LA PRIMA LETTERA AI CORINZI
L'opera dello Spirito
a cura di Silvio Caddeo - articolo tratto da Ricerche Bibliche e Religiose, n. 4, IV Trimestre 1973, pp. 59-89

INDICE

Introduzione
Il segno sicuro (12, 1-3)
L'uso dei sinonimi (12, 4-6)
Per l'utilità comune (12, 7)
Doni ordinari e miracoli (12, 8-10)
Ogni dono è da Dio (12, 11)
Immersi (o dissetati) nello spirito per formare un unico corpo (12, 12-26)
Valutazione della glossolalia (12, 27 - 13, 7)
La perfezione (13, 8-13)
Superiorità della profezia sulla glossolalia (14, 1-19)
Spontaneità non significa disordine (14, 26-38)
Non impedite la glossolalia (14, 39-40)
Conclusione
Bibliografia


Introduzione

Nell'affrontare un tema così importante e di attualità come quello dell'opera dello spirito in 1 Co, cercheremo per prima cosa di stabilire quale possa essere un segno per distinguere un carismatico autentico da uno falso (12, 1-3). Nella ricerca di una terminologia più appropriata, metteremo un po' di luce sull'uso di alcuni sinonimi e sul modo di definire un dono miracoloso (12, 4-6), valutando se questi doni possono essere intesi come motivo di prestigio personale (12, 7). Nel primo elenco dei doni vedremo se essi sono veramente tutti miracolosi, come sostengono alcuni, cercando in particolare di dare una spiegazione al fenomeno della glossolalia (12, 8-10). Studieremo il senso dell'autorità alla luce dell'affermazione « ogni dono è da Dio » (12, 11); se oggi sia ancora possibile parlare d' « immersione nello Spirito» e ne considereremo lo scopo (12, 12-26). Nel secondo elenco dei doni cercheremo di stabilire il valore della glossolalia (12, 27 - 13, 7). A che cosa si riferisce la perfezione e se la realizzazione degli scritti del N.T. si debba identificare con la cessazione dei doni miracolosi (13, 8-13). Una volta stabilito questo, vedremo perché Paolo alla glossolalia preferisce la profezia (14, 1-19); se il linguaggio incomprensibile sia segno di grazia (14, 20-25); se la spontaneità significhi disordine (14, 26-38) e se oggi nelle nostre comunità possiamo permettere ancora la glossolalia (14, 39-40). In questo studio ho preferito seguire esegeticamente lo sviluppo del discorso paolino dei cap. 12, 13, 14, perché ritengo che in questo tema sia quasi impossibile evitare di essere frainteso, se non si esamina tutto il contesto. Per rendere più agevole lo studio, ho tradotto personalmente quei brani che mi sono sembrati più problematici.

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Il segno sicuro (12, 1-3)

Paolo si preoccupa d'informare i fratello circa la presenza dei doni (12, 1). Egli contrappone l'esempio del loro passato pagano (12, 3) alla loro nuova situazione di credenti. Nel contesto dedicato ai doni, Paolo afferma che nessuno avendo lo spirito di Dio può rifiutare Gesù, così come nessuno arriva a conoscere la sovranità di Gesù se non grazie allo spirito (12, 3). Non dobbiamo però dimenticare che Paolo era un ebreo, e come tutti i semiti non allude qui a un riconoscimento teologico e astratto di Gesù come il Signore, ma una scelta concreta di vita. Bultmann dice giustamente che riconoscere Gesù come Signore non è un'acquisizione teoretica (1) Rimane dunque il fatto che in colui che accetta Cristo e vive in un certo modo, dobbiamo riconoscere presente lo Spirito santo. Senza dubbio questo è uno dei brani più ecumenici di tutto il N.T.

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L'uso dei sinonimi (12, 4-6)

Ora vi è diversità di doni, ma uno stesso spirito.
Vi è diversità di servizi, ma uno stesso Signore.
Vi è diversità di attività, ma uno stesso Dio,
il quale opera tutte le cose in tutti.

Huby e Cipriani vedono nei termini «doni » (karismáton ), «servizi » (diakoniôn ) e «attività » (énerghemáton ) dei sinonimi(2) Infatti, secondo lo stile del parallelismo ebraico (3) Paolo usa vocaboli diversi per dire la stessa cosa. Altre volte lo stesso termine, in un contesto diverso, può mutare significato (4) Così ad esempio l'uso di «kárisma ». Secondo Balagué «kárisma » significa favore, grazia, dono, potere, ufficio e missione (5) H. Küng aggiunge: «Un primo fraintendimento del carisma sarebbe il ritenere che i carismi siano prima di tutto dei fenomeni straordinari, miracolosi, sensazionali... I carismi non sono dunque affatto solo straordinari, sono invece manifestazioni del tutto normali nella vita della chiesa» (6) .
Cerfaux usa il termine carisma notando la possibilità di vari significati (7) C'è un senso nel quale siamo tutti carismatici (8) però non tutti facciamo miracoli. Onde evitare fraintendimenti, alcuni hanno pensato di identificare l'intervento straordinario divino con il termine «dono dello spirito »(9) ma anche questo non è dimostrabile nella Scrittura (10) Perciò per maggior sicurezza userò soltanto i termini « dono» (ordinario) e « dono miracoloso».

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Per l'utilità comune (12, 7)

Or a ciascuno è data la manifestazione
dello spirito per l'utilità comune.

A differenza di quanto stava accadendo a Corinto, ogni dono dovrebbe servire per l'utilità comune di tutti i credenti. Perciò tutte le volte che una manifestazione dello spirito crea problemi e cessa di essere utile a tutto il gruppo dei credenti in cui si realizza e diviene motivo di prestigio personale, perde la sua funzione evangelica.

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Doni ordinari e miracolosi (12, 8-10)

Infatti, uno riceve dallo spirito parola di sapienza;
un altro, dallo stesso spirito parola di conoscenza;
un altro, dallo stesso spirito fede;
un altro, dallo stesso spirito doni di guarigione;
un altro facoltà di compiere miracoli;
un altro profezia;
un altro capacità di discernere gli spiriti;
un altro manifestazione glossolalica;
un altro abilità nell'interpretare la glossolalia.

In questo primo elenco di doni(11) è abbastanza difficile riuscire a stabilire una netta distinzione fra sapienza ( sofías ) e conoscenza ( gnóseos ) (12, 8). Il concetto ebraico di yada c che in genere designa una cosa concreta (12) talvolta è trasferito al greco ghinósko (13) .

Nel v. 3 che precede abbiamo visto che il Bultmann applica il concetto concreto ebraico della conoscenza al riconoscere Gesù come Signore (14) Ora, perché questo concetto non può essere trasferito alla nostra conoscenza concreta della volontà di Dio? Infatti sarebbe difficile pensare che Paolo ponga tra i doni dello spirito una conoscenza gnostica-teorica di Dio. Perciò la sapienza potrebbe identificarsi con una scelta sapiente nel modo di vivere sotto la guida di Dio (Sl 111, 10), mentre la conoscenza potrebbe riferirsi a quello che gli autori ispirati sono riusciti a percepire e a scrivere sulla potenza e della esigenza di Dio (15) .

