DANIELE 10

APPARIZIONE DI UN ANGELO
CHE ANNUNCIA A DANIELE
GLI AVVENIMENTI DEGLI ULTIMI TEMPI

Introduzione

Nei capp. da 10 a 12 abbiamo ancora una parola da parte del Signore, l'ultima rivolta a Daniele, attraverso una nuova visione. Il suo tema è la lotta, ma non viene raccontato attraverso quali allegorie e simboli gli sia stata rivelata. Daniele racconta invece ampiamente la spiegazione datagli da un angelo, apparsogli in una visione grandiosa, dopo aver pregato e digiunato per tre settimane (10, 1-19). L'angelo fa a Daniele una minuziosa cronistoria delle ultime vicende dell'impero persiano e di quello greco (10, 20 - 11, 4), specialmente della guerra fra I Seleucidi della Siria e i Lagidi d'Egitto (11, 5-20), soprattutto durante il regno di Antioco IV Epifane, di cui, insieme alle vicende politiche, è messo in luce anche quanto egli farà per annientare Israele (11, 21-45). Ma Antioco perirà e per Israele, protetto dagli angeli di Dio, spunterà il giorno della fine dell'angoscia e della resurrezione (12, 1-4). A questo punto Daniele chiede quando ciò avverrà e l'angelo gli risponde indicando il tempo della fine con formule misteriose (12, 5-13).
In quest'ultima visione la storia dei regni della Persia e della Grecia rappresenta in modo particolare per il popolo ebraico l'epoca della prova, successiva all'esilio in Babilonia. Tuttavia questa prova non durerà per sempre, ma ha la certezza di un termine, anche se tale termine rimane nascosto. Per i lettori Ebrei che stavano sopportando il peso di questa prova, il libro di Daniele costituiva un motivo di conforto e di speranza, specialmente davanti alla constatazione di molti connazionali che, messi alla prova, rinnegavano la loro fede nell'unico Dio.

Quest'ultima visione scopre anche un nuovo velo intorno alla storia del popolo eletto. Da una parte infatti essa ci presenta il quadro della presenza di forze misteriose che si aggiungono a quelle terrene nella lotta contro il popolo di Dio e che verranno poi riprese nuovamente da Giovanni nel libro dell'Apocalisse, come ad esempio la lotta dell'arcangelo Michele contro il Dragone che insidia la chiesa. Dall'altra al termine di questa lotta si apre una nuova prospettiva di risurrezione non più soltanto terrena e materiale, relativa al popolo ebraico soltanto, ma più universale per coloro che in genere soffrono per la loro fedeltà a Dio. Alla prospettiva di questa resurrezione finale si aggiunge anche una prospettiva di giudizio, non più soltanto terreno, ma che si proietta in un futuro escatologico.

Per queste due prospettive, quest'ultima visione acquista un valore che oltrepassa la storia del popolo di Israele, per assumere un respiro universale che investe tutto il popolo di Dio in tutti i secoli della storia umana.

V. 1-2-3: Questa nuova visione viene collocata cronologicamente in un'epoca posteriore di due anni alle vicende finora narrate nei capp. da 1 a 9 (Dn 1, 21). Siccome si tratta certamente di Ciro I il Grande, possiamo senz'altro datare questa visione nell'anno 536 a.C. Il messaggio divino viene definito come una « parola verace », insistendo sul concetto di verità di quello che viene rivelato a Daniele. La rivelazione riguarda in modo particolare un conflitto che sarà lungo. La visione viene compresa da Daniele  mediante la preghiera ed il digiuno che si protraggono per tre settimane.

V. 4-8. Dopo la preghiera ed il digiuno, viene anche precisato il giorno esatto del mese in cui Daniele ha questa nuova visione. Si tratta del ventiquattresino giorno del primo mese. Secondo il calendario religioso ebraico il primo mese corrisponde al mese di Nisan. Nella sera del 14 di questo mese veniva immolata la Pasqua, mentre dal 15 al 22 dello stesso mese venivano festeggiati gli Azzimi. Non viene detto nulla sul significato che poteva avere la scelta di questo particolare giorno, ma si dice soltanto che Daniele in questa visione si trova sulla sponde del grande fiume Tigri. Generalmente come « Grande Fiume» nella Bibbia viene indicato l'Eufrate che attraversa la città di Babilonia. Il Tigri invece si trova più ad oriente.

La visione viene introdotta con la solita espressione: « Alzai gli occhi e guardai». L'essere misterioso che appare a Daniele anche questa volta ha sembianze umane e ne viene descritto l'abbigliamento. Il suo vestito è di lino, cioè della stessa stoffa di cui erano fatte le vesti sacerdotali (Lv 16, 4; 1 Sm 2, 18), ma anche le vesti di coloro che erano inviati ad eseguire gli ordini di Dio (Ez 9, 2-3.11; Ap 15, 6). L'abbigliamento era completato da una cintura d'oro di Efaz. Efaz ci è sconosciuto, ma molto probabilmente sta ad indicare la località d'origine del metallo prezioso per metterne in rilievo la sua qualità pregiata.

La descrizione particolareggiata delle diverse parti del corpo dell'essere misterioso, che troviamo nel successivo v. 6. ha lo scopo di far comprendere non soltanto la sua natura angelica, ma soprattutto il fatto che proveniva da Dio. Una descrizione abbastanza simile la troviamo anche in Ezechiele al cap. 1 in occasione della sua visione del carro celeste.

La precisazione che la visione è vista soltanto da Daniele serve a farci capire che solo Daniele è il soggetto della rivelazione divina, che viene però anche confermata dalla testimonianza dei presenti. La stessa cosa succederà anche ai compagni di Saulo sulla via di Damasco (At 9, 7). Gli uomini che erano con Daniele fuggirono ed andarono a nascondersi per lo spavento provocato molto probabilmente dal rumore che essi udirono senza vedere nulla. Anche Daniele pur non fuggendo davanti alla visione, tuttavia viene preso da grande spavento per cui impallidisce e perde le forze.

VV. 9-14. Se davanti allo splendore dell'essere misterioso, Daniele, pur essendo preso dalla paura, rimane in piedi, quando ode le parole, che erano come il rumore di una moltitudine (v. 6), cade supino per terra e viene colto da un profondo sonno, come già era accaduto di fronte all'angelo Gabriele (8, 18).

L'angelo lo tocca e Daniele assume la posizione a carponi con le ginocchia e le palme delle mani appoggiate per terra. L'angelo quindi inizia a parlare apostrofandolo con una espressione caratteristica che abbiamo già trovato in Dn 9, 23 «uomo grandemente amato ». Lo invita a stare nella posizione eretta che è quella di colui che si appresta ad ascoltare i messaggi di Dio. Daniele si alza in piedi, ma è ancora tutto tremante a causa della presenza dell'essere celeste.

