LA PRIMA LETTERA AI CORINZI
Risurrezione di Gesù in Paolo (1 Corinzi 15, 1-8)
a cura di Alfredo Berlendis - articolo tratto da Ricerche Bibliche e Religiose, n. 4, IV Trimestre 1973, pp. 19-57

INDICE

Introduzione
A. v. 3a «Infatti vi ho trasmesso, anzitutto, ciò che io stesso ho ricevuto»
B. v. 3b «Che Cristo è morto per i nostri peccati secondo le Scritture»
C. v. 4a «Che fu seppellito»
D. Paolo conosceva la tradizione del sepolcro vuoto?
E. v. 4c «Risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture»
F. Il terzo giorno
G. Secondo le Scritture
H. Le apparizioni
I. Il vocabolario
Bibliografia


Introduzione

La discussione verterà sul contenuto e il senso della testimonianza paolina e non valuterà la funzione che la pericope ha in ordine alla discussione sulla resurrezione dei morti(1) tema centrale del capitolo XV in cui la menzione della resurrezione di Cristo ha ruolo probativo.

« Io vi ricordo(2) fratelli, l'evangelo che vi ho annunciato, che voi avete ricevuto e nel quale perseverate, per il quale voi sarete salvi, se lo ritenete come ve l'ho annunciato, a meno che non abbiate creduto invano. Infatti vi ho trasmesso, anzitutto, ciò che io stesso ho ricevuto: che Cristo è morto per i nostri peccati secondo le Scritture e che apparve a Cefa e poi ai dodici. In seguito apparve a  cinquecento fratelli in una sola volta, di cui la maggior parte sono ancora vivi, mentre alcuni sono morti. Poi apparve a Giacomo e poi a tutti gli apostoli, e ultimo di tutti, come ad un aborto, apparve anche a me».

nei primi due versetti Paolo introduce il discorso inserendo un appello alla fedeltà, non le brillanti opinioni di improvvisati maestri ma l'insegnamento apostolico garantisce la salvezza. Seguiamo la traduzione di I. Minestroni, le difficoltà e le possibilità di diverse costruzioni del 2° versetto sono presentate dai commentari di J. Héring e Allo, più avanti citati.

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A. v. 3a: Infatti vi ho trasmesso, anzitutto, ciò che io stesso ho ricevuto

Il nucleo dell'annuncio evangelico è già divenuto formula di fede che Paolo fedelmente trasmette. La formula può essere stata trasmessa all'apostolo al tempo della sua conversione (At 9, 22-26), nel 34, e questo pare più probabile perché nella lettera ai Galati Paolo scrive:

« Vi dichiaro infatti, fratelli, che la buona notizia da me annunciata non è di provenienza umana, perché io non l'ho ricevuta né appresa da qualche intermediario umano, ma mediante una rivelazione di Gesù Cristo» (Ga 1, 11-12).

Si può ipotizzare che le notizie delle apparizioni a Cefa e ai Dodici, a Giacomo e agli apostoli, siano state raccolte nell'ambiente gerosolimitano durante il viaggio a Gerusalemme del 36, di cui abbiamo notizia in Ga 1, 17 (3) Si tratta di una formula di fede la cui antichità è dimostrata anche dallo stile semitico e dalla terminologia non paolina. L'indole semitica milita a favore della origine gerosolimitana (4) .

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B. v. 3b: Che Cristo è morto per i vostri peccati secondo le Scritture

Gesù non è il Messia glorioso atteso dal popolo giudeo; gli ebrei non superarono l'ostacolo posto loro dal Crocifisso, su cui pesava la maledizione della Legge (5) La morte ignominiosa di Gesù, esposto con la crocifissione allo scherno, non rientrava nella visuale del popolo giudeo che attendeva un liberatore. Ma proprio il segno di maledizione, l'esposizione del condannato, doveva convertirsi in Gesù, per noi, in segno di benedizione. Paolo si riferisce proprio al testo del Deuteronomio per esplicare il passaggio: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando per noi maledetto, infatti sta scritto: maledetto chiunque pende dal legno» (Ga 3, 13) (6) Paolo non vuole qui evocare soltanto il fatto fisico della morte, la menzione della morte implica il riferimento al tipo di supplizio che scandalizza gli ebrei (cf. 1 Co 1, 23), lo scandalo, il crocifisso, contro ogni logica mondana, è benedizione di Dio, poiché, secondo le Scritture, il suo supplizio è liberatore e redentore per noi, e per il Cristo, glorificatore. La croce, simbolo d'infamia, divenne, per la potenza di Dio, segno di speranza.

La Scrittura aveva annunciato la morte del Messia nella figura del Servo di Javé (Is 53): è appunto 'secondo le profezie ' che va compresa la morte di Gesù (7) Sebbene qui Paolo sottolinei il fatto della morte per passare poi ad affermare l'evento risurrezionale, occorre leggervi il cenno alla modalità, perché nel ricordo che Gesù Risorto è il Crocifisso sta la possibilità di comprendere il pieno significato della discussione paolina sulla resurrezione dei morti. Se in Gesù Crocifisso si dispiega la potenza di Dio, e questo i Corinzi lo credono, come dubitare che questa vittoria sulla morte pone fine alla ineluttabilità della condanna a morte di tutti gli uomini, stabilendo in Cristo il salvacondotto e che nella croce, debolezza e maledizione, si svela la forza e si compie la promessa? A partire dalla riflessione sulla croce, Paolo rammenta che nel Crocifisso si realizza la promessa delle Scritture: « L'Eterno... annienterà per sempre la morte » (Is 25, 8).

Cristo muore per i nostri peccati. Il Fariseo Paolo, apostolo del giudaismo, persecutore della chiesa, ha compreso i limiti della Legge (cf Rm 7); essa non può rendere giusto, non consente un autentico ritorno a Dio, una piena giustificazione. Chi si fida della Legge si inganna e si fida in realtà delle proprie forze, si illude di poter conseguire la salvezza da sé. Il Fariseo Saulo ha compreso che la via del ritorno a Dio non è tracciata dai precetti della Legge, ma è inaugurata ed aperta da Gesù, che denuncia come illusoria ogni speranza di autosalvezza.

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C. v.4a: Che fu seppellito

Poiché la narrazione della sepoltura fa parte della concatenazione dei fatti addotti dagli evangelisti e da Paolo a prova della resurrezione di Cristo, critici credenti e non credenti, con intenti e ottica diversa, hanno cercato di scalzarne la base storica. Gli evangelisti narrano unanimemente l'episodio della sepoltura: Mc 15, 42-47; Mt 27, 57-61; Lc 23, 50-55 e Gv 19, 38-42 con note proprie: l'uso di bende e aromi(8) élabon oûn tò sôma toû Iesoû kaì èdesan autò ôthonìois metà aromàton (Gv 19, 40). Nonostante i tentativi della critica di invalidare l'argomento ' sepoltura', tesi del Loisy e del Guignebert, secondo i quali il corpo di Gesù fu abbandonato al suolo, l'unanime testimonianza neotestamentaria non può essere liquidata senza potere addurre notizie storiche opposte a quelle evangeliche. Non abbiamo che le narrazioni evangeliche; si potrà sospettare di fonti tanto interessate, ma sinché non si potrà disporre di altre testimonianze che propongono una diversa versione, non sarà lecito azzardare nuove ipotesi. Per M. Goguel (9) Gesù fu veramente seppellito, non però nella tomba che le donne trovarono vuota, ma in un'altra nella quale fu posto dai giudei il corpo di Gesù. Il seppellimento da parte di Giuseppe d'Arimatea fu una pietosa invenzione dei cristiani che volevano così cancellare il ricordo della sepoltura di un condannato con la narrazione di una sepoltura onorifica. G. Baldensperger (10) argomenta che le donne la domenica videro veramente il sepolcro vuoto, ma questa era la tomba in cui i giudei avevano posto il cadavere di Gesù e dalla quale Giuseppe d'Arimatea lo aveva preso per trasferirlo in luogo più onorevole. Le donne avrebbero quindi sbagliato tomba (11) Lo storico ebreo D. Flusser, professore all'università ebraica di Gerusalemme, ha documentato con fonti rabbiniche la storicità del personaggio Nicodemo, che, secondo Giovanni, portò l'aloe per la sepoltura (Gv 19, 39)(12) La menzione di un personaggio, la cui genealogia è ricostruibile con fonti storiche, dà alla notazione giovannea il carattere di un appunto storico. Nonostante X.L. Dufour (13) sia di opposto parere, egli non dimostra poi perché di dovrebbe diffidare della testimonianza di Giovanni. preferisco lasciarci indirizzare dalla fondata fiducia dello storico e diffidare, in questo caso, del sospetto dell'esegeta.

Se Gesù è stato posto in una tomba scavata nella roccia, il suo corpo avrebbe dovuto essere stato ritrovato dalle dinne e dai due discepoli (cf. Gv), se nel frattempo non fosse stato da qualcuno trafugato. Nei vangeli abbiamo notizia del rapporto delle guardie ai capi sacerdoti: « I suoi discepoli sono venuti di notte e, mentre noi dormivamo, l'hanno rubato » (Mt 28, 12). Non di due tombe si tratta, né di diverse sepolture; il sepolcro in questione è uno solo, prima con Gesù, poi vuoto, perché Gesù è risorto, secondo i cristiani, perché il cadavere è stato rubato, secondo le guardie. Non si hanno altre notizie; l'ipotesi delle due tombe è, almeno per ora, pura fantasia.

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D. Paolo conosceva la tradizione del sepolcro vuoto?