Della fede (pístis ) (12, 9) sappiamo che è un dono prezioso di Dio (Rm 12, 3; 2 Te 3, 2-3; 2 Pt 1, 1), che bisogna riserbare (2 Ti 4, 7), che può crescere (2 Te 1, 3), ma anche rovinarsi (2 Ti 1, 6). Essa non è mai presentata come un elemento miracoloso. Il dono di guarigione ( iamáton ), e la facoltà di compiere miracoli ( énerghémata dunámeon ) (12, 9-10) dovrebbero essere necessariamente considerati doni miracolosi. Il termine greco profeteía , normalmente indica una rivelazione ispirata da Dio. Non intendo qui discutere se talora si possa riferire anche a una esortazione personale (16) A riguardo della capacità di discernere gli spiriti ( diakriseís pneumáton), dovrebbe riferirsi alla capacità di discernere i veri profeti dai falsi (1 Gv 4, 1). Dal momento che in ogni epoca vi sono sempre stati dei falsi profeti, dobbiamo ritenere che ogni comunità di credenti necessitasse di persone atte a discernere gli spiriti. Paolo conclude questo elenco di doni con quello della glossolalia ( géne glossôn ) e con l'abilità interpretativa ( érmeneía glossôn ) (12, 10). Al contrario di come pensano alcuni (17) Küng, Wikenhauser e Leal escludono a ragione che la glossolalia fosse un dono miracoloso che permetteva di esprimersi in molte lingue (18) .

Secondo Pack si tratterebbe di un dono miracoloso perché fa parte di un contesto di doni miracolosi (19) però abbiamo già visto che questo è molto discutibile. Si può parlare di prodigi miracolosi il giorno della Pentecoste, in quanto effettivamente i presenti intesero (At 2, 1-3), mentre a Corinto sembra che questi glossolali, anziché fare dei prodigi miracolosi per farsi intendere, creassero una grande confusione (14, 20-25). La cosa appare ancora più strana se si tiene presente che questo dono è subito seguito da quello della interpretazione. In tal caso avremmo un miracolo che non serve, seguito da un prodigio discutibile. però, come dice giustamente Luzzi, se è facile dire che cosa questa glossolalia non fosse, non è facile dire in che cosa veramente consistesse (20) Paolo parla del dono della glossolalia come di una preghiera che spesso non veniva intesa dai presenti, e la contrappone alla profezia (14, 1-6). Della preghiera sappiamo che lo Spirito e cristo intervengono in nostro aiuto (Rm 8, 26; 2 Ti 2, 5), ma questo aiuto è dato a tutti i credenti (1 Gv 2, 1-2), perciò sotto questo aspetto è difficile che si tratti di un dono miracoloso.

Alcuni vedono un parallelismo tra l'atteggiamento dei glossolali di Corinto e i culti pagani del tempo (21) Questi infatti, come nel caso di Corinto, lasciavano molto spazio al sentimento (22) Eraclito parla della Sibilla che proferiva i suoi oracoli con labbra frenetiche (mainoméno stómati )(23) L'ambiente cosmopolita di Corinto deve aver favorito lo sviluppo di questo tipo di religione. Ora c'è da vedere se questo accostamento sia possibile, e se lo è, in che modo dovrebbe essere inteso. Jividen non accetta non accetta questa tesi perché dice che i gentili convertiti al cristianesimo capirono che il culto pagano era sbagliato (24) Però capire gli errori del paganesimo non significa necessariamente smettere di avere una certa inclinazione emotiva. Essere convertiti a Cristo non significa troncare completamente con l'ambiente da cui una persona proviene. Infatti gli ebrei, nonostante la severità della legge mosaica (25) usarono certe espressioni (26) , certi atteggiamenti religiosi(27) che potevano facilmente essere collegati a quelli dei popoli pagani del loro tempo (1 Re 18, 26-29).

Luzzi dice giustamente che la glossolalia consiste nella sovrabbondanza di vitalità spirituale, che arrestava, più o meno, il lavoro intellettuale; in un assorbimento del pensiero nella contemplazione incosciente; nel parlare, o meglio, nell'esprimersi entusiastico di gente rapita in estasi (28) A ragione Behn dice che Paolo ammette una esteriore somiglianza fra le manifestazioni mistico estatiche dell'ellenismo e quelle del cristianesimo, ma coglie la caratteristica distintiva di queste ultime nel loro contenuto religioso (29) Perciò la glossolalia dovrebbe essere intesa come un dono nel senso che, sebbene in alcuni casi crei dei problemi, è pur sempre segno di una sensibilità interiore e di un intenso fervore religioso. Esso aveva lo scopo di suscitare interesse per le cose spirituali e un profondo entusiasmo per la fede nei momenti di persecuzione. perciò non ci dovrebbe apparire strano se alcuni credenti di Corinto, nei momenti di maggiore fervore religioso, sicuri di essere in ogni modo intesi da Dio, nelle loro preghiere si possano essere espressi nelle varie lingue d'origine, forse anche in forma dialettale senza badare bene alla esatta articolazione dei suoni delle parole (30) e perché no? magari con labbra frenetiche come negli oracoli della Sibilla(31) .

Il dono della interpretazione (érmeneía glossôn ) potrebbe forse essere inteso come una certa abilità nel conoscere molte frasi idiomatiche dialettali, legate al substrato culturale locale. Oppure si tratterebbe di persone che hanno ricevuto il dono di una sensibilità tale, da riuscire ad intendere quanto uno nel momento d'intensa emozione non riesce ad esprimere chiaramente. Qualcosa di simile avviene in natura fra la madre e il primo linguaggio del bambino.

Abbiamo esaminato questi nove doni e abbiamo visto che alcuni di essi sono normali, mentre altri sono miracolosi. La funzione dello spirito nei doni normali, dovrebbe essere intesa nel senso che lo spirito di Dio interviene con forza nelle facoltà e nelle attitudini naturali dell'uomo, lo aiuta a capire la sua volontà, lo incoraggia a perseverare nell'amore e a realizzare le opere della fede. La funzione dell'opera dello spirito dei doni miracolosi invece, non dovrebbe essere solo quella di far capire all'uomo un determinato insegnamento o suscitare in lui un certo entusiasmo, ma soprattutto quello di compiere attraverso i credenti cose che in natura non sarebbero possibili (32) Esaminando il problema dei doni miracolosi sarebbe ora il caso di chiederci se sia possibile il loro attuarsi nei nostri giorni. A questa domanda credo sia giusto rispondere che Dio può sempre in ogni caso fare quello che ha fatto nel passato. Infatti non esiste un passo specifico della Scrittura che lo possa escludere(33) Nelle sezioni che seguiranno cercheremo di analizzare meglio questo problema.

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Ogni dono è da Dio (12, 11)

Ma tutte queste le cose le opera quell'unico e medesimo spirito, distribuendo a ciascuno separatamente come egli vuole.

Distribuendo che cosa? E' chiaro che qui Paolo allude a tutti i doni di cui parla il contesto (34) per cui in questa affermazione paolina sembra essere ricapitolata tutta la problematica sulla loro trasmissione. Schweizer dice giustamente che a ciascuno, senza eccezione, è affidato un proprio ministero; la diversità dei ministeri si fonda unicamente sulla libera distribuzione dello spirito stesso che dà a ciascuno ciò che egli vuole (35) Infatti il termine greco 'ídios designa un fatto personale, privato, separato dagli altri. Con questo Paolo vuole insegnare ai Corinzi che Dio opera e decide ( boúletai) da sé, senza mai essere legato a qualcuno degli innumerevoli schemi fissi che ogni chiesa tende a crearsi.

Alcuni, basandosi su At 8, 14-18, hanno concluso che soltanto gli apostoli avevano l'autorità di trasmettere il dono dello spirito (36) Però si tratta di una deduzione molto discutibile (37) Spesso si è speculato troppo sulla deduzione di Simone (At 8, 18) dimenticando che soltanto Dio è il Signore della storia e che egli può intervenire in essa tutte le volte che lo ritenga opportuno. Così fece il giorno della Pentecoste (At 2, 1-4), con Paolo sulla via di Damasco (At 9, 3-6), nella casa di Cornelio (At 10, 44-45) e nello stesso modo presso la comunità di Antiochia (At 13, 1-2). L'affermazione paolina « come egli decide » ancora oggi vuole insegnarci che Dio può in ogni momento distribuire i suoi doni come vuole, quando vuole e a chi vuole, senza distinzione di razza, di sesso o di ceto sociale; ma è anche un monito a quanti, nel popolo di Dio, in ogni tempo hanno voluto vantare primati ed esclusività.

