Dal momento che l'esperienza quotidiana sulla vita umana conferma il
detto biblico: "I giorni della
nostra età arrivano a settant'anni e, per i più forti a
ottant'anni " (Sl 90. 10), subentra
una non lieve difficoltà qualora si debba legittimare la data longeva
attribuita ai patriarchi
antidiluviani. Alcuni esegeti hanno preteso con vari mezzi di ridurre
le cifre bibliche ai dati dell'esperienza:
1)
Già al tempo di Agostino erano sorti alcuni
che, meraviliati della colossale entità di tali cifre, avevano
pensato di attribuire all'anno biblico il valore assai incerto di 36 giorni,
così che "dieci dei loro
sarebbero equivalsi ad uno dei nostri anni
". Una simile concezione fu pure sostenuta da due monaci alessandrini,
Panodoro (395-408) e Aniano (412) cui risale una cronografia universale.
Tuttavia, l'assurdità di voler qui, senza alcuna prova, interpretare
l'anno dei patriarchi in modo diverso da quello usuale, ha spinto altri
esegeti su una via diversa.
2)
Alcuni hanno creduto di poter negare al racconto
biblico ogni storicità, pensando che i personaggi siano mitici
e che i numeri siano in rapporto con considerazioni astronomiche riguardanti
un ciclo annuale. Essi poggiano la loro considerazione sulla curiosa coincidenza
tra la vita di Enok ed i 365 giorni dell'anno solare. E' tuttavia illogico
poggiare su quest'unica coincidenza tutta una costruzione non comprovata
affatto da altre cifre bibliche.
3)
Altri invece vollero eliminare ogni difficoltà
attribuendo gli anni dei patriarchi non a singoli individui, bensì
ad una serie intera di posteri che sarebbe stata personificata in essi.
E' tuttavia ben difficile, nel presente caso, interpretare il passo biblico
come un periodo di generazioni, dal momento che in esso si parla di procreazione
di figli a determinati anni di vita e si legittima la scarsa durata della
vita di Enok, con la sua traslazione nel regno d'oltretomba. Tutto questo
si combina assai male con l'interpretazione non personale delle cifre
bibliche.
4) Di conseguenza non pochi esegeti hanno preferito accogliere il dato biblico nella sua interezza, e cercare anzi di legittimarne la ragionevolezza. Già G. Flavio scriveva: « Nessuno mettendo a confronto la brevità dell'odierna vita umana con la longevità di quei tempi, reputi falso quanto si narra di questa. Infatti quei primi uomini, essendo amanti di Dio ed in modo speciale da Lui prediletti, con l'uso di un vitto più adatto ad una lunga vita, poterono, con molta verosimiglianza, raggiungere un si gran numero d'anni ».
5)
Altri studiosi per spiegare tale fenomeno portano consderazioni
d'ordine naturale (vigore naturale della giovine razza umana, sobrietà
di vita, clima più salubre) e d'ordine supernaturale (speciale
provvidenza divina per meglio favorire la propagazione del genere umano
e la conservazione della tradizione primitiva). Così ad esempio
scrive J. E. Steinmüller: «
L'espansione rapida della razza umana, la fondazione come la stabilità
dell'ordine sociale e in particolare la trasmissione della rivelazione
divina, esigevano questa durata eccezionale della vita per i primi membri
della razza umana ». Va
tuttavia notato che vengono presentate soltanto delle ragioni di convenienza
assai discutibili e non vengono invece portate delle prove oggettive.
La propagazione del genere umano viene contraddetta dalla data tardiva
in cui si attribuisce la prima generazione dei singoli patriarchi (65
anni - 187 anni anche prescindendo da Noé: 500 anni). Quanto poi
al risultato di tale durata per la stabilità dell'ordine sociale,
si può giudicare da Ge 6, 12 "
Ogni carne sulla terra aveva corrotto la sua condotta
". Non ci sembra proprio che la geologia abbia trovato qualche parallelo
nel regno animale e vegetale. Anche i resti fossili dei primi uomini non
ci autorizzano a supporre una tale differenza di vita e di costituzione
tra l'uomo antico e quello dei nostri giorni. E' opportuno quindi rimandare
la soluzione del problema dopo aver esaminato anche la seconda difficoltà
1) La risposta della scienza. E' impossibile ai nostri giorni dire
una parola sicura su questo argomento, essendo tutt'ora incerti i cronometri
usati dalla scienza. Come poter misurare con precisione la durata necessaria
per le varie stratificazioni della crosta terrestre, o dalla lenta avanzata
o retrocessione dei ghiacciai dell'epoca diluviale? E' certo tuttavia
che la prima comparsa dell'uomo risale ad epoca molto remota. Pur supponendo
che l'uomo non risalga all'epoca terziaria, come sostengono alcuni, è
però da tutti riconosciuto esistente ai primordi dell'epoca quaternaria
(Pleistocene inferiore). La comparsa dell'uomo viene quindi fatta risalire
a circa 600.000 - 1.000.000 di anni fa. Anche se tali cifre sono abbastanza
approssimative e sono destinate col tempo ad essere ridotte è certo
che la prima apparizione dell'uomo deve essere fatta risalire ad epoche
assai lontane
2) L'affermazione biblica. Analizzando simultaneamente le due genealogie di Ge 5 e 11 che da Adamo conducono a Noé e portano ad Abramo, la cui vita deve collocarsi dopo il 2000 a. C:, abbiamo delle cifre che secondo i vari testi oscillano da un massimo di 3412 a un minimo di 2046 anni. Dovremmo quindi, con gli antichi esegeti, far risalire la comparsa della razza umana al massimo a circa 5412 anni fa. Prescindendo da tutti quei critici che ritengono il dato biblico come leggendario, l'armonia fra scienza e Bibbia fu tentata in vari modi:
(1) Eliminazione di anelli. Dal fatto che spesso le genealogie
bibliche saltano anelli intermedi per congiungere direttamente tra loro
un avo con il proprio nipote o pronipote, alcuni studiosi hanno ritenuto
possibile applicare tale metodo storiografico anche al presente testo di
Ge 5. Le lacune genealogiche introdotte in tal modo e che possono estendersi
a piacimento, renderebbero possibile qualsiasi accordo con la scienza moderna.