E' difficile stabilire con precisione se, parlando della sepoltura, l'apostolo includesse la tradizione del sepolcro vuoto, cui peraltro nei suoi scritti non accenna mai; forse a precisazione «al terzo giorno » ricollega la menzione della sepoltura all'episodio della visita della tomba da parte delle donne che per prime seppero della resurrezione. Paolo aveva già inserito nella paràdosis la notizia della sepoltura durante il primo viaggio missionario in Antiochia (46-48 ca)(14) quindi egli conosceva la tradizione della sepoltura circa un decennio prima della stesura della 1 Corinzi. E' difficile credere che nell'arco di un decennio, vissuto nella predicazione itinerante, non sia venuto a conoscenza del racconto della tomba vuota. Bisognerebbe credere che la tradizione delle donne al sepolcro fosse sorta molto tardivamente, poco prima della stesura dei vangeli, ma in questo caso ci chiederemmo perché gli evangelisti avrebbero inserito fra i testimoni della resurrezione (addirittura i primi!) personaggi così poco degni di fede come delle donne, se già preesisteva, e la lettera ai Corinzi ne è conferma, una paràdosis che portava la testimonianza di personaggi tanto autorevoli e indiscussi come Pietro e Giacomo. In conclusione. sebbene non si possa affermare con certezza, possiamo ragionevolmente credere che Paolo conoscesse la tradizione delle donne al sepolcro vuoto e che, menzionando nel Credo la sepoltura e la resurrezione dopo tre giorni, implicitamente la rievochi (15) A.M. Ramsey, pur escludendo la possibilità di pervenire a conclusione certa, riporta il ragionamento del critico Lake, rispondente alla obiezione di coloro che affermano che, se Paolo avesse conosciuto il dato probante della tomba vuota, lo avrebbe sicuramente inserito bel cap. XV della lettera ai Corinzi.

— Lake ha risposto da molto tempo a questa obbiezione: «C'era qualche motivo particolare perché Paolo, se avesse conosciuto questi dettagli, vi accennasse? Certamente no. Non stava cercando di convincere i Corinz che il Signore era risorto: ricordava loro di averli già convinti. E' quindi assolutamente impossibile concludere se Paolo abbia o no avuto notizia del racconto concernente la visita delle donne al sepolcro »(16) .

Noi, per i motivi su esposti, la riteniamo probabile.

Un'altra difficoltà viene sollevata nei confronti delle testimonianze neotestamentarie circa la sepoltura: il cadavere di Gesù doveva essere posto nel cimitero destinato ai condannati(17) non poteva perciò essere consegnato ai discepoli. Il supplizio era stato inflitto dall'autorità romana, la pena capitale non poteva essere applicata dai giudei ai tempi di Cristo (18) la sorte del cadavere dipendeva da Pilato, il procuratore in carica, che potè disporre perché fosse dato a Giuseppe d'Arimatea. Non crea problema quindi l'omissione della sepoltura nel campo dei condannati a morte.

La sepoltura è segno della morte reale di Gesù. J. Héring sostiene che si tratti anche di un attacco all'idea gnostica negante la realtà della morte di Cristo: «Perché la formula insiste sulla sepoltura di Cristo? senza dubbio per lottare delle concezioni gnostiche e docete che contestavano la realtà della morte del Signore» (19) Forse la menzione della sepoltura faceva già parte della tradizione giunta a Paolo e l'ambiente della chiesa di Corinto non necessitava di una puntualizzazione antignostica. Anche nell'ambiente giudaico c'erano i negatori della resurrezione (Mc 12, 18; Mt 22, 23-33; Lc 20, 27-40; At 23, 8), i Sadducei; perciò l'incredulità di alcuni Corinzi può avere la sua causa in correnti di pensiero giudaiche. Applicando il suggerimento metodologico si S. Lyonnet(20) , che esclude la presenza di concetti gnostici nella lettera ai Colossesi, dimostrando che le presunte idee gnostiche hanno una derivazione veterotestamentaria, nella menzione della sepoltura preferiamo vedere in primo luogo la risposta ad un problema presente nell'ambito giudaico, che poteva essere stato introdotto nella greca Corinto dagli itineranti predicatori giudei; inoltre vediamo in essa un richiamo scritturale, secondo l'interpretazione che Pietro (At 2, 27) e Paolo (At 13, 34-37) suggeriscono applicando a Gesù ciò che Davide scrisse nel salmo 16 v. 10. Sinché non si disporrà di più convincenti dati in favore della derivazione gnostica della negazione della resurrezione a Corinto, ci pare più prudente trovarne le radici nel pensiero giudaico. Anche perché il riferimento alla sepoltura è inserito in una formula di fede prepaolina, risalente ai primi tempi della chiesa, e, se è possibile parlare di gnosticismo incipiente per la seconda lettera a Timoteo (2, 18), è arduo dimostrare l'esistenza di influsso gnostico in tempo più antico e partendo dalla sola questione della resurrezione(21) .

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E. v. 4c: Risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture
« kaì óti eghéghertai tê eméra tê trite katà tàs graphás »

Eghéghertai , si può tradurre, intendendolo quale forma media intransitiva: è risorto ; si intende così Gesù soggetto e insieme oggetto dell'azione, ma è Paolo stesso a suggerire come deve essere intesa la forma verbale, stabilendo un rapporto reciproco tra l'atto di Dio che risuscita il Cristo e quella, futura, che richiamerà i morti alla vita. Inoltre al versetto 15 Cristo è chiaramente oggetto dell'azione divina: óti emarturésamen katà toû theoû óti égheiren tòn Christón, quindi la traduzione appropriata di eghéghertai è « fu risuscitato » (22) Scegliendo questa interpretazione cade il fondamento della distinzione che vede nella formula «Dio ha risuscitato Gesù» (23) una sottolineatura teologica che pone in luce l'intervento di Dio, e nell'altra «Gesù è risorto », una precisazione storica, perché anche nella seconda formula vi è il rimando all'iniziativa di Dio. le due formule sono da ritenersi equivalenti, anche perché non è possibile stabilire fra di esse una precisa successione temporale (24) Il tempo perfetto del verbo ci fa comprendere che si vuole evidenziare l'effetto attuale di quell'evento, Gesù è risuscitato ed è ora, per noi, il Risorto; Gesù è vivente e raggiungibile. Il tempo del verbo è scelto in funzione dell'argomentazione centrale del capitolo; Gesù, il vivente è apparso agli apostoli e a Paolo. Colui che ha vinto la morte può garantire la partecipazione dei credenti alla sua vittoria:

« Invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di quelli che si sono addormentati. Poiché per mezzo di un uomo è venuta la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la resurrezione dei morti; infatti come tutti muoiono in Adamo, così tutti saranno vivificati in Cristo, ma ciascuno nel suo ordine: Cristo è la primizia, poi quelli che appartengono a Cristo, al momento della sua venuta; quindi sarà la fine, quando egli rimetterà il regno a colui che è Dio e Padre, dopo che avrà annientato ogni principato, potenza e virtù, perché bisogna che egli regni finché non abbia posto tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico che renderà impotente sarà la morte» (1 Co 15, 20-26).

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F. Il terzo giorno

La designazione del tempo in cui Gesù risorse è data da Matteo e Luca con il greco tê trite eméra = il terzo giorno e da Marco con metà trèis eméras = dopo tre giorni (25) nell'elencazione delle tre predilezioni della passione e nella narrazione della passione e resurrezione. At 10, 40 usa la formula di Mt e Lc. Riferimenti a un tempo di tre giorni li abbiamo nella pericope giovannea della purificazione del tempio (Gv 2, 19-22) con esplicito aggancio alla resurrezione e la precisazione temporale en trisìn emérais = in tre giorni(26) nel racconto del processo (Mc 14, 58; Mt 26, 61) dià triôn emerôn = in tre giorni, della crocifissione en trisìn emérais, e in Mt 12, 40 che parla del segno di Giona, trèis eméras kaì trèis nuktàs. Anche Matteo utilizza la formula marciana metà trèis eméras, ove avrebbe benissimo potuto usare la forma che gli è consueta. Matteo conosce dunque ambedue le formule che impiega liberamente con identico significato:

« Signore ci siamo ricordati che quell'impostore mentre era ancora in vita disse: dopo tre giorni risorgerò (metà trèis eméras egheíromai ). Comanda dunque che il sepolcro sia custodito sino al terzo giorno » (Mt 27, 63-64). E' però difficile concludere che Matteo abbia elaborato la più antica formula di Marco (27) «dopo tre giorni », anche perché la formula tipica di Mt e Lc è già nota al nostro passo che risale ad epoca anteriore alla redazione dei vangeli. P. Lagrange, pur non pronunciandosi sulla priorità o simultaneità delle formule, suggerisce che quella lucana tê tríte emérâ sia stata trasformata nell'altra metà trèis eméras « da una reminiscenza di Giona p. II, 2. Si constaterà che Lc non ha parlato dei tre giorni a proposito di Giona (XI, 29s), non ha mai scritto « il terzo giorno» (...), mentre Mt, che parla dei tre giorni di Giona, scrisse « dopo tre giorni» per la resurrezione »(28) .
Questa osservazione spinge a chiederci se la precisazione della nostra lettera sia suggerita da una reminiscenza scritturale e introduce pure l'altra domanda: la frase « secondo la Scrittura » si riferisce alle parole «il terzo giorno » o alle parole « è stato risuscitato»?

Negli evangeli la precisazione cronologica, in duplice formula, è fatta risalire direttamente a Gesù. Quei critici, che ritengono redazionale tale precisazione, non attribuiscono alla precisazione particolare rilievo, e così risolvono il secondo quesito: Paolo con l'aggiunta «secondo le Scritture» si riferiva alla resurrezione e non alla data (29) Contro la tesi, che considera poste in bocca a Gesù dalla comunità primitiva le profezie della passione, sta la solidità e antichità della tradizione. L'accettazione di questa tesi costringe a rivedere molti altri enunciati degli evangeli e a formare una teoria dell'autocoscienza di Gesù diversa da quella sostenuta dagli evangelisti. per quale motivo il dettaglio cronologico si è cristallizzato così presto nella tradizione da trovarsi in formule antichissime come 1 Co 15, 4 e in narrazioni forse ancora più antiche come in At 10, 40?(30) La tesi «redazionale » per imporsi deve essere in grado si spiegarne le cause in senso opposto ai motivi che il N.T. suggerisce. In ogni caso la menzione del dettaglio in brani così antichi, indica che gli scrittori davano ad esso notevole valore e non lo ritenevano affatto un elemento marginale. Ma se era così importante citare la notazione temporale, cosa impedisce di pensare che ciò era dovuto proprio all'antefatto della predizione di Gesù?