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Immersi (o dissetati) nello spirito per formare un unico corpo (12, 12-26)

Come infatti il corpo è una unità costituita da molte parti, e tutte le parti, anche se molte, formano un unico corpo, così è di Cristo.
Infatti noi tutti, essendo stati immersi in uno stesso spirito per formare un unico corpo, giudei e greci, schiavi e liberi, siamo stati dissetati a uno stesso spirito.

Sull'immersione dello spirito(38) sono stati fatti svariati commenti. Io ne riassumerò due che mi sembrano particolarmente interessanti, rimandando poi la discussione:

a) Secondo Pihllips, Higgins e Bales l'immersione nello spirito non è necessaria per essere cristiani. Nel 1° sec. alcuni ricevettero questa immersione per ottenere un particolare aiuto da Dio, in quanto non era ancora completata la redazione del N.T.; dal 2° sec. questi doni miracolosi, invece, non sono più necessari, per cui finisce lo scopo dell'immersione nello spirito (39) .

b)Per Ortensio da Spinetoli l'immersione nello spirito è il sacramento del battesimo, necessaria iniziazione cristiana per unire il battezzando a Cristo. Mentre l'essere dissetati dallo spirito sarebbe il sacramento della Confermazione o dell'Eucarestia (40) .

Prima di discutere queste due ipotesi, credo sia il caso di analizzare bene il concetto biblico sulla effusione della potenza divina. Nella Scrittura troviamo questi passi al riguardo:

Gv 3, 5:           «se uno non è nato di spirito non può entrare nel regno»
Tt 3, 5:            «egli ci ha salvati mediante il rinnovamento dello spirito»
1 Gv 2, 20:     «lo spirito è stato versato su di voi»
Ga 3, 27:         «immersi in Cristo siete stati rivestiti di lui»
Gc 4, 5:          «lo spirito abita in voi »
Mt 3, 11:         «ma egli vi immergerà nello spirito »
Lc 24, 49:       «sarete rivestiti di spirito (potenza) »(41)
Gv 20, 22:      «soffiò su di loro e disse: ricevete lo spirito»
At 2, 4:            «tutti furono ripieni dello spirito »
At 2, 38:          «e riceverete il dono dello spirito »
1 Co 6, 19:      «il vostro corpo è il tempio dello spirito»
1 Co 12, 13b: « tutti siamo stati dissetati a un unico spirito »

Con sorpresa notiamo che nella Scrittura vi sono vari modi per presentare l'azione della potenza di Dio e spesso questi modi vengono usati scambievolmente.

Giovanni l' « immersore» promette l'immersione dello spirito (Mt 3, 11).

Gesù promette ai suoi discepoli che sarebbero stati rivestiti dallo spirito (potenza) (Lc 24, 49). Nel giorno della Pentecoste delle lingue simili a fuoco si posarono su ciascuno dei presenti e tutti furono ripieni dello spirito (At 2, 1-4) (42) Di conseguenza immersi, rivestiti o ripieni dello spirito sono sinonimi. Così nel caso di immersi, nati, rigenerati nello spirito e rivestiti di Cristo. Possiamo quindi concludere che quando veniamo immersi nell'acqua, se c'è una vera conversione (1 Pt 3, 21), siamo necessariamente immersi anche nello spirito (Gv 3, 5; Tt 3, 5). Invece la manifestazione visibile dell'immersione nello spirito non è data a tutti e non necessariamente collegata alla immersione nell'acqua (43) .

a) il commento a 1 Co 12, 13, presentato da Phillips, Higgins e Bales, presuppone che questa immersione nello spirito sia necessariamente una effusione straordinaria non legata all'immersione nell'acqua. Bisognerebbe però dimostrarlo. Essi non tengono conto del sinonimo fra immersi e dissetati nello spirito. Tralasciano il valore di pántas (tutti) che appare due volte riferito a immersi e dissetati, indicando chiaramente che Paolo non sta parlando di una particolare categoria di persone, ma di tutti i credenti. Questi autori commettono un errore perché identificano l'immersione nello spirito con i doni miracolosi precedentemente ricordati da Paolo (44) Da questo contesto invece l'unico scopo dell'immersione (o dissetati) nello spirito è semplicemente quello di riuscire a costituire un solo corpo. Infatti è soltanto questa rinascita che rende possibile a mano, orecchio, occhio, testa e piede di stare assieme e di realizzare un'opera comune (12, 14-24)(45) La presenza dello spirito trasforma ogni membro e lo rende sensibile ai bisogni altrui (12, 25) e quando un membro soffre gli altri soffrono, e quando uno di essi è onorato tutti gli altri lo sono con lui (12, 26). Tutti i membri divengono insomma un unico corpo (12, 12-13) nel quale vi sono delle caratterizzazioni diverse, tra le quali il compiere cose straordinarie (però non in tutti).

A causa di una interpretazione sbagliata della terminologia questi autori negano la necessità dell'immersione nello spirito per i credenti, benché poi sostengono che lo spirito operi in loro quando vengono rigenerati nell'immersione d'acqua (46).

Che la manifestazione esteriore dell'immersione nello spirito (alla quale sono collegati i doni straordinari) si limiti al 1° sec., credo sia difficile da dimostrare (47) Abbiamo anzi già visto che non è possibile porre un qualsiasi limite all'azione della potenza divina(48) Questa manifestazione esteriore dovrebbe però essere così evidente, qualora oggi Dio decidesse di effettuarla, che il credente non dovrebbe avere dei grossi problemi a riconoscerla.

b) Nel commento a 1 Co 12, 13 Ortensio da Spinetoli usa in modo improprio il termine sacramento (49) . Egli vede nel battesimo dello spirito un sinonimo del battesimo d'acqua. Forse sarebbe meglio dire che si tratta di due modi di esprimere uno stesso fatto, quello della rigenerazione(50) E' strano però che egli non applichi lo stesso principio dei sinonimi fra battezzati (immersi) e dissetati ove il parallelismo è molto più chiaro.

Il suo tentativo di identificare «dissetati » con la Confermazione è reso problematico anche dal fatto che nel N.T. questo rito non appare mai. Infatti non ve n'è bisogno in quanto il battesimo (o immersione), così come è inteso nelle Scritture, comporta una scelta personale corrispondente alla Confermazione attuale e senza questa presa di posizione personale, non ha nessun valore.

Cipriani giustamente esclude che «dissetati » possa riferirsi all'Eucarestia, come fa Ortensio da Spinetoli, perché l'uso dell'aoristo épitísthemen designa necessariamente una cosa avvenuta una sola volta, mentre l'Eucarestia si ripete (51) .

Possiamo così concludere che «immersi » (battezzati) e «dissetati » dallo spirito, si riferiscono entrambi a quell'unico atto della rigenerazione per il quale il peccatore, una volta ravveduto e immerso in Cristo, può ritenersi rivestito di Cristo (Ga 3, 27).

