaccatissimo alle Sacre Scritture e contribuì molto a far accettare in tutta la Chiesa il Canone completo del Nuovo Testamento.

La maggior parte delle sue opere tratta dell'Incarnazione del Verbo e della Trinità con una punta polemica contro gli ariani.

La sua produzione scritta fu molto vasta, e può dividersi in: Scritti apologetici e dogmatici, come il « Discorso contro i Gentili», « L'orazione sulla Incarnazione del verbo», «L'orazione contro gli Ariani » (lo scritto dogmatico più importante - anno 335/6), « Trattato dei Sinodi», per combattere alcune formule ambigue destinate a soppiantare quella di Nicea; Le Lettere, come « La 39a Epistola Festale » diretta alle Chiese d'Egitto per annunziare la data della solennità della pasqua, l'inizio del digiuno e contenente anche altre questioni tra cui il Canone del Nuovo testamento; e le lettere dirette al clero della sua diocesi. Scrisse pure il noto «Simbolo Atanasiano».

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CIRILLO, vescovo di Alessandria, (412-444), spese la sua vita a controbattere coloro che separavano la natura umana di Cristo dalla sua natura divina. In questa lotta usò più violenza e meno diplomazia di quel che sarebbe stato necessario, ma la causa che difendeva era vitale per la dottrina cristiana della Redenzione.
Scrisse un «Trattato sulla fede ortodossa », «Commentari », «Omelie » e «Lettere ».
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La Scuola di Cappadocia

Le sue tendenze furono le medesime degli Alessandrini, per cui essa ha avuto un ruolo importante per il trionfo dell'ortodossia.

I principali esponenti di questa scuola furono:

BASILIO IL GRANDE (330 ca - 379). Nato da famiglia cristiana, studiò con esito brillante nelle scuole pagane di Atene. Si convertì per interessamento della sorella, e, dopo qualche anno trascorso nella solitudine e negli studi, venne nominato vescovo di Cesarea di Cappadocia (370-379).

Per il suo strenuo coraggio di fronte alle minacce del potere civile e per i suoi scritti fu un campione dell'ortodossia contro l'Arianesimo.

Scrisse un trattato «Sulla Divinità dello Spirito Santo», che molto influì sulla decisione del Concilio Costantinopolitano 2° (381), nel quale venne condannato l'Arianesimo con le correnti affini e fu proclamata la divinità dello Spirito Santo.

Si mostrò pieno di carità verso i poveri, ai quali donò tutti i suoi beni. Fondò uno dei primi ospedali cristiani chiamato «La Basiliade », dove ammalati e forestieri erano ricoverati gratuitamente. Nella sua vita praticò un rigoroso ascetismo. Scrisse « Sermoni», mediante cui flagellò la cupidigia dei ricchi, e un'importante « Corrispondenza».

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GREGORIO DI NAZIANZO (329/30-390 ca). Studiò in Atene, dove si legò in amicizia con Basilio. Dopo aver assistito il padre, che era vescovo di Nazianzo, fu per qualche tempo vescovo di Costantinopoli, e come tale presiedette il Concilio tenutovi nel 381.

In questo periodo di aspre discussioni diede prova di dolcezza e di moderazione, ma non disgiunte da fermezza dottrinale. Pertanto piantò gli intrighi del Concilio e si ritirò nella sua città natale. Ha lasciato «Discorsi ». «Lettere » e «Poesie » e venne soprannominato «il teologo ».

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La Scuola di Antiochia

(a) Tendenze generali. I teologi di questa Scuola furono soprattutto gli eredi del razionalismo di Orìgene. Essi intendevano la Sacra Scrittura nel suo senso letterale; insistevano particolarmente sulla perfetta umanità di Cristo, distinguendola accuratamente dalla sua divinità. Così nella loro dottrina sulla redenzione, ponevano l'accento soprattutto sull'esempio di Gesù, che deve seguirsi per essere salvati.

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(b) Esponenti di questa Scuola furono:

TEODORO DI MOPSUESTIA (+428), che è il teologo più vigoroso della Scuola. Nato ad Antiochia, visse per qualche tempo da monaco. Dopo aver esercitato il sacerdozio in Antiochia, fu eletto vescovo di Mopsuestia. Rifiutò alcuni libri dell'Antico e del Nuovo Testamento. Scrisse parecchi commentari sui Salmi, sui Profeti Minori, sul Vangelo di Giovanni, sulle Lettere minori di Paolo.

La setta nestoriana lo definì « l'esegèta della Scrittura». Metteva in evidenza che in Cristo vi sono due nature e che fu la sola sua natura umana a soffrire per la salvezza dell'Umanità.

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GIOVANNI CRISISTOMO (354-407), soprannominato «Crisostomo », cioè Boccadoro, per la sua eloquenza affascinante nel pronunciare le sue Omelie. Nato ad Antiochia da distinta famiglia, fu allevato dalla madre, rimasta vedova giovanissima.

Educato da maestri pagani, ricevette il battesimo tardi, conducendo una vita austera in casa della madre e poi in una regione montuosa vicino ad Antiochia. Ricevette un'istruzione teologica fin dall'epoca del battesimo da Teodoro di Mopsuestia. Ritornato in città a causa della salute malferma, venne prima fatto diacono, poi sacerdote e poi patriarca di Costantinopoli.

E' il più famoso personaggio della Scuola Antiochena, proclamato dai suoi contemporanei «il più grande degli oratori della Chiesa greca». Fu molto attaccato alle Sacre Scritture, di cui fece una esegèsi solida.

Fu fermo nella dottrina della Deità, una e trina, e nella necessità della grazia per la salvezza. Insistette un po' troppo nell'affermare la salvezza per le opere.

La maggior parte dei suoi discorsi ed opere sono « Omelie», di cui, nell'Antico Testamento: su Genesi 76, sui Salmi 58, su Isaia 6; nel Nuovo Testamento: su Matteo 90, Luca 7. su Giovanni 8, su Atti 63, e su tutte le Lettere di Paolo. Scrisse trattati «Sul Sacerdozio », «Sulla fugacità della gloria» e « Sulla educazione dei fanciulli».

