DAL CRISTIANESIMO.....
      AL CATTOLICESIMO
di Fausto Salvoni

CAPITOLO QUINTO
AUTORITA' DELLA BIBBIA


Indice pagina

1) Il concetto di autorità
2) Predicazione e fede biblica
a) fede biblica
b) Come creare la fede
c) Fede, non Credo!
3) Trasmettere la fede biblica
a) Con la parola
b) Con la vita
4) L'insegnamento
a) Nulla aggiungere alla Bibbia
b) Correggere i nostri sbagli con la Bibbia
5) Come non errare nell'intendere la Bibbia
a) Togliere l'ignoranza
b) L'aiuto dello Spirito Santo
6) Il pensiero dei primi padri


1) Il concetto di autorità

L'autorità è « il diritto di comandare, il potere (riconosciuto o no) di imporre ubbidienza » (Larousse). Perché non diventi « autoritarismo», deve giustificarsi in qualche modo: tramite la natura (autorità paterna o materna per la nascita), le doti individuali (qualità superiori, maggiore conoscenza, esperienza più ricca) o l'utilità (per ottenere una vita sociale più organizzata o per raggiungere un determinato scopo). L'autorità può anche essere giustificata da una specie di fede nell'individuo che ci guida, dal desiderio di non affaticarci personalmente nella soluzione dei vari problemi affidandosi a un altro. Oggi v'è tra gli uomini una radicale opposizione all'autorità come tale, perché rispecchierebbe un'epoca sociologicamente superata, priva ormai di ogni ragione d'essere. Già sin dal tempo dell'illuminismo la teologia liberale aveva reagito contro l'autoritarismo religioso, e la schiavitù della legge, come risulta dagli scritti del Sabatier.

Per il cristiano credente l'unica vera autorità è Dio, che presentandosi quale principio creativo di ogni essere, è pure il tutore e il garante della libertà da lui creata, Perciò di solito Dio, anziché manifestarsi direttamente o agire entro la scena della storia umana per raddrizzarla nei suoi traviamenti, si dispiega esistenzialmente in essa. Così, assieme allo sviluppo sociale umano, si attua pure un progresso religioso che dagli antichi patriarchi passa al legislatore Mosè e ai profeti, per raggiungere il suo vertice supremo nel Cristo, il « Figlio di Dio ». La Bibbia ha autorità? Certamente! Ma il suo valore è spiegato in modo diverso dagli studiosi. Per alcuni il valore della Bibbia consiste nel fatto che essa raccoglie le varie esperienze avute in passato da esperti in religione. Un esperto è pur sempre un'autorità nel suo campo; ora gli autori biblici « uomini divini » (Thèioi ànthropoi), ossia dei geni in campo religioso, anche se qualitativamente differenti, superati tutti da Gesù. La Bibbia rifletterebbe quindi gli sforzi con cui alcuni uomini raggiunsero i supremi ideali religiosi, esprimerebbe le esperienze e i risultati personali da essi raggiunti. L'Antico Testamento sta quindi nell'ombra come i primi tentennamenti religiosi, mentre l'esperienza di Gesù ha sì grande valore da poter ancor oggi influire beneficamente sui pensieri e le azioni dell'uomo moderno.

Tale ipotesi non riesce tuttavia a spiegare come mai lo sforzo umano abbia raggiunto il suo culmine in Cristo, anziché prolungarsi oltre in altri geni a lui superiori, in quanto il progresso umano è illimitato. La Bibbia non rappresenta lo sforzo umano per salire a Dio, bensì l'abbassamento e l'adattamento di Dio per elevare l'uomo a sé, preparando gradatamente l'umanità a ricevere in Cristo la suprema manifestazione dell'amore divino.

Per altri occorre distinguere tra i valori della Bibbia e quello delle persone che vi parlano: Mosè (Torà), i profeti dell'A.T., gli apostoli, le primitive formule con cui la confessione di fede si esprime. Tutti costoro furono delle autorità, non per la loro personale esperienza religiosa, ma perché vennero inviati da Dio a proclamare la sua parola nelle varie situazioni storiche in cui vivevano. Essi sono quindi parte della « buona notizia» (euaggellion), che è «potenza di Dio a salvezza » e che di continuo raggiunge l'uomo.

L'autorità somma è il Cristo risorto che si presenta al mondo non con una nuova legislazione, ma con un suo proprio comportamento esistenziale: divenuto amico dei pubblicani e dei peccatori, è morto per essi in obbedienza a Dio. La sua autorità è quella di un «uomo-per-gli-altri». Egli non si impone con la forza, tant'è vero che fu messo sotto i piedi dalle autorità mondane e religiose del suo tempo; la sua è un'autorità d'amore, alla quale ognuno liberamente si sottopone. La Bibbia ha valore perché è l'unico mezzo con cui conosciamo il Cristo e la sua preparazione sin dal tempo di Abramo, anzi sin dal peccato di Adamo. Gli uomini non potendo trovare altrove che in Gesù Cristo l'esistenza della rivelazione divina, sono necessariamente legati alla Bibbia, che permette loro di conoscere i fatti con cui l'Altissimo si mostrò all'uomo. Perciò il cristianesimo, pur potendosi chiamare una religione del libro (eine Buchreligion), in quanto solo per mezzo della Sacra Scrittura conosce il cristo, di fatto è la religione di una persona, poiché il Cristo, e non la Bibbia, sta al centro della vita cristiana. Porre l'essenza del cristianesimo nella Bibbia sarebbe commettere lo sbaglio di trasferire ai raggi solari l'essenza del sole, al vaso l'importanza del tesoro che contiene. La Bibbia ci presenta il Cristo e la sua salvezza, ma essa non è il Cristo e non è nemmeno la salvezza. La Bibbia fu scritta per condurci a Cristo.

Queste cose sono state scritte – disse Giovanni – affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e affinché credendo abbiate vita nel suo nome (Gv 20, 31). Quel che abbiamo visto e udito lo annunciamo anche a voi, affinché voi abbiate comunione con noi, E la nostra comunione è con il Padre, e con il suo Figlio, Gesù Cristo (1 Gv 1, 3).

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2) Predicazione e fede biblica

a) Fede biblica

La lettera agli Ebrei, dopo aver definito la fede come « un dare sostanza (ypòstasis) a realtà sperate e certezza a realtà ancora invisibili », presenta esempi concreti di persone che per fede sperarono contro ogni speranza. per costoro la fede non era qualcosa di astratto o di teorico, bensì la «fiducia », la «sicurezza » che la promessa divina si sarebbe avverata; era un « appoggiarsi a Dio» che rimane fedele alle sue promesse.. Abramo, pur credendo con certezza che da Isacco gli sarebbe venuta una posterità numerosa, fu pronto anche a sacrificare il suo stesso figlio a Dio, sicuro che al Creatore non sarebbe mancata la potenza di farlo risorgere se necessario, pur di realizzare quanto aveva promesso; così egli lo riebbe « come per una specie di resurrezione» (Eb 11, 7; Rm 4, 16-23). Con la medesima fede, noi pure, dobbiamo credere che Gesù è stato dato per le nostre mancanze, ma che è stato risuscitato per la nostra giustificazione (Rm 4, 25). Anziché lasciarsi abbattere dai nostri peccati, occorre ricordare che Gesù, fattosi obbediente fino alla morte della croce, riservata allora a uno schiavo oppure a un maledetto da Dio, ha voluto riparare la nostra disubbidienza /Fl 2, 7) e farsi più vicino a noi per meglio simpatizzare con le nostre debolezze (Eb 4, 15 s) e divenire nostro avvocato presso il Padre (1 Gv 2, 1). Anche ora come al tempo degli apostoli, occorre avvicinarsi alla gente sfiduciata, sofferente, isolata e immersa spesso in una vita senza scopo, per suscitare in loro la «fiducia nel Cristo », la brama di seguirne gli esempi di bontà e amore.

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b) Come creare la fede

La «fede» non scende già compiuta dal cielo, è frutto d'amore divino che l'uomo accoglie, è l'effetto congiunto della misericordia di Dio che chiama e dell'ubbidienza umana. Mezzo di questa chiamata è la « predicazione », il kèrigma, per usare in termine greco ora assai di moda. Lo afferma chiaramente l'apostolo Paolo:

Se con la bocca confesserai che Gesù è il Signore e crederai con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per la giustificazione e con la bocca si fa confessione per la salvezza... chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo. Orbene come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? E come crederanno in colui del quale non hanno ancora udito parlare? E come sentiranno parlare se non v'è chi lo predichi? e come predicare se non si è mandati? (Rm 10, 9-15).