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Valutazione della glossolalia (12, 27 - 13, 7)

Paolo continua il suo discorso chiarendo ora che questo corpo in effetti è la comunità dei credenti, nella quale vi sono doni diversi. Nel precedente elenco di nove doni, abbiamo visto come doni ordinari e miracolosi fossero assieme senza un preciso ordine, eccetto il fatto che la glossolalia e la capacità di interpretarla stanno all'ultimo posto (52) In questo secondo elenco di doni(53) abbiamo otto elementi: inviati (ápostólous ), profeti ( proféteia ), dottori (didaskálous ), miracoli ( dunámeis ), guarigioni (iamáton ), assistenza ( ántilémpseis ), governo ( kubernéseis ), glossolalia ( géne glossôn ) (12, 28) (54) . Anche qui è difficile distinguere qualche dono da un altro (55) non mancano logicamente alcune affinità con gli altri elenchi (56) Notiamo che Paolo inizia qui con il dono principale degli inviati (ápostólous ) e finisce con il meno importante di tutti (57) Subito dopo Paolo ripete l'elenco in forma interrogativa facendovi alcune modifiche(58) ma ponendo sempre all'ultimo posto la glossolalia e la sua interpretazione (12, 29-30). Si noti che in questo schema anche i doni abbastanza semplici, come quelli dell'assistenza e di governo , sono posti prima della glossolalia . Dopo essersi così preparato la strada, ora Paolo può apertamente condannare la tendenza dei Corinzi di mostrarsi superiori gli uni agli altri. Nella via per eccellenza che ora egli propone, è chiaro che la bramosia glossolalica di Corinto è sotto accusa (12, 31 - 13, 7).

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La perfezione (13, 8-13)

L'amore non finirà, le profezie verranno abolite, la glossolalia cesserà, la conoscenza (parziale) verrà abolita. Infatti noi conosciamo in parte e questa parte profetizziamo, ma quando verrà la perfezione la limitatezza verrà abolita (59).
Quando ero fanciullo, parlavo come un fanciullo, pensavo come un fanciullo, ragionavo come un fanciullo, ma quando divenni uomo smisi le cose da fanciullo. Così ora vediamo soltanto di riflesso in modo oscuro, ma allora vedremo direttamente.
Così ora conosco solo una parte, ma allora conoscerò completamente come sono stato completamente conosciuto.
Ora, comunque, rimangono fede, speranza e amore, ma la più grande di queste tre è l'amore.

Sulla identificazione della perfezione (tò téleion ) (13, 10), a cui allude Paolo in questo contesto, sono state presentate varie tesi. Io ne riassumerò tre che mi sembrano particolarmente interessanti, rimandando a poi la discussione:

a) Secondo McRay la perfezione sarebbe la conclusione della missione di Paolo fra i gentili. La generazione sulla quale Paolo impose le mani impartendo i carismi avrebbe sperimentato la perfezione. A prova di questo McRay cita un passo di Clemente Romano il quale verso il 95 d.C. scrisse ai Corinzi chiamandoli eletti da Dio e resi perfetti (én tê agàpe ételeióthesan pántes oì èkklétoi toû theoû(60) ).

b) Per Pack, Higgins e Phillips la perfezione sarebbe da identificarsi con il completamento della redazione del N.T. Essi vedono nei termini greci propheteîai, glôssai  e gnôsis tre doni miracolosi che avrebbero dovuto necessariamente finire con il completamento degli scritti sacri. per provare questa ipotesi essi poggiano sull'espressione nunì dè ménei pístis élpis agápe (13, 13) sostenendo che non si spera una cosa quando la si è ottenuta (Rm 8, 24-25). Quindi la continuità della fede e della speranza implicherebbero che Paolo stia parlando di una perfezione che si dovrebbe realizzare mentre erano ancora in terra(61) .

c) Per McGarvey, Pendlenton, Héring e altri, la perfezione si identificherebbe con la parusia (62) .

Il termine greco Téleion nella Scrittura non ha un senso univoco; in alcuni casi può designare semplicemente la maturità del credente (14, 20). perciò non sorprende che in questo caso abbia dato adito a svariate ipotesi.

a) Valutando la tesi presentata da McRay possiamo dire che Gesù stesso aveva profetizzato che un giorno vi sarebbe stato un solo gregge e un solo pastore (Gv 10, 16). Questo ha inizio verso il 48 d.C. con la conversione di Cornelio (At 10, 34-48), il primo gentile convertito al cristianesimo almeno otto anni prima della redazione di 1 Co(63) Questa tesi presupporrebbe che paolo già sapesse ogni cosa, mentre nel contesto (13, 9-12) egli ammette di conoscere solo parzialmente e identifica la perfezione con il giorno in cui avrebbe conosciuto appieno come appieno era stato conosciuto da Dio (13, 12). Alcuni anni dopo Paolo parla della fusione dei due popoli come di un fatto già compiuto (Ga 3, 28; Ef 2, 14), ma non parla ancora di perfezione realizzata. Però il problema non è la realizzazione completa, ma il conoscere Dio così come noi siamo stati conosciuti da lui. Giovanni apostolo, scrivendo verso l'ottanta o il novanta(64) parla di questa conoscenza come di una cosa futura, collegata alla nostra vita dopo la morte (1 Gv 3, 2). Questo lascia pensare che, almeno dodici anni dopo la realizzazione affermata da Paolo (65) Giovanni non si era ancora accorto che stava già vivendo tale perfezione. A conferma della sua tesi McRay cita Clemente Romano il quale chiama i Corinzi: eletti e perfetti . Penso che questi due vocaboli, dovrebbero essere intesi nel senso che i credenti sono stati tutti, santificati e giustificati (6, 11) (66) Infatti, se andiamo ad analizzare bene l'Epistola di Clemente, non ci sarà difficile rilevare che i Corinzi erano assai lontani da una autentica perfezione.

b) Anche la tesi presentata da Pack, Higgins e Phillips, che fanno giungere la perfezione con la redazione finale di tutte le Scritture, non presenta alcuna prova biblica. La motivazione tratta dal v. 13 è resa discutibile da altre soluzioni migliori. La prima dà a nuní dè un senso logico, la seconda un senso temporale.

Senso logico . Lietzmann, Reitzenstein, Robertson e Prummer traducono nuní dè con: « or dunque», « insomma» e ritengono che ménei indicano una permanenza eterna di questi tre doni(67) Robertson e Prummer pensano che nel caso della fede e della speranza, queste due virtù rimarranno nei loro frutti (68) Bonaccorsi dice che la fede, speranza e amore, a differenza della profezia e degli altri carismi, hanno un valore di un certo modo permanente e assoluto: si trasformano nell'altra vita, piuttosto che cessare (69) Ortensio da Spinetoli dice che la fede, speranza e amore costituiscono l'organismo soprannaturale dell'uomo nuovo; esso non verrà meno, troverà anzi in cielo la sua perfezione ultima. Credere non è solo riconoscere gli interventi di Dio nella storia, ma è donarsi totalmente a lui. La speranza è sulla terra un'attesa confidente: in cielo cesserà l'attesa, ma non la confidenza (70) Tuttavia Romani 8, 24-25 sembra escludere che la speranza, e di conseguenza anche la fede, potranno essere presenti in cielo. Forse però Paolo qui non intende parlare necessariamente della cessazione di ogni speranza o di ogni fede, ma di quella speranza e di quella fede particolare di cui si parla nel capitolo (speranza escatologica) (Rm 8, 16-26).

Senso temporale. Héring traduce: «oltre ai doni (carismi) abbiamo adesso, fede, speranza e amore che perdurano »(71) Huby traduce: «Ora rimangono la fede, la speranza e la carità» (72) Così nello stesso modo Cipriani e Minestroni (73) In questo caso ménei indica soltanto una permanenza terrena di questi tre doni, senza escludere la cessazione dei carismi.