Davanti al timore di trovarsi di fronte ad un inviato di Dio, Daniele viene rassicurato dall'angelo il quale gli mostra in tal modo la benevolenza di Dio nei suoi confronti. La volontà di capire e le preghiere accompagnate dal digiuno sono state accolte. L'angelo è stato inviato per dare una risposta a queste preghiere.

Il principe del regno di Persia, di cui si fa menzione al v. 13 non è, come  si potrebbe pensare a prima vista, il re di Persia, ma l'angelo al quale è stata affidata la protezione divina del regno di Persia. Questo si deduce anzitutto dal fatto che il re di Persia viene menzionato a parte alla fine del versetto, ma anche dal fatto che subito dopo Michele è indicato come uno dei primi principi. Il termine "principe" sta quindi ad indicare un angelo. Dal testo dell'Ecclesiastico 17, 17 si apprende che era molto diffusa nel giudaismo la convinzione che ogni regno era affidato da Dio ad un angelo. Questo angelo resiste all'angelo rivelatore per ventun giorni. Siccome questo ostacolo viene da un angelo di Dio, questo ritardo va inteso nel senso che Dio stesso, nella sua giustizia, vuol ritardare la rivelazione del messaggio di salvezza ad Israele.

Dopo i ventun giorni (la durata del digiuno di Daniele; 10, 3 "tre settimane"), ecco intervenire in aiuto Michele, che, essendo gerarchicamente superiore, pone fine a questa resistenza dell'angelo del regno di Persia.

Rimosso l'ostacolo, l'angelo può venire a Daniele per fargli conoscere la rivelazione di Dio. Questa rivelazione riguarda in modo particolare gli eventi che accadranno al popolo di Israele negli ultimi giorni. La visione pertanto si riferisce ad un tempo futuro.

Abbiamo già parlato di Michele, quando abbiamo parlato degli angeli in generale. Il nome di questo angelo significa «chi è come Dio» ed appare qui per la prima volta. Dal v. 21 apprendiamo che Michele è l'angelo preposto alla custodia e protezione di Israele e come tale apparirà nuovamente nel N.T. (Gd 9; Ap 12, 7). Essendo indicato come uno dei primi principi, si fa per la prima volta allusione ad una gerarchia, costituita da gruppi di angeli dello stesso grado, al primo di questi gradi appartiene appunto Michele, che in seguito è detto anche "arcangelo" (Gd 9). Michele viene in aiuto dell'angelo rivelatore, non tanto perché questo angelo innominato non riuscisse a superare la resistenza dell'angelo del regno di Persia, quanto nel senso che, dovendo egli venire a parlare a Daniele, un altro Principe (o angelo) doveva prendere il suo posto contro l'angelo del regno di Persia. Il pensiero che viene qui espresso è evidente. Tra la Persia ed Israele c'è una lotta che viene combattuta al livello dai rispettivi angeli. Israele non riesce a vincere la Persia. Quest'ultima anzi ha il sopravvento, ma non riesce ad annientare del tutto Israele per l'intervento di Michele.

Partendo dall'antefatto della lotta fra la Persia ed Israele, lo scopo dell'angelo rivelatore è quello di far comprendere a Daniele gli sviluppi successivi di questa lotta. Il termine di questo periodo di lotta non viene esplicitamente indicato, ma implicitamente si indica già la soluzione finale di questa lotta.

VV 15-21. All'annuncio dell'immane lotta tra l'angelo della Persia e Michele, l'angelo protettore di Israele, Daniele è preso da spavento. Davanti al colosso persiano infatti la disfatta di Israele sembra ormai certa. Ma proprio in quel momento l'angelo misterioso annuncia con sicurezza la vittoria finale di Israele, perché Michele è invincibile, mentre non lo è l'angelo della Persia, contro cui si annuncia la lotta dell'angelo della Grecia. Israele insomma è provato e perseguitato, ma non soccomberà.

I versetti 16-17-18 e 19 usano un linguaggio un po' difficile per noi, ma caratteristico delle visioni e che troviamo anche in altri profeti dell'Antico Testamento, come ad esempio, Ezechiele. In pratica qui l'autore vuole comunicarci che Daniele per lo spavento era rimasto ammutolito, senza parole e profondamente prostrato, ma avverte come una percezione fisica sulle sue labbra: « uno con le sembianze di un figlio d'uomo mi toccò le labbra ». Questa percezione fisica lo rincuora e lo sblocca in modo che egli possa almeno esprimersi e comunicare all'angelo misterioso lo stato di prostrazione profonda in cui era caduto a seguito della rivelazione. L'angelo rende ancora più tangibile la sua presenza fisica, rincuorando ulteriormente Daniele, che riprende forza e si appresta ad ascoltare quello che l'angelo doveva ancora dirgli sulla visione che aveva provocato in lui tanto spavento e tanta prostrazione.

Le parole dell'angelo sono rassicuranti. Nella lotta interverrà anche l'angelo della Grecia, ma Daniele può stare tranquillo in quanto l'angelo di Israele, Michele è molto più valoroso. Anche se questo non viene detto esplicitamente, le parole dell'angelo misterioso lasciano intravedere quello che sarà l'esito finale di questa lotta che viene combattuta sì sulla terra, ma anche in cielo. Ed è appunto in cielo che Israele ha un alleato invincibile nel suo principe protettore.

DANIELE 11

FUTURI CONFLITTI FINO AL TEMPO DELLA FINE

Il versetto 1 è strettamente collegato con l'ultimo versetto del capitolo 10. In pratica l'angelo misterioso informa Daniele di essere stato presso Michele e di averlo sostenuto nella lotta, nel primo anno di Dario, cioè proprio nell'anno in cui viene emanato il decreto di Ciro per il ritorno degli Ebrei in Palestina. Il decreto di Ciro che pose fine al periodo di schiavitù del popolo ebraico a Babilonia, viene quindi presentato come l'esito positivo dell'azione combinata dell'angelo misterioso e di Michele.

V. 2: Tutta la storia dei re di Persia viene sommariamente sintetizzata in questo versetto. Chi sono i tre re di Persia? Forse Ciro, Cambise e Dario I, ma Cambise non è mai nominato nella Bibbia. Esdra e Nehemia citano solo Ciro, Dario I, Serse e un solo Artaserse. Noi sappiamo che Dario I prese l'iniziativa della prima «guerra persiana » contro la Grecia. Ma la prospettiva storica è molto semplificata: tutte le guerre persiane, concluse con la pace di Callia nel 449-448 sotto Artaserse I, sono concentrate un una sola, e si passa direttamente ad Alessandro Magno nel v. 3.

V. 3: Qui abbiamo la descrizione delle imprese di Alessandro Magno e della vastità del suo impero.

V. 4: Viene messa in evidenza la brevità del regno di Alessandro Magno e la divisione di questo regno fra i suoi generali.