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TEODORETO DI CIRO (+460), distintosi per l'energia con cui sosteneva che le due nature, divina e umana, in Cristo, pur essendo inseparabili, sussistevano senza confondersi.
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CIRILLO DI GERUSALEMME (+386), che fu vescovo di Gerusalemme, da cui venne deposto due volte per decreto sinodale dagli ariani, e una volta fatto mandare in esilio dall'imperatore Valente (367). Ritornato, partecipò al Concilio di Costantinopoli del 381.

Fu sostenitore della divinità di Cristo, ma rifiutò il termine «consustanziale » come non biblico. Compose 24 « Catechèsi», cioè discorsi tenuti ai catecumeni (18) e gli altri ai neobattezzati, nella settimana di Pasqua.

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EFREM SIRO (306 ca - 373), l'autore classico della chiesa siriaca. Nato a Nisibi, divenne diacono e tale rimase per tutta la vita. Quando i Persiani conquistarono Nisibi. si trasferì a Edessa.

Egli si distinse come esegèta, polemista, oratore sacro, e poeta. La mole dei suoi scritti è immensa. Ricordiamo i « 77 Carmi Nisbeni» e « 56 Madrasche», o liriche per il canto.

Fedelissimo alla sua fede, non si è immischiato nelle controversie dottrinali dei suoi tempi. Rifiutò di essere fatto vescovo. I suoi sermoni e poesie mostrano l'importanza che ammetteva al giudizio e alla misericordia di Dio, come al ravvedimento e all'umiltà da parte degli uomini.

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EPIFANIO DI SALAMINA (+403), fu vescovo di questa città nell'isola di Cipro. Fu personaggio di grande dottrina e austerità. Fu un acceso iconoclasta (avverso al culto delle immagini) ed un acerrimo avversario dell'origenismo, che riteneva la peggiore delle eresie, talvolta andando troppo oltre nel sostenere la sua ortodossia.

Nella sua opera, il «Panàrion», combatté 80 eresie (di cui 20 precedenti l'Era cristiana). Scrisse pure un compendio di Dogmatica dal titolo «L'Ancoratus ».

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LE CONTROVERSIE CRISTOLOGICHE (in Oriente)

In questo periodo, dopo la fissazione del dogma della divinità di Cristo, sorsero molte controversie dottrinali cristologiche.

(a) LA CONTROVERSIA APOLLINARISTA. Apollinare, vescovo di Laodicea in Siria, fu uomo di ingegno, teologo versatile, e, inizialmente amico di Atanasio. Egli, per meglio affermare la divinità di Cristo, ne sminuiva l'umanità, sostenendo, come seguace della dottrina platonica della tricotomia dell'essere umano, che il Verbo aveva assunto la nostra carne e un'anima animale, ma che al posto dello spirito era subentrato il Verbo stesso come principio direttivo.

Si trattava di un'eresia combattuta da Atanasio e condannata dal Concilio di Costantinopoli II (381). Morì verso il 390.

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(b) LA CONTROVERSIA NESTORIANA. Nestorio, vescovo di Costantinopoli (428-431), ammetteva che Gesù fosse stato vero Dio e vero uomo, ma riteneva che le due nature, divina e umana, fossero state giustapposte in Lui senza una reale unione, al punto da formare due personalità. Violentemente attaccato dal vescovo di Alessandria, Cirillo, fu condannato ed esiliato dal Concilio di Efeso del 431, convocato da Teodosio II, in cui Maria venne definita «la madre di Dio », mentre Nestorio sosteneva che dovesse essere solamente chiamata «la madre di Cristo ». La disputa tra i due vescovi, Nestorio e Cirillo, era esplosa a proposito delle esitazioni di Nestorio nel riconoscere a Maria, madre di Gesù, il titolo di «madre di Dio », usato già da Atanasio e destinato a sottolineare la divinità di Cristo fin dal momento della Sua incarnazione.

I due vescovi si rivolsero, per risolvere la disputa, al vescovo di Roma, Celestino I. Costui, che già aveva dato a Maria tale titolo di « madre di Dio» e che per di più era contrario all'atteggiamento conciliante di Nestorio verso i Pelagiani, diede ragione a Cirillo. Fu allora che l'imperatore indisse il Concilio di Efeso, ove Cirillo, sostenuto dai delegati del vescovo di Roma, fece condannare Nestorio ancor prima che i vescovi siriani avessero avuto il tempo di raggiungere Efeso. Questi, infuriati, dopo il loro arrivo si riunirono separatamente e destituirono Cirillo. Teodosio esiliò entrambi i protagonisti. Ma Cirillo non tardò a sottoscrivere una formula di compromesso con i teologi di Antiochia, e così poté ritornare ad Alessandria. Nestorio, abbandonato dai suoi amici e perseguitato dai suoi nemici, vagò di luogo in luogo e morì miserevolmente. I suoi partigiani, cacciati dall'Impero, si rifugiarono in Persia e intrapresero viaggi missionari in India e in Cina, in cui ottennero risultati lusinghieri ma poco duraturi.

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(c) LA CONTROVERSIA EUTICHIANA. Eutiche, monaco di Costantinopoli, per reazione al Nestorianesimo affermò che le due nature in Cristo (la umana e la divina) erano confuse, in quanto la natura umana era assorbita da quella divina. Trovò sostegno nel vescovo Dioscuro di Alessandria, che, aiutato da monaci e soldati, ottenne la condanna degli avversari di Eutiche, in particolare di Teodoreto di Ciro, nel secondo Concilio di Efeso, convocato dall'imperatore Teodosio 2° nel 449. Il vescovo di Roma, Leone I, che già con «L'Epistola dogmatica a Flaviano» negava qualsiasi mescolanza tra le due nature in Cristo e sosteneva che ciascuna di esse operava in collegamento con l'altra quello che le è proprio, avendo anche veduto che ai suoi inviati era stata negata la presidenza, prese posizione contro il Concilio e lo qualificò « latrocinio Efesino» in una lettera all'imperatrice Pulcheria (451).

