L'altra serie è concepita
come un bollettino:
— Anno 600 della vita di Noé, mese II°,
giorno 17: inizio del diluvio (7, 11). L'acqua cresce e rimane stazionaria
per 150 giorni ( 7, 24).
— Mese VII°, giorno 17 (dopo cinque mesi,
appunto 150 giorni ca.): l'arca si posa sul monte (8, 4).
— Mese X°, giorno 1 (ca. 70 giorni dopo ):
appaiono le cime dei monti (8, 5)
— Anno 601 della vita di Noé, mesi I°,
giorno 1 (tre mesi dopo. ca. novanta giorni): l'acqua si è completamente
ritirata (8, 13).
— Mese II°, giorno 27 (quasi due mesi dopo,
un anno e 10 giorni dall'inizio del diluvio): la terra è asciutta
e Noé esce dall'arca (8, 14).
Data l'esistenza di due modi di computare l'inizio dell'anno presso gli Ebrei in primavera (calendario liturgico) o in autunno (calendario civile, forse più antico), non è possibile sapere se l'inizio del diluvio deve essere posto tra l'aprile e il maggio o tra l'ottobre e il novem-bre (inizio delle piogge autunnali). Così pure non si può calcolare con certezza il numero dei giorni, perché la durata dei mesi varia secondo il computo. Generalmente si ritiene che sia durato dodici mesi di 29 giorni e mezzo (=354 giorni più 11 giorni, cioè 365 giorni, un anno solare.
Le due serie di dati cronologici sulla durata del diluvio non si escludono in modo evidente. I quaranta giorni di pioggia (7, 12.17) vanno inclusi nei centocinquanta giorni nei quali l'acqua ha il sopravvento (7, 24; 8, 3). L'altro gruppo di 40+7+7+7 (8, 6-12) va computato fra i tre mesi che passano tra l'apparizione delle cime dei monti (8, 5) e la totale scomparsa delle acque (8, 14). Tuttavia c'è qualche incongruenza, che sembra confermare l'ipotesi dei due computi diversi. La principale è questa: L'artistica descrizione delle successive emissioni degli uccelli è fatta certamente per mettere in rilievo il graduale decrescere delle acque: prima il corvo trova da pascersi di cadaveri, ma non da ricoverarsi la notte; poi la colomba non trova da posare il piede, dopo sette giorni trova dei rami verdeggianti, e infine più non ritorna, perché la terra è ormai tornata allo stato normale. Questo processo non dura più di tre settimane. Invece secondo l'altro computo, occorrono tre mesi per la decrescita delle acque e addirittura due altri mesi perché la terra sia asciutta. Combinando le due serie si avrebbe che dall'ultima emissione della colomba (8, 12, cioè 61 giorni dopo 8, 5) all'uscita dell'arca (8, 14) sarebbero trascorsi circa tre mesi.
L'alleanza, su cui si dilunga la fine della narrazione, non ha qui carattere bilaterale, ma sembra un'espressione della solenne promessa divina così denominata in analogia con Ge 17, 1-21 (alleanza con Abramo) e con Es 31, 12-17 (alleanza sinaitica), passi ugualmente attribuiti alla tradizione sacerdotale e di stile identico.
L'alleanza è abitualmente connessa con un segno, che viene considerato come una testimonianza o un memoriale (Cfr. Ge 31, 43-54; Gs 24, 26). Nei due casi riferiti dalla stessa tradizione sacerdotale i segni sono rispettivamente la circoncisione e l'osservanza del sabato. Nel caso presente si tratta invece dell'arco di Dio, cioè dell'arcobaleno, il quale dal momento dell'alleanza con Noé (o dal momento della sua interpretazione da parte dell'autore ispirato) assume un significato nuovo: la sua apparizione gioiosa, foriera di un cielo rasserenato, dovrà ricordare a tutti i viventi di tutte le generazioni che per volere di Dio la terra non è più minacciata dal diluvio. L'opera della creazione, a cui allude la narrazione del diluvio, non sarà più interrotta (fino alla fine del mondo, (cfr. 2 Pt. 3, 5 ss) e si può considerare da questo momento stabilita nel suo equilibrio definitivo, il che, con diverso linguaggio, esprime pure l'oracolo ritmico di Ge 8, 22 proveniente da un'altra narrazione tradizionale.