Lotta fra Seleucidi e Tolomei

Dal versetto 5 al 20 abbiamo tutta una serie di guerre per il predominio fra i discendenti di Seleuco e di Tolomeo.

v. 5: Il re del Sud allude a Tolomeo che fondò una dinastia in Egitto, mentre il generale, che diventerà più forte di lui, è Seleuco Nicanore. Costui dopo aver sconfitto Tolomeo a Gaza, si dirige verso Babilonia e, dopo averla conquistata, si costruisce una grande impero che si estende fino all'Asia Minore.

V. 6: Ci fu quasi subito un'alleanza fra i Seleucidi e i Lagidi d'Egitto. Per consolidare questa alleanza, Berenice, figlia di Tolomeo II, si unisce in matrimonio con Antioco II. Berenice però non riuscirà a conservare per sé e per la sua discendenza il potere acquistato sposando Antioco II. Morto suo padre Tolomeo II, fu ripudiata da Antioco II, istigato dalla sua prima moglie Laodice, che ritornò al trono e fece uccidere Berenice, suo figlio e tutto il suo seguito.

V. 7: Dalla stessa stirpe di Berenice nasce un rampollo. Si tratta di Tolomeo III Evergete, fratello di Berenice, che attacca ben presto Seleuco II Gallino, figlio di Laodice e lo sconfigge.

V. 8: La sconfitta del re del Nord, cioè dei Seleucidi, è fatalmente segnata. Oltre ad un ingente bottino, il vincitore porterà con sé come un trofeo le immagini delle divinità del popolo vinto, insieme agli oggetti per il loro culto. Ironica allusione a quanto Babilonia aveva fatto contro il tempio di Gerusalemme e gli oggetti sacri. I Tolomei per vari anni stanno lontani dai Seleucidi. Qui non si capisce bene se si sia trattato di una temporanea tregua o se i Tolomei non riuscirono subito a conquistare la stessa potenza dei Seleucidi.

V. 9: I Seleucidi fanno ancora un tentativo per sconfiggere i Tolomei, ma poi tornano nel loro paese.

V. 10-19 Dopo gli insuccessi dei Seleucidi, vengono i loro strepitosi successi, di cui si descrivono le tappe e le vicende, tra le quali anche i tradimenti, le ribellioni, i delitti. Si tratta della storia di Antioco III il Grande.

V. 10: Inizia la riscossa dei Seleucidi che si preparano alla guerra con una grande mobilitazione di forze. L'uno che si farà avanti in questi esordi della riscossa potrebbe essere lo stesso Seleuco II, al quale subentra Seleuco III, fratello primogenito di Antioco III, ma scompare quasi subito dalla scena. Rimane il protagonista Antioco III il Grande che si avventa contro Tolomeo III come una straripante inondazione. Questi termini vengono usati per indicare la fulmineità dell'impresa militare e la vittoriosa avanzata delle truppe seleucide comandate da Antioco III il Grande. Questa avanzata supera le prime resistenze e si inoltra fino alla fortezza del nemico. Molto probabilmente si tratta di Gaza che segnava il punto più avanzato del regno d'Egitto.

V. 11: La reazione di Tolomeo III non si fa attendere. Radunate a sua volta le forze, i Tolomei riescono, non solo ad arginare l'avanzata seleucida, ma infliggono una sonora sconfitta ad Antioco III. Sembra che si tratti della sconfitta avvenuta a Rafia, ad opera di Tolomeo IV Filopatore.

V. 12: Nonostante il successo, Tolomeo IV, per la sua indecisione e per la sua indolenza, non riesce a ricavare da questa vittoria dei vantaggi risolutivi. Di lui viene infatti detto che diventerà orgoglioso (« il suo cuore si innalzerà»). Questo suo orgoglio è preludio della sua umiliazione da parte di Dio, come era avvenuto per i sovrano babilonesi.  Nonostante il suo successo contro Antioco III, le conseguenze furono a lui sfavorevoli in quanto non seppe sfruttare in maniera adeguata la vittoria di Rafia del 216. Infatti di lui si dice che «non sarà più forte».

V. 13: La mancata abilità di Tolomeo IV e del suo successore Tolomeo V Epifane, sarà sfruttata da Antioco III che, al momento opportuno, radunato un nuovo esercito ancora più numeroso e più equipaggiato del precedente, si vendicherà della sconfitta subita a Rafia, conquistando Gaza nel 201, senza colpo ferire, dopo aver invaso la Celesiria.

V. 14: In mezzo a queste lotte fra o Seleucidi ed i Tolomei anche la Palesti-a non può fare a meno di essere coinvolta. « In quel tempo», quando cioè Antioco III si spingerà contro l'Egitto e i suoi territori nella Siria e nella Palestina, «molti insorgeranno contro il re del Sud». Oltre agli intrighi di Filippo di Macedonia e dello stesso Antioco, un po' dappertutto si registreranno nei territori che erano stati occupati dai Tolomei, delle sommosse, delle sollevazioni e dei movimenti di insurrezione. « Anche alcuni uomini violenti del tuo popolo ». Si tratta molto probabilmente di alcuni Ebrei appartenenti al partito favorevole ai Seleucidi. Parlando di « uomini violenti » si vuole evidentemente mettere in cattiva luce i protagonisti di questa sommossa ebrea perché considerati come preludio di quelli che in seguito trameranno con Antioco IV contro l'Alleanza. Si motiva questa sommossa antiegiziana con l'espressione « per dare compimento alla visione » in quanto molto probabilmente era ispirata da ragioni religiose, suscitate da qualche visionario peseudoprofeta. Tale sommossa però non avrà successo e questi facinorosi cadranno per mano dei sostenitori dei Tolomei. La loro sconfitta viene riportata con approvazione in vista di quello che avverrà nel seguito della storia.

V. 15: I piani di Antioco III sono coronati da successo. La città fortificata molto probabilmente è Gaza, conquistata nel 201, oppure Sidone conquistata nel 198. Le truppe scelte molto probabilmente alludono al generale Scopa ed ai suoi mercenari etoli che combattevano per l'Egitto.

V. 16: Anche la Palestina subisce le conseguenze della Vittoria di Antioco. che, dopo la presa di Sidone, si inoltra sempre più verso sud. Nessuna forza può resistere all'avanzata seleucida verso l'Egitto. Il paese glorioso allude alla Palestina che subisce la stessa distruzione degli altri territori attraverso cui passavano i conquistatori.

V. 17: Nonostante i tentativi militari e gli intrighi, nonostante le ingenti truppe di terra e di mare, Antioco non riesce a conquistare l'Egitto e quindi ricorre alla politica, proponendo «oneste condizioni di pace» e dando perfino la propria figlia in matrimonio al suo avversario Tolomeo. In questo modo egli pensava di distruggere la resistenza del re d'Egitto, ma i suoi piani falliscono. La figlia di Antioco è Cleopatra, andata sposa a Tolomeo V nell'inverno del 194-193 a Rafia.