Gli apostoli, e dopo di loro tutti i credenti, sono stati mandati per recare l'annuncio della salvezza, la buona notizia (= vangelo) che in Cristo Dio accoglie quali suoi figli gli uomini peccatori. Questo «vangelo» non consiste in una dottrina astratta, ma in una persona, che viene presentata per mezzo della predicazione, affinché l'uomo a lui si affidi, per cui Paolo può dire che: «è piaciuto a Dio salvare i credenti mediante la follia della predicazione » (1 Co 1, 21).

Il nucleo essenziale della predicazione rivolta ai non credenti era assai semplice, e si può ricostruire dai vari accenni sparsi nel Nuovo Testamento, specialmente nei testi più arcaici. «Un uomo accreditato da Dio» (At 2, 22), trascorse una vita «facendo del bene e liberando tutti coloro che stavano sotto il dominio di Satana, poiché Dio era con lui » (At 10 ,38). Crocifisso, « non potè rimanere sotto il potere della morte », per cui Dio lo ha risuscitato (At 2, 24). Il Cristo vivente « è stato visto da Cefa (Pietro), poi dai dodici, inseguito da molti altri, e finalmente da Paolo » (1 Co 15, 5-8). Elevato alla destra di Dio, verrà alla fine dei tempi, al momento della restaurazione universale per condannare « i vivi e i morti» (At 10, 42). Unico mezzo per sfuggire a tale condanna è l'affidarsi a Cristo, poiché «non vi è altro nome - vale a dire altra persona - per mezzo del quale gli uomini possano essere salvati » (At 4, 12); infatti «il perdono dei peccati è accordato nel suo nome a chiunque crede in lui » (At 10, 43). Rivolgendosi ai Tessalonicesi, Paolo ha scritto: « Voi vi siete convertiti dagli idoli a Dio per servire l'Iddio vivo e vero e per aspettare dai cieli il Figlio suo che egli ha risuscitato dai morti, Gesù che ci salva dall'ira che viene » (1 Te 1, 9 s). La conversione in Cristo include infatti un cambiamento radicale di mentalità, un mutamento definitivo di vita: chi abbraccia il Cristo lascia alle sue spalle il proprio passato peccaminoso, la rompe con tutti gli idoli che prima adorava: denaro, gloria, successo, passione, saggezza del mondo, per aderire al Dio vero, del quale accetta le direttive trasmesse per mezzo di Gesù e dei suoi apostoli. La conversione implica « un  servizio » (douléuein), che, secondo l'uso della schiavitù antica, significa appartenergli interamente, dipendendo da lui senza più avere una volontà propria e senza più vantare diritti personali, ma facendo propria la mente di Dio, svelataci del Cristo.

Il cristiano, che così si dona al suo Salvatore, vive nell'attesa di un avvenire migliore: la vita del cristiano è una marcia verso il futuro già iniziatosi con la sua fede, ma che avrà il suo pieno compimento con la venuta gloriosa del Cristo (1 Te 4, 14 ss). Questa speranza include la certezza che il Cristo già sin d'ora si trova accanto a Dio quale Signore dell'universo, per cui quel Gesù che è morto sulla croce come un malfattore è stato risuscitato dal Padre, in premio della sua ubbidienza. Questa resurrezione è l'elemento essenziale del messaggio salvifico cristiano. Paolo infatti, sintetizza in scarne ma efficaci parole, ricevute probabilmente dalla tradizione dei Dodici, l'atto divino fondamentale che il credente deve accettare per fede:

Vi ho trasmesso in primo luogo quello che anch'io ho ricevuto:
– che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture
– che fu sepolto
– e che risuscitò il terzo giorno secondo le Scritture (1 Co 15, 5).

Tale fede era indispensabile al credente prima del suo battesimo, come appare da una frase del libro degli Atti, che pur non essendo ispirata perché mancante nei codici principali, rappresenta l'uso della chiesa primitiva: « Io credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio » (At 2, 37). A tale professione di fede allude probabilmente la « bella confessione » compiuta da Timoteo «in presenza di molti testimoni » (1 Ti 6, 12).

L'atto fondamentale della salvezza umana, vale a dire la morte e la resurrezione del Cristo, rivissuto dal credente nel suo battesimo (Cl 2, 13), era simboleggiato ogni domenica nella Cena del Signore, che ricorda il corpo di Gesù offerto per noi e il sangue da lui versato per stabilire il nuovo patto d'amore con il Padre misericordioso (1 Co 11, 25 s). La sua conoscenza bastava per divenire cristiano; l'insegnamento più completo sarebbe continuato dopo la sua conversione.

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e) Fede, non credo!

Ma con il passar dei secoli, come abbiamo già visto, la fede da «fiducia nella promessa divina», si trasformò nell'accettazione di una dottrina astrattamente formulata (credo, simbolo).

Nell' « abbandono a Dio» si è incluso, secondo il Cattolicesimo, l'accettazione teorica di tutto quanto la chiesa di Roma va continuamente scoprendo nel dato rivelato, tramite l'indagine teologica, accolta dal magistero ecclesiastico. L'adesione a Dio include quindi anche l'adesione all'insegnamento ecclesiastico.

Occorre invece ridare alla professione di fede il suo senso originario di adesione vitale a Dio, che ci salva nel Cristo (1 Co 6, 19; 1 Pt 1, 18). La « buona notizia» (evangelo), disse Paolo, non venne a noi soltanto a parole, ma « è stata accompagnata da miracoli, dallo Spirito Santo e da una profonda certezza» (1 Te 1, 5). Essa è quindi l'annuncio efficace della parola di Dio, che non è pura manifestazione oratoria o presentazione del proprio pensiero, non è un'astratta formula dommatica, un ricordo del passato, ma qualcosa di prodigioso che, agendo misteriosamente negli uditori, produce certezza. Per attuare tale confessione di fede non vi è alcun bisogno di magistero ecclesiastico, bastando la testimonianza degli apostoli. Il magistero sgorga dal fatto che si è voluto ridurre la fede a una teologia, mentre essa è fiducia in Dio, che eleva l'uomo a sé per mezzo dell'Uomo Nuovo Gesù Cristo che con la sua ubbidienza ripara la disubbidienza umana.

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3) Trasmettere la fede biblica

Chiunque ha esperimentato la bontà di una medicina cerca di presentarla ad altri ammalati; chi ha trovato salvezza in Gesù cerca di far conoscere ad altri l''esistenza del Salvatore. I cristiani devono infatti « proclamare la potenza di colui che li ha chiamati dalle tenebre alla sua meravigliosa luce» (1 Pt 2, 9), come facevano i primi credenti i quali andando di luogo in luogo annunziavano « la buona nuova della parola » (At 8, 4; 11, 19 ss). Ciò può essere attuato in due modi: con la parola e con l'esempio.

a) Con la parola

Tutti i cristiani devono fare proprie le parole che Paolo rivolgeva a Timoteo:

Annunzia la parola, insisti a tempo e fuori tempo, confuta, rimprovera, esorta con ogni longanimità e dottrina. Verrà infatti il tempo in cui gli uomini non sopporteranno più la sana dottrina ma, secondo i loro desideri e per il prurito di udire, si faranno un mucchio di maestri e distoglieranno l'udito dalla verità, rivolgendosi invece alle favole (2 Ti 4, 2 ss).

In che consiste questa parola? Non nel presentare una dottrina astratta, bensì, come abbiamo visto, l'intervento salvifico di Dio nella morte e resurrezione di Gesù Cristo. Come gli imperatori affiggevano a una colonna i propri decreti perché tutti ne prendessero visione, così la chiesa, per mezzo dei credenti che la costituiscono, deve ergersi in mezzo al mondo come colonna alla quale sta affissa la buona nuova cristiana, che Paolo sintetizza nelle parole seguenti:

– Colui, che si manifestò nella carne,
– fu giustificato per mezzo dello Spirito,
– apparve agli angeli,
– fu predicato fra i pagani,
– fu creduto nel mondo,
– e fu elevato nella gloria (1 Ti 3, 16).