L'imperatore convocò un altro Concilio prima a Nicea e poi a Calcedonia (451) sul Bosforo, di fronte a Costantinopoli. Questo quarto Concilio Ecumenico riconobbe come Ecumenici i tre precedenti Concili di Nicea (325, di Costantinopoli (381) e di Efeso (431), approvò il simbolo niceno e niceno-constantinopolitano, rigettò dopo violente discussioni le decisioni del precedente Concilio di Efeso, depose Dioscuro e reintegrò nella loro carica Teodoreto e Iba di Edessa, e fissò un simbolo che contro le eresie di Nestorio e di Eutiche diceva dell' «unico e identico Cristo . . . in due nature (divina e umana) non confuse e non trasformate, non divise, non separate, in quanto la loro unione non ha soppresso la loro differenza, anzi ciascuna ha conservato la sua identità e si è unita con l'altra in un'unica persona e in un'unica ipostasi ».

Molti dettagli di queste controversie sono ben lungi dall'essere edificanti. Tuttavia è da tenere presente che l'asprezza dei dottori era motivata, in buona parte, dalla loro profonda convinzione, e dovuta al loro desiderio di un maggior approfondimento della persona divina e umana del Cristo (che in fondo resta sempre misteriosa) onde non vederne diminuita la Sua gloria.

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LE CONTROVERSIE CRISTOLOGICHE (in Occidente)

Anche in occidente si sono avute in questo periodo delle grandi dispute teologiche:

(a) LA CONTROVERSIA MANICHEA . Il persiano Mani (+275) aveva fondato il Manicheismo, che era un tentativo di conciliare col Cristianesimo lo Zoroastrismo e il Buddismo. Queste sue idee si diffusero nell'Impero Romano.

I Manichei sostenevano l'esistenza di due principi eterni: luce e tenebre - il principio buono (il «padre della grandezza») e il principio cattivo. Questi due principi si evolvono per emanazione in due rispettivi regni di eoni, fra i quali emergono da una parte l'uomo primitivo buono e dall'altra il diavolo (Satana) primordiale cattivo. In seguito ad una mescolanza di luce e tenebre ha avuto origine l'attuale mondo cattivo.

Per liberare i frammenti di luce confinati nella materia (detta anche da loro: Jesus patibilis = Gesù patibile) e operare così la redenzione dell'esistenza dal male, comparve sulla terra il celeste eone Gesù («impatibilis » = non sottoposto alla sofferenza), che ebbe un corpo apparente, e la cui missione fu solo quella di istruire gli uomini circa la loro vera origine ed il loro dio.

Ma, essendo stata fraintesa e falsata la dottrina di Gesù, è apparso infine MANI stesso, che è il « Paraclito» promesso da Gesù. Questi per intensificare maggiormente il recupero degli elementi luminosi, rivelò agli uomini tre sigilli:
1) IL SIGILLO DELLA BOCCA , cioè astenersi da parole e godimenti impuri, in modo speciale dall'uso della carne e del vino;
2) IL SIGILLO DELLE MANI , cioè l'astensione dai lavori ordinari, ritenuti come offesa al mondo della luce;
3) IL SIGILLO DEL SENO , cioè l'astensione dal matrimonio.

Quando la separazione dei due regni sarà completata, il mondo visibile andrà in rovina in un incendio della durata di 1468 anni. Dopo di allora i due regni rimarranno divisi per sempre.

I sigilli per la liberazione dell'elemento luminoso vincolavano solo gli eletti, cioè i membri della classe superiore, detti i « puri» (cioè « catharistae»); la classe più numerosa dei «catecumeni » o uditori, era tenuta solo ad osservare i dieci Comandamenti. Pare che per la classe superiore ci fosse come prassi esoterica una specie di battesimo e di eucarestia.

Avevano la «festa della Cattedra », in cui si commemorava il giorno della esecuzione capitale e dell'ascensione al cielo di Mani. Nella gerarchia del loro gruppo, oltre i Capo, successore di Mani, c'erano anche 12 dottori, 72 vescovi, presbiteri e diaconi.

Il Manicheismo fu in grande voga nel se. 4° e anche Agostino di Ippona fu per qualche tempo suo seguace, ma poi, convertitosi al cristianesimo, lo combatté con scritti e in pubblici dibattiti, con le opere: «I costumi della Chiesa Cattolica », « La Genesi », « Contro Fausto », « I resoconti delle dispute pubbliche avute con Fortunato e Felice ».

In reazione al fatalismo manicheo, Agostino, insistette nelle sue opere sulla libertà e responsabilità umana (sebbene più tardi sia stato portato a modificare il suo punto di vista su questo problema).

Nonostante le persecuzioni violente, cui andarono soggetti nei secoli 4° e 5°, i Manichei non scomparvero del tutto.

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(b) LA CONTROVERSIA PRISCILLIANISTA. Priscilliano, spagnolo, aveva istituito Circoli di studi biblici in margine alla Chiesa. Egli però, pur accettando il Canone Biblico della Chiesa, sosteneva il grande valore degli Apocrifi del Nuovo Testamento. Tentava così di far rivivere la profezia montanista, il dualismo gnostico mescolati ad un'etica rigoristica.

Quando egli, laico e colto asceta, venne fatto vescovo cercò di diffondere le sue idee. Scomunicato dal Sinodo di Saragozza (380), venne giustiziato a Treviri dall'imperatore Massimo (385) con altri sei compagni sotto l'accusa di «magia delittuosa », in quanto Massimo, usurpatore gallico, sperava di guadagnare così gli ortodossi alla sua causa. Questa misura, al contrario, provocò la riprovazione di tutti i vescovi ortodossi come Ambrogio e Martino di Tours, e la collera dei Priscillianisti, la cui setta ebbe in seguito un buono sviluppo in quanto favorita dall'invasione dei Germani. Sopravvisse in Spagna fino alle invasioni arabe del 6° secolo.

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(c) CONTROVERSIA DONATISTA. I Donatisti aspiravano a fondare una Chiesa pura e ritenevano invalido ogni rito sacro compiuto da un ministro indegno. Poiché il vescovo di Cartagine Ceciliano era stato consacrato da felice, vescovo di Aptunga, il quale felice era considerato un «traditore » per aver consegnato (durante la persecuzione di Domiziano) le Sacre Scritture ai persecutori, i Donatisti rigettavano tale consacrazione a vescovo. Nominarono allora un altro vescovo nella persona di DONATO, detto il Grande, che diede il nome al movimento. Lo scisma si estese a tutto il Nord Africa.