V. 18: Impossibilitato a procedere verso sud, Antioco si volge verso l'occidente (le isole), ma anche qui trova l'emergente potenza romana che gli ostacola l'avanzata. Le isole sono le coste dell'Asia Minore  e della Grecia. Tra il 196 ed il 191 Antioco III intraprese delle campagne in Asia minore, nel Chersoneso e in Grecia. Il comandante che si oppone a questa nuova impresa di Antioco III è Lucio Cornelio Scipione, detto l'Africano, che nel 190 infligge al condottiero seleucida una sconfitta definitiva a Magnesia nei pressi di Smirne annientadone completamente le truppe composte da ben 80.000 uomini. Il vituperio, che Antioco III cercava di infliggere a questo comandante romano, ricade su di lui. Egli infatti fu costretto ad accettare il trattato di Apamea che imponeva al re vinto di pagare dei pesanti tributi, costringendolo a ritirarsi al di là  dei monti del Tauro.

V. 19: Ad Antioco non rimane che far marcia verso le parti più orientali del suo regno, la Mesopotamia e la Persia, per cercare di tenere sottomesse le popolazioni tra le quali i fermenti e le ribellioni si andavano moltiplicando. Tanto più che doveva cercare il denaro per soddisfare agli obblighi del trattato con Roma. Secondo gli storici, per spillare denaro alle popolazioni, si mise a saccheggiare i santuari del luogo e trovò una morte ingloriosa proprio in una di queste imprese. Mentre nell'oscurità della notte tentava di assalire il santuario di Bel ad Elimaide, gli abitanti del posto, accorsi in difesa, lo massacrarono assieme alle sue truppe.

V, 20: In questo versetto molto probabilmente si allude a Seleuco IV Filopatore che ereditò il regno seleucida per un breve ed inglorioso periodo dal 187 al 175, durante il quale però influì sulle sorti del popolo eletto. L'espressione «manderà un esattore di tributi» sembra alludere ad Eliodoro inviato da Seleuco IV a spogliare il tempio di Gerusalemme per la gloria del suo regno, come ci viene ampiamente riferito da 2 Mac 3. Il versetto continua informandoci che «in pochi giorni sarà però distrutto, ma non dall'ira o in battaglia ». Seleuco IV infatti fu assassinato per gli intrighi orditi contro di lui dallo stesso Eliodoro, cioè nell'oscurità di un complotto, come ci viene riferito da Appiano nella sua Syriaca 45.

Antioco IV Epifane

Dal v. 21 al v. 45 il racconto si prolunga nella descrizione delle vicende del regno seleucida sotto Antioco IV Epifane. Segno evidente che questo personaggio suscita nell'autore del libro di Daniele un particolare interesse.

In una prima pericope che va dal v. 21 al v. 24 viene messa in rilievo soprattutto l'abilità di questo sovrano seleucida per arrivare al trono.

V. 21: Anzitutto Antioco IV viene apostrofato come «uomo spregevole». Appellativo adatto per il grande persecutore del popolo di Dio, tanto più evidente quando si pensa che egli ufficialmente era chiamato l'Epifane, cioè la manifestazione della divinità. Poi viene detto che non gli sarà « conferita la dignità regale». Ad Antioco III infatti doveva succedere Demetrio I Soter; costui però si trovava momentaneamente a Roma come ostaggio, al posto del suo zio paterno, il futuro Antioco IV. «Verrà pacificamente, ma si impadronirà del regno con intrighi ». Non si era macchiato dell'assassinio del fratello che era stato compiuto da Eliodoro, Egli tuttavia brigò per arrivare al trono. Infatti, quando venne ucciso suo fratello Seleuco IV, venne in fretta da Atene, dove si trovava, ed aiutato dagli Attalidi Eumene e da Attalo, cacciò Eliodoro e divenne re.

V. 22: Le straripanti forze che furono «spazzate via davanti a lui e distrutte», molto probabilmente sono i sostenitori di Eliodoro, i quali tentarono certamente anche in seguito la rivincita prima di darsi definitivamente per vinti. Con il « capo di un'alleanza », comunemente si ritiene che si alluda al sommo sacerdote Onia III, deposto da Antioco IV nel 175 ed assassinato proditoriamente a Dafne nel 170, come riferisce 2 Mac 4, 30-38. Egli è ricordato come capo di un alleanza per epilepsi in quanto era capo del popolo dell'Alleanza.

V. 23: Continua la descrizione degli intrighi di Antioco IV per consolidare il suo potere. L'alleanza a cui si allude è senz'altro quella che egli fa con certi gruppi attirandoli dalla sua parte con lusinghe e promesse, come ad esempio Giasone, che per impadronirsi della carica di sommo sacerdote si serve di lui (1 Mac 4, 7). «Giungerà al potere con poca gente». Dopo gli smembramenti operati da Romani, Antioco IV divenne re del piccolo stato della Siria che è ben poca cosa se confrontato con quello che era stato il vasto impero di Antioco III.

V. 24: Antioco IV cerca di guadagnarsi l'appoggio delle regioni più ricche del paese perché sperava di trarre da esse dei vantaggi, oltre che politici, anche economici, e lo fa in una maniera che nessuno dei suoi predecessori aveva mai fatto, dimostrandosi prodigo nell'elargizione di beni e nella distribuzione del bottino e delle spoglie delle sue conquiste. Sembra la descrizione dei favori, delle prodigalità e delle elargizioni fatte da questo monarca in ogni parte del suo regno. Tale atteggiamento ci viene testimoniato anche dal libro dei Maccabei: « temette di non poter disporre, come altre volte per il passato delle risorse per le spese e i doni, che faceva con mano prodiga, superando i re precedenti. Ne fu grandemente rattristato e prese la decisione di invadere la Persia, per riscuotere i tributi di quelle provincie e ammassare molto denaro » (1 Mac 3, 30-31). Anche Polibio nelle Historiae 26, 10-11 scrive che «per la magnificenza di ogni genere di spettacoli superò i re precedenti ». Gli storici antichi ci testimoniano che egli distribuì a ciascuno dei suoi una moneta d'oro. La sua prodigalità fu grande specialmente nei confronti di templi e di città. Alla fine del versetto viene inoltre detto «che concepirà piani contro le fortezze, ma solo per un tempo». Forse si riferisce alle campagne d'Egitto coronate da successo, come ci viene detto in 1 Mac 1, 19. Ma questo avviene solo per un tempo, ossia solo finché Dio non porrà fine alle sue imprese.

VV. 25-28: Dopo la descrizione del suo carattere e dei suoi disegni politici, il racconto si concretizza intorno alle sue mire sull'Egitto, ma per mettere già in risalto il suo atteggiamento nei confronti di Israele.