In tal modo essa diviene «colonna di verità ».

Di questa « buona notizia» parlava di continuo Paolo, come appare dal verbo greco laléo che pone l'accento sulla ripetizione dell'insegnamento e fa venire in mente le persone che agli angoli della strada trascorrono il tempo in chiacchiere più o meno utili. L'apostolo non si stancava mai di parlare, non di ciance inutili bensì del Vangelo, approfittando di ogni circostanza, di ogni incontro con la gente:

Abbiamo trovato nel nostro Dio il coraggio di parlare a voi della Buona Notizia di Dio in mezzo a tante lotte... perché siamo stati giudicati degni di ricevere la Buona Notizia, noi parliamo (1 Te 2, 2.4).

Questa fede possedevano in qualunque parte  della terra vivessero: « Le chiese fondate nella Germania non credono diversamente e non tramandano diversamente, al pari delle chiese sorte nella Spagna o presso i Celti o in Oriente o in Egitto» (Ireneo, Adv. Haereses 1, 10, 2).

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b) Con la vita

Perché il messaggio di vita possa venire accolto, occorre che il cristiano mostri con il suo comportamento pratico di credervi prima lui. Paolo ce ne dà l'esempio quando afferma: «Eravamo pronti a darvi non solo la Buona Notizia, ma anche la vita » (1 Te 2, 8). Per attuare il suo compito l'apostolo era pronto a confermare la propria fede con l'immolazione di se stesso. Occorre infatti che la propria dedizione al Cristo sia accompagnata da una vita conforme alla sua, che la nostra «fede » sia accompagnata dalle opere (Gc 2, 14-18). Come i vescovi devono essere di esempio al gregge (1 Pt 5, 3), così i credenti devono essere di esempio ai non credenti, ricordando le parole di Paolo agli anziani di Efeso:

Voi sapete come io vissi tra voi ogni momento, di giorno in giorno in mezzo alle insidie dei giudei; come non mi sia mai ritirato dall'annunziarvi e dall'insegnarvi in pubblico e per le case cosa alcuna di quelle che vi fossero utili, scongiurando giudei e greci a ravvedersi dinanzi a Dio e credere nel Signore nostro Gesù Cristo... Vi protesto quest'oggi che sono puro dal sangue di tutti, perché non mi sono tratto indietro dall'annunziarvi il consiglio di Dio... Ricordate che per lo spazio di tre anni, notte e giorno, non ho cessato di ammonire ciascuno con le lacrime... Io non ho bramato né oro né argento né il vestito di alcuno! Voi stessi sapete che queste mie mani hanno provveduto ai bisogni miei e di coloro che erano meco. In ogni cosa vi ho mostrato che è con l'affaticarsi così, che bisogna venire in aiuto dei deboli e ricordarsi delle parole del Signore Gesù, il quale disse: Più felice cosa è dare che ricevere (At 20, 18-35).

A ragione il cardinale Léger scrisse dall'Africa, dove si era ritirato per servire i lebbrosi: «Il cristianesimo è verità attuata nell'amore, Dov'è l'amore, oggi, in molti che si proclamano portatori di verità? Il mondo ha invece bisogno soprattutto di essere amato. Perché una verità senza amore, non è più nemmeno verità; è geometria astratta, sofisma, architettura di parole».

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4) L'insegnamento

Se la conversione al Cristo si otteneva con la predicazione (kerigma), il nuovo comportamento cristiano era presentato con l'insegnamento (didaché). Se la predicazione era rivolta ai non credenti, l'insegnamento era rivolto ai già cristiani. A loro gli apostoli hanno cercato di presentare le conseguenze indispensabili della nuova vita di fede, dicendo che non nella legge mosaica e nemmeno nelle creature angeliche vi può essere salvezza. Quali testimoni del Risorto, gli apostoli hanno insegnato che la preghiera va rivolta al Padre, tramite l'unico mediatore Gesù; hanno chiarito che in Cristo ogni creatura partecipa alla sua dignità regale, sacerdotale e profetica. Hanno insegnato che la nuova regola della vita spirituale consiste nell'allontanarsi da ogni peccato, nell'imitare Gesù e nel vivere la regola aurea: « Tutto quel che volete che gli altri facciano a voi, attuatelo voi per primi » (Mt 7, 12) Per questo i Dodici hanno presentato – seguiti in ciò anche dagli altri apostoli molti particolari illuminanti della vita di Gesù.

Come si vede tanto la predicazione come l'insegnamento non vogliono condurre l'uomo ad accettare una dottrina astratta, bensì a suscitare una personale dedizione esistenziale al Cristo, accettandolo prima come inviato di Dio che ci salva e poi come modello della nostra condotta spirituale.

Queste cose sono state scritte affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e affinché credendo abbiate vita nel suo nome (Gv 20, 31). A questo siete stati chiamati, perché anche il Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio, affinché voi pure seguiate le sue orme (1 Pt 2, 21).

Perché la loro predicazione orale (tradizione) non andasse persa, Paolo suggerisce a Timoteo di scegliere degli uomini «fidati» (non « fedeli, credenti», questo è già implicito nel fatto che si tratta di cristiani), capaci cioè di ripetere fedelmente ad altri quanto essi ricevettero da Timoteo e Timoteo stesso ricevette da Paolo in presenza di molti testimoni a garanzia di una trasmissione integra (2 Ti 2, 2). Essi devono ripetere solo quel che hanno udito, evitando ogni discussione sterile e stolta, originatrice di contese (2 Ti 2, 23).

Ma perché tale trasmissione fosse più sicura, gli apostoli hanno all'occasione messo in iscritto il loro insegnamento orale, sotto la guida dello Spirito Santo (Gv 14, 26; 16, 13 ss) perché non si perdesse memoria di ciò che essi videro e udirono e servisse così di insegnamento perenne ai cristiani (Gv 1, 14; 1 Gv 1, 1-4; 2 Pt 1, 16 ss; 1 Co 11, 23). In tal modo possiamo dire che la chiesa anche odierna poggia «sul fondamento degli apostoli-profeti». Ecco alcune norme per fondare la nostra vita individuale e collettiva sugli apostoli.

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a) Nulla aggiungere alla Bibbia

«Se qualcuno – fosse pure un angelo o lo stesso apostolo Paolo – vi annunciasse una buona nuova diversa da quella da me annunciata, sia anatema! » (Ga 1, 6-9). «Nulla aggiungete a ciò che è stato scritto», scriveva il convertito di Tarso ai Corinzi (4, 6), presentando i suoi scritti come un testamento, da rispettarsi scrupolosamente alla lettera senza alcuna aggiunta personale (cf. pure Ap 22, 18 s)

Gli scritti sacri parlano sì di un progresso, non però nella dottrina bensì nel numero, così come una candela ne accende numerose altre, come il piccolo granello di senape diviene una pianta su cui gli uccelli possono nidificare (Mt 13, 31 s.). Ammettono pure una crescita spirituale degli individui e della società che, come la pasta del lievito, si lasceranno gradatamente permeare dell'amore di Cristo dando frutti degni di conversione (Mt 13, 33), in modo di poter ripetere con Paolo «non son più io che vivo, ma è il Cristo che vive in me» (Ga 2, 20). Ma di un progresso teologico neppure la più pallida idea!

Gli apostoli furono già guidati dallo Spirito Santo (Gv 16, 12), per cui essi ricordarono ogni verità utile alla salvezza (Gv 14, 25 s). Il vangelo di Giovanni è già sufficiente a suscitare la fede e a salvare (Gv 20, 31 s). Si deve quindi accogliere tutto ciò che gli apostoli hanno trasmesso nei loro scritti. Il vangelo non può essere oggetto di scelte preferenziali: « accettare quel che piace e rifiutare quel che non piace – diceva Agostino – è credere più in se stessi che nel Vangelo » (Agostino, Contra Faustum 17, 3 PL 42, p. 342).

