La preistoria è
la scienza che intende ricostruire le vicende dell'umanità
prima dell'apparizione dei più antichi documenti scritti. Nell'antico
Oriente la scrittura appare tra il IV e il III millennio a. C.; tutto
quanto precede appartiene all'ambito della preistoria. Sia per i suoi
metodi, che sono principalmente la classificazione dei reperti dell'antichità
(archeologia preistorica) e la loro sistemazione cronologica con l'aiuto
dei reperti fossili (paleoantropologia) e della stratigrafia (geologia),
come per i suoi risultati, che non arrivano mai alla ricostruzione di
un avvenimento o di un personaggio, la preistoria si avvicina di più
alle scienze naturali che non alla storia propriamente detta. Come,
dunque, la Bibbia non contiene un insegnamen-to scientifico, ma solo
una presentazione di fenomeni naturali quale veicolo di un insegnamento
religioso, così c'è da aspettarsi che non contenga un
insegnamento diretto della preistoria, ma, qualora tocchi le condizioni
dell'umanità di quell'epoca remota, lo faccia dal punto di vista
religioso.
Per questo gli esegeti tendono sempre di più a
disinteressarsi della preistoria scientifica e dei suoi punti di
contatto con la preistoria biblica. Tuttavia il concordismo, anche
se ormai superato dall'esegesi, proviene da un'innata esigenza
della mente umana, per cui l'uomo di media o alta cultura non
cesserà mai di interrogare il biblista sui rapporti che passano
tra i racconti di Caino e Abele, gli anni dei patriarchi, il diluvio
biblico, da una parte e i dati della scienza preistorica dall'altra.
Anche per dimostrare che il problema non esiste, bisogna
prenderlo in considerazione, come qui facciamo, premettendo anzitutto
alcune nozioni elementari sulla preistoria quale risulta dalla scienza.
Due sono i dati sicuri della preistoria che hanno qualcosa
in comune col campo biblico: l'antichità del genere umano e
l'origine relativamente recente della civiltà neolitica.
L'era geologica quaternaria in cui compare l'uomo, si
suddivide in due parti: un'epoca glaciale (Pleistocene) e un'epoca
postglaciale (Olocene). Nel corso del Pleistocene ebbero luogo quattro
glaciazioni - chiamate del nome di affluenti del Danubio, dove
vennero studiate per la prima volta, Günz, Mindel, Riss, Würm
- durante le quali i ghiacciai perpetui scesero nelle pianure e la
calotta glaciale artica si avanzò fin nel cuore della Germania.
Il procedere dei ghiacci come il loro regresso dovettero impiegare
migliaia di anni per effettuarsi, ed anche i periodi interglaciali
(tra una glaciazione e l'altra) dovettero essere lunghissimi. In tal
modo è possibile, entro certi limiti, calcolare l'antichità
del genere umano, sapendo che i più antichi reperti dell'industria
umana appaiono nell'interglaciale Mindel-Riss, già diffusi
in Europa, Africa e Asia, e che, di conseguenza, i primi uomini devono
essere apparsi tra il Günz ed il Mindel, o addirittura agli inizi
del Pleistocene, come ultimamente fu sostenuto.
I calcoli più recenti oscillano tra i seicentomila
e un milione di anni, ma è assai imprudente accettare un
qualsiasi calcolo, data l'enorme differenza che sussiste tra i risultati
proposti dai diversi scienziati. La successione delle principali
forme di cultura, i cui nomi sono desunti da località della
Francia, è la seguente:
Paleolitico inferiore: Chelleano (Scelleano) e Acheuleano
(Ascelleano), caratterizzato da ciotoli scheggiati in forma di mandorla
(amigdale), che servono come arma appuntita da tenersi in mano. Estensione:
Inghilterra, Capo di Buona Speranza, Malesia, India, con le regioni
contenute entro questi vastissimi limiti.
Paleolitico medio: Mousteriano, caratterizzato dalla lavorazione
di grosse schegge, che va dalla Germania alla Cina, E' l'epoca dell'uomo
di Neandertal (Paleantropi). Iniziatesi nell'interglaciale Riss-Würm,
questa civiltà si protrae per una parte dell'ultima glaciazione.