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G. Secondo le Scritture

Se l'inciso « secondo Le Scritture» si riferisce alla datazione, allora occorre scoprire a quale testo si ispira e, scoprendo che, dietro la menzione della «resurrezione al terzo giorno», sta la rilettura di un testo profetico, si capirebbe perché la formula si fissò così presto e unanimemente nello scritto. Secondo J. Dupont (31) , la struttura della frase conduce necessariamente a riferire « katà tàs graphás» del versetto quarto al precedente «tê eméra tê tríte», così come il «katà tàs graphás », del versetto terzo, si riferisce alle parole « üpèr tôn amartiôn emôn = per i nostri peccati ». B. Prete pensa invece che le determinazioni « al terzo giorno» e « secondo le Scritture» siano indipendenti: «perché le tradizioni accolte nei vangeli documentano che queste tradizioni non erano abbinate, ma venivano ricordate indipendentemente l'una dall'altra »(32) Pur ammettendo l'indipendenza, concesso che ciò sia documentabile, non è necessario concludere che Paolo ha accostato i due particolari senza «stabilire un nesso teologico tra essi» (33) Ma veniamo alla prima ipotesi. E' improbabile che le due determinazioni sussistessero separate nella catechesi antica perché, come abbiamo visto, l'annuncio della resurrezione, la precisazione temporale e il riferimento alle Scritture erano già stati legati fra loro nella predicazione antica da divenire prestissimo materia del Credo, di cui il passo della prima ai Corinzi è incipiente formulazione. Certo se si è deciso che la profezia della passione è creata ad arte dagli evangelisti e perciò non è attribuibile a Gesù (34) si è indotti a sganciare la frase « secondo le Scritture» dall'altra « il terzo giorno» perché, in caso contrario, non sarebbe decisamente spezzata la linea: dalla profezia — alla vita di Gesù — alla riflessione della chiesa, che rimarrebbe ricostruibile a ritroso: dalla riflessione della chiesa — a Gesù che realizza il vaticino profetico. Se però si giudica che Gesù possa aver preannunciato la propria resurrezione (35) allora il ragionamento cambia itinerario e la premessa varia. L'obiezione: «se la predizione era così precisa perché o discepoli non la compresero? » è ingenua perché non tiene conto dell'eccezionalità dell'evento e delle circostanze in cui si attuò e del fatto che non molto tempo dopo i discepoli capirono e interpretarono segni e predizioni correttamente. B. Prete osserva ancora:

« Riteniamo che le osservazioni sulla struttura simmetrica del passo, le quali mostrerebbero che l'espressione « secondo le Scritture», ripetuta due volte, abbia un valore dogmatico, non possono prevalere sul carattere essenzialmente espositivo del testo paolino, nel quale l'autore intende raccogliere unicamente i dati tradizionali concernenti gli ultimi eventi della vita di Gesù »(36) .

Il carattere espositivo del testo non esclude che vi possa essere anche una sottolineatura teologica ed è proprio il parallelismo che ne consente il ritrovamento.

« La formula di 1 Co 15, 3-4 non è un semplice elenco di fatti senza colorazione teologica; questo è del tutto evidente in ciò che si dice della passione, richiamandosi a Is 53, ma lo è anche in ciò che si dice della resurrezione, anche se Dio non viene espressamente menzionato. Lo schema dell'enunciazione rimane essenzialmente quello dell'antitesi tradizionale. Non è abusivo pertanto spiegare la costruzione del secondo membro dell'antitesi, confrontandola con quello del secondo membro »(37) .

Gesù, che è morto secondo le Scritture per i nostri peccati, attualizza le Scritture risorgendo «il terzo giorno », presto, in uno spazio breve di tempo (38) .

A quale testo scritturistico si riferisce il katà tàs graphás del quarto versetto? Tra i testi, che il N.T. applica alla resurrezione, vi è Gn 2, 1 = Mt 12, 40. Questo passo, in Giona, non aveva esplicito significato messianico; è invece Os 6, 2 ad avere un chiaro senso escatologico e tuttavia non lo troviamo mai citato formalmente. Paolo potrebbe riferirsi a Gn 2, 1, ma la precisione temporale non è corrispondente, poiché parla anche di «tre notti »: l'unico passo che combaci perfettamente rimane quello di Osea. Un altro motivo suggerisce questa scelta; Paolo non cita mai il profeta Giona, mentre nella stessa lettera (1 Co 15, 55) trae immagini e terminologia da Os 13, 14(39) e in Rm 9, 25 interpreta Os 1, 10 e 2, 23. L'ipotesi che tutto il libro di Osea e, in modo particolare i capitoli 1 e 2, forse il capitolo 13 per il discorso apocalittico dei sinottici e 5, 8-6, 3, facesse parte di una raccolta di passi dell'A.T. che gli scrittori neotestamentari usavano come testimonianze scritturistiche nella predicazione, corrobora la scelta proposta. Se Osea faceva parte di questi «testimonia » è ancora più credibile che Paolo, nel passo in questione, si riferisca ad esso(40) Una rassegna delle interpretazioni del passo si trova nella già citata opera del Dupont; riportiamo qui la tesi di K. Lehemann, per il quale la frase «il terzo giorno » non ha valore cronologico, vuole solo sottolineare che il fatto è da collocarsi fra gli eventi della storia della salvezza (41) In questa lettura in chiave teologica rientra perfettamente l'implicita menzione di un testo profetico, anticipazione del punto culminante di questa historia salutis. IL Dufour accoglie il suggerimento del Lehemann, ma non è del parere che vi sia in gioco la citazione di Osea (42) Un contributo alla discussione sul carattere «redazionale» o «storico» della profezia della resurrezione nei vangeli, è dato da J. Jeremias che, attraverso un'analisi filologica, giunge ad affermare il carattere prepasquale del «logia» sui tre giorni (43) .

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H. Le apparizioni

Sono le apparizioni del Cristo risorto, fatti sui quali è possibile formulare un giudizio storico, o si tratta di eventi attestanti una realtà e tuttavia non qualificabili come storici, perché non raggiungibili empiricamente, non riconducibili nel campo del fenomeno, eventi meta-storici, sfuggenti all'ordine del sapere scientifico? E' la resurrezione una pia leggenda creata dalla fervida e amorosa immaginazione di Maria di Magdala? (Renan). Va innanzitutto fatta una precisazione: l'approccio al problema posto dalle apparizioni non è semplicemente di tipo conoscitivo, in senso scientifico. Alla decisione per la verità o falsità delle apparizioni non si giunge allineando e vagliando le testimonianze. Dal N.T. sappiamo che alcuni affermarono di aver incontrato Gesù e di avergli parlato dopo la sua crocifissione e morte; noi siamo ora dinanzi a documenti antichissimi che ci offrono questa versione: Gesù si è fatto vedere dopo la sua morte e sepoltura e alcuni discepoli che lo hanno incontrato, ne testimoniano la resurrezione. E' questa testimonianza che oggi possediamo, e questa sola può essere per noi prova e possiamo accordarle il credito che si dà alle notizie storicamente accertate:: i documenti risalgono ad un periodo molto vicino ai fatti che illustrano, i personaggi presentati sono noti anche a fonti non cristiane, fonti rabbiniche, romane, islamiche (44) Questa interpretazione però non ha in se stessa la forza di imporsi, perché non è da solo logicamente possibile. Il racconto che, da parte dei cristiani, si dice storico, il critico può ritenerlo fantasioso; una raccolta di aneddoti edificanti e di strabilianti prodigi, guarigioni, resurrezioni, si presta bene alla classificazione nel genere letterario mitico-religioso. In questa lettura i racconti di apparizioni saranno giudicati narrazioni fantastiche escogitate per difendere il Cristo-profeta-di-Dio dall'infanzia alla tragica morte nel venerdì di passione. Leggende generate dall'amore e dalla devozione dei discepoli tesi a ricreare l'immagine di un Cristo glorioso, trasfigurazione religioso-petica di un Gesù di Nazareth morto tragicamente. Nell'analisi e nell'interpretazione dei dati neotestamentari, si possono reperire indizi per l'una e l'altra tesi, ma la scelta e concatenazione sarà suggerita dall'orientamento del ricercatore, dal suo atteggiamento nei confronti della religione, dai convincimenti filosofici. Chi fosse convinto che la resurrezione « non è possibile » sorriderebbe oggi dinanzi alle testimonianze di apparizione, come risero e scossero il capo gli ateniesi udendo Paolo parlare della resurrezione di Cristo (At 17, 32), mentre Dionisio l'Aeropagita e Damaris, che con gli altri ateniesi udirono Paolo, gli prestarono fede. Ci pare di poter concludere, non in forza della sola credibilità storica, che i convincimenti personali ebbero per gli uni e gli altri ben più grande parte nel giudizio di negazione o di assenso. La storia ci propone la testimonianza dei discepoli di Gesù, essa ci parrà credibile se riteniamo possibile a Dio ciò che umanamente è impossibile, ma non si veda in queste parole un discorso sul «miracolo », vi è in gioco molto di più, il concetto di « vita» e la visione del futuro. Vi entra in gioco un altro fattore: l'idea, il concetto di Dio, la sua presenza. Dio lo si coglie nei fatti ma non come i fatti. Dio non è qualcosa-che-accade, è, se vogliamo, principio ermeneutico . Senza questa chiave di lettura, il Nuovo testamento è nella più generosa delle analisi, storia romanzata, trascrizione poetica della vita d'un insignificante ebreo, assurto per la forza dell'arte a simbolo fascinoso, inquietante, ineliminabilmente presente. L'antico popolo ebraico credette di essere guidato da Dio, interpretò la propria storia in termini di fedeltà o infedeltà a Javé, di promessa e castigo, ma è chiaro che la sua storia è suscettibile di altra interpretazione, una rilettura escludente Dio.