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b) Correggere i nostri sbagli con la Bibbia

Gli apostoli sapevano che nella chiesa sarebbero sorti molti errori, anche nell'interpretazione della Sacra Scrittura. Pietro riconosce che gli scritti paolini sono un po' difficili e tali da poter essere malamente intesi dai lettori, come anche le altre scritture (2 Pt 3, 16); il vangelo di Giovanni sa che un detto di Gesù era stato riferito in modo erroneo dalla tradizione quasi fosse promessa d'immortalità, mentre il senso primitivo era dubitativo: « Se voglio che egli rimanga fino a quando venga, che te ne importa? » (Gv 21, 21 s). Pietro è addolorato alla previsione di « maestri menzogneri» (2 Pt 2, 1) e Paolo parla di «operai fraudolenti » che si mascherano da «apostoli di Cristo», il che non deve fare meraviglia «perché lo stesso Satana si trasforma in angelo di luce» (2 Co 11, 13 s). Questi predicatori menzogneri sarebbero capaci di ingannare con i loro falsi prodigi perfino gli eletti qualora ciò fosse possibile. Egli sa che tra gli stessi vescovi sorgeranno dei lupi rapaci e delle persone che insegneranno cose perverse (At 20, 29 s). Quale occasione migliore per suggerire ai credenti la necessità di seguire il magistero infallibile dei vescovi? Gli apostoli avrebbero dovuto scrivere: « State attaccati ai vescovi, al successore di Pietro, ubbidite loro e così sarete sicuri di non errare, poiché, sotto la guida dello Spirito Santo, essi vi manterranno nella verità ». Eppure, nonostante le previsioni precedenti, essi continuarono a rimandare alla Bibbia. Di fronte all'errata interpretazione riguardante la sua pretesa immortalità, Giovanni (o un suo discepolo) riporta nel vangelo la frase esatta di Gesù (Gv 21, 23) e dice che il suo scritto è sufficiente a suscitare la fede e a raggiungere in tal modo la salvezza (Gv 20, 31 s).

Pietro sa che deve morire presto e, perché il suo insegnamento rimanga vivo, si affretta a scrivere la sua seconda lettera e richiama l'importanza della S. Scrittura per tale scopo, pur sapendo che molti l'avrebbero intesa male (2 Pt 1, 12-15,19ss).

Anche Paolo, per correggere gli errori sempre pronti a rinascere e per rendere perfetto il cristiano, rimanda Timoteo allo studio della Scrittura (che allora era l'Antico Testamento) integrato però dalla fede in Cristo Gesù:

Dall'infanzia hai conosciuto gli scritti sacri, che possono rendere saggio a salvezza per mezzo della fede in Cristo Gesù, Ogni Scrittura, ispirata da Dio, è utile a insegnare, a rimproverare, a correggere, a disciplinare nella giustizia, affinché l'uomo di Dio sia perfettamente equipaggiato, del tutto preparato per ogni opera buona (2 Ti 3, 15 ss).

Il suo discepolo Luca ha parole di elogio per quei semplici ebrei e gentili di Berea che ebbero la costanza di esaminare quotidianamente alla luce delle Sacre Scritture l'insegnamento paolino, accogliendolo solo quando si accorsero che esso era in armonia con la Bibbia (At 17, 11 s). Perché gli uomini moderni non potrebbero giudicare l'insegnamento dei loro vescovi e dei vari predicatori alla luce della Bibbia? Né si obietti che la Sacra Scrittura non può essere oggetto di «interpretazione personale » e che quindi ha bisogno di una guida infallibile e autentica sorretta dallo Spirito Santo e chiamata magistero ecclesiastico. Il passo biblico su cui si pretende da alcuni appoggiare tale idea, non si riferisce alla interpretazione della Bibbia già esistente, bensì alla sua formazione. La Bibbia non fu composta da persone che vi hanno espresso pensieri e divinazioni personali; esse vi hanno riportato solo il pensiero loro suggerito dallo Spirito Santo: « Poiché sapete, prima di tutto, che nessuna profezia della Scrittura sorge da privata interpretazione; infatti nessuna profezia venne mai da volontà umana, ma degli uomini parlarono da parte di Dio mossi dallo Spirito Santo » (2 Pt 1, 20 s).

Perciò il Cardinale Léger voleva che il Concilio affermasse la posizione tutta particolare della S. Scrittura:

Dev'essere chiaramente espressa l'assoluta prevalenza della rivelazione divina, del Verbum divinum in senso proprio, vale a dire della s. Scrittura. La Tradizione, anche le dichiarazioni del magistero ecclesiastico, persino quelle solenni devono esserle sottoposte . Le dichiarazioni del Concilio devono tendere a rimuovere e approfondire nella Chiesa la coscienza di questa assoluta trascendenza. La sua giusta proclamazione può contribuire notevolmente al dialogo ecumenico... Si deve distinguere in modo ben chiaro tra il magistero degli apostoli, che furono testimoni della resurrezione del Signore, la cui testimonianza è di natura costitutiva, e la testimonianza dei successori degli apostoli (Information vom Vatikanischen Presseamt 1-10-64; l' Oss. Rom., trovando sgradito questo intervento, lo riassunse in poche righe).

Di fronte all'odierna tendenza dommatica, che sottrae al credente ogni possibilità di controllo mediante la Bibbia, acquista un valore attuale e ancora più forte la confessione di fede detta La Rochelle (16° secolo):

Noi crediamo che la parola contenuta in questi libri (biblici) è proceduta da Dio, dal quale solo riceve la sua autorità e non dagli uomini. Poiché essa è la regola di ogni verità, contenente tutto ciò che è necessario per il servizio di Dio e per la nostra salvezza, non è lecito agli uomini, e neppure agli angeli di aggiungere, diminuire o cambiarvi alcunché. Ne segue che né l'antichità, né le abitudini, né le deliberazioni, né gli editti, né i decreti, né i concili, né le visioni, né i miracoli devono essere contrapposti a questa Scrittura; ma al contrario ogni cosa deve essere esaminata, regolata e riformata in accordo con essa (R. Mehl, Explicatione de la Confession de foi de la Rochelle, Paris 1959, p. 33).

Il cattolico Boris Ulianich al proposito delle parole profonde:

Ogni tema cristiano... non dovrebbe prescindere nella sua delineazione dalla Sacra Scrittura, e in particolare dagli scritti neo-testamentari che contengono l'annuncio, il messaggio, la testimonianza del Cristo. Ma – a questo punto va debitamente sottolineato – non si può invocare la Sacra Scrittura quando essa collimi con determinate nostre vedute ed esigenze, per lasciarla invece in disparte quando ciò non si dia. Un simile atteggiamento potrebbe ben definirsi farisaico. Ciò significherebbe strumentalizzare il dato rivelato e inficiare, per quanto in noi, la sua validità oggettiva; significherebbe violentare la parola di Dio. E' necessario invece far violenza a se stessi, alle proprie inclinazioni per omogeneizzarsi con la Scrittura nella sua interezza. Anche quando questa potrebbe ferire o addirittura negare qualsiasi verità cristiana o posizioni di pensiero e pratiche che ci stiano particolarmente a cuore (Boris Ulianich, Autorità e libertà nella Chiesa: abbozzo di una problematica, in «Il Mulino» 19 (1970), pp. 60-94 (citazione a p. 67).

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5) Come non errare nell'intendere la Bibbia

La Scrittura stessa suggerisce due mezzi: eliminare l'ignoranza e poggiare sull'aiuto dello Spirito Santo.

a) Togliere l'ignoranza

Pietro sa che «il diletto fratello Paolo » ha parlato «secondo la sapienza datagli»; sa che nei suoi scritti « vi sono alcune cose difficili a capirsi... come per il resto delle Scritture » (2 Pt 3, 15 ss). Egli afferma pure che tali scritti sono da alcuni «distolti dal loro vero senso (torti) a propria dannazione ». Ma ciò viene compiuto da persone « non istruite e instabili», le quali, proprio perché mancano di solida istruzione, si lasciano trascinare qua e là dagli insegnamenti altrui. Dunque, per evitare tale distorsione, occorre «istruirsi », eliminare l'ignoranza, studiare seriamente.

Il loro insegnamento sarà sempre qualcosa di provvisorio che servirà ad approfondire meglio il senso dei vocaboli, i quali mutano con il trascorrere dei secoli; le loro ricerche serviranno a farci conoscere il testo più genuino attraverso l'esame dei codici, a ripresentarci l'ambiente dell'epoca perché il dato biblico diventi sempre più comprensibile e chiaro. A togliere l'ignoranza servirà in modo particolare la lettura diuturna della Bibbia, che sola ci può dare la chiave interpretativa della mentalità con cui è stata scritta. Ecco alcuni suggerimenti per comprendere meglio la Bibbia.