Paleolitico superiore: diverse civiltà più
progredite, con inizi di scultura e di pittura: Aurignaziano, Solutreano,
Magdaleniano, che occupano il periodo dell'ultima glaciazione. Sono
scomparse le razze di forme più rozze e dominano razze diverse
(Cro-Magnon, Grimaldi, Chancelade) di uomini simili agli attuali (Fanerantropo).
La diffusione è limitata all'Europa media e al Mediterraneo.
Mesolitico: periodo di transizione (tra il 10.000 e il
6.000 a.C.), durante il quale si stabilisce il clima attuale.
Neolitico: segna un cambiamento totale delle civiltà,
fin'allora rimasta allo stadio della raccolta, della caccia e della
pesca. Le cratteristiche del Neolitico sono: levigazione degli strumenti
di pietra, agricoltura e allevamento del bestiame, costituzione di raggruppamenti
umani di grande potenza demografica e, più tardi, l'apparizione
della ceramica (tra il 6.000 ed il 4.000 a. C.).
Calcolitico: appaiono degli oggetti in rame, che non modificano
il quadro generale della civiltà neolitica (tra il 4.500
ed il 3.000 a.C.). Si arriva così agli albori della storia.
Età del Bronzo: gli strumenti di bronzo modificano
l'aspetto della civiltà, siamo ormai nel periodo storico,
che gli archeologi dividono in Bronzo Antico (3.000-2.100), Medio
(2.100-1600), Recente (1.600-1.200).
Età del Ferro: inizia lentamente verso il 1.300
a. C.
Come si vede anche solo da questo prospetto, l'antichità
del genere umano, quale appare dai dati oggettivi, pure prescindendo
dall'incertezza dei calcoli, si estende e si perde in un baratro
di millenni, in confronto dei quali fanno una ben modesta figura le
venti generazioni che da Adamo conducono fino ad Abramo, in piena età
del bronzo.
Inoltre, l'agricoltura e la pastorizia appaiono in epoca
recentissima, in questa scala di millenni, mentre il libro della
Genesi con l'episodio di Caino, e prima ancora nella sentenza di condanna
dell'uomo (Ge 3, 17 ss..23), parla già il linguaggio di una civiltà
agricola.
Questi due problemi non potranno essere ignorati nell'esegesi,
anche se la loro soluzione non ne deve costituire l'oggetto predominante.
Per ognuno degli episodi di Ge 4-11, da Caino alla Torre
di Babele, si distinguono tre cose: la dottrina biblica, il fatto
storico o più genericamente la realtà storica che giusticia
tale dottrina e che fa parte dell'insegnamento rivelato, e da ultimo le
modalità della narrazione, che sono come l'involucro e l'espressione
concreta del fatto e che dipendono da fonti preisraelitiche. Su queste
modalità si può liberamente applicare la critica storica
e formulare ipotesi più o meno probabili, che non toccono direttamente
l'insegnamento biblico. Sono appunto queste le conseguenze del genere
letterario e dei criteri redazionali di questa parte del libro della
Genesi.
L'avvenimento, i cui
particolari concreti sfuggono o sono dovuti allo speciale genere letterario,
si può riassumere così: il primo uomo nato dai progenitori
fu anche il primo assassino. Questo fatto semplicissimo e tragico poté
essere tramandato attraverso i secoli assumendo il linguaggio delle diverse
culture e le caratteristiche delle narrazioni folcloristiche o tribali
(confronta la storia di Romolo e Remo), oppure venne altrimenti conosciuto
dall'autore ispirato e confermato dall'ispirazione. Il procedimento letterario
di questa preistoria biblica non esclude l'ipotesi che il racconto non
si riferisca, nella sua fonte preisraelitica, ai primi uomini,
ma alle tradizioni connesse con l'origine di qualche popolo (i Qeniti?)
o alle rivalità tra pastori e agricoltori, oppure tra sedentari e
nomadi, il che spiega il colorito recente della cultura ivi rappresentata.
L'autore sacro considererebbe il racconto nel suo carattere tipico, come
appunto sono talvolta i racconti folcloristici, che hanno molto della parabola,
e lo applicherebbe alle origini dell'umanità, affermando così,
sotto la guida dell'ispirazione, che tale appunto fu il comportamento dei
primi uomini. Egli, perciò, lo volle qui inserito per la sua importanza
nella storia religiosa dell'umanità. E', infatti, la prima apparizione
della morte decretata in Ge 3, 19, ed insieme un completamento del quadro
che, in Ge 3, 16-19, descrive le conseguenze del primo peccato. Qui si
dimostra con i fatti l'indole malvagia ereditata dall'umanità, l'efficacia
sinistra del peccato che genera il peccato; inoltre appare l'aspetto sociale
della caduta originale: l'uomo diventa nemico dell'uomo. La storia di Caino
è dunque il seguito naturale del cap. 3.