V 25: Inizia la campagna di Antioco IV contro l'Egitto. Questa prima campagna si svolge intorno al 170-169. Oggetto di contesa è il possesso della Celesiria che, con la Fenicia, la Giudea e la Samaria, era stata donata a Cleopatra, figlia di Antioco III, quando era andata sposa a Tolomeo V Epifane nel 193-192. Morta costei, nello stesso anno, Antioco IV pretende di ritornare in possesso dei territori donati dal suo predecessore ai Tolomei. L'Egitto naturalmente si oppone a queste mire di Antioco IV scendendo in campo « con un grande e potentissimo esercito», ma non riesce a resistergli anche perché contro il re dei Tolomei « si ordiranno dei complotti ». Si tratta di Tolomeo VI Filometore, nipote di Antioco IV, di cui quest'ultimo con astuzia riesce ad impadronirsi e ad aver ragione delle sorti della guerra.

V. 26: Viene qui descritta la rovina di Tolomeo che, mal consigliato dall'eunuco Euleo, se ne fugge in Samotracia, lasciando allo sbaraglio il suo esercito e la Celesiria in mano di Antioco. I « molti che cadranno uccisi» è un riferimento alle ingenti perdite dell'esercito Egiziano in questa prima campagna che ci vengono anche riferite in 1 Mac 1, 18.

V. 27: Abbiamo qui ancora inganni ed intrighi che vengono messi in atto da Antioco VI, senza tuttavia avere successo. I due re sono Antioco IV e Tolomeo VI, zio e nipote. Entrambi sono intenti a farsi del male, cioè a nuocersi scambievolmente. L'essere seduti alla stessa mensa è simbolo di amicizia, ma proferire menzogne seduti alla stessa mensa significa inganno reciproco. Sembra infatti che Antioco IV, in possesso di Tolomeo VI, affermasse che il regno apparteneva a Tolomeo VII Evergete in modo da mettere il dissidio fra i due Tolomei. «Ma la cosa non riesce », infatti i due Tolomei si misero d'accordo sventando il piano di Antioco. «La fine verrà malgrado tutto al tempo fissato». L'autore inserisce in un piano superiore, divino, il corso degli eventi umani, specialmente quando essi hanno una svolta diversa da quella voluta dagli uomini. Antioco non doveva ancora aver ragione delle sorti dell'Egitto.

V. 28: Il ritorno di Antioco verso il Nord interessa all'autore in modo particolare, perché è proprio in questa circostanza che egli manifesterà i suoi disegni avversi contro «il santo patto». Il santo patto o santa alleanza è un'espressione identica a quella usata da 1 Mac 1, 15.63 per indicare la comunità di coloro che formavano per la loro fedeltà la vera Alleanza con Dio. «Così eseguirà i suoi disegni e poi ritornerà nel suo paese ». Antioco profanando e spogliando il tempio di Gerusalemme dopo la campagna in Egitto e prima di ritornare al suo paese comincia a rivelarsi come il nemico principale del popolo ebraico. Troviamo molto ben descritta questa profanazione in 1 Mac 1, 20-28.

VV. 29-35. Nel brano che va dal v. 29 al v. 35, dopo una breve descrizione della seconda campagna di Antioco contro l'Egitto, cominciata bene, ma finita male (v. 29), l'autore si dilunga a descrivere le nefandezze da lui compiute in Palestina e le conseguenze deleterie per le sorti della religione ebraica. Di questi eventi siamo abbastanza ben informati tanto da Tito Livio (Annali 45, 11-13), che utilizza Polibio (Historiae 29, 11), quanto dal racconto del libro dei Maccabei. Avendo presenti questi racconti è facile comprendere l'atteggiamento di sdegno dell'autore davanti all'empio profanatore e di sconforto davanti alla sorte dei buoni e all'empietà dei malvagi.

V. 29: La seconda campagna di Antioco contro l'Egitto inizia nella primavera del 168, «ma – ci dice il testo – quest'ultima volta la cosa non riuscirà come la prima», anche se gli inizi furono favorevoli. Infatti, secondo 2 Mac 10, 13, Tolomeo Macrone, stratega dell'isola di Cipro a nome di Tolomeo VI Filometore, passò dalla parte di Antioco, che, quindi, si impossessò dell'isola e poté spingersi fino Rinocolura, Menfi ed Alessandria.

V. 30: Il versetto ci spiega perché questa seconda campagna di Antioco IV non riuscì bene come la prima. Questa volta si trova a doversi scontrare con le navi di Kittim. Chi sono queste navi di Kittim? Con questo nome di solito si designa Cipro, spesso però si usa anche per designare le regioni adiacenti al Mediterraneo (Gn 10, 4; Nm 24, 24; Is 23, 1.12). Qui il nome designa i Romani come è confermato da Livio e da Polibio. Queste navi «verranno contro di lui ». Ad Eleusi, infatti, a pochi chilometri da Alessandria, Pompilio, comandante della flotta romana, sottopone ad Antioco le condizioni di Roma, che lo costringono a fare marcia indietro e a ritornare in Siria. Nella marcia di ritorno sfoga la sua ira nuovamente contro il « santo patto» mandando ad effetto i suoi disegni. Al dire di 2 Mac 5, 5-20, Antioco, prendendo a pretesto la sollevazione di Giasone contro Menelao infierisce contro gli abitanti di Gerusalemme, come ci viene anche confermato da Polibio in Historiae 29, 11. Da una parte Antioco IV si accanisce contro coloro che resistono ai suoi disegni di ellenizzare la Giudea, dall'altra mostra riguardo nei confronti di coloro che invece tradiscono il santo patto o la santa alleanza. Secondo 2 Mac 4, 7 il principale istigatore a trasgredire la legge fu il sommo sacerdote Giasone, accanito ellenizzante, il quale ottenne da re di poter vivere alla maniera greca; fu loro anche permesso di costruirsi a Gerusalemme una palestra secondo gli usi dei pagani (1 Mac 1, 11-15).

V. 31: Il disegno di Antioco di ellenizzare la Giudea arriva fino al punto di profanare il santuario-fortezza, sopprimendo il sacrificio continuo (1 Mac 1, 45) e collocando all'interno del tempio la statua di divinità pagane (2 Mac 6, 1-3). Il santuario viene chiamato santuario-fortezza per l'esistenza di fortificazioni costruite a difesa del santuario stesso.

V. 32: Le tensioni religiose che si scatenarono in mezzo al popolo giudaico in seguito a queste gravi profanazioni da parte di Antioco IV, vengono descritte dal libro di Daniele in maniera quasi parallela a quella del libro dei Maccabei. Da una parte c'erano coloro che, tradendo la santa Alleanza, si erano schierati dalla parte di Antioco, dall'altra parte c'erano invece coloro che rimanevano fedeli a Dio e si opponevano con fermezza ad Antioco. Naturalmente Antioco, com'era solito fare, cercava con lusinghe di corrompere  tutti coloro che si dimostravano deboli e meglio propensi ad accettare la cultura greca, mentre reagiva in maniera feroce verso coloro che non ne volevano sapere. Abbiamo una descrizione molto dettagliata della situazione in 1 Mac 1, 41-64).