1. Di solito parlando della Bibbia, se ne esalta l' « inerranza » presentandola astrattamente come « mancante di errori ». Occorre invece studiare positivamente come la Bibbia ci presenti la verità. La Sacra Scrittura sin dal suo inizio ha comunicato delle verità, ma con il progredire della rivelazione appare meglio come quelle singole verità dovevano essere intese e inquadrate nella verità totale che è la manifestazione di Cristo. La Sacra Scrittura, contenendo la rivelazione divina, è una, per cui le singole verità bibliche devono essere capite collocandole non solo nel loro contesto immediato, ma anche in quello di tutta la Bibbia, che ha l'unico oggetto centrale di mostrarci gli interventi salvifici di Dio, culminati in Cristo. Tutte le affermazioni bibliche sono tra loro collegate e convergono verso un unico centro, che le spiega meglio: la rivelazione finale di Gesù Cristo.

2. Leggere la Bibbia secondo l'intento per cui essa fu scritta. Essa non ci fu data per insegnarci delle cognizioni scientifiche naturali ; ma per mostrarci l'intervento di Dio nella natura e nella storia. E' uno sbaglio condannare le conquiste scientifiche, geografiche, storiche in nome della Bibbia. Si potrebbe incorrere nell'errore dei teologi del cinquecento e di Papa Urbano VIII che in nome di una pseudo-esegesi biblica condannarono Galileo, sostenitore della rotazione della terra attorno al sole e del sistema copernicano. La Bibbia si esprime con categorie del tempo, con nozioni scientifiche e storiche del passato, non per insegnare tali scienze, ma per trasmetterci mediante esse un messaggio eterno. Anche se tale cornice è ora superata, anche se può venir sostituita da cognizioni scientifiche nuove, di fatto l'insegnamento biblico rimane sempre valido ed eterno e deve permeare la cornice scientifica e storica odierna (teologia della storia e della natura). In tal modo è sempre possibile difendere l'inerranza della Bibbia, purché si trovi nei singoli passi biblici ciò che l'autore ci voleva insegnare. La verità della S. Scrittura sta nel manifestarci la salvezza realizzatasi in Cristo. Perciò tutto, anche la storia umana , oggetto del racconto di molti libri biblici, è considerata sotto l'angolo visuale del rapporto Dio-uomo. Ogni fatto vi è narrato per mettere in rilievo il suo rapporto con il mistero della salvezza. L'angolo visuale, «secondo il quale è da verificare l'inerranza biblica, è il rapporto di tutto ciò che viene narrato con la storia della salvezza » (S. Cipriani, in «Verità della Bibbia», p. 276).

Ciò non mette in pericolo la storicità dei fatti: « Gli eventi storici della Bibbia sono garantiti nella loro storicità, in quanto questi eventi esprimono l'intervento di Dio nella storia, in altre parole, in quanto sono direttamente connessi con la storia della salvezza » (De la Potterie, in «Verità della Bibbia», p. 290). Questo appare particolarmente nei grandi fatti dell'Esodo, nella conquista della Terra Promessa, nella resurrezione di Cristo e nella sua ascensione, per i quali «la verità della salvezza suppone e coinvolge anche necessariamente la loro verità storica » (De la Potterie, in «Verità della Bibbia», p. 291).

3. E' importante conoscere il genere letterario usato dai libri sacri: così si potrà meglio scoprire ciò che essi intendevano insegnarci. Daniele è un libro profetico o uno scritto apocalittico? A seconda della risposta data ne viene una interpretazione diversa dell'opera. Giona è un libro storico o una parabola? Il volume di Giobbe è storico o poetico? Al poeta è concessa maggiore licenza, che non a uno storico. La storia era concepita dagli Ebrei allo stesso modo con cui si concepisce oggi dagli occidentali? Davano gli antichi una grande importanza ai particolari o li lasciavano all'arbitrio dello scrittore che li poteva mutare a piacimento per abbellire il proprio scritto? La Bibbia è un libro storico nel senso odierno del termine o uno scritto teologico? Non per nulla gli Ebrei chiamano i libri biblici, che noi oggi diciamo storici, con il nome di « profeti primi », quasi a sottolineare che lo scrittore era mosso più da un intento teologico che storico nello scrivere tali opere. La risposta a questi problemi deve venire dall'analisi del genere letterario e deve precedere ogni studio serio della S. Scrittura, che voglia scoprirne il vero insegnamento. In questa indagini, tuttora agli inizi, occorre evitare sia le esagerazioni dei bultmanniani sia quelle dei tradizionalisti ad oltranza. Anche qui la verità sta nel giusto mezzo: in medio stat virtus . Questi aspetti umani del libro non devono essere visti come un « male necessario», ma come un mezzo indispensabile della «pedagogia » divina.. Non vi è opposizione tra teologo ed esegeta, o tra esegeta e critico, quasi che chi voglia vedere gli aspetti troppo umani del libro ne debba sminuire il valore divino. Occorre riconoscere nella Bibbia il libro che presenta ad ogni uomo in linguaggio umano la via della salvezza e della felicità.

« Dobbiamo – al dire di O. Culmann – evitare l'esagerazione di certi fondamentalisti che (quando torna comodo!) intendono la Bibbia in senso troppo letterale e quella di coloro che al contrario negano il valore storico persino di quei fatti che sono essenziali alla rivelazione, cadendo in un nuovo gnosticismo ». A ragione il Culmann si stupisce nel vedere che anche certi cattolici si sono lasciati sedurre da questo miraggio, con il conseguente deprezzamento del valore biblico (O. Culmann, Vrai et fausse oecuménisme, Paris 1971).

4. In questo insegnamento inteso dall'autore ispirato, occorre distinguere la proprio interpretazione dal testo stesso . La mia interpretazione può essere erronea, ma non può errare la Scrittura. Guai a identificare il proprio pensiero con il pensiero biblico. Il mio pensiero è condizionato dalla mia mentalità, dalle limitate conoscenze personali e dal progresso odierno degli studi biblici! Domani una nuovo scoperta o una migliore interpretazione potrà farmi cambiare opinione. Ma ogni spiegazione biblica ha sempre qualcosa di provvisorio, che non mi permette mai di identificarla con la verità eterna.

Vi sono però dei punti saldi ben fissi nella Bibbia sui quali non si può discutere se non si vuole eliminare del tutto la «buona novella »; essi sono così chiari da divenire indiscutibili:

Sono il fatto:

– che ogni uomo è peccatore e non può salvarsi con il proprio sforzo;
– che per questo deve innestarsi nella nuova umanità rinata in Cristo, morto e risorto;
– che a tale popolo di Dio si partecipa con la fede divenuta obbediente nel battesimo;
– che la legge di questa vita nuova è l'amore;
– che al rinato fedele appartiene la gloria presso il Padre nella quale già si trova il cristo risorto.

Sono punti essenziali che non si possono ritenere mitici da colui che vuole essere cristiano e appartenere al nuovo popolo di Dio. Sono gli elementi che appartengono alla predicazione, al kérigma biblico.

5. Per quanto concerne il progresso nella conoscenza della Sacra Scrittura – utile sì ma non indispensabile per la salvezza – occorre distinguere tra passi chiari e passi dubbi. I primi che non danno luogo ad alcuna discussione, bisogna metterli in pratica nel miglior modo possibile, pensando che Dio è al di sopra di ogni sapienza umana, che conosce meglio di tutti la sua creatura e ad essa ha adeguato il suo insegnamento. E' quindi normale che oggi molti studiosi cattolici riscoprano che la chiesa, quale si esprime nella Bibbia, si accorda meglio delle teologie umane alla mentalità dell'uomo contemporaneo.

Tuttavia se non vi è uniformità di interpretazione nell'intendere un passo, per ignoranza del valore di un termine o di un uso locale, oppure per il fatto che vi è usata una parola ambigua, polivalente e capace di più sensi, occorre lasciare libertà di interpretazione senza imporre ad altri il senso che personalmente vi abbiamo rinvenuto. Occorre tuttavia essere sempre pronti a mutare il proprio pensiero quando nuove scoperte o nuovi studi adducano maggiore luce al passo in questione. Solo così la nostra mente sarà aperta alla verità, e non trasformerà in fissità eterna ciò che, al contrario, ha solo carattere provvisorio. In tal modo non sgorgherà una tradizione che pretenda sovrapporsi alla parola di Dio, come fecero i rabbini al tempo di Gesù. La Bibbia sarà allora la « pioggia benefica » che non può ritornare vuota a Dio (Is 55, 8-11).