I progenitori appaiono qui come individui: solo Eva tuttavia è
chiamata col suo nome personale. Adamo, nel testo ebraico, è per
ora ancora l'ha'ãdãm, genericamente l'uomo; solo al v. 25
sarà definitivamente ãdãm senza articolo, Adamo, l'individuo
così chiamato per distinguerlo dagli altri uomini. Caino, ebr. Qayin,
in alcune lingue semitiche vuol dire fabbro, ma il racconto ne dà
un'etimologia popolare collegandolo col verbo qanâ, acquistare, messo
in evidenza, analogamente ad altre narrazioni di nascite (Cfr. Ge 29, 32-35;
30, 6-13.17-24), dalle parole della madre al momento del parto. Le parole
di Eva: " Ho acquistato (qanîtî)
un uomo col favore di Jahvé" sono un
atto di fede nella provvidenza divina e uno spiraglio di speranza per l'avvenire
dell'umanità. Abele (Hèbel) vuol dire in ebr. vapore e vanità
fugace: se questo nome (come quello di Caino, e poi di Jabal, Jubal, Tubal)
non proviene da qualche lingua straniera, è forse un appellativo:
Caino, il fabbro, è l'antenato degli artigiani, invece Abele, vanità
fugace, è colui che, morto presto, parve essere nato invano. E' utile
far notare che, al tempo dell'episodio qui narrato, Caino e Abele erano uomini
fatti e di conseguenza dovevano avere un buon numero di fratelli e di sorelle.
Un'insegnamento assai importante qui contenuto è anche quello
del libero arbitrio. Più avanti si narra infatti che Caino, contrariato
perché Dio non aveva gradito la sua offerta "
ne fu molto irritato e il suo volto ne fu abbattuto". Fu
proprio in quel momento che gli giunse l'ammonimento di Dio: "
Se fai bene non sarai tu accettato? Ma se fai male il peccato sta
spiandoti alla porta e i suoi desideri sono volti a te; ma tu lo devi
dominare ". Nel testo originale il male è personificato da un
demonio che sta spiando Caino per potergli saltare addosso al momento opportuno.
La stessa immagine ci viene anche riferita in 1 Pt 5, 8-9. Nonostante però
l'intima tendenza al male ereditata da Caino, egli avrebbe potuto dominare
il male che stava per possederlo.
Il castigo di Caino è comprensibile soltanto in una società
non ancora insediata in agglomerati urbani e priva di una organizzazione
civile. Caino è messo al bando, e d'altra parte non può
fermarsi sul suolo da lui prima lavorato, perché ormai per lui
sarà sterile. Dovrà dunque partire. Questo significava per
lui perdere ogni garanzia di incolumità. Perdendo infatti la solidarietà
del clan di origine, Caino si sarebbe trovato alla mercé di chiunque
lo volesse punire per il suo omicidio. Caino esprime il suo terrore con
queste parole: "Il mio castigo è troppo grande
perché io lo possa sopportare". Ma Dio interviene in suo
favore stabilendo contro colui che lo uccidesse una pena sette volte
maggiore e gli pone addosso un segno perché nessuno possa incorrere
per errore in una simile atroce vendetta.
Abbiamo nel racconto di Caino ed Abele il primo accenno ai sacrifici
che costituivano la parte essenziale del culto anticotestamentario.
Questo accenno ai sacrifici precede il permesso di uccidere degli animali
a scopo di cibo che Dio diede a Noé ed ai suoi discendenti (Ge
9, 2-3). A parte queste considerazioni, la duplice offerta fu l'occasione
della disputa fra i due fratelli.
Al termine di un tempo stabilito, forse a fine anno o all'epoca
delle primizie, ciascun fratello offrì in sacrificio al Signore
i prodotti del proprio lavoro; ma pare che lo spirito e l'offerta di entrambi
fossero ben diversi dal momento che Dio dimostrò di gradire l'offerta
di Abele e non quella di Caino.