Costantino imperatore (che era un sostenitore di Ceciliano), attenendosi alle decisioni dei Sinodi di Roma (313) e di Arles (314), li perseguitò; ma, avendo essi risposto alla violenza con la violenza, egli accordò loro un Editto di tolleranza.

Ma Agostino di Ippona riprese la lotta contro di loro, sostenendo pubblici dibattiti con loro in presenza anche dei commissari imperiali, che gli diedero ragione. Allora le persecuzioni ripresero, e Agostino, che prima si era opposto alla violenza, l'approvò, portando, a sostegno della sua condotta, le parole di Cristo: « . . . costringili ad entrare» (Luca 14, 23). I Donatisti scomparvero completamente.

Le principali opere di Agostino contro i Donatisti sono: « Salmo contro i Donatisti», « Il battesimo», « L'unità della Chiesa», « Ai Donatisti dopo la conferenza».

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(d) LA CONTROVERSIA PELAGIANA. Pelagio, monaco bretone, negava il peccato originale . Riteneva l'uomo buono per natura, come Adamo, e che diviene peccatore solo per imitazione. Quindi è capace di fare il bene da sé stesso e non ha bisogno di essere rigenerato.

La grazia, allora, non è indispensabile per la salvezza, ma è solo un soccorso. Tutto dipende dunque dal libero arbitrio dell'uomo.

Il battesimo, perciò, per lui non ha alcuna efficacia per la salvezza, ma è un semplice atto di consacrazione.

A queste due ereticali dottrine si oppose Agostino d'Ippona, che formulò la dottrina del peccato originale, che divenne poi domma della Chiesa Cattolica.

Secondo Agostino, quando Adamo peccò, peccarono lui e con lui tutta la razza umana. E, andando ancora più oltre all'insegnamento biblico, affermò che ogni individuo è completamente corrotto e colpevole fin dalla sua nascita, e quindi incapace di fare il bene. Solo la grazia di Dio, immeritata, può salvarlo. Questa grazia, che è irresistibile, Dio l'accorda ad alcuni, gli eletti, per pura misericordia. Gli altri costituiscono « una massa dannata», che nulla, nemmeno la Chiesa e i suoi sacramenti può salvare.

Gli eletti tuttavia non sono salvati senza i sacramenti, perché Dio fa in modo che essi vengano a contatto con la Chiesa; che siano battezzati e così liberati dal peccato originale; che la loro volontà accetti la grazia, che facciano, di conseguenza, le buone opere, cioè le opere meritorie. Infine, Dio accorderà loro la perseveranza finale.

Ma come viene trasmesso da Adamo in poi, tramite i genitori, nei figli questo peccato originale? Agostino risponde: per mezzo della « concupiscentia carnis» (concupiscenza della carne), in quanto i bambini vengono generati con la cooperazione della concupiscenza dei genitori.

Per dimostrare queste idee, Agostino scrisse le seguenti opere: « Lo Spirito e la lettera», « La natura e la grazia», « La grazia di Cristo e il peccato originale», «La grazia e il libero arbitrio », «La predestinazione dei santi » e «Il dono della perseveranza ».

Le peripezie della controversia hanno meno importanza dei princìpi in discussione.

Pelagio, recatosi a Roma, cercò di diffondervi le sue idee, facendo dei seguaci. Ma nel 411 venne scomunicato, soprattutto per aver negato che il battesimo dei bambini cancella il peccato originale. Po Agostino fece condannare Pelagio nei Concili di Cartagine e di Milevi (416), facendo ratificare la condanna dal vescovo di Roma Innocenzo I.

Anche Pelagio allora si rivolse a Roma, dove Zosimo era succeduto ad Innocenzo. Zosimo lo dichiarò ortodosso e biasimò gli Africani per aver dato un giudizio precipitoso. Ma questi rinnovarono il loro verdetto nel Concilio di Cartagine del 418 e Zosimo dovette inchinarsi. Il Pelagianesimo venne definitivamente condannato assieme al Nestorianesimo nel Concilio di Efeso del 431.

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(e) LA CONTROVERSIA SEMIPELAGIANA. La condanna di Pelagio a Cartagine e ad Efeso non impedì il sorgere di nuovi problemi. I monaci della Gallia, in particolare Vincenzo di Lerino (+450), seguirono una dottrina semipelagiana. Non accettavano le dottrine agostiniane della predestinazione assoluta, né della negazione del libero arbitrio, e ritenevano che la volontà umana non sia completamente traviata, ma solo malata. La grazia viene in aiuto all'individuo e l'elezione si basa sulla preconoscenza divina dei meriti della persona.

Il semipelagianesimo venne condannato dal Concilio di Orange 2° (529), le cui decisioni furono ratificate dal vescovo di Roma Bonifacio 2° (530-32). Il Concilio condannò in 25 canoni il Pelagianesimo e il Semipelagianesimo e dichiarò che è la grazia che ci incita a credere, a volere, a chiedere e non il contrario, e che tutto il bene che noi facciamo è Dio che lo compie in noi. Si trattò quindi di un « agostinismo mitigato», perché Agostino era caduto in errore in alcuni punti, a causa della sua nozione della Chiesa e dei sacramenti, sebbene avesse avuto chiaro l'insegnamento evangelico che la salvezza è un dono della grazia di Dio e non il risultato degli sforzi umani.

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I principali teologi dell'Occidente

1) ILARIO DI POITIERS (315 ca - 357), D'origine pagana e felice padre di famiglia, si convertì al cristianesimo, leggendo la Bibbia. Appena battezzato fu nominato per acclamazione di popolo vescovo di Poitiers. Fu in Occidente il più energico difensore dell'ortodossia durante la controversia ariana, tanto che venne chiamato « l'Atanasio dell'Occidente». Venne esiliato per quattro anni in Asia Minore dall'imperatore Costanzo. Quivi compose la sua opera su «La Trinità » e una diatriba in cui paragona l'imperatore Costanzo a Nerone e lo presenta come il precursore dell'Anticristo.

Ilario ebbe delle idee strane sull'Incarnazione di Cristo: riteneva infatti che Gesù non avesse ricevuto il suo corpo dalla vergine Maria e che fosse insensibile al dolore.