Così il pronunciamento sulle apparizioni di Gesù è legato indissolubilmente al pronunciamento su Dio. Ripetiamo ancora: non si può credere reali le apparizioni partendo solo dalla testimonianza di alcuni giudei, unico elemento storico di cui siamo in possesso, né questa testimonianza potrà suscitare adesione senza la concomitante azione favorevole del concetto ebraico di Dio. Le apparizioni sono perciò da ritenersi prove per chi crede, — nell'accenno all'ermeneutica in questo studio cercheremo di spiegarlo meglio — benché anche per i credenti, la fiducia nella versione degli apostoli della storia di Gesù, non si imponga come enunciato costrittivo, che faccia violenza alla logica. Specialmente per il credente vale il principio non crederetur nisi videretur esse credendum , non si crederebbe se non si vedesse che si deve credere, che si può credere, senza alcun sacrificium intellectus . E la visibilità, in questa materia, è concessa solo dalla preacquisita fede in Dio. In caso contrario, come si potrebbe accogliere la proposizione: Dio ha risuscitato Gesù?

Paolo menziona i testimoni della resurrezione di Gesù per ricordare, a coloro che fra i Corinzi negano la resurrezione dei morti, che essa è possibile perché «Cristo è risuscitato dai morti, primizia(45) di quelli che si sono addormentati » (1 Co 15, 20). Gli argomenti sono storici, verificabili, tant'è vero che dei cinquecento, la maggior parte sono ancora in vita, sono testimoni interrogabili(46) .

Perché Paolo non parla delle apparizioni alle donne?: « Egli fa una scelta dei testimoni prendendo quello che erano più importanti per i Corinzi o per gli avversari giudei » (47) Forse la citazione delle donne non avrebbe avuto lo stesso effetto probante, la donna tra gli ebrei non era stimata (48) e perciò non le si dava fiducia. Luca ci avverte che i discepoli stessi non avevano creduto alle donne: « Però tali parole sembravano loro un vaneggiamento ed essi non credevano loro» (Lc 24, 11) (49) L'apparizione a Cefa è riportata anche da Lc 24, 34. Quella ai dodici in Mc 16, 14; Mt 28, 16; Lc 24, 36; Gv 20, 24, dove il termine « dodici» si riferisce al gruppo degli apostoli. Dell'incontro di Gesù con i cinquecento parla solo Paolo; non possiamo saperne di più, né è possibile identificarla con qualche altra apparizione. A ragione G. Hubby (50) non crede corretto identificarla con quella di Mt 28, 16, come fa Allo, perché in Matteo si parla solo degli « undici» ( éndeka).

Gerolamo (51) narra che l'apocrifo Vangelo secondo gli Ebrei menziona l'apparizione a Giacomo. Della visione di Paolo abbiamo negli Atti tre narrazioni (cc. 9, 22, 26) e in Ga 1, 16. E' l'esperienza sulla via di Damasco che Paolo rievoca. Dufour(52) sostiene che Luca evita di pronunciarsi sul modo della visione e non vuole affermare che Paolo, nella luce che lo avvolge dopo averlo disarcionato, ha visto Gesù. Luca vorrebbe così salvaguardare l'unicità dell'esperienza pasquale dei dodici, la visione di Paolo non avrebbe carattere pasquale. Paolo invece tende ad assimilare la sua esperienza a quella dei dodici e perciò parla di visione diretta. Egli vuole con essa legittimare il proprio apostolato (cf 1 Co 9, 1) e per questo si colloca tra gli Apostoli che hanno visto il Signore. A noi pare che anche in Atti si dica implicitamente che paolo ha visto il Signore: «Quelli che camminavano con lui erano stupefatti, sentivano la voce ma non vedevano alcuno ( medéna dé theoroûntes ) » (At 9, 7). Il pronome indefinito maschile medéna allude a una persona, se si riferisce alla luce, vocabolo di genere neutro, avremmo il neutro medén ; se i compagni di viaggio non vedono la persona che sta parlando e sono stupefatti perché odono senza vedere, è probabile che Paolo vedesse l'interlocutore. La distinzione del Dufour condurrebbe a negare che l'apostolo abbia, in qualche modo, « visto» il Cristo, e ne potrebbe seguire un simile ragionamento: Luca non parla di visione diretta, paolo per motivi apologetici dice di aver visto il Cristo, ma per questa ragione possiamo spogliare la versione paolina dalle forzature dettate dalla necessità apologetica per attenerci alla più sobria narrazione lucana. Ma si deve fare i conti con l'insistente affermazione di Paolo: « non ho forse visto nostro Signore Gesù? » (oúchì Iesoûn tòn kúrion emôn eòraka , 1 Co 9, 1). Non basta una sottigliezza interpretativa delle narrazioni di Luca, che peraltro non sbocca in una tesi apoditticamente inattaccabile, per dubitare della tesi paolina. Se una notizia è inserita in una pericope con intento apologetico, non è per questo meno credibile (53) anzi a rigor di logica, possiamo sostenere l'idea opposta, poiché l'asserzione serve quale argomento di difesa essendo vera e inoppugnabile.

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I. Il vocabolario

L'indagine della parola usata per esprimere l'esperienza d'incontro col Gesù Risorto ci aiuta a capire se Paolo intende per apparizione « visione sensibile» o se riferisce una visione estatica, una esperienza mistica. Oráo è il verbo in questione ed è utilizzato nel N. T. per indicare visione di cose e avvenimenti: Lc 23, 49; 9, 36; Gv 15, 24; At 22, 15; Mc 8, 24; di persone: At 20, 25; Cl 2, 1; Eb 13, 23; di Cristo: Mt 24, 30; Gv 20, 18; 1 Pt 1, 8(54) La forma intransitiva óphte è presente nel nostro passo e in tutte le narrazioni pasquali. La costruzione intransitiva con il dativo di 1 Co 15, 5s indica: « l'attività del soggetto che 'appare', 'si mostra'; l'attività della persona al dativo, di colui che 'vede', 'sente', 'percepisce', non è invece posta in alcun rilievo. Ophte Kephâ « apparve a Cefa», non vuol dire, in primo luogo, che essi lo hanno visto, (mettendo cioè in evidenza il momento visivo, diciamo, a quello uditivo), ma che paréstesen éautòn zônta (si mostrò loro vivente , cf At 1, 3...). Le apparizioni  non vanno definite come momenti in cui il Cristo diviene visibile, bensì come eventi in cui il Cristo risorto si rivela » (55) E' più facile dire cosa non sono queste apparizioni che indicarne positivamente la modalità. Non sono visioni, oramata, optasìai , e neppure rivelazioni, apokalùpseis , né rapimenti estatici nei quali si sottolinea l'aspetto uditivo: «fu rapito in paradiso e udì le parole ...» ( erpághe eis tòn parádeison kaì ékousen árreta rémata...2 Co 12, 4), nell'estasi non si delinea alcun quadro di visione, almeno da parte di Paolo. Il momento visivo è invece accentuato nella nostra pericope e, per quanto sia impreciso (quanto alla modalità però non all'evento!) parlare di visioni sensibili poiché il corpo del Risorto è spirituale (pneumatikón 1 Co 15, 44), pure si deve definire l'esperienza 'visione', anche se ciò rievoca concetti empirici. Il ragionamento del Michaelis non tiene conto che proprio facendosi vedere Cristo si rivela, punto focale è proprio la visione, la visibilità del Risorto.

W. Marxen, elimina la pluralità delle apparizioni elencate dall'apostolo riunificandole nella visione di cui Pietro fu gratificato: « gli individui e i gruppi enumerati da Paolo rientrano tra coloro che hanno visto Cristo soltanto perché sarebbero giunti alla fede attraverso la parola di Cefa (Gesù dunque apparendo a Pietro si sarebbe mostrato anche a costoro)» (56) Questa ricostruzione è arbitraria e non tiene in alcun conto l'argomentazione paolina che è in senso nettamente opposto a quella del Marxen; proprio la pluralità dei testimoni è garanzia di verità. Come inserire in questa lettura la citazione dei « testimoni ancora viventi»? Ma per proporre questa tesi Marxen deve reinterpretare tutto il discorso della resurrezione:

« Non ci si deve lasciar ingannare dalla quantità dei dati e soprattutto neppure dalla evoluzione posteriore. Senza dubbio, sottolineando inizialmente il fatto di aver avuto una visione, è avvenuto che la riflessione posteriore abbia interpretato poi quasi esclusivamente nel senso della «resurrezione». Tuttavia la frequenza di questo fenomeno agli inizi e l'effettivo prevalere della storia della tradizione di questa interpretazione (che poi si è distaccata dal fatto della visione), non deve condurre a considerarla come l'unica possibile, come così strettamente connessa al fatto della visione da non poterla più separare da essa » (57) .

La visione, dato originario, avrebbe avuto una interpretazione nella resurrezione. Discorso che però va oltre i testi, dice ciò che essi non dicono.

Cosa può condurre a sospettare che i discepoli pensarono che le loro esperienze erano un'azione di Dio? I testi non ci conducono in questa direzione, sono l'inserzione di elementi ad essi estranei, ipotetiche intenzioni, presunti sviluppi che mal s'adattano poi al tenore dei testi.