Lascio al lettore la facoltà di scegliere quale delle due soluzioni preferisce, perché mi sembrano tutte e due valide ed entrambe fanno cadere la motivazione sollevata da Pack, Higgins e Phillips.

c)probabilmente McGarvey, Pendleton, Héring ed altri, identificando téleion con la parusia, sono più vicini al senso di perfezione del N.T. Dico probabilmente perché nella Scrittura questo concetto spesso non è espresso chiaramente. Gesù ammise di non conoscere di preciso quando sarebbe venuta la distruzione di Gerusalemme (MT 24, 36). Gli apostoli inizialmente non capirono lo sviluppo cronologico dell'opera divina (At 1, 7). Paolo, scrivendo ai Tessalonicesi, sembra pensasse di rimanere in vita fino al momento della resurrezione dei morti (1 Te 4, 15). Scrive ai Corinzi che stavano vivendo negli ultimi tempi (10, 11) e probabilmente parla della resurrezione come di una cosa che, avrebbe potuto realizzarsi mentre egli era ancora in vita (15, 51-53). L'apostolo stesso, però, avverte qualche difficoltà nel capire lo sviluppo del piano salvifico, ci tiene a precisare i propri limiti quando afferma di conoscere soltanto la parte che gli è stata rivelata (13, 9) e ammette di vedere soltanto di riflesso in modo oscuro (13, 12). Come era consuetudine dei profeti, probabilmente egli riunisce assieme le varie fasi future della pienezza del regno, senza distinguere bene tra distruzione della religione ebraica (giudizio sul popolo ebraico e distruzione del tempio) e parusia (resurrezione dei morti e giudizio universale). Infatti, dopo la distruzione del tempio (che inaugurò un periodo nuovo, quello dei gentili Lc 21, 24), la conoscenza, della quale parlò Paolo, continuò ad essere parziale e si continuò a vedere soltanto di riflesso in modo oscuro (13, 12). Giovanni, almeno venti anni dopo la distruzione di Gerusalemme, scriveva:

« Amati, già adesso siamo figli di Dio,
ma non è ancora rivelato quello che saremo.
Conosciamo però che quando questo mistero sarà rivelato,
saremo simili a Dio perché lo vedremo come egli è » (1 Gv 3, 2)

Dopo aver valutato queste tre ipotesi, quest'ultima, che identifica téleion con la parusia, mi sembra che sia da preferirsi. Comprendo che per alcuni vi potrebbero essere delle difficoltà ad accettare questa conclusione. Però, qualsiasi possa essere la nostra scelta in merito, non credo che essa potrebbe essere usata per sostenere un principio biblico così importante quale ad esempio la cessazione di ogni dono straordinario. Su questo problema credo che il brano in questione dovrebbe essere almeno considerato neutro.

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Superiorità della profezia sulla glossolalia (14, 1-19)

Abbiamo già visto che Paolo, dopo aver messo all'ultimo posto il dono della glossolalia (74) le contrappone l'amore(75) Egli ora inizia, nuovamente parlando dell'amore, affermando però che non intende sminuire l'aspetto positivo di alcuni doni spirituali (14, 1). L'apostolo qui affronta per la prima volta il problema della glossolalia, contrapponendole la superiorità indiscussa della profezia (14, 2-4), ameno che essa venga tradotta per l'edificazione della comunità ( éktòs éi mè diermeneúe ina è èkklesía óikomodèn lábe) . Se ho inteso bene, Paolo non è affatto contrario ad un certo tipo di culto vivo e spontaneo. Egli era disposto ad accettare eccezionalmente alcuni interventi glossolalici, ma quanto egli condanna è che l'eccezione a Corinto era divenuta regola.

Dopo aver portato vari esempi sulla supremazia della profezia, Paolo dice giustamente:

« Ma nella comune riunione, preferisco dire cinque parole per istruire anche gli altri, che dirne diecimila nella glossolalia (14, 19).
Fratelli, non mantenete la mentalità dei fanciulli,
imitate invece la mancanza di malizia dei bambini,
in modo di avere una coscienza matura.
E' scritto nella Legge: "Io parlerò a questo popolo mediante gente con una lingua diversa, tramite labbra straniere".
Il Signore aggiunge: "Ma neppure in questo modo mi ubbidiranno".
Una lingua misteriosa non è un segno per i fedeli,
ma un ammonimento per i disubbidienti.
La profezia invece non è un segno d'infedeltà, ma di fedeltà.
Infatti, quando tutta la comunità si riunisce,
se tutti si esprimono nella glossolalia ed entrano degli estranei
o degli infedeli, non diranno che siete impazziti?
Ma se tutti profetizzano ed entra qualche infedele o estraneo,
questi, esaminato da tutti, sarà convinto da tutti.
Resi pubblici i segreti del suo cuore, questi, gettandosi a terra
adorerà Dio, riconoscendo che egli è veramente in mezzo a voi ».

Nella esortazione di Paolo ai credenti di abbandonare ogni atteggiamento infantile per crescere (14, 20), c'è una reminiscenza di Is 28, 1-9. Quando Sennacherib (nel 701 circa a.C. 2 Re 18, 13-37) invase la Giudea e assediò Gerusalemme, la lingua assira, così diversa da quella ebraica, deve essere apparsa assai strana e incomprensibile, quasi come quella delle labbra balbuzienti (bela 'age safah ubelashon 'acheret ) (Is 28, 11). Allora, nel momento della distretta, gli assediati di Gerusalemme probabilmente ricordarono il balbettio del neonato che Isaia, quale presagio di sventura, aveva imitato per scherno (76) In questo parallelo con l'A.T. v'è la differenza sostanziale fra la mentalità ebraica e gentile. Per i gentili l'oracolo della divinità era racchiuso nelle parole enigmatiche che la Sibilla pronunciava con labbra frenetiche, mentre nella fede ebraica non v'era nulla di misterioso (77) Ai giorni di Babele Dio confuse il linguaggio, non per rivelare un oracolo, ma per punire il popolo (Ge 11, 1-9). Dice giustamente il Kittel che Israele è in relazione con la Parola (78) con una parola chiara e precisa. Quando il profeta dice: « Ascolta, Israele», il credente ebraico non ha mai dovuto sforzarsi per capire quanto avrebbe dovuto fare (79) Con questo esempio Paolo vuole insegnare che Dio parla al suo popolo in una lingua insolita e incomprensibile nei momenti in cui esso merita una punizione (80) , quando il suo atteggiamento è infantile.

Perciò la glossolalia potrebbe essere intesa come segno d'infedeltà ( eísin oú toîs pisteúousin 'allà toîs 'àpistois) (14, 22a); mentre la profezia è piuttosto segno di fedeltà ( è dè profeteíaoú toîs 'àpistois 'allà pisteúousin) (14, 22b) (81) La discussione verte su un certo tipo di riunione completamente estraniata dal mondo, tutta imperniata di misticismo o su un tipo di riunione ove, pur aprendo il proprio cuore a Dio, o credenti danno grande importanza alla profezia e discutono assieme la sua applicazione pratica, tenendo conto della sensibilità dei nuovi venuti e anche degli infedeli che vengono appositamente per criticare. Non siamo i soli a vivere nel mondo e Paolo dice giustamente che se entrano degli estranei o degli infedeli, potrebbero facilmente dire che siamo impazziti (eísélthosin dè ìdiôtai 'é ' àpistoi oùk 'eroûsin 'óti maínesthe 14, 23). Paolo conclude ancora una volta esaltando la superiorità della profezia sulla glossolalia (14, 24-25), ma non si capisce bene il motivo della conversione del nuovo venuto. Forse è dovuta al fatto che mediante la profezia i fratelli riescono a vedere i problemi del suo cuore; questi vedrà nella precisione della profezia un segno della presenza di Dio o più semplicemente il nuovo venuto sarà convertito dal modo con cui i fratelli sanno discutere con amore i loro problemi. Egli stesso si sentirà portato ad aprire il suo cuore per chiedere dei consigli. Lascio al lettore di scegliere il commento che gli sembra migliore (82) .