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2) AMBROGIO DI MILANO (+397). Si distinse più come vescovo che come teologo. Era governatore della città di Milano, quando, essendo vacante il vescovado della città ed essendo sorte delle contestazioni tra ariani e non ariani, il popolo lo acclamò vescovo. Ma non era battezzato, e quindi non era nemmeno cristiano. Avendo egli accettato l'elezione a vescovo della città. dovette essere subito battezzato. Esercitò con molta cura ed abnegazione il suo ufficio di vescovo. La forza della sua predicazione suscitò l'interesse di Agostino di Ippona, che era allora manicheo e che si trovava nella città con la madre Monica, già pia cristiana, e molto contribuì alla sua conversione.

Sapeva trattare da pari a pari con gli imperatori e trattenne buoni rapporti col potere civile per favorire la causa dell'ortodossia. Rivolse particolare interesse alla dottrina della Trinità, al valore della morte di Cristo considerata come una sovrabbondante soddisfazione, e soprattutto, ai sacramenti nell'opera «I misteri». Ritenne che le parole sacramentali del sacerdote sugli elementi del pane e del vino operino una trasformazione sostanziale di essi nel corpo e sangue di Cristo.

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3) GIROLAMO EUSEBIO (347-419/20). Nacque a Stridone nell'Illiria. Studiò a Roma e ricevette il battesimo a 20 anni. Poi a Treviri abbracciò la vita ascetica e si trasferì in oriente, vivendo molti anni come eremita nel deserto siriaco della Calcide, dove imparò l'ebraico. Venne ordinato sacerdote in Antiochia, e acquisì una prodigiosa erudizione alla scuola dei diversi maestri d'Oriente.

Ritornò a Roma per tre anni, essendo consigliere e segretario di Damaso, vescovo della città, che gli diede l'incarico di tradurre la Bibbia. Morto Damaso, ritornò in oriente ove visse da eremita in una grotta di Bethlehm, dirigendo una comunità di monaci e di monache della borghesia romana. Morì a Bethlehm.

Ebbe un carattere irascibile, per cui si trovò invischiato in parecchie controversie. Dopo aver avuto dapprima una immensa ammirazione per Orìgene, in seguito si aggregò al partito degli antiorogenisti e bisticciò per questo fatto col suo amico Rufino.

Tradusse la Bibbia in 20 anni. Non credeva all'ispirazione degli Apocrifi dell'Antico Testamento ed avrebbe voluto toglierli dalla sua traduzione, che all'inizio fu accolta male dalla Chiesa, ma poi divenne (ed è restata fino ad oggi) la più nota e diffusa traduzione latina della Bibbia, tanto da essere detta «La Vulgata », cioè «la diffusa ».

Difese la verginità perpetua di Maria (contro Elvidio e Gioviniano) e il culto delle reliquie (contro Vigilanzio). Meritano menzione i suoi « Commentari» e la sua « Corrispondenza».

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4) EUSEBIO DI CESAREA (+339), chiamato « Padre della storiografia ecclesiastica» per aver scritto una «Storia della Chiesa » dalle sue origini all'anno 313, che è la principale fonte di studio della Chiesa primitiva. In essa ha conservato molti documenti preziosi e dà molti dettagli sulla persecuzione di Diocleziano.

Egli fu vescovo di Cesarea. Fu tenuto in molta considerazione dall'imperatore Costantino, alla cui morte (337) gli dedicò la « Vita di Costantino»; opera molto parziale nel presentare il suo eroe, ma fonte preziosa per i documenti, senza dubbio autentici, che vi sono inseriti.

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5 AGOSTINO DI IPPONA (354-430). Nato a Tagaste in Numidia, da padre pagano e da madre (Monica) cristiana convinta, non venne battezzato da bambino. Mandato a studiare a Cartagine, vi divenne insegnante di retorica, e partecipò alla vita dissoluta della città, avendo avuto anche un figlio (di nome «Adeodato ») da una relazione extraconiugale. fece parte come uditore della setta dei Manichei attratto dalla promessa di una verità superiore, da poter raggiungere senza sottomettersi all'autorità della Rivelazione. Egli continuava a dibattersi tra le passioni carnali e le aspirazioni verso il bene. Si rese conto della falsità dell'insegnamento manicheo, quindi lo abbandonò. Stabilitosi a Roma, non vi trovò la risposta a quella sete di verità che lo tormentava. Si trasferì allora a Milano, dove ottenne (384) una cattedra di retorica. A Milano le sue lotte interiori divennero sempre più forti, e quivi fu attratto dalla eloquenza di Ambrogio, vescovo.

Un giorno, mentre leggeva la Lettera ai Romani (13, 14) sentì un bambino che diceva: «Prendi e leggi! ». In quell'istante venne afferrato dalla Grazia di Dio.. Si era già separato dalla sua amante. Si fece battezzare dal vescovo Ambrogio, assieme al figlio Adeodato, e decise di vivere da allora in poi celibe.

Rientrato in Africa (396), venne nominato vescovo di Ippona. Egli combatté, come abbiamo già visto in precedenza, i Manichei, i Donatisti, e i Pelagiani. Morì durante l'assedio di Ippona ad opera dei Vandali (430).

In lui il fervore mistico si unisce al vigore del pensiero. Dio, per lui, è il Bene Supremo, ed è sua la frase: « Tu ci hai fatto per Te ed inquieto è il nostro cuore finché non riposa in Te».

Fu attaccato alla Sacra Scrittura, sebbene a volte ne avesse data una comprensione personale, che poi divenne quella della Chiesa di Roma. Mediante i Concili di Ippona (393) e di Cartagine (397 e 419) contribuì alla formazione dell'elenco dei libri canonici del Nuovo Testamento per la sua Chiesa di Ippona e per quella di Africa.

Il suo pensiero sulla presenza spirituale di Cristo nella Santa Cena fa presagire quella di Calvino. Dopo essere stato Millennarista, passò a ritenere che il Regno dei Mille anni deve intendersi nel senso delle benedizioni spirituali, di cui i credenti stanno godendo dalla venuta di Cristo in poi.