Marxen non accoglie la ipotesi delle visioni oggettive di H. Grass perché innesta nuovamente nel processo di giudizio storico un elemento non pertinente, utilizza la fede come elemento conoscitivo. Ma H. Grass si guarda dall'affermare che tale ipotesi è storica: «la trattazione teologica deve tener per fermo che nelle esperienze dei discepoli, comunque si pensi siano state comunicate, noi abbiamo a che fare con un'azione di Dio nei loro riguardi e non solo con dei prodotti della loro personale fantasia o riflessione» (58) La trattazione teologica può lecitamente parlare di un'azione di Dio, in prospettiva prettamente storico-critica ciò potrebbe in ogni caso avere un senso, si raggiungerebbe comunque 'storicamente' la pretesa degli apostoli di aver sperimentato l'azione di Dio, quanto a crederci sarebbe un altro discorso; si è già chiarito che a questo punto, altri fattori, non legati alla 'storia', interagirebbero. Vero è che la fede che «la fede di oggi non può far nulla rispetto al fatto delle visioni di allora » (p. 139), ma solo nel senso che la fede attuale non fornisce alle visioni di allora maggiore credibilità di quanto possa dare loro la testimonianza di documenti quali gli scritti del N.T. La fede di oggi, non senza buone ragioni, si fida delle versioni degli uomini di allora (59) .

Questo ci pare un giudizio, all'interno della fede, del tutto legittimo. L'inciso guasta l'asserto? A nostro parere è ineliminabile, abbiamo già cercato di dire perché. Non possiamo commentare meglio la pericope paolina che citando le parole di H. Schlier:

« I concetti di 'apparizione' e di 'vedere' vengono trascesi nel loro significato solito anche per un altro motivo. L'óphte . «egli è apparso » significa, secondo i contesti dei vangeli, anche una manifestazione di sé da parte del Risorto con parole e gesti. E 'vedere' significa anche la corrispondente esperienza da parte dei testimoni. Si può dunque dire che la Risurrezione di Gesù Cristo si compie nella storia come vicenda d'incontro (Begegnis). L'incontro che capita ai testimoni proviene da Lui, ed è, nella parola e nei gesti, nel saluto e nella benedizione, nella chiamata, nel discorso e nell'insegnamento, nella consolazione, nelle direttive e nella missione, nella costituzione della nuova comunità, puro dono. E', si potrebbe anche dire, la definitiva concessione della pienezza della sua inclinazione e il compimento dell'essenza della sua dedizione, del suo dono di sé. Ma se la sua 'apparizione' è questo, la 'visione' del Risorto è anche ascolto, accoglienza e partecipazione personale. Possiamo dunque stabilire: la Risurrezione di Gesù Cristo si compie nella storia, nel senso del Nuovo Testamento, soprattutto mediante la sua apparizione e testimoni che lo vedono. In questa apparizione, è il Crocifisso il quale, nel Risorto, si concede ad un incontro che pur lo sottrae a una nuova e definitiva esperienza del suo dono di sé »(60) .

Le apparizioni possono valutarsi eventi storici se si considera a chi il Risorto appare. Gli apostoli non appartengono al mondo soprannaturale, sono persone dubbiose, non credono alle donne che annunciano loro la resurrezione, e quando ne sono convinti, si guardano bene dalle fantasticherie, dagli abbellimenti; si veda l'atteggiamento contrario dell'apocrifo Vangelo di Pietro. E' da questo angolo visivo che si può fondare la storicità delle apparizioni. Ma se ci mettiamo nella prospettiva opposta, guardiamo i fatti considerando anzitutto la novità e incomprensibilità dell'essere nuovo, inesprimibile di Cristo, e diciamo impossibile una definizione dell'essere del Risorto, e pretendiamo tuttavia di capire il fenomeno delle apparizioni partendo dalla considerazione del Cristo glorioso, saremo costretti presto a lasciare l'impresa perché nulla di storico può essere detto del Cristo glorificato, personaggio ormai meta-storico per la cui descrizione approssimativa non possiamo evocare alcuna adeguata analogia. Ma questa non è l'ottica neotestamentaria; il N.T. ci dice che il Gesù glorificato ha reso possibile ancora un incontro tra sé e i suoi discepoli facendosi 'percepire', 'vedere' da loro, rientrando, per così dire, nel mondo umano, del fenomenico, dello sperimentabile: «E' l'inadeguatezza dei discepoli al loro rapporto con Gesù risorto che fa la storicità di questo rapporto» (61) I testi non aiutano a provare che si trattò di visione soggettive e l'evoluzione per cui la sottolineatura sarebbe passata dalla spiritualizzazione di Paolo alla materializzazione in Luca e Giovanni è lontana dall'imporsi (62) nelle stesse pericopi coesistono spiritualizzazioni e materializzazioni (63) Paolo e Luca non si differenziano così sensibilmente nella presentazione del Cristo Risorto da dover concludere che il secondo rappresenti uno stadio ulteriore della tradizione:

« Si oppone sovente la concezione spirituale del corpo risuscitato in Paolo (1 Co 15, 35-53), che si giudica primitiva, alla concezione realista di Luca e Giovanni, ove si vede uno stadio ulteriore del pensiero cristiano. Ma sostenere che alle origini della fede pasquale la concezione spirituale ha puramente e semplicemente preceduto la concezione realista, ci pare uno schematismo un po' troppo semplice. Per due motivi: perché è difficile ammettere una nozione puramente spirituale del corpo risuscitato nell'ambiente palestinese in cui nacque la fede pasquale, perché non sembra che Paolo stesso abbia ammesso una nozione puramente spirituale del corpo risuscitato: certo egli insiste sul carattere spirituale di questo corpo (1 Co 15, 44) perché vuole rispondere alle difficoltà dei suoi lettori greci, ma è poco probabile che abbia abbandonato totalmente il realismo dei suoi maestri farisei, in ogni caso parla ancora di un « corpo » anche quando lo qualifica paradossalmente « spirituale ». E' dunque probabile che se Luca e Giovanni hanno fortemente sottolineato la realtà del corpo del Risorto, essi l'abbiano fatto per rispondere ai bisogni dei loro lettori greci, ma essi non hanno creato questa accentuazione, e la loro fonte comune ha dovuto svilupparla a partire da una convinzione ben ancorata nella tradizione palestinese» (64) .

Che si tratti di visioni oggettive e non soggettive lo attesta il rapporto fede - resurrezione in esse descritto. La fede non è condizione dell'apparizione; Gesù infatti non appare solo a coloro che già credono: né Tommaso (Gv 20, 25) né i discepoli di Emmaus credevano (Lc 24). La fede segue invece l'incontro con il Risorto.

« Le apparizioni appartengono ancora al periodo prepentescostale. Rientrano nel contesto di quel che gli apostoli hanno constatato in quanto testimoni oculari, non di quel che hanno compreso in quanto illuminati dallo Spirito. E' questa distinzione che fa Pietro quando dice di Cristo risuscitato: " E noi siamo testimoni di queste cose, noi e lo Spirito Santo che Dio ha dato a coloro che gli ubbidivano " (Atti 5, 32) » (65) .

Per comprendere il valore delle diverse opinioni circa la storicità della resurrezione, occorre avere presenta la questione del Gesù storico perché è nelle tappe di questa ricerca, in atto ormai da due secoli, dai tempi della nascita della critica biblica, che si trovano le soluzioni proposte e si rinvengono i motivi critico-biblici e filosofici che ne sono all'origine. Non è possibile inserire nell'articolo la rassegna e il confronto delle varie tesi (66) ci limitiamo a presentare per rapidi accenni l'opinione dei capiscuola R. Bultmann, K. Barth, J. Moltmann, e del già menzionato W: Marxen.

R. Bultmann intese come 'miti' l'evento resurrezione, ora poiché il termine 'mito' non ha in Bultmann significato invariabile e univoco, occorre precisare che il 'mito' è qui inteso come fonte di significato. Diversamente per asserzioni evangeliche quali la nascita verginale, l'ascesa al cielo, la discesa agli inferi, demoni e miracoli, Bultmann usa il termine 'mito' in senso fabulistico (67) Della resurrezione possiamo cogliere il senso ma non proclamarne la 'storicità':

« L'evento pasquale, nella misura in cui lo storico lo pone accanto a quello della croce, non è altro che la genesi della fede nel risorto, fede da cui trae le sue origini l'annuncio. L'evento pasquale, se lo si intende come la risurrezione di Cristo, non è un evento che riguardi la storia; come evento storico, possiamo concepire solo la fede pasquale dei primi discepoli. Fino a un certo punto, lo storico può renderne comprensibile la genesi, considerando il legame personale preesistente fra Gesù e i discepoli per lui, l'evento pasquale si riduce alle esperienze visionarie di costoro. Il cristiano che ha la fede pasquale non ha interesse per la questione storica; per lui, come per i primi discepoli, quell'evento storicamente accertato che consiste nell'insorgere della fede pasquale, significa l'autodimostrazione del risorto, l'intervento di Dio per cui si compie il fatto salvifico della croce» (68) .

Quando Bultmann osserva che: «la scienza moderna non crede assolutamente che il corso della vita possa essere interrotto o, per così dire, perforato da potenze soprannaturali» (69) Si trova tra le mani la domanda: «di quale scienza moderna si vuole parlare?». Anche solo considerando la scienza storica, si è costretti a scegliere tra molte posizioni circa la ricerca del senso della storia, o filosofia della storia, circa le sottolineature e impostazioni in cui le affermazioni del N.T. trovano più o meno spazio. Non c'è una scienza storica allergica alle idee 'mitiche' del N.T., come non c'è una scienza biologica che, criticando la tesi biblica, possa ricondurre l'origine della vita a un evento casuale(70) La questione è più complicata e, ci si schiera da una parte o dall'altra seguendo la posizione filosofica assunta, L'idea di miracolo ha peso determinante nella discussione del miracolo - resurrezione, il teologo di Marburgo così concepisce il miracolo:

« Un miracolo, cioè un'azione di Dio, non è visibile a uno sguardo obiettivante, non è constatabile come un avvenimento di questo mondo. La nozione della non mondanità dell'azione divina, della sua provenienza dall'aldilà, potrà essere salvaguardata solo se l'intervento di Dio viene immaginato non come qualcosa che avviene dentro l'accadimento mondano, bensì come qualcosa che si compie in esso, in modo tale da lasciare intatta la ferrea coesione degli avvenimenti mondani »(71) .