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Spontaneità non significa disordine (14, 26-38)

In ogni comune adunanza (83) ogni cosa deve essere fatta per la mutua edificazione (14, 25). Paolo non è contro la spontaneità. Qualora v'è chi interpreti, egli permette che vi siano al massimo due o tre interventi glossolalici (14, 27); però se non v'è chi può interpretare, questi glossolali sono invitati a rivolgersi a Dio in silenzio senza disturbare la riunione (14, 28)(84) .

Sembra che di regola nel culto dovessero parlare due o tre profeti (14, 29), però anche coloro che stavano seduti, uno alla volta potevano intervenire, affinché tutti fossero istruiti e consolati (14, 30-31). Spontaneità non significa disordine, perciò colui che profetizza dovrebbe sapersi controllare (14, 32). Dio non apprezza la confusione (14, 33).

Le donne del tempo erano in genere la parte meno istruita (85) più soggette perciò degli uomini a un certo tipo di culto emotivo. Sembra che la situazione si aggravasse in quanto le donne continuavano a fare delle domande sciocche impedendo un certo ordine nello svolgimento delle riunioni, per cui si può capire come Paolo, per tale motivo, impedisca loro di prendere la parola (14, 34-35) (86) .

L'apostolo continua esortando la comunità di Corinto a conformarsi in questo alle comunità giudeo-cristiane (14, 36)(87) Se questi fratello fossero stati veramente spirituali, avrebbero tenuto conto del comando apostolico (14, 37-38).

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Non impedite la glossolalia (14, 39-40)

Abbiamo visto che la glossolalia è messa all'ultimo posto (88) che è da preferirsi la profezia (89) che in alcuni casi la glossolalia può scandalizzare (90) ma è pur sempre un dono che Dio distribuisce per infondere entusiasmo a quanti aprono il proprio cuore all'amore della verità. Perciò non ci sorprende che Paolo cerchi soltanto di mitigare gli eccessi (91) e sappia ancora dire: «Non impeditela » (92) .

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Conclusione

Da quanto precede possiamo riassumere il pensiero di Paolo nei seguenti punti:

1) I carismi non sono sempre doni miracolosi.

2) I carismi non sono necessariamente legati al periodo apostolico e alle imposizioni delle mani degli apostoli.

3) La perfezione che dovrebbe abolire profezia, glossolali e conoscenza, si riferisce probabilmente alla futura visione di Dio.

4) Ancora oggi, secondo il beneplacito divino, vi possono essere manifestazioni straordinarie.

5) In un'opera evangelistica non è sempre facile stabilire con precisione quali potrebbero essere gli aspetti esteriori più validi dei doni divini. In un contesto storico, così diverso da quello di Corinto come il nostro, certe manifestazioni esteriori oggi potrebbero suscitare assai più problemi di quanti ne crearono a Corinto. L'ambiente in cui ci proponiamo di svolgere la nostra attività evangelistica, il tipo di persone che incontriamo e i frutti del nostro lavoro, dovrebbero indicare fino a che punto in una comunità locale siano accettabili spontaneità e altre manifestazioni esteriori. Però non possiamo mai generalizzare. Quando non ci sia un preciso motivo dottrinale(93) sarebbe un grosso errore vietare alcune manifestazioni esteriori dell'entusiasmo a delle comunità che sono in grande progresso nella fede, nella speranza e nell'amore. La via alla moderazione indicata da Paolo è sempre la più valida(94) Alla luce di tutto questo, dovrebbe essere fatta una valutazione più obiettiva a riguardo dei gruppi spontanei pentecostali che ai nostri giorni stanno avendo un forte sviluppo(95) Essi sono una reazione logica alle chiese secolari che hanno perduto la funzione di incontro di anime. Solo la reazione a un certo schema ecclesiastico che non lascia più spazio all'intervento diretto dei credenti, a un intellettualismo religioso che non tiene conto dei sentimenti. Infatti, a dispetto di tutto questo formalismo pseudointellettuale, quando c'è il dono dello spirito, nel mondo della fede certe esperienze particolari vissute in comune, non è necessario esprimerle a parole. Se provate assieme si possono manifestare con gli occhi, si comunicano col sorriso sulle labbra, con semplici gesti di mano e, perché no, in un particolare ambiente si possono affermare anche con un fremito o una semplice esclamazione di gioia. Dopo tutto per ereditare il regno dei cieli non dobbiamo diventare come bambini? (Mt 18, 3).

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Bibliografia

J. Hanimann, Nous avons été abreuvé, Nouv. Rv. Théol., 94 (1972) 400-405. Altra forma per descrivere il battesimo, rito esteriore, dono Spirito Santo interiore.

R.P. Martin, Short Comment; 1 Corinthians 13, 13. Exp. Tim. 82 (1970) 71 119-120. Traduce: L'amore di Dio verso di noi è di gran lunga superiore a queste tre (fede, speranza, carità).

F. Dreyfus, Maintenant la foi, l'ésperance et la charité demeurent toutes les trois, Studiorum Paulinorum Congressus, vol I Ist. Bibl. Roma 1963 403-412 (continuano in vita eterna, si preparano al loro dispiegamento finale).

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NOTE A MARGINE

1.Rudolf Bultmann, ghinósko, in «Grande Lessico del N.T.», Paideia, Brescia 1966, vol. II, p. 519. torna al testo

2. Giuseppe Huby, S. Paolo Prima Epistola ai Corinzi, Editrice Studium, Roma 1963, pp. 225-226; Settimo Cipriani, Le Lettere di S. Paolo, Edizioni Pro Civitate Christiana, Assisi 1965, p. 199. torna al testo

3. Fausto Salvoni, I Libri Sapienziali e Poetici nel V.T., dispensa della Facoltà Biblica di Milano, anno accademico 1968-1969, pp. 17-18. torna al testo

4. In 1 Pt 4, 10 «kárisma » designa i doni ordinari comuni a tutti i credenti, mentre in 1 Co 12, 19-10 designa anche doni miracolosi; mentre in Ef 2, 8 il termine « fede» è designato come « dôron », in 1 Co 12, 9 fa parte dei carismi. torna al testo

5. Miguel Balagué, Carismi, in «Enciclopedia della Bibbia», vol. II, Elle Di Ci, Torino-Leumann 1969, p. 135. torna al testo

6. Hans Küng, La Chiesa, Queriniana, Brescia 1969, pp. 205-206. torna al testo

7. Lucien Cerfaux, Il Cristianesimo nella Teologia Paolina, Editrice A.V.E., Roma 1969, p. 269. torna al testo

8, Silvio Caddeo, Chi sono i carismatici?, in «Il Seme del Regno», n. 9, Editrice Lanterna, Genova 1969, pp. 11-15. torna al testo

9. Frank Pack, Tongues and the Holy Spirit, Biblical Research Press, Abilene, Texas 1972, pp. 40-45; Albert Sidney Higgins, What the Bible Says, The Chronicle Publishing Co., Abilene, Texas 1956, pp. 72-75. torna al testo

10. Infatti nella Scrittura i termini «dono » (1 Pt 4, 10), «dono dello spirito » (Rm 1, 11) e «dono di Dio» (Ef 2, 8), non sono mai contrapposti. Anzi troviamo che fede è un « dono di Dio » (Ef 2, 8) e allo stesso tempo si trova fra i « doni dello spirito » (1 Co 12, 9). torna al testo

