GENESI - LA PREISTORIA BIBLICA (Ge 4,1 - 11, 26)

INDICE
La discendenza di Adamo da Seth a Noè (Cap. 5, 1-32)
Longevità dei patriarchi
Antichità del genere umano

La discendenza di Adamo da Seth a Noè (Cap. 5, 1-32)

Dopo la presentazione dei Cainiti, l'autore sacro rivolge la sua attenzione ai Setiti che meglio lo interessavano, di cui sottolinea l'importanza mediante le indicazioni biografiche; di ciascuno, infatti, riporta gli anni avuti alla nascita del primogenito (probabilmente l'elenco riguarda i primogeniti, a meno che in alcuni casi si ricordi colui che di fatto, pur non essendo il primo a nascere, conservò e trasmise l'eredità paterna), gli anni trascorsi tra tale nascita e la morte successiva, e il totale della vita. Lo schema che procede invariato per tutta la serie, si riallaccia a quello dei patriarchi postdiluviani (cap. 11).

In questo schema si segue il genere letterario della "
lista dei re" Sumeri, dato che essa ben si adattava alla visione storica dell'autore: re prediluviani, diluvio, re postdiluviani. Si accetta pure il sistema sessagesimale di tali liste, perché tale sistema era legato, anche nell'ambito sumero, a quel simbolismo numerico che poteva esprimere concetti teologici più che cronologici. Ed era appunto la teologia quella che più interessava l'autore.

Il brano genealogico è introdotto da una premessa e da un rimando alla creazione di Adamo. La premessa dice letteralmente: "
Questo è il libro della discendenza di Adamo ". Il termine "libro " sta ad indicare uno scritto qualsiasi più o meno esteso, come ad es. Il Deuteronomio (Dt 17, 18), un foglio o un documento (Dt 24, 1), oppure una semplice lettera (Gr 32, 10 ss.). Il termine è molto vicino  a quello accadico sipru (da saparau stendere) che originariamente significava una missiva spedita da un luogo ad un altro, e in seguito significò uno scritto qualunque. Nel nostro caso riguarda il brano genealogico che all'origine doveva esistere da solo, forse congiunto con la genealogia postdiluviana di Ge 11, 10-26.

Il richiamo alla prima origine dell'uomo sottolinea alcuni fondamentali dati teologici: Dio avendo creato i primi uomini, li ha fatti ad immagine e somiglianza sua, li ha poi creati maschio e femmina, perché potessero trasmettere la propria natura alla loro discendenza. Questo riferimento diretto alla prima creazione ci fa capire in maniera esplicita che questo brano appartine, come il primo, alla tradizione sacerdotale. Segue la benedizione concessa al primo uomo ed il nome a lui dato, senza del quale egli, nella concezione semita, non sarebbe passato all'esistenza; poiché un essere non può esistere senza il nome che simbolizza in concreto la realtà dell'essere nominato.

Anche di Adamo (di cui sono omessi i figli maggiori, perché già morti, come Abele o perché resisi indegni della benedizione divina, come Caino) si ricordano gli anni avuti al tempo in cui nacque Seth (130 anni), quelli intercorsi tra il lieto evento e la morte del patriarca (800 anni) e il totale dell'intera sua vita (930 anni). Segue la menzione della numerosa figliolanza in cui si concretava, a quel tempo, la benedizione di Dio.

Si rimarca che Seth fu generato a "
somiglianza " del padre, anzi proprio a sua "immagine " perfetta. Qui vi è una successione di termini opposta a quella usata in Ge 1, 26 in cui la "immagine " del primo uomo nei riguardi di Dio viene attenuata dal successivo " a sua somiglianza" (tale epiteto è l'unico conservato in 5, 3), mentre qui la " somiglianza" è accresciuta dal successivo termine "immagine ". Con questo si vuol notare, oltre la perfetta identità di natura, anche il fatto che Seth fu colui che, a differenza di Caino, ereditò dal padre le doti morali e la benedizione divina promessa all'umanità.

La successione patriarcale, segue per tutti i successivi anelli la stessa formula:

"A" visse "x" anni e generò "B".
Dopo aver generato "B", "A" visse "y" anni e generò figli e figlie.
Così il tempo che "A" visse fu "x+y" anni; poi morì.

Dove le variabili sono rappresentate dalle lettera indicate tra virgolette. Fanno eccezione a questa regola soltanto due patriarchi Enok e Lamek in cui vengono aggiunti dei dati biografici e Noé in cui la formula si interrompe dopo la menzione della nascita dei figli Sem. Cam e Jafet per riprendere dopo, il diluvio al cap. 9, vv. 28-29.