Che tale principio si riscontri realmente negli alberi genealogici della
Bibbia, appare evidente dal confronto di Esdra 7, 1-5; 1 Cron. 6, 1-12
nonché dei dati del libro di Re con la genealogia di Cristo in Mt
1. Infatti spesso "figlio
" indica solo "discendente
" e "generare
" equivale ad "avere la propria
posterità". E' tuttavia
problematico applicare questo criterio ai passi in esame di Genesi 5 a
causa dell'esplicita menzione dell'età in cui il padre ha generato
il proprio figlio. Che senso infatti può avere un ragionamento
come questo: "Jared a 162 anni generò un discendente
che gli successe migliaia e migliaia di anni dopo
"? E' evidente che qui
l'autore intende porre le basi di una cronologia di cui si dovrà
però esaminare meglio il valore
(2) Citazione implicita o forse anche esplicita. L'autore, senza
rendersi garante del valore storico della pericope, non farebbe altro
che ricopiare meccanicamente la tradizione antica, che a voce o per iscritto
conserva gli incerti ricordi di un'epoca tanto lontana. Alcuni pensano
che in Ge 5 si ricorra ad una citazione esplicita basandosi sulle variazioni
numeriche esistenti fra le varie versioni. Se i traduttori greci e i trascrittori
samaritani ritennero possibile variare secondo i loro criteri le cifre
dell'età patriarcale, è segno che ad esse non attribuirono
soverchia importanza e quindi non le ritenevano materialmente esatte,
ma solo cifre mutabili a piacimento per ragioni mistico-teologiche. Tale
ipotesi sarebbe anche confermata dal genere letterario delle liste dei
re a cui abbiamo accennato più sopra.
(3) Storia scientifico-artistica. Si può tuttavia fare
una considerazione più profonda, propria di questi primordi dell'umanità.
Come può l'uomo compilare la storia di queste prime età,
di cui fa difetto ogni documento scritto? Solo mediante ricerche scientifiche,
basate su scavi, su considerazioni stratigrafiche, e geologiche, su induzioni
più o meno sicure poggianti su sintesi, sempre alquanto soggettive,
che in sé raccolgono e armonizzano i reperti rinvenuti. Di qui
il continuo variare delle ipotesi man mano che i nuovi scavi vengono a
capovolgere i risultati prima acquisiti. Abbiamo si una storia, ma molto
variabile che poggia in modo primario sulla scienza geologica e su scoperte
scientifiche. Per questo si chiama preistoria e si potrebbe anche
chiamare storia scientifica, dando a questo termine il significato
di «storia basata sulle scienze naturali». Appunto per il variare
di tali reperti noi abbiamo un continuo allungarsi dell'era umano
che da un primo incerto periodo di 10.000 anni va ora prolungandosi,
come abbiamo già visto, sino all'ingente durata di quasi un milione
di anni.
Ora in mancanza di tale studio, che del resto al tempo della Bibbia era
assolutamente impossibile, come poteva il nostro autore venire a conoscenza
della prima età dell'uomo? Soltanto mediante una rivelazione diretta
da parte di Dio che però Dio non volle fare perché il suo
scopo non era quello di comunicare semplicemente dei dati puramente scientifici,
del resto incomprensibili per gli uomini di quei tempi, ma piuttosto Egli
voleva condurre a sé gli uomini di tutti i tempi mediante la fede.
Non rimaneva quindi che servirsi dei ricordi a quel tempo diffusi sull'oscuro
periodo precedente di civiltà mesopotamicche, egiziane e persiane.