V. 33:  «Quelli che hanno sapienza tra il popolo » sembra che siano gli stessi che « conoscono il loro Dio » del versetto precedente, quel gruppo cioè di fedeli deciso a non cedere né alle minacce né alle lusinghe di Antioco, ma a difendere le usanze del popolo ebraico. Costoro cercheranno di istruire le folle. L'affermazione sembra concordare con quella 1 Mac 2. 42-43. Naturalmente tanto costoro, quanto la moltitudine cadono vittime della persecuzione « per un po' di tempo». Si tratta di un'espressione imprecisa e generica che indica una durata di tempo più o meno lunga, ma che prima o poi dovrà terminare.

V. 34: Questo versetto descrive in sintesi la sorte della resistenza che si manifestò in Israele soprattutto per mezzo della rivolta maccabaica. Dapprima si trattava. di un manipolo ristretto, ma in seguito molti altri si unirono a loro, anche se la loro adesione il più delle volte non era dettata da motivi sinceri. Moltissimi infatti di coloro che aderirono al movimento di rivolta ben presto si ritirarono perché avevano aderito ad esso solo per tornaconto o interesse privato. Per questo viene detto che « si unirono a loro con false apparenze ». In realtà la causa di queste numerose diserzioni era causata dalla durezza e dalla intransigenza assoluta di Giuda Maccabeo nei confronti dell'Ellenismo che lo indusse ad atti di spietata vendetta (1 Mac 7, 24).

V. 35: Il giudizio dell'autore del libro di Daniele è decisamente favorevole verso coloro che si oppongono alle malefatte di Antioco. Per lui infatti tutti coloro che moriranno per questa giusta causa sono gli eletti di Dio che per mezzo delle prove vengono purificati. Questo avverrà fino al tempo della fine. La perseveranza infatti dovrà manifestarsi sino alla fine della prova e questa fine verrà nel tempo stabilito che solo Dio conosce.

VV. 36-39: Al quadro completo dell'empietà di Antioco manca ancora il crimine della sua stessa divinizzazione. Soltanto il re di Babilonia aveva osato tanto (Is 14, 13-14).

V. 36: L'espressione «agirà come vuole » significa che nessuno potrà opporsi a lui. Non solo si innalzerà e si magnificherà al di sopra di ogni dio, ma proferirà anche cose sorprendenti contro il Dio degli dei. Abbiamo qui una rassomiglianza straordinaria con il piccolo corno del capitolo 7. Antioco IV in un certo senso rappresenta il tipo dell'Anticristo, cioè di tutti coloro che si oppongono a Dio. Ma la sua fine è già decretata e potrà ancora prosperare finché non raggiungerà il colmo dell'indignazione.

V. 37: Oltre che per la sua autodeificazione, Antioco IV è rimproverato anche per aver abbandonato la religione dei suoi avi, in quanto rendeva il culto ad altre divinità straniere. I suoi avi adoravano specialmente Apollo; Antioco invece manifestò una particolare devozione per Zeus Olimpico, al quale eresse molti templi. L'espressione che « non aveva riguardo al desiderio delle donne » potrebbe trarci in inganno. In realtà qui si sta alludendo molto probabilmente ad una divinità molto amata in modo particolare dalle donne. Forse si tratta di Tammuz-Adonis che, stando a quanto troviamo scritto in Ez 8, 14, era pianto dalle donne. È chiaro comunque che Antioco esaltando sé stesso come un Dio non avrà riguardo per nessuna divinità e praticherà la religione soltanto per convenienza.

V. 38: Questo versetto è una ripetizione di quanto già detto nel precedente. Il Dio delle fortezze è Giove Capitolino, che si identifica con Zeus Olimpo al quale Antioco dedicherà parecchi templi, fra cui quello magnifico costruito ad Antiochia e dedicato a Giove Capitolino.

V. 39: Nelle parole di questo versetto si sente l'eco dello scandalo dei Giudei, quando videro crescere intorno alla città di Gerusalemme delle fortificazioni nelle quali si installarono i soldati della Siria, figli di un dio straniero. Lo scandalo consisteva nel fatto che il dio straniero, essendo divenuto il dio difensore della città, ne diventava pure il padrone, sostituendo il Dio del popolo ebraico al quale la città stessa apparteneva. Come partigiani della sua politica e della sua religione, Antioco naturalmente darà gloria a questi stranieri, compensadoli anche per i loro servizi con donazioni di territori. Secondo 1 Mac 3, 36 Antioco incaricò Lisia di stabilire gli stranieri su tutto il territorio giudaico e di distribuire tra di loro il paese.

La fine di Antioco IV

L'ultima pericope di questo capitolo che va dal v. 40 al 45 riguarda la fine di Antioco IV. La pericope inzia informandoci che al tempo della fine del persecutore, costui sarà impegnato in una terza campagna contro l'Egitto, di cui però non abbiamo traccia nella storia. Possiamo quindi pensare che a questo punto l'autore, più che riferirsi ad eventi storici precisi, disponga la narrazione in modo tale che la ineluttabile fine del sacrilego sopraggiunga proprio nel momento i cui il sacrilego è impegnato al massimo nel realizzare le sue ambiziose aspirazioni. In questo modo il misterioso intervento provvidenziale di Dio ed il suo assoluto dominio sugli eventi storici risaltano in maniera straordinaria.

V. 40: «Al tempo della fine ». Quel tempo e quella fine che sembrava non dovessero mai arrivare. Antioco che ormai si ritiene superiore ad ogni divinità, non attende l'assalitore, ma si precipita contro di lui con tutte le truppe sia di mare che di terra e con ogni mezzo bellico a sua disposizione penetra come un'inondazione nei territori dell'avversario.

V. 41: Ancora una volta il territorio della Giudea viene invaso e le stragi in esso compiute sono enormi. Prova tanto più grande in quanto i popoli vicini tradizionalmente nemici di Israele vengono risparmiati da questa invasione.

VV. 42-43: Molto paesi cadono nelle sue mani e neppure l'Egitto viene risparmiato. Con il territorio d'Egitto anche le sue ricchezze diventano preda agognata di Antioco e simbolo della sua potenza. Anche i libici che delimitano a Ovest l'Egitto e gli Etiopi che lo delimitano invece a Sud, rimarranno in qualche maniera coinvolti in questa guerra.