Se la ferrea coesione degli avvenimenti mondani deve rimanere intatta, quale sarà la nota che fa riconoscere nell'avvenimento il Signum Dei? Un'ispirazione interiore? Nella resurrezione è il rendersi visibile di Cristo dopo la morte a svelare l'intervento di Dio, è un'esperienza inattesa e inimmaginata che li spinge ad annunciare: Dio l'ha risuscitato dai morti. Non occorre sottrarre il miracolo alla vista del testimone per giudicarlo azione di Dio; il miracolo — nella nostra discussione la resurrezione — si compie nella storia pur non essendo frutto spontaneo della nostra storia, pur essendo da Dio, ma se l'opera di Dio non gode di una certa umana visibilità e riconoscibilità, come si potrà ritenerla da Dio e, secondariamente, rilevante per la fede? (72) .

R. Bultmann, che aveva conosciuto la teologia dialettica barthiana dall'Epistola ai Romani, apprese infatti le lezioni sull'alterità di Dio e i suoi interventi, ma la applicò poi alla questione storica con criteri diversi da quelli barthiani; K. Barth non giudicò non-storico l'evento resurrezione, ma volle sottolinearne la novità rispetto alla storia del mondo:

« Il concetto di risurrezione sorge dal concetto di morte, cioè dal concetto della fine di tutte le cose storiche come tali. Il Cristo risorto corporalmente sta sempre di nuovo di fronte al Cristo corporalmente crocifisso, mai altrimenti... Ma se egli è il Risorto in quanto è il crocifisso, l'invisibile uomo nuovo in Dio in quanto è la fine dell'uomo vecchio in questo mondo, egli ha lasciato dietro a sé, come tale, la relatività delle cose storiche, la minaccia che su loro incombe per opera del tempo, la morte. «Risuscitato dai morti egli non muore più». Appunto perché e in quanto la sua risurrezione è l'avvenimento non-storico Kat'ezochen, la morte non regna più sopra lui» (73) .

Barth volle sottolineare che la risurrezione non è continuazione naturale della storia del mondo: «Essa non è come tale un avvenimento «storico » accanto ad altri avvenimenti di questa storia, ma l'avvenimento « non storico » che circoscrive questi altri avvenimenti come il loro limite, al quale gli avvenimenti, prima e dopo e nel giorno di Pasqua rinviano » (p. 183). Per Barth la resurrezione è avvenimento che si situa nella storia (74) .

R. Bultmann, preoccupato dell'incarnazione odierna della fede, salta il momento storico ritenendolo irrilevante, ma il passo è esagerato e la questione rispunta proprio per fondare il Kerigma(75) .

Il Bultmanniano W. Marxen, di cui già abbiamo parlato, nega che la resurrezione fosse sin dall'inizio il dato centrale del N.T., la ritiene una interpretazione suggerita dal sepolcro vuoto e dalle apparizioni (76) Ma ecco come intende le apparizioni:

« Se oggi, dunque, si pone da un punto di vista storico, la domanda: Gesù è risorto? noi possiamo rispondere soltanto che non è possibile stabilirlo. Storicamente si può stabilire soltanto (ma questo con sicurezza!) che degli uomini, dopo la morte di Gesù, furono convinti che fosse accaduto loro di vedere Gesù, e che la riflessione li condusse a interpretare che Gesù era stato risuscitato » (77) .

La differenza tra il ragionamento del Marxen e la tesi evangelica sta in una sfumatura; il N.T. dice: Pietro, Giovanni, gli apostoli, 500 persone hanno incontrato Gesù, non dice invece: hanno creduto di vedere, erano convinti di aver visto, ed è la sfumatura che consente di considerare 'oggettive' o 'soggettive' le apparizioni. Per il Marxen Paolo insiste sulla risurrezione perché altrimenti: «l'evento Gesù sarebbe andato perduto nel passato» (78) Qui l'autore non rispetta l'intenzione dei testi evangelici che manifestano come la resurrezione si sia imposta agli apostoli e non fosse il loro furbesco tentativo di dare una continuazione al « caso Gesù». ben diverso è il linguaggio paolino: «Se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto col cuore che Dio l'ha risuscitato dai morti, sarai salvato » (Rm 10, 9)

La risurrezione di Gesù è storicamente impossibile a partire dalla storiografia moderna che utilizza il metodo analogico per stabilire ciò che può essere accaduto e quindi storicamente creduto. L'esperienza che lo storico ha del mondo non gli fornisce alcun segno somigliante alla resurrezione, ma la fede cristiana non ha essa una peculiare visione della storia? Non la ritiene aperta a Dio, non crede che in essa Dio intervenga? Non è la fede rivelatrice del senso della storia? Utilizzando il criterio analogico il giudizio di nonstoricità per la resurrezione è obbligante, ma ciò significa anche concepire la storia come ripetizione, ciclicità, impossibilità d'emergenza del nuovo (79) .

I Corinzi volevano discutere e decidere cosa avvenisse dei morti in base alle idee che già possedevano, l'apostolo rammenta loro che se lo devono lasciare dire da Cristo Risorto, che ha inaugurato la resurrezione dei morti.

Meditare la resurrezione è lasciarsi dire da Dio, che in Gesù parla, cos'è la nostra esistenza e quali possibilità includa. La resurrezione non serve per guarire dalla paura di morire. Sperare nella resurrezione non è schivare l'incubo della morte, saltarne il baratro, o liberarsi da questa vita(80) è credere nella vita, vita che riafferma contro la morte le sue speranze più autentiche e radicate. Non è strano che l'evento resurrezione sia difficilmente 'comprensibile', inseribile tranquillamente accanto alle altre cose che sappiamo o possiamo imparare, è la novità che non cessa di sorprendere, non siamo noi che dobbiamo 'capire' la resurrezione, è il Risorto che ci schiude il senso profondo dell'esistenza.

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Bibliografia

Rassegne bibliografiche, articoli, pubblicazioni, utili per chi volesse approfondire la problematica esegetica e ermeneutica della resurrezione.

Rassegne

Rassegna di Teologia. S. Zedda 1968, 3, p. 206
La Scuola Cattolica. G. Ghiberti, bibl. 1957-1968, n. 1, 1969, pp.68-84.
Nouvelle Revue Théologique, 7, 1969, pp. 685-688.
La Scuola Cattolica, 2, 1971, P. Zarrella, pp. 89-114; B. Rinaldi, pp. 115-143.
Studia Patavina, 1, 1971F. Pistoia, pp. 145-161.
Nouvelle Revue Théologique, 1, 1972, E. Pusset, pp. 95-107.
Rassegna di Teologia, 3, 1973, I. Cisar., pp. 191-211.

Articoli e libri

R. Prenter, La testimonianza biblica della resurrezione di Gesù e la critica storica moderna, Protestantesimo, 2, 1963, pp. 67-74.
A. Solas, La Resurrección de Jesús: Mito o historia? Lumen, 5, 1967
S. Ceteroni, La resurrezione: fatto storico o interpretazione? Protestantesimo, 4, 1971, pp. 209-227.
V.F. Joannes, Le resurrezione: un'alternativa radicale all'utopia, ODOC, 8, 1973, pp. 32-38.
E. Charpentier, Christ est ressuscité, Service biblique evangile et vie, 3, 1973, tutto il quaderno.
La Scuola Cattolica, 3, 1973, tre articoli.
Rassegna e discussione delle varie tesi in C. Duquoc, Cristologia, Queriniana, 1972, pp. 389-484.
Vita e pensiero, pp. 10-11, 1970, art. di I Mancini e M. Cuminetti.

Sulla ermeneutica bultmanniana:

W. Schnitals, La teologia di Bultmann, Queriniana, 1966
A. Rizzi, Cristo verità dell'uomo, A.V.E., 1972.
N. Jung, La résurrection du Christ mise en question, Mame, 1973.
Beda Rigoux, Dieu l'a ressuscité: Exégèse et théologie biblique, Gembloux, 1973.

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NOTE A MARGINE

1. Cf. Bernhard Spörlein, Die Leugnung der Auferstehung. Eine histoeischkritische Untersuchung zu 1 Co 15, Regensburg 1970. I Corinzi attendevano la parusia e la conseguente trasformazione escatologica, ma ritenevano che l'evento non avrebbe riguardato anche i credenti già morti. torna al testo

2. La traduzioni 'vi spiego' (I. Minestroni), 'vi faccio conoscere' (P. Zarrella, O. da Spinetoli) sono più letterali perché in effetto gnorizo significa 'far conoscere', cf. M. Zerwick, notum facio in Analisis Philologica e R. Bultmann in G. L. p. 540, ma si adatta più al contesto l'interpretazione 'vi ricordo', poiché paolo non parla ai Corinzi per la prima volta della risurrezione di Cristo. Essi erano già stati evangelizzati nell'inverno 5'-51, la narrazione si trova in At 18, 1-18, quindi cinque o sei anni prima della stesura della lettera. Si tratta di un richiamo più che di un annunzio, richiamo che introduce alla discussione sulla questione della resurrezione dei morti. Cf. Allo, La Ire Epître aux Corinthiens, p. 338A 1-2, Gabalda, Paris 1926. torna al testo

3. X.L. Dufour presenta due possibilità: «Si le texte est d'origine héllenistique elle remonte à l'époque du séjour à Antioche (vers. 40/42) ou, si la formule est d'origine palestinienne, elle peut être fixée au temps de la conversion à Damas (vers. 35)». Résurrection de Jésus et message pascal, Du Seuil, Paris 1971, p. 31. torna al testo