Ad un primo esame del testo sembrerebbe che Dio abbia gradito l'offerta
di Abele in quanto costui ebbe cura di offrire a Dio i primogeniti, appartenenti,
secondo un antico uso al Signore (Es 34, 19), mentre Caino non offrì
le primizie dei frutti della terra (Es 23, 19; 34, 26; Dt 26, 10), ma
soltanto dei generici frutti della terra. Certamente il gradimento da
parte di Dio dell'offerta di Abele e non di quella di Caino, è
stata determinata anche dalla predisposizione d'animo con cui sono state
fatte queste offerte. Mentre quella di Abele era stata accompagnata dalla
fede, come ci conferma l'autore della lettera agli Ebrei "
Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio più eccellente
di quello di Caino; per essa egli ricevette la testimonianza che era giusto,
quando Dio attestò di gradire le sue offerte" (Eb 11, 4);
evidentemente invece l'offerta di Caino fu fatta soltanto per l'adempimento
di un rito formale. Molto spesso la Parola di Dio ci testimonia del fatto
che Dio non gradisce le offerte ed i sacrifici se non sono seguiti poi
da una condotta di vita adeguata. Il passo di Ebrei 11, 4 che abbiamo appena
esaminato ci riporta il fatto che Abele, non solo offrì il suo
sacrificio con fede, ma Dio dimostrò di gradire la sua offerta
perché egli era "giusto". Questo concetto
lo troviamo chiaramente espresso anche nell'Antico Testamento, dove Is
1, 10-20 ribadisce che Dio non gradisce gli atti formali del culto se
non sono accompagnati da atti concreti di una vita vissuta nel bene e nella
giustizia. Ciò che distingue dunque i figli di Dio dai figli
del diavolo non sono gli atti formali del culto, ma la giustizia pratica
che si manifesta sopratutto nei confronti del proprio simile in quanto fratello.
" Da questo si riconoscono i figli di Dio e i figli
del diavolo: chiunque non pratica la giustizia non è da Dio, e neppure
lo è chi non ama il proprio fratello. Poiché questo è
l'annunzio che avete udito dal principio: che ci amiamo gli uni gli altri,
non come Caino, che era dal maligno ed uccise il proprio fratello. E per
quale motivo lo uccise? Perché le sue opere erano malvagie e quelle
di suo fratello giuste " (1 Gv 3, 10-12).
Come si può vedere, questi passi della Scrittura ci spiegano
i motivi profondi che hanno indotto Dio a gradire l'offerta di Abele anziché
quella di Caino. Al di là dell'atto formale in se stesso, del
fatto che Abele abbia offerto i primogeniti, mentre Caino soltanto dei
generici frutti della terra e non le primizie, c'è dietro tutto
questo la diversa predisposizione d'animo dei due fratelli: la fede di
Abele e l'indifferenza di Caino. Ma sopratutto c'è un diverso
comportamento dei due fratelli: le opere giuste di Abele e le opere malvagie
di Caino, che si manifesteranno poi concretamente nell'uccisione del
fratello. Non si potrebbe spiegare un gesto così terribile da parte
di Caino se non fosse stato preceduto da un atteggiamento e da un comportamento
egoista e privo di scrupoli. Nonostante l'invito di Dio, Caino non ha
dominato la bestia del male che era in agguato dentro di lui e si è
fatto trascinare dal suo istinto crudele e malvagio uccidendo il proprio
fratello Abele.
Al di là quindi del racconto biblico in se stesso che potrebbe
benissimo essere stato un racconto tipico preso in prestito dall'autore
ispirato dall'ambiente letterario dell'epoca, dobbiamo concludere che egli
è riuscito nel suo intento di descriverci la degenerazione del
genere umano fin dai suoi primi esponenti in seguito al peccato di Adamo
ed Eva ed alla loro scacciata dal Paradiso terrestre. Il filo conduttore
che lega questo racconto a quello precedente del peccato e della
conseguente cacciata dei progenitori dall'Eden è la lotta tra il
seme del serpente ed il seme della donna, fra il male ed il bene, che qui
si manifesta nella lotta tra il malvagio Caino ed il giusto Abele. I due
protagonisti, perduta la loro personalità, rappresentano i tipi
delle due vie, quella del bene in contrasto con quella del male.