Ha scritto un'infinità di opere di genere più disparato: opere filosofiche, opere dottrinali, commenti a diversi libri della Bibbia, e tra tutti i suoi libri quelli più famosi sono: « Le Confessioni», in cui confessa la sua vita; la «Città di Dio », in cui auspica che la società civile sia sottomessa alla Chiesa; «La Trinità », dove afferma l'uguaglianza delle tre divine persone; « Le Ritrattazioni», in cui corregge e puntualizza quanto nelle moltissime sue opere precedenti poteva essere erroneo o non chiaro e creare confusione.

Immensa è stata l'influenza esercitata dal suo pensiero nella Chiesa Cattolica Romana e in tutta la storia della Chiesa Cristiana. Egli riassunse l'antichità e dominò il Medioevo. E' il Padre del Cattolicesimo per la sua dottrina sulla Chiesa ed è il Padre del Protestantesimo per la sua dottrina sulla Grazia.

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6) VINCENZO DI LERINO (+ prima del 450) sostenne, come la maggioranza dei monaci occidentali, la dottrina delle opere meritorie. Ha contestato l'influenza di Agostino di Ippona nella vita, nella dottrina e nell'insegnamento della Chiesa, sostenendo che l'opinione di un solo dottore non è conclusiva e che «la verità è ciò che è stato creduto dovunque, sempre e da tutti »: formula che ha fatto fortuna e che anche oggi è citata e ripetuta, anche a sproposito, cioè a sostegno della Tradizione orale, e non di quella scritta della Bibbia soltanto.
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7) LEONE IL GRANDE (440-461), più grande come vescovo di Roma, in quanto mise le premesse di quello che poi sarebbe stato il papato, che come scrittore ecclesiastico. Nella sua celebre « Lettera Dogmatica a Flaviano» (419) espose in forma classica la dottrina su Cristo aspramente contestata. Il suo scritto servì come base dei lavori del Concilio di Calcedonia (451), specialmente con le sue affermazioni equilibrate sulle due nature in Gesù Cristo. In Italia si oppose alle eresie dei Pelagiani e dei Manichei, e in Spagna a quella del Priscillianisti.
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Capitolo IV

Governo ecclesiastico e clero

1) La nozione di «Chiesa»

Nel 3° secolo si era insistito sull'unica ammnistrazione della Chiesa, sotto la direzione dei vescovi. Questa nozione si accentua nel 4° secolo fino a giungere a ritenere che la Chiesa è la sola depositaria dei mezzi di grazia, che rigenerano e santificano.

Essendosi diffusa in tutte le regioni viene detta « CATTOLICA». Inoltre, essendo ritenuta in possesso della tradizione apostolica per effetto della successione episcopale («diadokòi »), viene detta «APOSTOLICA ».

Ora che essa gode la pace esterna si convocano i Concili per prendere decisioni in materia di fede e di disciplina dai vescovi riuniti: tali decisioni hanno valore per tutta una regione e anche oltre.

Quattro Concili sono detti «Ecumenici » e le loro decisioni sono ritenute infallibili: tali sono i Concili di Nicea (325), di Costantinopoli (381), di Efeso (431) e di Calcedonia (451). Questi Concili, come tutti, sono la manifestazione visibile dell'autorità ecclesiastica.

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2) Separazione tra clero e laici.

Questa separazione è già abbastanza visibile nel 3° secolo, ma aumenta nei secoli 4° e 5°. Si ritenne che alle folle, male affermate nella fede, non si potessero affidare delle responsabilità in seno alla Chiesa, che anzi, sarebbe stato necessario dirigerle con mano ferma.

Nel luogo, dove si teneva il culto, venne riservato un posto speciale a quanti erano incaricati di alcuni importanti servizi nella Chiesa, i quali cominciarono a portare un vestiario particolare, anche fuori dell'esercizio della loro funzione. Lentamente questi inservienti ricevettero il nome di « clero», riservando quello di « laici » a tutti i credenti, mentre nella Parola di Dio « popolo » (greco: Laòs, da cui il termine « laici » e « clero » dal greco « kleros », cioè sorte) indicano tutto il « popolo di Dio scelto, tratto a sorte » (cfr Atti 20, 18; Cl 1, 12; 1 Pt 5, 3; Atti 15, 14; Rm 9, 23-25; Eb 4, 9). E così vennero qualificati come ecclesiastici (da « ekklesìa=Chiesa», cioè addetti al servizio della Chiesa). Lentamente tra costoro si introdusse la « tonsura » (la cosiddetta « chierica ») e si cominciò a raccomandare loro il celibato.

Tuttavia questo addetti ai servizi della Chiesa, detti « clero», si mondanizzano sempre di più e diventano frequenti i decreti dei Concili per frenare la loro mondanizzazione.

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3) Sviluppo della gerarchia.

Intanto si sviluppa in seno alla Chiesa un processo di sdoppiamento nel collegio dei vescovi (episcopi) e anziani (presbiteri). Il termine « vescovi» viene riservato al gruppo degli eletti a guida della Chiesa locale, mentre quello di « presbiteri» (da cui è derivato il termine «preti ») viene riservato a quanti sono addetti ai servizi divini della Chiesa sotto l'autorità dei vescovi.

Per l'afflusso di sempre nuovi credenti e per la generalizzazione del battesimo dei bambini, il potere dei «preti » si accresce sempre più. Ad essi viene riservata l'amministrazione dei riti religiosi, mentre ai vescovi sono riservate la cresima e l'ordinazione dei preti. I vescovi hanno piena autorità di nominare, rimuovere o revocare preti e diaconi.

Alcuni vescovi, inoltre, per le loro qualità personali accrebbero di molto l'importanza del loro ruolo nella vita della Chiesa. Così fu di Atanasio, Basilio il Grande, Gregorio di Nazianzo, Giovanni Crisostomo, Cirillo di Gerusalemme in Oriente; Martino di Tours, Ambrogio e Agostino in Occidente. Lentamente quindi ci si avviò alla preminenza di un vescovo sugli altri e si sviluppò l'episcopato monarchico, cioè l'esistenza di un unico vescovo nella congregazione, anche la necessità di poter far fronte alle dispute teologiche che potevano provocare sbandamenti tra i credenti.