4. J. Jeremias vede nella formula un sostrato aramaico di cui il greco è traduzione, Artikellose Christòs. Zur Ursprache von 1 Co 15, 3b-5, in ZNW 57 1966. H. Conzelmann ritiene invece che non si tratti di una traduzione dall'aramaico ma d'un influsso della lingua dei LXX, Teologia del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1972, p. 96. Ancora a favore del carattere semitico e arcaico della formula, B. Klappert, Zur Frage des semitischen oder griechischen Urtextes von 1 Kor XV 3-5 in NTS 13/2, 1967. torna al testo

5. « Maledetto chiunque è appeso al legno » Dt 21, 23. torna al testo

6. Il passo non si riferisce propriamente alla crocifissione, pena sconosciuta ai tempi dell'Antico Testamento, ma all'esposizione dei corpi dei suppliziati che doveva sottolineare la gravità della colpa ed essere marchio d'infamia. Cf. C. De Vaux, Istituzioni  dell'Antico Testamento, Marietti, Torino 1964, p. 166 e Dictionnaire de la Bible, V vol., voce 'pendaison' a cura di H. Lesêtre. torna al testo

7. Gesù risorto rimprovera i discepoli incamminati verso Emmaus di non aver creduto alle parole dei profeti: « Ed Egli disse loro: O stolti e tardi di mente a credere a tutto quello che hanno detto i profeti! Forse che il Cristo non doveva patire tali cose e poi entrare nella sua gloria?» (Lc 24, 25). torna al testo

8. F. Spadafora, Risurrezione di Gesù, Palestra del Clero, 1972, n. 10, pp. 581-595, a partire dai dati giovannei l'autore deduce che intenzionalmente l'evangelista mette in risalto l'uso delle fasce per poter poi spiegare come si convinse della assoluta verità della resurrezione: « le fasce... stavano lì intatte, ancora legate intorno al lenzuolo così come le aveva viste avvolgere al corpo al momento della sepoltura... (Giovanni) ebbe la dimostrazione fisica che Gesù era risorto, essendo umanamente impossibile che qualcuno avesse sottratto e comunque soltanto toccato il corpo di Cristo, senza slegare le fasce, senza svolgere il sudario », (p. 588). Lo Spadafora ripresenta la tesi già proposta da Miguel Balagué. La prieba de la Resurreción (Jn 20, 6-7), Estudios Biblicos, 2, 1966, pp. 169-192. torna al testo

9. M. Goguel, la foi en la résurrection de Jésus dans le christianisme primitif, Paris 1933, pp. 121-155. torna al testo

10. G. Baldensperger, Le tombeau vide in RHPR 12, 1932, pp. 413-443, n. 13, 1933, pp. 105-144, n. 14, 1934, pp. 97-125. torna al testo

11. O. Benoit, Passione e resurrezione del Signore, Gribaudi, Torino 1967, pp. 334-335. Sgretola la tesi di Baldensperger dimostrando l'errore filologico e storico su cui posa. torna al testo

12. David Flusser, Jésus, Du Seuil, Paris 1970, pp. 129-130. torna al testo

13. « Même si l'historien juif D. Flusser a pu à partir de sources rabbiniques, en dresser la génealogie le seul témoignage de jean ne peut suffire à la ranger parmi les acteurs de la scène ». X.L. Dufoir, o. c., p. 268. torna al testo

14. « E dopo aver adempiuto tutto ciò che era stato scritto su di lui, lo deposero dal legno e lo collocarono in un sepolcro. Ma Dio lo ha risuscitato dai morti ed egli è apparso per molti giorni a tutti coloro che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme, i quali ora sono suoi testimoni presso il popolo » (At 13, 29-30). torna al testo

15. « Si la resurrection du Saveur comportait pour Paul la disparition du corps enseveli, il ne pouvait guère, semble-t-il. mentionner la sépolture sans insinuer qu'il Y avait là, nous disons pas une preuve pérentoire, mais un indice précieux en faveur da la réalité des apparitions » M. Braun, Le tombeau vide, in revue Biblique, 3, 1936, pp. 34-52; esegesi sulla menzione della tomba vuota negli Atti degli Apostoli e nei Vangeli. M. Braun critica le tesi del Goguel e del Baldensperger. torna al testo

16. Ramsey, La Resurrezione di Dio, trad. it. di 'Resurrection of Christ', Marietti, Torino 1969, p. 54. torna al testo

17. « On s'enterre pas le condamné dans le tombeau de ses péres; mais deux cimitières étaint disposé pur le tribunal: l'un pour les tués et étranglés, l'autre pour les lapidés et brûlés ». Dal trattato Sanhedrin, n. 1887, in Textes Rabbiniques des deux premiers siècles chrètiens, a cura di J. Bonsirven, P.I.B., Roma 1955, p. 510. torna al testo

18. «40 ans avant la ruine du Temple, on eleva (aux juifs) les jugements de peine capitale». J. Bonsirven, o.c., p. 502.torna al testo

19. J. Héring, la premiére épître de Saint Paul aux Corinthiens, Delachaux et Niestlé, Neuchâtel 1949, p. 135. torna al testo

20. S. Lyonnet, Ellenismo e giudaismo nel Nuovo Testamento, in Il cristianesimo e le filosofie, Vita e Pensiero, Milano 1971, pp. 16-25. torna al testo

21. Si può parlare di gnosticismo incipiente, come fenomeno del primo secolo, per le lettere Pastorali, constatando la presenza di diverse idee gnostiche: negazione della resurrezione dei corpi, proibizione del matrimonio, limitazioni alimentari. Cf F. Salvoni, Gli eretici, in «Ric. Bibl. Rel.», 2/3 1972, pp. 31-50. torna al testo

22. Cf. Grande Lessico, voce egeiro , p. 23, a cura di A. Oepke. Cf pure P. Zarrella, o.c., p. 35. torna al testo

23. «Dio ha risuscitato il Signore», 1 Co 6, 14. torna al testo

24. J. Dupont, Studi sugli Atti degli Apostoli, Paoline, Roma 1971, p. 757, nota 36. torna al testo

25. Mt 16, 21; 17, 23; 20, 19; Lc 9, 22; 18, 33; 24, 46; Mc 8, 31; 9, 31; 10, 34. torna al testo

26. Mc 11, 18, Lc 19, 45; e Mt 21, 12-13 non inseriscono nell'episodio della purificazione il riferimento alla resurrezione. torna al testo

27. F. Uricchio e G. Stano, Vangelo secondo Marco, Marietti 1965, p. 679, nota 10, informano sull'ipotesi che la frase di Marco sia più vicina alle fonti dell'altra frase «al terzo giorno ». torna al testo

28. P. Lagrange, L'Evangile selon Saint Luc, Gabalda, Paris 1927, pp. 266-267. torna al testo

29. F. Uricchio e G. Stano, o.c., nota 10, p. 679. torna al testo

30. J. Dupont, o.c., p. 548. torna al testo

31. J. Dupont, Ressuscité le troisième jour, Biblica, 3, 1959, pp. 749-750. L'articolo è interamente riproposto con una paginetta di aggiornamento bibliografico nell'opera «Studi sugli Atti degli Apostoli». pp. 547-574. torna al testo

32. B. Prete, Al terzo giorno 1 Co 15, 4, Anacleta Biblica, 17-18 P.I.B., Roma 1963, p. 427. torna al testo

33. B. Prete, o.c., p. 429. torna al testo

34. B. Prete, o.c., p. 418. torna al testo

35. « A propos de ces annonces, il est piquant de voir un savant juif comme J. Klausner (Jésus de Nazareth, 1933, pp. 437ss) les tenir pour historiquement et psychologiquement compréhnsibles, alors que la critique allemande (Alb. Schweitzer excepté) les attribue unanimement à la dogmatique déformante du christianisme primitif (ainsi Bultmann, Theol. du N.T., 1948, p. 30). Que Jésus ait assez tôt vu clair dans la fin qui l'attendait nous paraît plus que probable; qu'il en ait parlé à ses disciples, également; on n'a qu'a se reporter au cas analoque du Maître de Justice essénien pour se convaincre ». P. Bommard, L'Evangile selon saint Matthieu, Delachaux et Niestlé. Neuchâtel 1970, p. 262. Cf pure A. Ammassari, Gesù ha veramente insegnato la risurrezione? Bibbia e Oriente 15, 1973/II, p. 72. torna al testo

36. B. Prete, o.c., p. 426-427. torna al testo

37. J. Dupont, o.c., p. 559. Nell'articolo in «Biblica», p. 751, nota 32. torna al testo

38. J. Dupont, o.c., nota 33, p. 569. torna al testo

39. Per il carattere midrashico di 1 Co 15, 54c.57 R. Morisette, Un Midrash sur la Mort, in Revue Biblique, 2, 1972, pp. 161-188. torna al testo

40. « Questo passo non è mai esplicitamente citato nel Nuovo Testamento, ma sembra di cogliere un'eco nella frase che Paolo cita dal kerigma primitivo »: « Egli fu fatto risorgere il terzo giorno, secondo le Scritture ». « In realtà sembra impossibile trovare un altro testo che parli di risuscitare (o di essere risuscitato) il terzo giorno, perciò esiste un consenso abbastanza largo per accettare Osea 6, 3 come il passo a cui si riferiva Paolo », C.H. Dodd, Secondo le scritture; Paideia 1972, p. 80; R. Morisette, o.c., p. 173, reputa possibile ma ancora da dimostrarsi che sia esistita una raccolta di « Testimonia » cui Paolo abbia potuto attingere. torna al testo

41. K. Lehemann, Auferwekt am dritten Tag nach der Schrift, in Br. Herder 1968, pp. 262-290, cit. da G. De Rosa, Il cristiano di fronte alla risurrezione di Cristo, Civiltà Cattolica, 2889, 1971, pp. 3-17. torna al testo