La discendenza di Caino e lo sviluppo della civiltà (vv.
16-26)
Già si notano nella storia di Caino ed Abele
dei tratti di civiltà superiore (neolitica); Caino lavora la terra
e Abele alleva il gregge. Ma è specialmente nella lista dei discendenti
di Caino che il racconto biblico segnala le prime conquiste della civiltà.
Caino, allontanatosi dalla presenza di Dio, si recò nella indeterminata
regione di Nod, così chiamata perché lui vi sarebbe vissuto
come un nad, cioè come un pellegrino. Così inizia la storia
di Caino e dei suoi discendenti, lontani dalla presenza di Dio e dalla
felicità del giardino di Eden. Dalla sua moglie, che era per forza
di cose una sua sorella, Caino, ebbe il figlio Enok, da cui prese il nome
la prima città menzionata. La famiglia del fuggiasco è diventata
così un clan, un punto di riferimento fisso, un agglomerato urbano
o qualcosa di simile. Tuttavia al v. 20, fra i discendenti di Caino, sono
ricordati i pastori nomadi. Enok è il primo di una genealogia di
sette generazioni in tutto con Caino che, secondo il procedimento redazionale
dell'autore, congiunge gli inizi dell'umanità con notizie di un'epoca
più recente. Tali notizie si riferiscono per lo più ad alcune
invenzioni o istituzioni che hanno cambiato la civiltà primitiva.
Ma prima ancora c'è la novità della poligamia praticata dal
discendente Lamek, il cainita patriarca dei malvagi che prende due mogli
dai nomi civettuoli, Ada (ornamento) e Silla (ombra), qui riportati per spiegare
la composizione poetica, il cosiddetto canto della spada, che segue al v.
23. Si fa menzione anche di un'altra donna, Naama, figlia di Silla.
I tre figli di Lamek portano nomi tra loro affini e di etimologia
incerta: Jabal, Jubal e Tubal, quest'ultimo ha in più l'aggiunta
di Cain, lo stesso di Caino, che, significando fabbro, specifica
la particolare attività da lui esercitata. Essi furono, ciascuno
nel suo genere, i padri cioè i precursori di un notevole progresso
culturale. Jabal è presentato come "il padre
di quelli che abitano sotto le tende ed allevano il bestiame". Ciò
significa che la pastorizia nomade in forma stabile e organizzata si deve
all'iniziativa di questo cainita. A Jubal invece si attribuisce il sorgere
dell'attività musicale perché "fu il
padre di tutti quelli che suonano la cetra ed il flauto" cioè
dei vari tipi di strumento a corda e a fiato. Per quanto riguarda
Tubal Cain il testo presenta qualche difficoltà, in quanto, mancando
come per gli altri l'espressione "fu il padre
", sembra essere l'artefice diretto degli strumenti di bronzo e di ferro.
Questo ci porta in un epoca incredibilmente recente. Si preferisce pertanto
inserire nel testo l'espressione " fu il padre
" per renderlo soltanto il precursore di coloro che lavoravano i metalli.
Isolando queste notizie dall'attuale contesto non vi si trova apparentemente
alcuna nota di biasimo. La tradizione proveniente da qualche popolazione
seminomade attribuisce ai tre figli di Lamek l'introduzione del tipo di
civiltà da essi stessi praticata: la pastorizia su larga scala con
la trasmigrazione stagionale, la specializzazione di alcuni gruppi nell'arte
di fabbricare e usare gli strumenti musicali e la specializzazione dei
fonditori e lavoratori dei minerali metallici. La famosa pittura nelle tombe
di Beni Hassan rappresenta appunto dei nomadi che entrano in Egitto dal
confine orientale con donne e bambini. Assieme a quelli che accompagnano
il bestiame ci sono i suonatori di cetra e tra le numerose masserizie e
le molte armi si notano pure i soffietti usati anticamente nella metallurgia.
Tuttavia nel contesto attuale tutte queste notizie di un progresso
della civiltà sono gravate da un senso di pessimismo, creato, non
solo dall'iniziale delitto di Caino, ma ancor più dall'innegabile
senso di ferocia che spira dal canto di Lamek.. Così attraverso queste
notizie di un progresso materiale si legge l'intenzione dell'autore sacro
di segnalare un regresso nel campo morale e religioso causato anche dall'allontanamento
da Dio da parte degli uomini.