In seguito i vescovi delle grandi città (dette: metropoli) poco a poco presero il sopravvento sugli altri vescovi, arrogandosi il diritto (essi detti «Metropoliti ») di confermare i vescovi della loro regione, anche se, generalmente l'elezione veniva ancora fatta per acclamazione dal popolo.

Successivamente, tra questi «Vescovi Metropoliti » sorse discussione per l'assunzione del titolo di « Patriarca ». La diatriba venne a cessare quando nel Concilio di Calcedonia (451) si stabilì che solo i Vescovi di Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme dovessero portare questo titolo.

Lo stesso Concilio stabilì che « la sede della nuova Roma (cioè Costantinopoli) deve avere i medesimi privilegi che aveva l'antica». Il vescovo di Roma Leone I si rifiutò di sottoscrivere questo canone.

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4) Sviluppo del papato

Durante questo periodo parecchie circostanze favorirono lo sviluppo del potere del vescovo di Roma. Innanzi tutto, il vescovo di Roma, al contrario del suo collega di oriente, non aveva concorrenti in Occidente.

Poi, sovente il vescovo di Roma venne richiesto di interporre i suoi buoni uffici nelle controversie che sorgevano tra i patriarchi di Costantinopoli, Alessandria e Antiochia.

Inoltre le ingiustizie palesi perpetrate da alcuni Concili provinciale fecero sì che sovente si ricorresse al vescovo di Roma quale arbitro delle questioni.

Infine, i vescovi di Roma hanno saputo guardarsi dal cadere in eresie di grido, al punto che essi e la loro sede apparve a molti come il bastione della ortodossia.

Da questa epoca i vescovi di Roma cominciarono a monopolizzare il titolo di «Papa» (dal greco «papas »=padre), che in precedenza veniva dato a tutti i vescovi, specialmente ai più importanti. Fu il vescovo romano Liberio (352-366) ad usarlo per sé, sebbene solo nel 6° secolo divenne il titolo ufficiale.

Ecco alcuni passi della marcia ascendente del papato:

(a) sotto Giulio I (337-352) il Concilio di Sardica (343) decise che un vescovo condannato da un Concilio potesse rivolgersi al vescovo di Roma perché decidesse della sua causa;

(b) durante il vescovado di Damaso I° (366-384) l'imperatore Graziano ingiunse alle autorità civili di tutto l'Occidente (378) di far comparire davanti al vescovo di Roma i vescovi ribelli a una decisione sinodale;

(c) il vescovo di Roma Siricio (384-399) fu il primo a comunicare le sue opinioni agli altri vescovi sotto forma di Decretali;

(d) Leone I Magno (440-461) fu il più tenace promotore dell'autorità papale. Fece trionfare l'ortodossia al Concilio di Calcedonia, sebbene si rifiutasse di accettare il canone con cui il Concilio definiva l'uguaglianza dei patriarchi di Roma e di Costantinopoli.

Si definì il successore di Pietro e sembra essere stato il primo a vedere nelle parole di Gesù: « Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. E ti darò le chiavi del Regno dei cieli . . . » -- nel racconto della confessione di Pietro, fatto da Matteo 16, 18-20 -- un primato di giurisdizione sulla Chiesa dato a Pietro. (Forse anche i vescovi romani Calisto e Stefano, nel 3° secolo, avevano dato questa interpretazione).

Sotto il suo vescovato si è avuta la famosa falsificazione del Canone 6° del Concilio di Nicea (325), a cui sono state aggiunte queste parole: «Roma ha sempre avuto il primato ».

Il suo intervento presso Attila, re degli Unni, affinché non procedesse alla volta di Roma ma a prendere la via del ritorno, avvenuto presso Mantova sul Mincio (452), lo fece apparire come il principale politico dell'Italia del tempo, tantoché fu chiamato « il primo Papa».

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Capitolo V

Il culto

1) Edifici

Poiché per l'aumentato numero dei fedeli, i piccoli luoghi di culto del 3° secolo non erano più sufficienti, si incominciò a costruire grandi e sontuose basiliche a più navate, sulla forma di quelle romane già esistenti, e a decorarle con pitture, affreschi e mosaici. Man mano che il battesimo dei bambini si generalizzava, il nartece (cioè l'atrio) divenne sempre più piccolo.

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2) Feste

Con Costantino la Domenica divenne (con l'editto del 321) un giorno di festa legale. Sempre maggiore importanza nel frattempo vanno acquistando le feste annuali. Il Concilio di Nicea (325) fissò la data della pasqua nella 1a Domenica dopo il plenilunio di primavera. Si iniziò a festeggiare il Natale di Gesù Cristo il 25 Dicembre, quando a Roma veniva celebrata la festa del « natale del sole invitto» ed è in quella occasione che Leone I° Magno in una sua Omelia presenta Cristo come il vero sole di giustizia. In oriente nel frattempo veniva celebrata il 6 Gennaio di ogni anno la festa della Epifania a ricordo del battesimo di Gesù.

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3) Elementi del culto

Il culto continuò ad essere diviso in due parti: la Liturgia, cioè preparazione e la Cena del Signore, che divenne sempre più lunga e fastosa. Ambrogio di Milano fu il primo ad usare per il servizio divino della Domenica il termine «Messa » (parola che faceva parte dell'invito rivolto ai fedeli di lasciare la Chiesa al termine del servizio divino: « Ite, Missa est»: andate, è tutto finito!)

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4) Sacramenti

Il battesimo è ritenuto in questo periodo il sacramento che cancella il peccato originale e opera la rigenerazione. Poiché si battezzano i bambini, che non comprendono e non possono assumere impegni, si usano il padrino e la madrina, che fanno la professione di fede per il bambino e prendono gli impegni per lui davanti alla Chiesa. I battisteri di questo tempo mostrano che è ancora molto diffusa la pratica della immersione.

In Occidente, la Confermazione o cresima viene staccata dal Battesimo e la si incomincia ad amministrare quando il bambino raggiunge l'età della ragione, perché confermi la fede confessata dal suo padrino e madrina per lui e le promesse da loro fatte. La Confermazione è una cerimonia riservata al vescovo, che mediante l'unzione del crisma (donde il nome « Cresima ») può trasmettere egli solo lo Spirito Santo.