Ora è curioso constatare come queste prime culture a noi storicamente
note, risalgono appunto, come afferma il testo biblico, attorno al 4000
a. C. (o anche un pò prima) e pur essendo ancora molto enigmatiche
per noi, rivelano tuttavia il primo stanziarsi di quelle civiltà
che diedero appunto origine ai popoli storici di cui in seguito parlerà
la stessa Bibbia. Coincidenza fortuita o meglio maggior senso storico
del libro ispirato che basandosi su positivi dati tradizionali, contro
la durata fantastica dei documenti antichi, preferì storicamente
ricollegare la prima comparsa dell'uomo con il primo sorgere a lui noto
della primitiva cultura orientale?
Ed allora il tempo così fissato fu suddiviso nelle note 10 figure
patriarcali, cui venne logicamente attribuita una durata molto più
lunga degli individui presenti. Ed in ciò l'autore, più
che alla durata in sé, ebbe riguardo al senso simbolico e salvifico
di tali cifre: la benedizione divina conferita a questi individui mostratasi
nella lunga vita dato che "il
timore del Signore aumenta i giorni
" dicono i Proverbi (10, 27) e che il codice dell'Alleanza presenta,
a compenso del rispetto verso i genitori, una vita lunga (Es 20, 12).
Si comprende allora come Isaia, parlando della restaurazione messianica,
affermi come morire a cento anni sarà come morire giovane: è
l'epoca in cui il leone e il lupo andranno a pascolare con l'agnello e
con il bue. Il simbolismo del passato è quindi ripreso per dipingere
le meraviglie di quell'epoca invidiabile.
Il criterio di ripartire gli anni di tale longevità simbolica
ai singoli patriarchi fu, come quadro generale, il sistema sessagesimale.
in funzione di numeri mistici, scelti a priori per Noé e per Abramo,
secondo le idee soteriologiche varianti nelle diverse liste.
Non interferenza quindi fra scienza e Bibbia. Infatti mentre la scienza
tenta di dirci realmente quando l'uomo fece la sua prima comparsa, la
Bibbia al contrario, raccogliendo gli unici dati della protostorica cultura
mesopotamica ed egiziana risalente a circa il 4.000 a.C., lasciò
in silenzio il periodo precedente, ricollegando così Adamo a tale
epoca trasmessale da una tradizione ben fissa e distribuendo in essa i
10 patriarchi antidiluviani di cui parlavano pure altri popoli e tradizioni
similari. Una storia strettamente intesa era impossibile e tuttavia era
necessario mostrare in una catena continua l'unità della storia
della salvezza. La Bibbia evita i racconti assurdi o non adatti, si astiene
anche dai racconti campati in aria. Essa s'attacca al tangibile, alle
invenzioni ancora esistenti al suo tempo e ne dice l'origine, il progresso,
pur lasciando queste invenzioni in una penombra che non ha neppure l'aria
di essere una storia circostanziata.
In conclusione possiamo dire che l'autore, pur servendosi dello stesso
genere letterario della tradizione sumero-accadica, ha dato alla sua opera
un valore molto più elevato e straordinario per quell'epoca che
può essere spiegato soltanto da un'ispirazione divina. E' chiara
infatti l'intenzione dell'autore di ridurre al minimo il carattere mitico
della saga popolare. Gli eroi non sono dei semidei, investiti di autorità
regia « discesa dal cielo
», ma dei semplici capifamiglia che nascono crescono, sposano e
muoiono. La civilizzazione delle arti e dei mestieri non ha origine divina
per mezzo di rivelazioni ultraterrene, ma dipende da uomini materialistici,
di una genealogia maledetta. La benedizione divina non è nell'urbanesimo,
ma nella vita morale di individui che camminano con Dio.
Contro il pessimismo della tradizione sumero-accadica che aveva presentato
la morte come condizione naturale dell'uomo e la vita come geloso privilegio
degli Dei e dei semidei, l'autore con la sua genealogia Setita, vuol dimostrare
che Dio non è geloso custode della vita, ma proprio per essa aveva
creato l'uomo. Se la morte viene è perché gli empi l'hanno
chiamata con il primo peccato di Adamo e poi con la corruzione del genere
umano.
Per i giusti invece c'è una numerosa posterità di figli
e figlie, c'è una vita terrena lunga. E quando questa viene meno,
come nel caso di Enok, non lo è a causa della morte, ma perché
Dio lo accoglie direttamente nell'eternità. Per gli autori ispirati
dell'A.T. l'assunzione del Giusto antidiluviano non è più
l'evocazione di un sogno impossibile (come nell'epopea di Ghilgamesh),
ma è al contrario la descrizione anticipata del destino che Dio
riserva ai propri fedeli. Al pessimismo della riflessione pagana si è
sostituito una speranza fondata sulle intenzioni profonde di Dio: sottolineate
dalla creazione, realizzate nel corso dei tempi per uomini eccezionali
che spiccavano sopra la comune razza peccatrice, esse si rivelano finalmente
nella prospettiva escatologica che viene a coronare tutte le promesse
profetiche. La lunga vita dei patriarchi infatti costituirà un
ideale per i tempi messianici in tutta la corrente sacerdotale di Ezechiele,
a cui pare debba attribuirsi questa genealogia e il sistema simbolico
dei numeri.