V. 44: Mentre tutto l'occidente sembra ormai nelle mani di Antioco, gli giungono notizie poco rassicuranti dall'est e dal nord che preannunciano l'uragano che lo sommergerà. Dall'Egitto quindi Antioco parte con gran furore per distruggere e votare allo sterminio quei popoli che si ribellano ancora al suo potere. Infatti gli ultimi anni della sua vita Antioco li dedicò a combattere i Parti in Armenia.

V. 45: Antioco si accampa tra le sponde del Mediterraneo e la catena montuosa che si trova a Gerusalemme. Ma prima che arrivi a distruggere la città santa, il sacrilego persecutore trova la morte conformemente alla concezione profetica e apocalittica dei nemici del popolo di Dio. La sua morte avvenne nell'anno 148 dell'era greca, cioè nel 164 a.C. L'espressione « nessuno gli verrà in aiuto» sta ad indicare l'abbandono da parte di Dio, sicché la sorte finale è inesorabile. Abbiamo qui soltanto poche parole per descrivere la morte di Antioco di cui invece ci sono state descritte a lungo le gesta.

DANIELE 12 torna a Deuteronomio cap. 8

LA RESURREZIONE FINALE

La fine del grande persecutore offre all'autore l'occasione per allargare l'orizzonte in una prospettiva che va al di là della semplice liberazione del popolo ebraico dalla persecuzione di Antioco IV. Si annunzia qui un'era nuova, perpetua, che inizierà con la resurrezione dai morti e la conseguente retribuzione di alcuni alla vita eterna e di altri invece alla vergogna e all'infamia eterna.

In cielo sono tenuti aggiornati i registri che contengono i nomi dei viventi, destinati qui a diventare i membri della nuova Gerusalemme, com'era già stato preannunziato dal profeta Isaia: «Ed avverrà che chi sarà rimasto in Sion e chi sarà superstite in Gerusalemme sarà chiamato santo, cioè chiunque in Gerusalemme sarà iscritto tra i vivi» (Is 4, 3)

Dopo aver trionfato sui regni di questa terra, dopo aver ridotto al nulla le potenze di questo mondo, Dio trionferà anche sull'ultimo nemico, la morte, e le strapperà i fedeli che essa aveva ingiustamente inghiottito. Finora nell'Antico Testamento il tema della resurrezione era inteso in modo simbolico e collettivo. Ne parla diffusamente Ezechiele al cap. 37, 1-14 e forse vi allude anche Isaia in maniera indiretta al cap. 29, 16-24. Ma è nel capitolo 12 di Daniele che viene prospettata per la prima volta ed in maniera esplicita, una resurrezione ed una retribuzione personale ed individuale. Molto probabilmente questa è una risposta profetica al problema molto sentito in quel periodo del martirio personale.

Cosa significa questo? Che Dio non pensava fin dall'inizio ad una resurrezione individuale e che poi si è convinto della necessità di questa risurrezione finale a causa del problema delle numerose persone uccise per la loro fe-deltà a Dio? No, certamente! Nella mente di Dio la resurrezione finale ed individuale era presente fin dall'inizio, ma viene rivelata all'uomo progressivamente approfittando delle circostanze storiche, in modo che l'uomo possa comprenderne a fondo il valore e la portata.

Dobbiamo comprendere che la Scrittura è una rivelazione di Dio dentro la storia dell'uomo in cui esiste un rapporto di redenzione promosso da Dio nei confronti dell'uomo ed in cui riveste una grande importanza il fatto che l'uomo sia o meno in comunione con Dio.

In questa storia di redenzione, le circostanze storiche hanno indotto Dio a dosare la sua rivelazione sulla maturità dell'uomo. Così l'apostolo Paolo ci parla di tempi dell'ignoranza (At 17, 30) e di pienezza del tempo (Gl 4, 4). Gesù stesso in occasione di una controversia con i farisei sul divorzio, disse: «Per la durezza dei vostri cuori Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostri mogli, ma da principio non era così» (Mt 19, 8).

Anche per la risurrezione finale ed individuale fu necessaria una rivelazione graduale che, approfittando di alcune circostanze storiche, rendesse chiaro e comprensibile questo insegnamento.

V. 1: Con la morte del tiranno, però, la sofferenza non finisce subito. Ci sarà ancora un tempo di angoscia, come mai si era verificato prima. Questo sembra un riferimento ai torbidi politici che scoppiarono in Palestina dopo la morte di Antioco IV e sotto Gionata, di cui parla anche il libro dei Maccabei (1 Mac 9, 23-31). Ma l'arcangelo Michele, capo dell'esercito celeste, presiederà alla liberazione finale del popolo di Daniele. La salvezza sarà dunque opera di Michele e quindi di Dio stesso, ma sarà riservata esclusivamente al popolo ebraico. Non tutto il popolo ebraico, però, sarà salvato, ma solo coloro che hanno il loro nome scritto nel libro di Dio. Si tratta di una espressione usata per indicare la categoria dei giusti, di coloro cioè che, essendo stati preconosciuti da Dio, saranno ritenuti degni di partecipare al Suo Regno finale. Questa immagine del libro nel quale sono scritti i nomi dei giusti, era già conosciuta nell'Antico Testamento (Es 32, 32; Ml 3, 16; Dn 7, 10). Verrà poi ripresa anche nel libro dell'Apocalisse, dove ricorre più volte (Ap 3, 5; 13, 8; 17, 8; 20, 15).

V. 2: Con questo versetto la partecipazione alla salvezza finale viene allargata. Accanto ai giusti del popolo ebraico, anche altri parteciperanno a questa salvezza. Si tratta dei "giusti" di tutto il mondo e di tutte le epoche. L'espressione «molti » nella Bibbia ha un valore universale che troviamo anche in Is 53 al v. 11 e 12. Anche nel Nuovo Testamento il termine «molti» viene usato per designare l'opera salvifica di Cristo che si esplica nei confronti di «molti», cioè di tutto il genere umano (Mt 20, 28; Mc 10, 35; Rm 5, 19). La parola «molti» dunque va intesa, non come "alcuni", ma come una moltitudine imprecisata che può essere benissimo sostituita dal nostro pronome «tutti».

L'espressione «che dormono nella polvere della terra » è una circonlocuzione per indicare i morti. La stessa espressione la troviamo anche in  Gn 3, 19; Gb 7, 21; 17, 16; Sl 22, 29. «si risveglieranno» è un'espressione che troviamo anche in Is 26, 19 per indicare la certezza di un ritorno alla vita, in contrasto con l'affermazione che i morti non si risvegliano dal loro sonno, come si lamentava Giobbe al cap. 14, 12.
Una parte di coloro che si risveglieranno, saranno risvegliati per la vita eterna, cioè per sempre. Questa tema della risurrezione dei giusti a vita eterna lo troviamo appena accennato forse in Gb 19, 23-29. Viene poi affermato e sviluppato in due libri deuterocanonici: Maccabei e Sapienza e fa parte comunque della riflessione giudaica nei due secoli che precedono la venuta di Cristo, preparando così il terreno per quello che sarà il cavallo di battaglia della predicazione cristiana.