L'eucarestia viene sempre più circondata da superstizione e mistero. Vi si vede la presenza reale di Cristo e la rinnovazione del sacrificio della croce.

La Penitenza non viene più intesa come una pubblica confessione, per la introduzione lenta dell'uso della confessione privata, prima presso i monaci e poi anche in tutta la Chiesa, per alcuni gravi peccati, quali l'apostasia, l'omicidio e il divorzio.

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5) Deviazioni del culto

Per l'ingresso nella Chiesa di molti pagani non del tutto convertiti, ma desiderosi di ubbidire all'invito dell'impero, anche per vantaggi terreni, il Culto Cristiano tendette a paganizzarsi. All'antico politeismo pagano di dèi e dee venne sostituito il culto a Maria, agli apostoli, ai martiri.

Chiese e persone venivano poste volentieri sotto la protezione di un santo, come prima era avvenuto di una divinità pagana. In ogni Chiesa si desiderò avere un resto, o reliquia, di qualche pezzo di ossa, vestito o altro oggetto che avesse avuto a che fare con qualche eroe della fede. Così i monaci diedero inizio al traffico delle reliquie, vere o false, che fossero.

Il culto delle immagini, i pellegrinaggi, le processioni che molto soddisfacevano il piacere del fasto, e la superstizione delle folle, sorsero e crebbero a dismisura. Quanti protestavano contro queste forme degeneri del culto erano ritenuti empi (come Vigilanzio, aspramente combattuto da Girolamo). Un fatto che molto contribuì alla diffusione delle reliquie fu la pretesa scoperta (nel 326) della Croce di Cristo, ad opera di Elena, madre di Costantino, a Gerusalemme.

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Capitolo VI

Inizio del monachesimo

La parola «monaco » deriva dal greco «monakòs » che significa «solitario». Due furono i tipi di vita monacale: quella degli «anacoreti » e quella dei «cenobiti ».

1) Gli anacoreti

Questo nome venne dato a quei cristiani che si ritiravano in completa solitudine. Alcuni presero questa decisione per sfuggire alla persecuzione dell'imperatore Decio (249-251). Altri, come Antonio egiziano, si appartarono in località lontane e deserte per seguire il consiglio dato da Gesù al giovane (Marco 10, 21).

Così, Antonio il Grande (+356), sebbene figlio di agiati genitori cristiani egiziani, vendette tutto, e nel deserto visse in grande austerità, combattendo contro il demonio che, come dice la leggenda, si presentava a lui, sotto le forme di animali, per tentarlo. Morì a 105 anni.

Alcuni anacoreti del 5° secolo si ritirarono perfino a vivere sulla sommità di una colonna, per cui furono chiamati « stiliti»: tra essi ci fu Simeone (+459) che visse in questa posizione 37 anni.

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2) Cenobiti

Fu Pacomio (+346) ad avere l'idea di riunire più monaci in uno stesso ambiente. Egli, licenziato del servizio militare, ricevette il battesimo, e, dopo essere stato per tre anni discepolo di un anacoreta, fondò verso il 320 a Tebenne sul Nilo, nella Tebaide (alto Egitto) un chiostro, cioè una casa fornita di celle per numerosi monaci, recinta di un muro. Questa «vita comune » (greco: koinòs biòs), fu chiamato « cenobitismo», e i monaci « cenobiti». Il capo del « cenobio» ebbe il titolo di « padre» (greco: abbàs).

Pacomio diede anche delle regole ai cenòbi, che prevedevano il pasto in comune e l'impiego del tempo secondo quanto stabilito in precedenza: tempo della preghiera, delle pratiche di pietà, del lavoro manuale, della disciplina e del modo di vestire.

In seguito, vennero fondati altri conventi-cenobi come succursali della casa madre. Maria, sorella di Pacomio, fondò un convento di suore, di cui lei fu la badessa.

Basilio il Grande favorì il monachesimo, incanalandolo nella Chiesa, onde i monaci non si erigessero come accusatori verso la mondanità della Chiesa ufficiale. Organizzò delle piccole comunità, dando loro delle regole che tuttora sono in uso in Oriente.

I monaci basiliani facevano un noviziato, quindi emettevano i voti di povertà, castità e residenza. Non si trattava però di voti perpetui, cioè emessi per tutta la vita. I monaci avevano la testa rasata in segno di schiavitù a Cristo.

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Riassumendo i fatti avvenuti in questo secondo periodo, che va dal secolo IV ai primi anni del secolo V, possiamo distinguere le seguenti cinque fasi:
 
313-337 Impero di Costantino - Fine delle persecuzioni - Eresie Donatista ed Ariana col Concilio di Nicea - Inizi del Monachesimo;
337-379 Controversia ariana (continuazione) - Giuliano Apostata - Apollinarismo;
379-395 Teodosio imperatore - Concilio di Costantinopoli - Controversia Priscillianista;
395-430 Controversie: Maniche, Pelagiana e Semipelagiana - Ambrogio - Agostino di Ippona;
430-461 Controversie: Nestoriana ed Eutichiana - Concili di Efeso e di Calcedonia - Leone il Grande - Numero dei Patriarcati fissato a cinque.

Questo periodo della storia della Chiesa è importante:

1 - per la disfatta del Paganesimo;

2 - per la scomparsa delle antiche eresie e la sconfitta delle nuove;

3 - per la definizione del Canone delle Scritture del Nuovo Testamento;

4 - per la rivendicazione della duplice natura divina e umana di Cristo;

5 - per il principio biblico rivalutato della salvezza per grazia immeritata.

Tuttavia, ci furono in questo periodo delle gravi deficienze ed errori quali:

1 - Il Paganesimo si introduce nella Chiesa per effetto dell'ingresso in essa di turbe di  pagani non rigenerati;

2 - si introduce nella Chiesa la dottrina del valore meritorio delle opere e del valore dei sacramenti;

3 - si inizia il culto a Maria (la Madonna) e ai santi;

4 - la nozione di Chiesa perde il suo valore spirituale e si materializza e si istituzionalizza con il sorgere della distinzione tra clero e laici, e dell'episcopato monarchico;

5 - il culto perde la sua semplicità spirituale e si mondanizza, diventando pomposo;

6 - la moralità degli appartenenti alla Chiesa si abbassa.

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