Si può quindi concludere questa breve sintesi con un detto ormai famoso, citato anche da Giovanni XXIII: «In certis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas ».

6. Mediante la Bibbia, che è come il vaso che contiene e trasmette il tesoro divino, Dio ci parla per rivolgerci una chiamata, un compito da svolgere nel vasto piano della redenzione. Leggendo la Bibbia vediamo sfilare dinanzi ai nostri occhi una schiera interminabile di uomini e donne, non molto dissimili da noi, ai quali Dio ha parlato per arruolarli nel grande combattimento della fede, da Abramo a Mosè, ai profeti, ai credenti di tutti i tempi. Così attraverso la Bibbia noi pure scopriamo un cammino di fede da percorrere in comunione con altri fratelli. Qualcuno potrebbe obiettare di non aver tempo sufficiente e capacità per tale studio; ma dobbiamo ricordare che il tempo sufficiente per quanto è essenziale alla salvezza, lo si deve trovare. L'interpretazione degli altri passi, utili ma non indispensabili, la si potrà compiere secondo le proprie esigenze e possibilità.

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b) L'aiuto dello Spirito Santo

Va pure notato che nel Nuovo Testamento viene assicurato ad ogni credente – e non a un particolare corpo docente (ad eccezione degli apostoli) – il dono dello Spirito Santo che facilita la comprensione della parola di Dio. Mentre nell'Antico Testamento lo Spirito veniva dato saltuariamente ai profeti e, in certe circostanze, ai giudici o ai re, nel Nuovo Patto è un dono concesso a tutti i credenti. Questa, anzi, secondo i profeti antichi sarebbe stata la caratteristica del tempo messianico:

Ecco verranno dei giorni nei quali con la casa di Israele io concluderò una nuova alleanza... Porrò la mia legge nel loro intimo, la scriverò nel loro cuore: sarò loro Dio ed essi il mio popolo. Uno non dovrà più stimolare l'altro né dire al fratello: «Riconosci Javé», perché tutti mi riconosceranno dal più piccolo fra essi al più grande (Gr 31, 31 ss). Così affermava anche il libro di Isaia: Tutti i tuoi figli saranno discepoli di Jahvé (Is 54, 13). E Gioele: Negli ultimi tempi – dice il Signore – manderò il mio spirito su ogni persona e saranno profeti i vostri figli e le vostre figlie (Gl 3, 1 ss).

Queste profezie si sono avverate – secondo Pietro – con la discesa dello Spirito Santo il giorno della Pentecoste all'inizio del cristianesimo, quando tutti i cristiani furono sigillati con lo Spirito divino (At 2, 2ss).

Paolo conferma tale idea in numerosi passi delle sue epistole, così bene sintetizzati da Tullo Goffi:

Tutti i fedeli sono ammaestrati da Dio (1 Te 4, 9); tutti sono abbeverati da uno stesso Spirito (1 Co 12, 13); tutti hanno ricevuto in abbondanza i suoi doni d'intelletto e di sapienza (1 Co 1, 4 ss). Quando i fedeli sono educati come adulti in Cristo e si lasciano condurre dallo Spirito (Ga 5, 16), essi riconoscono la voce del Cristo (Gv 10, 4); possiedono una facoltà di giudizio (1 Co 2, 10 ss). Per propria vocazione, i cristiani devono porre la propria vita sotto l'ispirazione dello Spirito di verità (Gv 14, 16 s) e saper testimoniare che realmente nel respiro dei fedeli respira lo Spirito Santo (Tullio Goffi, Il senso dei fedeli nella ricerca di teologia morale, in «Studia Patavina», 15 (1968), pp. 105-110; la citazione è a p. 106; il passo citato alla fine è tratto da Paolino da Nola, PL 61, 280).

Ai Tessalonicesi Paolo suggerisce di non estinguere lo Spirito:

«Non disprezzate le profezie; esaminate tutto e ritenete ciò che è buono », voi personalmente – dice l'apostolo – senza dipendere da un magistero particolare (1 Te 5, 19 ss).

Colui che più di tutti gli apostoli esaltò la potenza dello Spirito Santo è Giovanni, dal quale provengono le citazioni seguenti:

E' stato scritto nei profeti: Saranno tutti istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha accolto il suo insegnamento viene a me (Gv 6, 45).

Perciò ogni cristiano gode di uno speciale carisma dello Spirito Santo:

Quanto a voi avete il carisma da parte del Santo e lo sapete tutti... il carisma che riceveste da lui dimora in voi... rimanete in lui come vi istruì (1 Gv 2, 20 ss).

I singoli cristiani possono quindi distinguere il profeta buono dal falso, senza bisogno di uno speciale magistero ecclesiastico; il loro giudizio poggia sul Cristo, che è, appunto come vedemmo, il centro della fede cristiana:

Carissimi, non credete a ogni spirito, ma esaminate se gli spiriti sono da Dio, perché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo. In questo conoscerete lo spirito di Dio: ogni spirito che non confessa, non è da Dio (1 Gv 4, 1 ss).

Le frasi precedenti, che la Bibbia rivolge a tutti i cristiani, si andarono progressivamente restringendo e applicando in modo esclusivo alla gerarchia. Secondo la Bibbia non vi è una chiesa docente contrapposta a una discente . Tutta la chiesa è in ascolto, obbediente, pronta a credere tutto ciò che la Bibbia insegna. Solo Gesù ci viene presentato come il Maestro che insegna alla sua chiesa: « Voi non vi fate chiamare Maestro, poiché uno solo è il vostro Maestro, mentre voi siete tutti fratelli » (Mt 23, 8). E' significativo constatare che nel Nuovo Testamento mai si afferma uno speciale dono dello Spirito Santo per i vescovi, anzi, come per gli altri cristiani (2 Ti 4, 1 ss), è profetizzato da Paolo che dal loro seno usciranno dei falsi maestri. « Io so che dopo la mia partenza (= morte) entreranno in mezzo a voi dei lupi rapaci che non risparmieranno il gregge e anche in mezzo a voi sorgeranno degli uomini a insegnare cose perverse per trascinare i discepoli dietro a sé » (At 20, 29 ss). Non è forse ciò una prova che costoro si trovano nella medesima situazione di tutti gli altri cristiani? Che la Scrittura non parla di un magistero infallibile deputato a un particolare gruppo di cristiani?

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6) Il pensiero dei primi padri

Le affermazioni precedenti non sono una novità, ma un dato riconosciuto sin dai primi tempi della Chiesa, dimenticato però in seguito.. Ciò risulta anzitutto dal fatto che nel 2° secolo i vescovi vollero stabilire un elenco dei libri sacri, quando ancora potevano riconoscere storicamente quelli che erano stati trasmessi sin dall'inizio come apostolici e quelli che invece erano dei falsi creati posteriormente. I primi furono appunto detti canonici, ossia «normativi », perché servissero di « norma» (canone) per la fede e la morale cristiana. Ad essi ricorrevano con insistenza gli scrittori ecclesiastici, cosicché si può accogliere come esatta l'asserzione seguente del cattolico Tixeront: «Fino al 4° secolo la Chiesa invocò l'autorità di Gesù Cristo e degli apostoli. Dal 5° secolo in poi, invocò in più l'autorità dei padri» (Tixeront. Histoire des dogmes, Paris 1922, vol. III, p. 552). Ciò può essere documentato dalle scarne citazioni seguenti che si potrebbero moltiplicare abbondantemente.

1. La « Didaché o Dottrina dei dodici apostoli » (scritto risalente in parte al al 1° secolo) così suggerisce al cristiano:

Non abbandonare le prescrizioni del Signore, ma custodisci quello che hai ricevuto senza nulla aggiungere e senza togliervi nulla.