Dopo Seth i successivi anelli della successione patriarcale fino a Noè sono:

Enosh
Kenan
Mahlaleel
Jared
Enok
Methuselah
Lamek

Compresi Adamo e Noè sono in tutto 10 patriarchi.

Come abbiamo già detto più sopra rompono la monotonia della formula, sempre uguale, i patriarchi Enok e Lamek. Il patriarca Enok ebbe la vita più breve di tutti gli altri in quanto visse soltanto 365 anni, ma di lui si sottolinea che "
camminò con Dio". L'espressione ricorre pure in Ge 6, 9 a proposito di Noè e indica che l'uomo fu caro a Dio " trovò grazia ", in quanto visse in intimità con Lui, seguendo una condotta, moralmente e religiosamente, risoluta e perfetta (Cfr. Mi 6, 8; Ml 2, 6). Sono giuste quindi le traduzioni: " fu caro a Dio " oppure " cammino nel timore di Dio ".

Questo elogio si legge due volte a proposito di Enok (ai vv. 22 e 24), del quale non si dice che morì, come tutti gli altri, ma che "
non fu più trovato, perché Dio lo prese ". La frase non significa semplicemente, come affermano alcuni, che di lui non si conosce né la morte né la sepoltura, ma che egli fu misteriosamente trasferito in una regione o sfera ultraterrena, come avvenne per Elia, per cui si usa lo stesso vocabolo " lo rapì " (2 Re 2, 3.9.11). Questa fu appunto la convinzione della posteriore tradizione biblica che gli attribuisce una fede eroica (Eb 11, 5) in quanto predicava alla contemporanea gente prevaricatrice il prossimo giudizio divino (Giuda 14 ss.).

Anche con il patriarca Lamek lo schema della formula si interrompe al v. 29 che conserva un augurio paterno pronunciato in occasione della nascita di Noé. Tale augurio, riferito con queste parole: "
Questi ci consolerà del nostro lavoro e della fatica delle nostre mani, a motivo del suolo che l'Eterno ha maledetto ", rivela in Lamek un carattere ben diverso da quello truculento dell'omonimo cainita.

In che cosa sia consistita la consolazione noachide non risulta dal contesto. Alcuni hanno pensato a quella prodotta con la scoperta della vite, il cui vino rallegra il cuore umano (Sl 104, 15; Gd 9, 13) facendo dimenticare il proprio affanno (Pv 31, 6). Ma la scoperta della vite non fu per Noé fonte di gioia, bensì causa di maledizione per tutta la posterità camita. Con tutta probabilità l'autore, in questa occasione, pensò al fatto che con Noé si diede inizio ad una nuova era dell'umanità che, dopo essere stata naufragata nel Diluvio, per merito suo riprese a vivere con una benedizione che doveva segnare la fine della precedente maledizione rivolta alla campagna.

Le difficoltà che si riscontrano in questo brano della Genesi sulla genealogia sono di due tipi:

a)    Eccessiva longevità dei singoli patriarchi, scientificamente non comprovabile.
b)    La durata complessiva dell'umanità che nella Bibbia diviene troppo breve se si pretende confrontare con l'antichità del genere umano asserita dalla scienza.

torna all'indice

Longevità dei patriarchi

Dal momento che l'esperienza quotidiana sulla vita umana conferma il detto biblico: "I giorni della nostra età arrivano a settant'anni e, per i più forti a ottant'anni " (Sl 90. 10), subentra una non lieve difficoltà qualora si debba legittimare la data longeva attribuita ai patriarchi   antidiluviani. Alcuni esegeti hanno preteso con vari mezzi di ridurre le cifre bibliche ai dati dell'esperienza:

1)    Già al tempo di Agostino erano sorti alcuni che, meravi­liati della colossale entità di tali cifre, avevano pensato di attribuire all'anno biblico il valore assai incerto di 36 giorni, così che "dieci dei loro sarebbero equivalsi ad uno dei nostri anni ". Una simile concezione fu pure sostenuta da due monaci alessandrini, Panodoro (395-408) e Aniano (412) cui risale una cronografia universale. Tuttavia, l'assurdità di voler qui, senza alcuna prova, interpretare l'anno dei patriarchi in modo diverso da quello usuale, ha spinto altri esegeti su una via diversa.