Se alcuni saranno risvegliati a vita eterna altri invece, non essendo scritti nel libro della vita, si risveglieranno ad infamia eterna. Se la durata del risveglio anche per costoro è senza limiti, opposta però sarà la loro condizione.

V. 3: Il versetto 3 con immagini prese dalla terminologia escatologica cerca di precisare quale sarà il senso della vita eterna per coloro che sono scritti nel libro della vita e si risveglieranno per vivere per sempre. Dicendo che essi saranno «come lo splendore del firmamento» si vuole indicare che essi parteciperanno alla condizione stessa di Dio che viene indicato come vero sole di giustizia e come vero splendore del firmamento. Due sono le categorie che beneficeranno in modo particolare di questa resurrezione a vita eterna: i sapienti e coloro che avranno condotto molti alla giustizia. Questi ultimi risplenderanno come le stelle per sempre, espressione parallela a quella precedente. Si tratta delle due categorie che abbiamo già trovato in Dn 11, 32-33, le quali si opponevano con fermezza alla persecuzione di Antioco IV fino al sacrificio della loro stessa vita.

V. 4: Al termine della rivelazione Daniele riceve l'ordine di tenerla nascosta, perché dovrà essere manifestata soltanto quando la fine annunziata si manifesterà. Questo è un ordine che troviamo qualche volta in alcune profezie, come ad esempio in Is 8, 16. In tal modo si garantisce la verità del contenuto della profezia stessa, contenuto che potrebbe apparire incredibile soprattutto per l'epoca futura a cui si riferisce. Oltre a tenere nascosta questa profezia, Daniele doveva provvedere a sigillare il libro fino al tempo della fine. Quando il libro alla fine sarà aperto e letto, allora apparirà chiaro e comprensibile tutto il suo contenuto. Questo è molto probabilmente il senso dell'espressione: «molti andranno avanti e indietro e la conoscenza aumenterà ». L'andare avanti e indietro ci dà, infatti, l'idea di una ricerca. Molti leggeranno il libro di Daniele in futuro, pagina dopo pagina, ed allora tutto apparirà chiaro e comprensibile e ci si renderà conto che ogni cosa era stata divinamente preannunziata. Perciò la conoscenza aumenterà.

VV 5-7 Se questo libro sigillato contiene la garanzia che la fine della persecuzione è certa e che la salvezza alla fine si realizzerà, rimane sempre il dubbio, l'angoscia di sapere quando tutto questo accadrà, in modo che i giusti, che sono al momento perseguitati, possano resistere fino in fondo con fede e pazienza. La risposta viene quindi data attraverso una nuova e misteriosa visione.

V. 5: I protagonisti di questa nuova visione sono due esseri misteriosi che stanno uno su una sponda e l'altro sulla sponda opposta del fiume. Per capire di quale fiume si sta parlando, dobbiamo ritornare al cap. 10, 4 in cui si faceva riferimento al fiume Tigri.

V. 6: L'uomo vestito di lino, che stava sopra le acque del fiume ed a cui uno dei due esseri misteriosi si rivolge per chiedere: « Quando sarà la fine di queste meraviglie » è lo stesso angelo che abbiamo trovato al cap. 10, 5-6.

V. 7: Costui alza tutte e due le mani al cielo e pronuncia un solenne giuramento per confermare quanto sta per dire. La solennità del giuramento è costituita dal fatto che vengono alzate tutte e due le mani e non una sola, come avveniva normalmente nei giuramenti ordinari. Altro elemento della solennità del giuramento e quindi della sua irrevocabilità, è costituita dal fatto che il giuramento stesso viene fatto per colui che vive in eterno, cioè per Dio stesso, Jahweh.

La risposta che viene data è simile a quella che abbiamo già visto in Dn 7, 25. Vale quindi per questa espressione la stessa spiegazione che abbiamo già dato in quell'occasione. Si tratta di un settenario tronco: tre e mezzo. Il che indica uno sviluppo rapido dell'azione che si raddoppia, ma che poi improvvisamente si interrompe. Si tratta di una misura di tempo imprecisata nella quale la simbologia si sostituisce alla precisione cronologica. Come in Dn 7, 21 il piccolo corno spuntato sulla quarta bestia fa guerra ai santi e li vince, anche in questa occasione viene detto che « la forza del popolo santo sarà interamente infranta ». Quando ogni cosa sembrerà perduta, quando sembrerà che le forze del male avranno la prevalenza, allora queste cose si compiranno.

V. 8: Il senso misterioso della risposta data dall'angelo sconosciuto risulta incomprensibile a Daniele che chiede ulteriori spiegazione. La risposta viene data, ma è altrettanto misteriosa ed incomprensibile della prima. Questo significa che se la promessa è certa, incerto rimane il momento in cui essa si realizzerà. All'uomo quindi non rimane che attendere con fiducia il compimento di questa promessa.

V. 9: Contiene un invito a Daniele a non domandare ciò che deve rimanere segreto fino al momento del suo compimento e quindi ad accogliere con fede il rifiuto alla richiesta della sua ulteriore domanda.

V. 10: Questo è appunto il fine della profezia: chi l'accoglie con fede ha la salvezza, chi invece la rifiuta viene escluso dalla salvezza. Il valore della fede e della responsabilità personale di fronte al messaggio di salvezza, proposto da Dio agli uomini, viene in questo versetto espresso con la stessa forza con la quale sarà poi espresso da Cristo e dai suoi apostoli. I saggi, coloro che avranno fede in Dio e nelle sue promesse comprenderanno e saranno purificai, imbiancati e affinati, ma gli empi nella loro empietà continueranno a non comprendere e si danneranno.

V. 11-12: Mentre con il discorso precedente sembrava quasi che l'angelo volesse esortare Daniele a non fare altre domande, ma ad accettare per fede la certezza del compimento delle promesse divine, ora si accenna ad alcuni eventi: l'abolizione del sacrificio continuo e l'abominazione che causa la desolazione, dai quali dovranno trascorrere 1290 giorni ed un ulteriore tempo fino a raggiungere 1335 giorni, nei quali la promessa si realizzerà. Si tratta come sempre di cifre simboliche che non ci offrono alcun indizio cronologico, ma che ci danno solo la certezza che la situazione così com'è non durerà in eterno. Gesù riprenderà queste parole di Daniele per riferirle ad un futuro escatologico di cui lui stesso non conosceva la data, ma di cui ci assicurava l'inevitabile compimento.

V. 13: Il libro di Daniele termina con delle parole di consolazione nei suoi confronti. Daniele viene rassicurato che anche lui, come i suoi padri, dovrà andarsene, ma il suo sarà soltanto un riposo dal quale si risveglierà alla fine dei tempi per ricevere la sua parte di eredità.