42. «La résurrection de Jésus accomplit la longue attente d'Israel. Les premieres chretiens ne cherchaient pas à la justifier à l'aide de telle ou telle prophetie, mais à la situer dans l'économie de  l'Alliance divine. Cette façon de raisonner est conforme à la tendance reconnue de l'eglise primitive». X. Leon Dufour, o.c., p. 35. Stranamente cita poi in nota (n. 21) proprio l'opera del Dodd, che, come si è visto, è d'opposto parere, tanto che si preoccupa di ricercare i passi profetici probabilmente usati come prova scritturistica nella predicazione. torna al testo

43. J. Jeremias, Les paroles des trois Jours, Archivio di Filosofia 1971, pp. 187-195, colloca i detti sui «tre giorni» tra i logia aventi carattere escatologico e pronunciati sicuramente dal Gesù prepasquale. torna al testo

44. Cf nota 12. torna al testo

45. aparchè = primizia, dal verbo aparchomai = cominciare, iniziare. torna al testo

46. « On peut d'ailleurs interroger ce téstimoins puisque quelques-un des 'cinq cent' vivent ancor », C. Spicq, Epitre aux Corinthiens, La Sainte Bible, tome XI, 2^ parte, Letouzey en Ané, Paris 1948, p. 279. torna al testo

47. B. Allo, o.c., p. 392. M. Hengel, Marie Magdalena und die Frauen als Zeugene, in Abraham unserer Vater, (Festschrift Otto Michel), Leyden 1962, pp. 243-256. Paolo omette le donne perché cita la tradizione ufficiale che era compito degli apostoli divulgare e si basava sulla loro autorità. torna al testo

48. Cf. L. Caddeo, la posizione della donna, Ric. Bibl. Rel., 1/2 1971, pp. 115-131. torna al testo

49. Anche nella finale lunga di marco. torna al testo

50. G. Huby, prima epistola ai Corinzi, Studium, Roma 1963, p. 293. torna al testo

51. Gerolamo, De viris ill., il brano del Vangelo degli Ebrei si può consultare nell'opera I Vangeli apocrifi a cura di M. Craveri, Einaudi, Torino 1969, p. 273. torna al testo

52. Dufour, o.c., IV cap., pp. 101-119. torna al testo

53. « Ciò che bisogna augurarsi è uno studio esegetico in cui l'analisi non si affretti a cogliere troppo rapidamente qualche motivo per concludere che si tratti di una invenzione redazionale e negare al testo una portata storica » J. Galot, La risurrezione di Cristo, problemi attuali, Civ. Catt., 2928, 1972, p. 538. L'autore presenta e discute l'opera del Dufour cui rivolge parecchi appunti. torna al testo

54. Citazione completa dei passi in A. Schmoller, Handkonkordanz zum griechischen Neuen Testament, 14°, Stuttgart 1968, pp. 366-367. torna al testo

55. Grande Lessico, trad. it. del T.W.N.T., voce orao, col. 1009-1012 a cura di W. Michaelis. torna al testo

56. A. Kolping, Miracolo e resurrezione di Cristo, Paoline, Roma 1970, p. 88. torna al testo

57. W. Marxen, Alle origini della cristologia, Dehoniane, Bologna 1969, p. 142. torna al testo

58. Cit da W. Marxen, o.c., p. 139, si riferisce all'opera di H. Grass, Ostergeschehen und Osterberichte, Göttingen 1962, p. 243. torna al testo

59. A. Kolpin, o.c., p. 113. torna al testo

60. H. Schlier, La Risurrezione di Gesù Cristo, Morcelliana, Brescia 1971, pp. 37-38, torna al testo

61. E. Pusset, La résurrection, Nouvelle Revue Théologique 10, 1919, p. 1043. torna al testo

62. J.A. Diaz, Risurrezione di Gesù Cristo, Enciclopedia della Bibbia, 5° col., pp. 1278-1286. torna al testo

63. W. Michaelis, o.c., col. 1004. «Dobbiamo ritenere questo secondo aspetto (le materializzazioni) come il più tardivo; rimane però sempre il fatto che i due aspetti convivono nella medesima pericope». torna al testo

64. A. George, Le récits d'apparitions aux onze à partir de Luc 24, 36-53, in Letcio Divina 50, Du Cerf, Paris 1969; Cf, p. 85 e nota 26. torna al testo

65. J. Danielou, La Risurrezione, Borla, 1970, p. 52. Stessa argomentazione è portata da K. Barth, che polemizza con R. Bultmann, in Dogm. III, 2, p. 531. torna al testo

66. Per la storia del problema rimando ai testi di J.R. Geiselmann, Gesù il Cristo, Paideia, 1967 e H. Zahrnt, Cominciò con Gesù di Nazareth, gdt, Queriniana, Brescia 1972. torna al testo

67. Sulla liceità della distinzione in base all'idea del doppio grado di miticità, cf. I. Mancini, introd. a R. Bultmann, Nuovo Testamento e mitologia, gdt, 41, Queriniana 1973, p. 25, p. 46 e passim. torna al testo

68. R. Bultmann, Nuovo Testamento e mitologia, pp. 170-171. torna al testo

69. R. Bultmann, Jesus, p. 12 citato da I. Mancini, o.c., p. 28. torna al testo

70. Si riveda la discussione di M. Oraison, il caso e la vita, della tesi di J. Monod, il caso e la necessità. torna al testo

71. R. Bultmann, o.c., p. 211. torna al testo

72. « Dove sta il criterio per dichiarare che questi eventi non percepiti e non constatati debbono sussistere come valori per la scelta? Non nella storia, non nella esperienza, ma solo nell'annunzio, nella predicazione. Questo è il paradosso. Che un evento non sperimentato, non accertato, non storicizzato, è creduto come evento di salvezza in forza della fede perché è « annunziato » come tale »- O. Mancini, o.c., p. 95. torna al testo

73. K. Barth, L'Epistola ai Romani, Feltrinelli, Milano, 1962, pp. 184-185. torna al testo

74. K. Barth, Dogm. III, pp. 127-133 (Doctrine de la création). torna al testo

75. G. Miegge, pur riconoscendo l'importanza del richiamo di Bultmann alla fede vissuta, si chiede: «E' possibile separare le due cose, come vuole Bultmann, incarnare la fede nella resurrezione senza ammettere che Gesù di Nazareth, la mattina di Pasqua, ha lasciato il suo sepolcro vuoto e si è presentato ai suoi discepoli esterrefatti, dubbiosi, riluttanti a lasciarsi persuadere? ». G. Miegge, L'Evangelo e il Mito, Comunità, Cremona 1956, p. 58. torna al testo

76. W. Marxen, Alle origini della cristologia, Dehoniane, Bologna 1969, pp. 133-134. torna al testo

77. W. Marxen, o.c., p. 11. torna al testo

78. W. Marxen, Il Nuovo Testamento come libro della chiesa, Morcelliana, Brescia 1971, p. 121. Sull'interpretazione della «Visione» di Paolo, cf. W. Marzen, La Resurrezione di Gesù di Nazareth, Dehoniane, Bologna 1970, Cap. IV, pp. 141-154. torna al testo

79. « La teologia ha la possibilità di costruire un suo proprio concetto di storia ed una sua propria visione della storiografia sulla base di una comprensione escatologica della realtà della resurrezione. In tal modo la teologia della resurrezione non combacia più con un già esistente concetto di storia e diventa quindi necessario tentare di arrivare, non senza paragonarsi e differenziarsi dalle attuali concezioni della storia, ad una concezione nuova della storia e delle supreme possibilità e speranze che essa reca con sé quando si parte dal presupposto della resurrezione di Cristo dai morti. Bisogna dunque sviluppare, in contrasto con altri concetti della storia, un intellectus fidei resurrectionis che permetta di parlare 'cristianamente' di Dio, della storia e della natura. La risurrezione di Cristo non ha paralleli nella storia che conosciamo. Ma appunto per ciò può essere considerata come un 'evento che fa storia', totalmente governato da quell'evento stesso, tanto nel contenuto quanto nella procedura. Dal ricordo di quell'evento, ricordo pieno di speranza, non si possono ricavare delle leggi generali della storia mondiale, ma nel ricordare quell'evento unico, si ricorda la speranza per il futuro dell'intera storia del mondo. La risurrezione di cristo non si presenta quindi come un'analogia di cui si può sempre e comunque fare esperienza, ma come analogia di ciò che deve venire. L'attesa di ciò che deve venire a motivo della risurrezione di Cristo deve dunque trasformare tutta la realtà di cui si ha esperienza ed ogni esperienza reale in una esperienza provvisoria e in una realtà che non contiene ancora ciò che è tenuto in serbo per lei. Deve dunque contraddire ogni rigida definizione sostanzialistico-metafisica di quale sia il nocciolo comune di somiglianza negli eventi del mondo, e contraddire quindi anche il corrispondente modo di intendere la storia, che opera in base all'analogia. Deve sviluppare un modo di intendere la storia che operi mediante l'analogia escatologica quale presagio e anticipazione del futuro. La risurrezione di Cristo va dunque detta 'storica' non perché abbia avuto luogo nella storia della quale altre categorie offrono una chiave interpretativa di qualche specie, ma va detta storia perché, indicando la via di futuri eventi, fa storia, storia nella quale possiamo e dobbiamo vivere. E' storica perché schiude un futuro escatologico. Questa affermazione deve mostrare la propria validità nella contrapposizione con gli altri concetti di storia che, in ultima analisi, sono tutti fondati su altri eventi 'facitori di storia', scosse e rivoluzioni avvenute nella storia ». J. Moltmann, Teologia della Speranza, Brescia 1970, p. 170. torna al testo

80. Cf. E. Jüngel, Morte, Queriniana, Brescoa 1972, pp. 179-190. Si consiglia la lettura dell'opera, ricca di illuminanti meditazioni costruite sul terreno d'una equilibrata e vigorosa esegesi. torna al testo