2. Origene (+ verso il 253) amò talmente la Bibbia, da dedicarsi alla sua trascrizione su sei colonne (asapla) contenenti il testo ebraico, poi trascritto in caratteri greci, seguito da alcune versioni, segnalando su di esse con appositi segni diacritici le varie divergenze. Ecco quel che suggerisce per superare la difficoltà di qualche passo biblico:

Non lasciamoci perdere di coraggio quando sentiamo una Scrittura che non riusciamo a comprendere. Sorretti dalla fede pensiamo che ogni Scrittura divinamente ispirata è utile (2 Ti 3, 16). Dobbiamo infatti ammettere una delle due seguenti ipotesi: o che la Scrittura non è ispirata e quindi non è utile come pensa qualche incredulo, oppure se siamo credenti, che essa è utile perché divinamente ispirata.
Dobbiamo sapere che spesso pare di non riceverne alcuna utilità. Ma anche un cibo destinato, a detta dei medici, a guarire gli occhi, sembra che all'inizio non porti alcun giovamento. Ma se perduriamo con quel cibo, ecco che gli occhi migliorano. Il che avviene pure per tutte le altre diete. Dobbiamo pensare lo stesso per la lettura della S. Scrittura. L'anima ne trae giovamento anche se la mente sembra che non ne ricavi alcun frutto da ciò che si legge. Infatti il nostro spirito ne rimane incantato, le tendenze migliori vengono sorrette, mentre la tendenza verso il male si attutisce.
Questo lo diciamo – aggiunge Rufino nella traduzione latina più completa – per mostrare che nelle Scritture vi è una potenza tale che giova anche senza alcuna spiegazione (Origene, Omelia su Giosué c. 15 PG 12, 919. Trad. Latina PG 12, 924).

3 Cipriano, vescovo di Cartagine, morto nel 258, suggerisce di riprovare la verità di ogni tradizione riferendosi alla Sacra Scrittura. Prendendo lo spunto dalla frase di Stefano, vescovo di Roma: «Nessuna innovazione nella Tradizione », chiede:

Donde viene questa tradizione? Discende forse dall'autorità del Signore e dei Vangeli? Deriva da un comando delle lettere degli apostoli? Dio testifica che noi dobbiamo fare le cose scritte, dicendo a Giosuè: « Il libro della legge mai si diparta dalla tua bocca, meditalo giorno e notte perché tu possa osservare tutto ciò che in esso sta scritto ». Similmente il Signore quando mandò i suoi apostoli, comandò loro di battezzare tutte le nazioni e di insegnare loro a osservare tutto ciò che egli aveva comandato. Perciò se fosse comandato nei vangeli e nelle epistole o negli atti che coloro che provengono da una eresia non vanno battezzati ma che ci si deve accontentare di porre su di loro le mani, allora, essendo questa una tradizione divina, dovrebbe essere osservata. Ma se in questi libri gli eretici sono presentati come avversari e anticristi, se essi ci suggeriscono di evitarli ad ogni costo come perversi ed autocondannati, non siamo noi a condannarli perché sono condannati per loro conto dalla testimonianza degli apostoli.
Una consuetudine senza la verità non fa altro che documentare l'antichità dell'errore. Perciò se desideriamo conoscere la verità dobbiamo risalire alle sorgenti.
Se torniamo infatti al principio e all'origine della tradizione divina (Ossia la Bibbia di cui Cipriano aveva prima parlato), cessa ogni errore umano, e ciò che stava avvolto nella caligine... e da nubi oscure si apre alla luce della verità. Se il canale che prima copiosamente e con larghezza conduceva l'acqua viene improvvisamente meno, non si va forse alla sorgente per conoscerne la ragione? Per vedere cioè se si sono esaurite le vene della sorgente, oppure se l'onda che continua a profluire alla sorgente abbia cessato di scorrere durante il percorso per ostruzione o rottura del canale. E allora, purificato, ripulito e rafforzato il canale, si può ricondurre l'acqua per dissetare una città con la medesima intensità con cui essa sgorga dalla sorgente. Il che deve fare pur ora il sacerdote di Dio (noi diremmo il cristiano!) osservando i precetti divini. Che se in qualche punto la verità avesse a oscurarsi, dobbiamo tornare all'origine, ossia alla tradizione del Signore, quale si rinviene nel Vangelo e negli scritti apostolici, affinché da quel punto in cui è sorta, si rafforzi la ragione del nostro agire.

4. Atanasio (+ 373) vescovo di Alessandria, così parla:

Le Sacre Scritture ispirate sono sufficienti per conto loro a predicare la verità. Questi (libri canonici, senza gli apocrifi) sono la sorgente della salvezza, sicché colui che è assetato si può abbeverare pienamente degli oracoli che vi stanno contenuti. Solo in questi vi è la fonte della pietà predicata dal Vangelo. Che niuno aggiunga o tolga alcunché ad essi.

5. Cirillo, vescovo di Gerusalemme (+ 386), così scriveva nei suoi discorsi catechetici:

Tieni bene in mente che quanto ti abbiamo ora indicato per sommi capi, ti verrà esposto più abbondantemente se Dio lo concede, con prove bibliche addotte secondo la nostra capacità. E' infatti necessario, per quanto concerne i divini e santi misteri della nostra fede, che non si abbia ad asserire la pur minima cosa senza la testimonianza delle divine Scritture. Non si può infatti temerariamente abbandonarci ad affermazioni probabili o ad argomenti poggianti su costruzioni verbali. Non credere ingenuamente a chi ti espone questi misteri, se non ti offre una prova biblica di quanto dice. La nostra fede dalla quale proviene la salvezza, non può poggiare la sua forza su di un linguaggio facondo, ma solo su dimostrazioni delle S. Scritture .

6. Agostino (+ 430) vescovo di Ippona, ci ricorda spesso la frase: «Non crederei all'evangelo e a ciò non mi spingesse l'autorità della chiesa», ma con essa egli voleva solo dire che l'autorità della chiesa aveva storicamente indicato a lui quali vangeli fossero davvero composti dagli apostoli in mezzo al pullulare di molti apocrifi. Ma quando si tratta di stabilire ciò che è di fede, egli pone la Bibbia come normativa, superiore a tutti i concili particolari, provinciali ed ecumenici, e a qualsiasi autorità patristica. Bastino i passi seguenti:

Voi sempre avete sul labbro le opinioni di Cipriano, le lettere di Cipriano. Chi ignora che le Scritture canoniche dell'Antico e del Nuovo Testamento sono racchiuse entro limiti fissi e che la loro autorità è da preferirsi a ogni antica lettera dei vescovi, cosicché non si può nemmeno porre la questione se ciò che in esse è contenuto sia vero o falso?
Io non ricevo l'autorità di questa epistola (a Jubaiano) poiché non reputo canoniche le lettere di Cipriano... e perciò ricevo con lode ciò che in esse risulta in armonia con le divine Scritture, ma tranquillamente respingo ciò che con queste non si accorda. Se infatti quanto tu deducesti dalle epistole a Jubaiano fosse tratto da qualche libro canonico dei profeti o degli apostoli, nulla avrei da obiettare. Ma siccome ciò che adduci non è tratto dalla Bibbia, con quella libertà che il Signore mi dona, io non accetto alcuna opinione differente dalle Scritture, nemmeno se essa è di Cipriano, di cui del resto non potrò mai raggiungere la gloria e alla cui sapienza mai oserò paragonare i miei scritti; del quale ammiro il genio, nel cui spirito mi delizio, del quale esalto la carità ed elogio il martirio.
Dio ha costituito dei monti in Israele, cioè gli autori delle Sacre Scritture. Ciò che vi trovate, accettatelo, ma quanto non vi trovate respingetelo. Non errate in mezzo alle tenebre, ma ascoltate la voce del Pastore. Raccoglietevi sui monti della Sacra Scrittura; quivi è la delizia del vostro cuore; quivi non si trova alcun veleno; quivi è un pascolo ricchissimo. Come pecore sane accorrete a questo luogo... Sei tu che mi accusi, Non l'evangelo. Sei tu che mi condanni, non un profeta o un apostolo. Appena odo la parola di questi io credo, ma agli altri non credo. Tu (Donato) mi presenti gli Atti dei Concili; ma anch'io presento altri Atti dei Concili. Devo credere ai tuoi? Ma allora credi anche tu ai miei. Questi sono solo delle carte umane; mentre qui devono risuonare voci divine. Trai fuori dalla Scrittura anche una sola parola in favore di Donato, se lo puoi! Io al contrario te ne posso presentare infinite di queste parole in favore della Chiesa diffusa per tutta l'orbe terrestre.
Ma chi non sa che gli scritti canonici dell'Antico e del Nuovo testamento... hanno una tale preminenza su tutti gli scritti posteriori dei vescovi, che in essi non si può dubitare della verità e autenticità del loro contenuto; che invece gli scritti dei vescovi, stilati dopo la fissazione del canone, possono essere respinti dalla parola più saggia di qualcuno che sia esperto in materia, dalla autorità superiore di altri vescovi, da un'intelligenza più dotta e dai concili, quando in essi ci scosti in qualche punto dalla verità; che addirittura concili, tenuti in singole zone e province cedono senza preamboli (sine ullis ambagibus cedere) all'autorità di quei concili plenari, che si costituiscono da tutta la terra, e anche quei concili plenari passati vengono spesso corretti (saepe emendari) da altri posteriori, quando per una qualche maggiore esperienza della materia, si dischiuda ciò che era sigillato e si conosca ciò che era nascosto?