11. Gli altri elenchi sono 1 Co 12, 28-30; Rm 12, 6-8; Ef 4, 1; ; su questo parallelismo vedi Miguel Balagué, o.c., pp. 140-141. torna al testo

12. William Gesenius, A Hebrew and English Lexicon of the Old Testament, At the Claredon Press, Oxford 1968, pp. 393.395. torna al testo

13. Ge 4, 1; Mt 1, 25. torna al testo

14. Vedi comm. 12, 1-3. torna al testo

15. Nel caso della rivelazione e ispirazione dobbiamo ammettere che si trattava di un intervento straordinario di Dio, mentre per noi potrebbe essere un dono semplicemente ordinario. Sulla conoscenza vedi comm. 13, 8-13). torna al testo

16. Alcuni a volte traducono anche profeteía con predicazione J.B. Phillips, Letters to young Churches, The Macmillan Company, New York 1954, p. 58; Johannes Kuhn e Helmut Riethmüller, Das Neue Testament für Menschen unserer Zeit, 1 Co 11, 4-5; vedi pure la traduzione italiana Il Nuovo Testamento per gli Uomini del nostro Tempo, Elle Di Co, Torino-Leumann 1972, vol. 3, p. 148, 1 Co 11, 4-5. torna al testo

17. Albert Sidney Higgins, o.c., pp. 72-76; Frak Pack, o.c., pp. 51-74; Jimmy Jividen, Glossolalia from God or Man?, Star Bible Publications, Port Worth, Texas 1971, pp. 12-42, 110-115. torna al testo

18 Hans Küng, o.c., pp. 205-206; Alfred Wikenhauser, Atti degli Apostoli, Morcelliana, Brescia 1968, pp. 58-62; Juan Leal, Atti degli Apostoli, Città Nuova Editrice, Roma 1971, pp. 59-61. torna al testo

19 Frank Pack, o.c., p. 63. torna al testo

20. Giovanni Luzzi, Il Nuovo Testamento e i Salmi, Società Fides et Amor Editrice, Firenze 1930, p. 532. torna al testo

21. Lucien Cerfaux, o.c., pp. 265-269; Giuseppe Huby, o.c., pp. 223-224; Giovanni Luzzi, o.c., p. 532; Hans Küng, o.c., pp. 205-206. torna al testo

22. Euripide, Bacc., pp. 291-327; Tito Livio, XXXIX, 13; Erodoto IV, 79. torna al testo

23. Eraclito, fr. 92 (ed. Diels I, 96, ts). torna al testo

24. Jimmy Jividen, o.c., pp. 110-111. torna al testo

25. Menachem Emanuel Arton, in Pentateuco e Haftaroth, a cura dell'Istituto Ebraico, Torino 1965, vol 1°, p. 180. torna al testo

26. La radice ebraica «nava' » designa il profetizzare (Ez 34, 2), ma anche il perdere il controllo di sé fino al punto di spogliarsi nudo, come nel caso di Saul e dei suoi inviati (1 Sm 19, 20-24). Così il termine ebraico « halal», che in genere designa la lode e l'onore rivolto a Yahveh (2 Sm 22, 4; 1 Cr 16, 4, Ne 5, 13; 12, 24; Sl 18, 3; Is 38, 18; Gr 20, 13; 31, 7; Gv 2, 26), può anche designare l'entusiasmo e la furia (Gr 46, 9; Na 2, 4) e persino la follia (Ec 2, 2; Is 44, 25), il delirio e l'ebbrezza del vino (Gr 25, 16; 50, 38; 51, 7). Nel caso di Davide designa la pazzia (1 Sm 21, 13-15). Per cui si può capire come mai Anna, mentre sta pregando al tempio, possa essere scambiata dal sommo sacerdote Eli per una donna ebbra di vino (1 Sm 1, 13-14). Stranamente lo stesso fraintendimento accadde al giorno della Pentecoste per gli apostoli (At 2, 13). torna al testo

27. Le incisioni nella carne compiute nei momenti di trance da alcuni profeti d'Israele (Zc 13, 5-6); la danza frenetica di Davide ( mekarkker bekol-'oz) vestito con l'efod sacerdotale accompagnato da tutto il popolo dinanzi all'arca di Yahveh (2 Sm 6, 14-15); il matrimonio di Osea con una prostituta come segno concreto di una profezia (Os 3); così possiamo dire di molti atteggiamenti assai strani di Ezechiele (Ez 3.4.5). torna al testo

28. Giovanni Luzzi, o.c., p. 532. torna al testo

29. Johannes Behn, glôssa, in Grande Lessico del N.T.», o.c., p. 555. torna al testo

30. Giuseppe Huby, o.c., pp. 262-263. torna al testo

31. L'errore principale di alcuni movimenti entusiastici, quali i pentecostali, è quello di voler identificare la fedeltà al Vangelo con queste manifestazioni esteriori e talvolta per riuscire, cercano di realizzare ancora oggi e a tutti i costi un fenomeno che appartiene in gran parte a un background di venti secoli fà; vedi John L. Sherrill, Essi parlano in Altre Lingue, Pubblicazioni P.A.D.I., Roma 1972, pp. 85-96. torna al testo

32. Vedi l'esempio del giorno della pentecoste (At 2, 1-2). torna al testo

33. Vedi Co. 12, 11. torna al testo

34. Vedi comm. 12, 4-6; 12, 8-10; 12, 27 - 13, 7. torna al testo

35. Eduard Schweizer, La Comunità e il suo ordinamento nel N.T., Piero Gribaudi Editore, Torino 1971, p. 80. torna al testo

36. James D. Bales, o.c., pp. 23-29; Albert Sidney Higgins, o.c., p. 74; Jimmy Jividen, o.c., pp. 95-96; Frank Park, o.c., pp. 41.108. torna al testo

37. Infatti abbiamo l'esempio di Pietro, il quale si stupisce perché lo spirito è disceso su delle persone che lui non avrebbe pensato potessero essere partecipi del dono di Dio (At 10, 44-48). Queste apparenti contraddizioni sono la conseguenza di particolari esigenze ecclesiali da cui provengono le fonti. La giusta interpretazione dei fatti sta nella valutazione dell'insieme che ha dato luogo a queste sfumature scritturali. torna al testo

38. Ho preferito tradurre il termine greco baptízo con immersi, perché mi sembra che sottolinei meglio il parallelismo con l'espressione «rivestiti di Cristo » (Ga 3, 27). torna al testo

39. Thomas W. Phillips, The Church of Christ, The Standard Publishing Company, Cincinnati, Ohio 1943, p. 156; Albert Sidney Higgins, o.c., pp. 76-79; James D. Bales, The Holy Spirit and the Christian, Gussie Lambert Publications, Shreveport, Lousiana 1966, p. 20. torna al testo

40. Ortensio da Spinetoli, in Paolo vita-apostolato-scritti, Edizioni Marietti, Torino 1968, p. 503. torna al testo

41. Il termine greco pneûma (spirito) e dúnamis (potenza) sono la traduzione dello stesso termine ebraico ruach. torna al testo

42. Dal contesto sembra che in questo caso non solo gli apostoli ricevettero questa manifestazione visibile dell'immersione nello spirito. torna al testo

43. Vedi la discesa dello spirito al giorno della Pentecoste (At 2, 1-4). torna al testo

44. Però i doni che precedono non sono tutti miracolosi, vedi comm. 12, 8-10. torna al testo

45. Paolo cita l'esempio, ben conosciuto fra i gentili, delle parti del corpo; Tito Livio, His. II, 23; Seneca, Epist. 95, 52. torna al testo