2)    Alcuni hanno creduto di poter negare al racconto biblico ogni storicità, pensando che i personaggi siano mitici e che i numeri siano in rapporto con considerazioni astronomiche riguardanti un ciclo annuale. Essi poggiano la loro considerazione sulla curiosa coincidenza tra la vita di Enok ed i 365 giorni dell'anno solare. E' tuttavia illogico poggiare su quest'unica coincidenza tutta una costruzione non comprovata affatto da altre cifre bibliche.

3)    Altri invece vollero eliminare ogni difficoltà attribuendo gli anni dei patriarchi non a singoli individui, bensì ad una serie intera di posteri che sarebbe stata personificata in essi. E' tuttavia ben difficile, nel presente caso, interpretare il passo biblico come un periodo di generazioni, dal momento che in esso si parla di procreazione di figli a determinati anni di vita e si legittima la scarsa durata della vita di Enok, con la sua traslazione nel regno d'oltretomba. Tutto questo si combina assai male con l'interpretazione non personale delle cifre bibliche.

4)    Di conseguenza non pochi esegeti hanno preferito accogliere il dato biblico nella sua interezza, e cercare anzi di legittimarne la ragionevolezza. Già G. Flavio scriveva: « Nessuno mettendo a confronto la brevità dell'odierna vita umana con la longevità di quei tempi, reputi falso quanto si narra di questa. Infatti quei primi uomini, essendo amanti di Dio ed in modo speciale da Lui prediletti, con l'uso di un vitto più adatto ad una lunga vita, poterono, con molta verosimiglianza, raggiungere un si gran numero d'anni ».

5) Altri studiosi per spiegare tale fenomeno portano cons­derazioni d'ordine naturale (vigore naturale della giovine razza umana, sobrietà di vita, clima più salubre) e d'ordine supernaturale (speciale provvidenza divina per meglio favorire la propagazione del genere umano e la conservazione della tradizione primitiva). Così ad esempio scrive J. E. Steinmüller: « L'espansione rapida della razza umana, la fondazione come la stabilità dell'ordine sociale e in particolare la tra­smissione della rivelazione divina, esigevano questa durata eccezionale della vita per i primi membri della razza umana ». Va tuttavia notato che vengono presentate soltanto delle ragioni di convenienza assai discutibili e non vengono invece portate delle prove oggettive. La propagazione del genere umano viene contraddetta dalla data tardiva in cui si attribuisce la prima generazione dei singoli patriarchi (65 anni - 187 anni anche prescindendo da Noé: 500 anni). Quanto poi al risultato di tale durata per la stabilità dell'ordine sociale, si può giudicare da Ge 6, 12 " Ogni carne sulla terra aveva corrotto la sua condotta ". Non ci sembra proprio che la geologia abbia trovato qualche parallelo nel regno animale e vegetale. Anche i resti fossili dei primi uomini non ci autorizzano a supporre una tale differenza di vita e di costituzione tra l'uomo antico e quello dei nostri giorni. E' opportuno quindi rimandare la soluzione del problema dopo aver esaminato anche la seconda difficoltà  

torna all'indice

Antichità del genere umano

1) La risposta della scienza. E' impossibile ai nostri giorni dire una parola sicura su questo argomento, essendo tutt'ora incerti i cronometri usati dalla scienza. Come poter misurare con precisione la durata necessaria per le varie stratificazioni della crosta terrestre, o dalla lenta avanzata o retrocessione dei ghiacciai dell'epoca diluviale? E' certo tuttavia che la prima comparsa dell'uomo risale ad epoca molto remota. Pur supponendo che l'uomo non risalga all'epoca terziaria, come sostengono alcuni, è però da tutti riconosciuto esistente ai primordi dell'epoca quaternaria (Pleistocene inferiore). La comparsa dell'uomo viene quindi fatta risalire a circa 600.000 - 1.000.000 di anni fa. Anche se tali cifre sono abbastanza approssimative e sono destinate col tempo ad essere ridotte è certo che la prima apparizione dell'uomo deve essere fatta risalire ad epoche assai lontane

2) L'affermazione biblica. Analizzando simultaneamente le due genealogie di Ge 5 e 11 che da Adamo conducono a Noé e portano ad Abramo, la cui vita deve collocarsi dopo il 2000 a. C:, abbiamo delle cifre che secondo i vari testi oscillano da un massimo di 3412 a un minimo di 2046 anni. Dovremmo quindi, con gli antichi esegeti, far risalire la comparsa della razza umana al massimo a circa 5412 anni fa. Prescindendo da tutti quei critici che ritengono il dato biblico come leggendario, l'armonia fra scienza e Bibbia fu tentata in vari modi:

(1) Eliminazione di anelli. Dal fatto che spesso le genealogie bibliche saltano anelli intermedi per congiungere direttamente tra loro un avo con il proprio nipote o pronipote, alcuni studiosi hanno ritenuto possibile applicare tale metodo storiografico anche al presente testo di Ge 5. Le lacune genealogiche introdotte in tal modo e che possono estendersi a piacimento, renderebbero possibile qualsiasi accordo con la scienza moderna. Che tale principio si riscontri realmente negli alberi genealogici della Bibbia, appare evidente dal confronto di Esdra 7, 1-5; 1 Cron. 6, 1-12 nonché dei dati del libro di Re con la genealogia di Cristo in Mt 1. Infatti spesso "figlio " indica solo "discendente " e "generare " equivale ad "avere la propria posterità". E' tuttavia problematico applicare questo criterio ai passi in esame di Genesi 5 a causa dell'esplicita menzione dell'età in cui il padre ha generato il proprio figlio. Che senso infatti può avere un ragionamento come questo: "Jared a 162 anni generò un discendente che gli successe migliaia e migliaia di anni dopo "? E' evidente che qui l'autore intende porre le basi di una cronologia di cui si dovrà però esaminare meglio il valore

(2) Citazione implicita o forse anche esplicita. L'autore, senza rendersi garante del valore storico della pericope, non farebbe altro che ricopiare meccanicamente la tradizione antica, che a voce o per iscritto conserva gli incerti ricordi di un'epoca tanto lontana. Alcuni pensano che in Ge 5 si ricorra ad una citazione esplicita basandosi sulle variazioni numeriche esistenti fra le varie versioni. Se i traduttori greci e i trascrittori samaritani ritennero possibile variare secondo i loro criteri le cifre dell'età patriarcale, è segno che ad esse non attribuirono soverchia importanza e quindi non le ritenevano materialmente esatte, ma solo cifre mutabili a piacimento per ragioni mistico-teologiche. Tale ipotesi sarebbe anche confermata dal genere letterario delle liste dei re a cui abbiamo accennato più sopra.

(3) Storia scientifico-artistica. Si può tuttavia fare una considerazione più profonda, propria di questi primordi dell'umanità. Come può l'uomo compilare la storia di queste prime età, di cui fa difetto ogni documento scritto? Solo mediante ricerche scientifiche, basate su scavi, su considerazioni stratigrafiche, e geologiche, su induzioni più o meno sicure poggianti su sintesi, sempre alquanto soggettive, che in sé raccolgono e armonizzano i reperti rinvenuti. Di qui il continuo variare delle ipotesi man mano che i nuovi scavi vengono a capovolgere i risultati prima acquisiti. Abbiamo si una storia, ma molto variabile che poggia in modo primario sulla scienza geologica e su scoperte scientifiche. Per questo si chiama prei­storia e si potrebbe anche chia­mare storia scientifi­ca, dando a questo termine il signi­ficato di «storia basata sulle scienze naturali». Appunto per il variare di tali reperti noi abbiamo un continuo al­lungarsi dell'era umano che da un primo incerto perio­do di 10.000 anni va ora prolungandosi, come abbiamo già visto, sino all'ingente durata di quasi un milione di anni.

Ora in mancanza di tale studio, che del resto al tempo della Bibbia era assolutamente impossibile, come poteva il nostro autore venire a conoscenza della prima età dell'uomo? Soltanto mediante una rivelazione diretta da parte di Dio che però Dio non volle fare perché il suo scopo non era quello di comunicare semplicemente dei dati puramente scientifici, del resto incomprensibili per gli uomini di quei tempi, ma piuttosto Egli voleva condurre a sé gli uomini di tutti i tempi mediante la fede.

Non rimaneva quindi che servirsi dei ricordi a quel tempo diffusi sull'oscuro periodo precedente di civiltà mesopotamicche, egiziane e persiane. Ora è curioso constatare come queste prime culture a noi storicamente note, risalgono appunto, come afferma il testo biblico, attorno al 4000 a. C. (o anche un pò prima) e pur essendo ancora molto enigmatiche per noi, rivelano tuttavia il primo stanziarsi di quelle civiltà che diedero appunto origine ai popoli storici di cui in seguito parlerà la stessa Bibbia. Coincidenza fortuita o meglio maggior senso storico del libro ispirato che basandosi su positivi dati tradizionali, contro la durata fantastica dei documenti antichi, preferì storicamente ricollegare la prima comparsa dell'uomo con il primo sorgere a lui noto della primitiva cultura orientale?