7. Crisostomo (+ 407) insiste sul valore della Bibbia per la salvezza:

E' impossibile che voi siate così ignoranti in ogni cosa. Fu proprio per tale ragione che la grazia dello Spirito Santo volle che pubblicani e pescatori, fabbricanti di tende e pastori, ignoranti e illetterati componessero questi libri, in modo che nessuno potesse ricorrere a tale scusa. Ma Egli vuole così affinché le cose allora dette potessero risultare comprensibili a tutti, che anche il meccanico e lo schiavo, la vedova e il più ignorante di questo mondo potessero tutti riceverne profitto e beneficio. E non fu per vanagloria, come i pagani, ma per la salvezza degli ascoltatori, che quegli autori furono dignificati dalla grazia dello Spirito Santo perché componessero questi scritti. Poiché i filosofi pagani, non cercando il benessere comune, ma la loro propria gloria, se mai dissero qualcosa di utile, la dissero in forma oscura, perché, d'altronde, essi stessi erano ottenebrati. Gli apostoli e i profeti, invece, fecero proprio l'opposto; infatti, ciò che da essi procedeva lo esposero in forma piana e semplice a tutti, quasi fossero maestri elementari, di modo che ogni persona potesse, anche da sola, mediante la semplice lettura, apprendere il senso di quanto essi dicevano.
E chi è colui che non possa chiaramente comprendere il contenuto dei Vangeli? Chi udendo: Beati i mansueti, beati i puri di cuore ecc. ha bisogno di un maestro per capire uno qualunque di questi detti? E quanto alla narrazione dei miracoli e delle opere potenti e dei fatti storici, non sono forse tutte cose chiare e intelligibili a chiunque? Il vostro è solo un pretesto, una scusa e un paravento alla vostra pigrizia. Dite di non capire il contenuto; e quando mai sarete in grado di capirlo se non lo studiate? Prendete il libro in mano, leggete l'intera storia, e quando vi sarete assicurata la conoscenza di ciò che è semplice, passate a ciò che è oscuro e duro, ma più e più volte. E se non potete afferrare il senso con una lettura costante, rivolgetevi a un maestro, notificategli la vostra difficoltà, mostrategli un grande interesse per la cosa; quando Dio vi vedrà così ansiosi, non deluderà la vostra diligenza e il vostro zelo. E anche se nessun uomo volesse insegnarvi quello che cercate, sarà di certo lui a rivelarvelo.
Ricordate dell'eunuco della regina etiope, il quale, sebbene barbaro di nascita e oberato da molti pensieri, anche se circondato da cose che richiamavano la sua incessante attenzione, leggeva sul suo carro. Ed era per di più incapace di capire ciò che stava leggendo. Se quello mostrava tanta diligenza durante il viaggio, potete figurarvi cosa fosse solito fare quando se ne stava a casa. Se non permetteva che il tempo passasse senza che egli leggesse, quanto maggiormente doveva attendervi quando si trovava seduto in casa? Se non sospendeva la lettura neppure quando nulla capiva, non avrebbe avuto ragione di farlo quando capiva. Infatti a comprovare che egli non capiva il brano che stava leggendo, sentite quel che gli disse Filippo: Comprendi le cose che leggi? E quello udito ciò, non arrossì né si sentì imbarazzato, ma riconobbe la propria ignoranza, dicendo: Come lo potrei se nessuno mi guida? Se rimaneva occupato nella lettura quando non aveva chi lo guidasse, si meritava che Dio gli facesse incontrare un maestro.
Ma ora – direte – non abbiamo qui alcun Filippo. Ma lo Spirito che guidava Filippo è ancora presente. Amatissimi, non scherziamo con la salvezza. Tutte queste cose furono scritte per ammonizione di noi che siamo agli ultimi tempi. Contro il peccato grande è la sicurezza che ci deriva dalla lettura della Scrittura. Grande è il precipizio e profondo l'abisso che si apre dinanzi all'ignoranza delle Scritture. E' questa ignoranza che ha causato eresie, che ha spinto al libertinaggio, che ha capovolto ogni cosa, perché è impossibile non trarre profitto quando costantemente si gusta l'intelligente lettura delle cose divine.
C'è un'altra scusa addotta da persone di simile indolente disposizione mentale, completamente infondata, e cioè che essi non hanno una Bibbia. Ora per quanto concerne il ricco sarebbe completamente ridicolo spendere parole intorno a tale pretesto. Siccome credo che molti nostri fratelli poveri sono abituati a servirsene, vorrei porre loro una domanda: non ha ciascuno di essi acquistato una perfetta e completa attrezzatura per i propri mestieri? Anche se la fame li affligge e la povertà li tortura, preferiscono sopportare ogni sacrificio piuttosto che privarsi di uno qualunque dei loro ferri e, vendendoli, vivere con il ricavato. Molti hanno preferito ricorrere a prestiti per sfamare le proprie famiglie, anziché privarsi del più piccolo utensile. E tutto ciò è naturale, poiché sanno che privandosene, si priverebbero di ogni mezzo per vivere.. Ora, proprio come i ferri del loro mestiere sono il martello o l'incudine o le tenaglie, i ferri della nostra professione sono esattamente i libri degli apostoli e dei profeti e tutte le Scritture composte per ispirazione divina e veramente profittevoli. Come con i loro attrezzi essi modellano qualunque vaso che hanno in mano,, così noi, con i nostri, lavoriamo per le nostre anime, correggendo ciò che è guasto e riparando ciò che è logoro. Non è dunque vergognoso che voi, quando si tratta dei ferri di questo mondo, non adducete alcuna scusa di povertà e vi prodigate perché nulla abbia a privarvene in questa vita, mentre non fate la stessa cosa per gli altri strumenti con i quali possono raccogliersi benefici ineffabili?
In ogni modo – egli continua – il più povero di voi non resterà ignorante sul contenuto delle Scritture se attenderà alla costante lettura di esse, che viene svolta (durante il culto). E non dite che è impossibile. E, se lo fosse, vi dirò io il perché. E' perché molti di voi non attendono alla lettura che qui viene fatta; voi venite per formalismo e poi ve ne correte a casa. E quelli che rimangono non sono molti migliori di quelli che se ne vanno, rimanendo tra noi presenti solo fisicamente, ma assenti nello spirito.

Se la fede è accettazione del Cristo e fiducia in Dio, se consiste nel sintonizzare la propria vita con quella del Cristo, ne viene che non vi è bisogno per questo di un magistero infallibile. Occorre solo conoscere il Nuovo Testamento e metterlo in pratica. Per approfondire tale conoscenza basta rivolgersi, quando è necessario, a delle persone competenti, che possono offrirci dei suggerimenti. Tuttavia non v'è nella Bibbia alcuna promessa di un aiuto speciale dello Spirito Santo, che abbia a guidare infallibilmente un gruppo di cristiani (magistero) né che li abbia a condurre alla scoperta di nuove verità particolari. Ogni verità necessaria alla salvezza è già contenuta nel Vangelo. Sarà lecito e doveroso ai competenti ogni sforzo per presentare il messaggio cristiano in modo più aderente alla mentalità e alla comprensione moderna, ma non sarà mai possibile imporre queste conclusioni quali dommi rivelati da Dio. La Scrittura deve sempre rimanere la pietra di paragone per saggiare qualsiasi insegnamento moderno. Solo così si seguirà l'insegnamento degli apostoli e si rimarrà in armonia con quanto insegnavano ai fedeli i vescovi dei primi secoli. Essi, più vicini dei loro successori alla origine del cristianesimo, sono anche più fedeli alla dottrina apostolica.

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