La ricchezza, rappresentata dalle enormi greggi che rende necessarie
le migrazioni stagionali, la vita comoda e piacevole, originata dalle ricchezze
e rappresentata dall'arte musicale, e specialmente la sicurezza contro
eventuali nemici, proveniente dal possesso di armi nuove e terribili, sono
conquiste tali da montare la testa e da sfociare nella superbia e nella
prepotenza. Sicurezza e prepotenza omicida riecheggiano infatti nel canto
di Lamek (v. 23), costruito in tre distici dal parallelismo perfetto. In
questo canto si riscontra l'uso degli antichi eroi e dei beduini moderni
di esaltare, alla presenza delle proprie donne, la propria forza e le imprese
guerresche come una civetteria maschile. In possesso di un'eccezionale forza
fisica e delle armi che gli altri non hanno, Lamek, dopo averne fatta la
prova, misura le vendetta non in proporzione dell'offesa, ma in proporzione
della illimitata possibilità di rappresaglia. Non si tratta della
legge del taglione: contusione per contusione, ferita per ferita, vita per
vita che troviamo riportata in Es 21, 23-36, ma di qualcosa che travalica
la legge e la stessa giustizia: vita per ferita, vita per una contusione
causata dal lancio di un sasso da parte di un ragazzo. C'è un precedente,
continua il canto seguendo la sua logica della forza, costituito dal fatto
che la vendetta per chi avesse ucciso Caino doveva essere sette volte maggiore:
sette vite per una vita. Ebbene! Guai ora a chi avesse attentato alla vita
di Lamek perché la vendetta sarebbe stata settantasette volte maggiore,
cioè illimitata. Si confronti qui il testo di Mt 18, 22 in cui Gesù
riferendosi a questo passo lo applica però non alla vendetta, ma al
perdono.
Questo progresso della ferocia da Caino a Lamek è certamente
un fatto gravissimo sul piano morale. Qui c'è in più qualcosa
di peggio sul campo religioso. L'autore sacro ha presentato la vendetta
comminata agli eventuali aggressori di Caino come un intervento della misericordia
di Dio per difenderlo nel suo isolamento iniziale. Ora invece ci presenta
Lamek nell'atto di vantare la sua forza omicida e la capacità del
suo clan di eseguire una rappresaglia ben più grande di quella stabilita
da Dio per Caino, e ciò servendosi soltanto dei propri mezzi senza
alcun ricorso a Dio che viene superato e messo da parte nel confronto tra
le due misure di vendetta. Questa è senza altro una manifesta ribellione
a Dio stesso ed un chiaro tentativo di esaltare l'autonomia della creatura
nei confronti del proprio Creatore. Qui viene presentato in maniera esemplare
ed emblematica quell'atteggiamento che contraddistinguerà da oggi
in poi un'umanità sempre più lontana da Dio, non sottomessa
alla Sua volontà, ma preoccupata soltanto di affermare sempre di
più la propria volontà autonoma e indipendente da Dio. Ci
saranno dei grandi progressi nel campo della conoscenza e della scienza
che renderanno la vita più comoda e confortevole dal punto di vista
materiale. Ma questo progresso materiale non sarà seguito da un
corrispondente progresso nel campo morale, sociale e religioso e l'umanità
si avvierà inesorabilmente verso la sua rovina e l'autodistruzione
se non si ravvederà per tempo.
In questo quadro terribilmente negativo della prima umanità
ribelle alla volontà divina ci viene offerta una speranza con la
notizia della discendenza di Set che chiude il cap. 4. La notizia di questa
discendenza è la dimostrazione che non tutto era ancora perduto
per l'umanità.
Il nome di Set con il procedimento dell'etimologia popolare è
messo in rapporto con le parole di Eva: "Dio mi
ha dato un altro discendente al posto di Abele, che Caino ha ucciso
". Set dunque succede ad Abele come prediletto da Dio e costituisce un
seme, cioè una discendenza che partecipa all'elezione del giusto.
La conferma di questa buona notizia in cui può continuare
a sperare l'umanità la troviamo nell'accenno al culto di Jahvé
in occasione della nascita di Enosh. In questo modo la linea di Set si
contrappone a quella di Caino in quanto si ha la notizia che nella sua
discendenza verrà privilegiato il progresso religioso e non soltanto
quello materiale.