Ed allora il tempo così fissato fu suddiviso nelle note 10 figure patriarcali, cui venne logicamente attribuita una durata molto più lunga degli individui presenti. Ed in ciò l'autore, più che alla durata in sé, ebbe riguardo al senso simbolico e salvifico di tali cifre: la benedizione divina conferita a questi individui mostratasi nella lunga vita dato che "il timore del Signore aumenta i giorni " dicono i Proverbi (10, 27) e che il codice dell'Alleanza presenta, a compenso del rispetto verso i genitori, una vita lunga (Es 20, 12).

Si comprende allora come Isaia, parlando della restaurazione messianica, affermi come morire a cento anni sarà come morire giovane: è l'epoca in cui il leone e il lupo andranno a pascolare con l'agnello e con il bue. Il simbolismo del passato è quindi ripreso per dipingere le meraviglie di quell'epoca invidiabile.

Il criterio di ripartire gli anni di tale longevità simbolica ai singoli patriarchi fu, come quadro generale, il sistema sessagesimale. in funzione di numeri mistici, scelti a priori per Noé e per Abramo, secondo le idee soteriologiche varianti nelle diverse liste.

Non interferenza quindi fra scienza e Bibbia. Infatti mentre la scienza tenta di dirci realmente quando l'uomo fece la sua prima comparsa, la Bibbia al contrario, raccogliendo gli unici dati della protostorica cultura mesopotamica ed egiziana risalente a circa il 4.000 a.C., lasciò in silenzio il periodo precedente, ricollegando così Adamo a tale epoca trasmessale da una tradizione ben fissa e distribuendo in essa i 10 patriarchi antidiluviani di cui parlavano pure altri popoli e tradizioni similari. Una storia strettamente intesa era impossibile e tuttavia era necessario mostrare in una catena continua l'unità della storia della salvezza. La Bibbia evita i racconti assurdi o non adatti, si astiene anche dai racconti campati in aria. Essa s'attacca al tangibile, alle invenzioni ancora esistenti al suo tempo e ne dice l'origine, il progresso, pur lasciando queste invenzioni in una penombra che non ha neppure l'aria di essere una storia circostanziata.

In conclusione possiamo dire che l'autore, pur servendosi dello stesso genere letterario della tradizione sumero-accadica, ha dato alla sua opera un valore molto più elevato e straordinario per quell'epoca che può essere spiegato soltanto da un'ispirazione divina. E' chiara infatti l'intenzione dell'autore di ridurre al minimo il carattere mitico della saga popolare. Gli eroi non sono dei semidei, investiti di autorità regia « discesa dal cielo », ma dei semplici capifamiglia che nascono crescono, sposano e muoiono. La civilizzazione delle arti e dei mestieri non ha origine divina per mezzo di rivelazioni ultraterrene, ma dipende da uomini materialistici, di una genealogia maledetta. La benedizione divina non è nell'urbanesimo, ma nella vita morale di individui che camminano con Dio.

Contro il pessimismo della tradizione sumero-accadica che aveva presentato la morte come condizione naturale dell'uomo e la vita come geloso privilegio degli Dei e dei semidei, l'autore con la sua genealogia Setita, vuol dimostrare che Dio non è geloso custode della vita, ma proprio per essa aveva creato l'uomo. Se la morte viene è perché gli empi l'hanno chiamata con il primo peccato di Adamo e poi con la corruzione del genere umano.

Per i giusti invece c'è una numerosa posterità di figli e figlie, c'è una vita terrena lunga. E quando questa viene meno, come nel caso di Enok, non lo è a causa della morte, ma perché Dio lo accoglie direttamente nell'eternità. Per gli autori ispirati dell'A.T. l'assunzione del Giusto antidiluviano non è più l'evocazione di un sogno impossibile (come nell'epopea di Ghilgamesh), ma è al contrario la descrizione anticipata del destino che Dio riserva ai propri fedeli. Al pessimismo della riflessione pagana si è sostituito una speranza fondata sulle intenzioni profonde di Dio: sottolineate dalla creazione, realizzate nel corso dei tempi per uomini eccezionali che spiccavano sopra la comune razza peccatrice, esse si rivelano finalmente nella prospettiva escatologica che viene a coronare tutte le promesse profetiche. La lunga vita dei patriarchi infatti costituirà un ideale per i tempi messianici in tutta la corrente sacerdotale di Ezechiele, a cui pare debba attribuirsi questa genealogia e il sistema simbolico dei numeri.

torna all'indice