46. Thomas W. Phillips, o.c., pp. 154-156; Albert Sidney Higgins, o.c., pp. 76-79; James D. Bales, o.c., pp. 18-20. torna al testo

47. Infatti, non possiamo accostarci alla Scrittura come a un codice pretendendo di poter avere una risposta precisa a ogni quesito. torna al testo

48. Vedi comm. 12, 11. torna al testo

49. Fausto Salvoni, Iniziazione Cristiana, dispensa della Facoltà Biblica di Milano, anno accademico 1965-1966, pp. 1-24. torna al testo

50. Così sono sinonimi immersi in cristo e seppelliti nella sua morte (Rm 6, 3); immersi in Cristo e rivestiti di Cristo (Ga 3, 27). Quando nel N.T. l'immersione nello spirito è contrapposta all'immersione nell'acqua (Mt 3, 11; At 1, 5), si riferisce in ogni caso alla manifestazione visibile dell'immersione nello spirito (At 2, 1-3). torna al testo

51. Settimo Cipriani, o.c., p. 202. torna al testo

52. Vedi comm. 12, 8-10. torna al testo

53. Il primo elenco è di nove doni. torna al testo

54. Sulle strutture delle comunità vedi Silvio Caddeo, la Figura degli Anziani-Sorveglianti, in «Ricerche Bibl. e Rel.», n. 2-3, Editrice Lanterna, Genova 1972, pp. 69-96. torna al testo

55. Il dono della guarigione potrebbe riferirsi a quello dei miracoli, così quello di governo ai primi tre. torna al testo

56. 12, 8-10; Rm 12, 6-8; Ef 4, 1. torna al testo

57. Finisce con la glossolalia al v. 28, mentre ai vv. 29-30 finisce con la glossolalia e l'interpretazione. torna al testo.

58. Notiamo che al v. 28 i doni sono otto, mentre ai vv. 29-30 sono sette. torna al testo

59. Nel senso da intendere che il N.T. ha abolito il V.T. (Cl 2, 14; Eb 7, 12; 10, 9) ovvero interiorizzato. Soltanto allora s'intenderà effettivamente la parte eterna della rivelazione divina. torna al testo

60. John McRay, To Teleion in 1 Corinthians 13, 10, in «Restoration Quarterly», n. 34, Abilene, Texas 1971, p. 183; O Clemente Romano 49, 5. torna al testo

61. Frank Pack, o.c., pp. 116-125; Albert Sidney Higgins, o.c., pp. 75-76; Thomas W. Phillips, o.c., p. 115. torna al testo

62. J.W: Mc Garvey - P.Y. Pendleton, Thessalonians-Corinthians-Galatians and Romans, The Standard Publishing Company, Cincinnati 1916, pp. 131-132; Jean Héring, La Première Epître de Saint Paul aux Corinthiens, Delachaux et Niestlé, Neuchâtel 1949, p. 120; Giuseppe Bonaccorsi, Primi Saggi di Filologia Neotestamentaria, S.E.I., Torino 1950, pp. 126-127; Settimio Cipriani, o.c., pp. 207-208; Ortensio da Spinetoli, o.c., p. 506. torna al testo

63. Settimio Cipriani, o.c., p. 108. torna al testo

64. Giovanni Luzzi, o.c., p. 859. torma al testo

65. Paolo morì verso il 67 d.C. Giovanni Luzzi, o.c., p. 749. torna la testo

66. Nel senso che siamo rinati (1 Pt 1, 3, morti al peccato e la morte non signoreggia più su di noi (Rm 6, 4-10. Nella forma nella quale siamo stati vivificati, salvati, risuscitati e seduti nei luoghi celesti (Ef 2, 5-6). torna al testo

67. Citati in Giuseppe Huby, o.c., p. 253. torna al testo

68. Ivi, o. 253. torna al testo

69. Giuseppe Bonaccorsi, o.c., pp. 129-130. torna al testo

70. Ortensio da Spinetoli, o.c., p. 507. torna al testo

71. Jean Héring, o.c., p. 122. torna al testo

72. Giuseppe Huby, o.c., p. 122. torna al testo

73. Settimio Cipriani, o.c., pp. 208-209; Italo Minestroni, in «La Buona Notizia», Editrice Lanterna, Genova 1972, p. 370. torna al testo

74. 1 Co 12, 10.29.30. torna al testo

75. Vedi comm. 12, 27 - 13, 7. torna al testo

76. Sacerdoti e profeti erano corrotti, barcollavano come ubriachi (Is 28, 7-8). Isaia non riusciva più a farsi intendere da loro, li paragona a bambini appena divezzati che non possono capire e, in segno di scherno, il profeta stesso balbetta come un neonato (Is 28, 9-10). Poi profetizza: « Con labbra balbuzienti, con lingua straniera si parlerà a questo popolo (Is 28, 11), perché non ha ascoltato Dio quando disse che la pace e la tranquillità stanno nel permettere agli oppressi di riposarsi (Is 28, 12). Perciò la parola di Yahveh avrà per voi questo significato ». In segno di scherno Isaia balbetta nuovamente come un neonato (28, 13); vedi anche Angelo Penna, Isaia, Marietti, Torino 1958, pp. 257-263. torna al testo

77. L'eccezione di Dn 12, 9 riguarda il futuro, non le scelte che giorno per giorno il credente deve sapere fare. torna al testo

78. Gerhard Kittel, 'akoúo , in «Grande lessico del N.T., o.c., vol. 1°, pp. 587-588. torna al testo

79 Sviluppa molto bene questo concetto Norbert Lohfink, Ascolta, Israele, Paideia Editrice, Brescia 1968, pp. 82-87. torna al testo

80. Giuseppe Huby, o.c., pp. 272-273. torna al testo

81. preferisco tradurre  profeteía con  predicazione B. Phillips o.c., pp. 62-63, 1 Co 14, 20-22; Johannes Kuhn-Helmut Riethmüller, o.c., vol II, p. 154, 1 Co 14, 20-25. torna al testo

82. Ivi, vol II, p. 154, 1 Co 14, 24-25. torna al testo

83. Nelle comunità cristiane del N.T. non troviamo mai una distinzione precisa fra culto e studio, fra riunione locale e privata, fra riunione settimanale e domenicale. perciò le norme che qui Paolo intende dare si dovrebbero riferire a tutte le volte che i fratelli s'incontrano per realizzare un incontro di fede. torna al testo

84. Purtroppo i movimenti entusiastici come i pentecostali, spesso si dimenticano di tradurre molte delle espressioni glossolale  e molte esperienze di fede non vengono intese da tutti i presenti creando confusione. torna al testo

85. Luciana Caddeo, La Posizione della Donna, in «La Prima Lettera di Pietro», Editrice Lanterna, Genova 1971, pp. 115-131. torna al testo

86. Su questo tema confrontare lo studio di Fausto Salvoni qui pubblicato. torna al testo

87. Infatti la salvezza proviene dei giudei (Gv 4, 22). torna al testo

88. Vedi comm. 12, 10.29.30. torna al testo

89. Vedi comm. 14, 1-19. torna al testo

90. Vedi comm. 14, 20-25. torna al testo

91. Vedi comm. 14, 26-38. torna al testo

92. Probabilmente a questo stesso problema si riferisce 1 Te 5, 19. torna al testo

93. Credo che sviluppi abbastanza bene il problema della fratellanza verso le altre esperienze di fede Fausto Salvoni, Per un Ecumenismo Cristiano, in «Ricerche Bibl. e Rel.», n. 2, Editrice Lanterna, Genova 1970, 99. 11-38. torna al testo

94. Vedi comm. 14, 26-38. torna al testo

95. John L. Sherrill, o.c., pp. 44-45. torna al testo