1) anzitutto, c' è quasi sempre due volte il comando e due volte l'esecuzione, rispettivamente con terminologia un pò diversa;
2) in secondo
luogo la disposizione delle sezioni così determinate è
a schema simmetrico (A B B A).
Eccone un prospetto, dove il valore delle lettere indica le sezioni
correlative (A coman-o A' esecuzione, ecc.) e la forma maiuscola o minuscola
indica la presenza di duplicati (A dice la stessa cosa di a, in termini
diversi, e così C ha lo stesso contenuto di c ecc. ):
A) Dio constata
la malvagità dell'uomo; proposito di sterminare gli uomini, eccetto
Noé (6, 5 ss.).
a) Dio constata la corruzione della terra; annuncia
a Noé il proposito di distruggere ogni carne (6, 8-13).
b) Dio prescrive la struttura dell'arca (6, 14
ss.).
c) Annuncio a Noé del prossimo diluvio
(6, 17).
d) Ordine di entrare nell'arca con gli animali
a coppie (6, 18-21).
e) Formula dell'esecuzione da parte di Noé
(6, 22).
B) Ordine di entrare nell'arca con gli animali
puri e non puri (7, 1 ss.).
C) Annuncio a Noé del diluvio fra 7 giorni
(7, 4).
D) Formula dell'esecuzione da parte di Noé
(7, 5).
f) Età di Noé (7, 6).
D') Esecuzione dell'entrata nell'arca con gli animali
puri e non puri (7, 7 ss.).
C') Realizzazione del diluvio dopo 7 giorni (7, 10 ss.).
d') Esecuzione dell'entrata nell'arca con gli animali
a coppie (7, 13-16).
c') Realizzazione della venuta del diluvio (7, 17).
g) (= b'?) Descrizione del diluvio; accenno all'arca (7, 18 ss.).
a') Realizzazione della distruzione di ogni carne (7,
21).
A') Realizzazione dello sterminio degli uomini eccetto Noé
(7, 22 ss.).
Tranne la sezione f), posta nel centro e le due simmetriche b) e g), tutte le altre sono a coppie collettive (A-A'; a-a' ecc.), il che attesta una elaborazione artistica assai ricercata. Ma ciò che più importa è che, se si isolano le due serie A D C E D' C' A' - a b, c d e f d' c' g a', si ottengono due narrazioni, quasi completa la prima, e assolutamente completa la seconda. Ciò rende verosimile l'ipotesi che qui si tratti di due narrazioni non fuse ma mutuamente interpolate.
Per quanto riguarda la seconda parte della narrazione concernente la fine del diluvio (7, 24 - 9, 17), troviamo che il decrescere delle acque è descritto con due mezzi diversi:
- L'emissione degli uccelli (8,
6-12)
- il bollettino (7, 24 - 8, 5; 8, 13 s.)
L'uscita dall'arca è narrata
una volta sola in due sezioni correlative, comando ed esecu-zione (8,
15-19).
Da ultimo, il proposito di non mandare più il diluvio è
ancora narrato due volte in termini assai diversi (8, 20 ss.; 9, 8-17).
Comunque, ciò che dà verosimiglianza all'ipotesi di due narrazioni non è la ripetizione in sé, conforme all'ampiezza dello stile epico, ma il corrispondente alternarsi di una terminologia diversa, con circostanze non facilmente armonizzate, come la menzione degli animali puri e impuri in 7, 1 ss., diversamente da 6, 18-21, e così nelle sezioni rispettivamente correlative 7, 7 ss. e 7, 13-16, e come il diverso computo della durata del diluvio.
Il colorito della narrazione rappresenta una civiltà più progredita di quanto risulta dalla Bibbia: sulla nave si carica oro e argento, ed insieme con la famiglia l'eroe prende a bordo degli operai specializzati. Come nella Bibbia si menzionano gli animali e le bestie feroci. Il diluvio è descritto lungamente come un terribile uragano, nel quale intervengono gli dei delle intemperie, mentre gli altri dei, spaventati, si ritirano nel cielo più alto, e si accovacciano come cani piangendo. Al settimo giorno il diluvio cessa: è dunque assai più breve che nella Bibbia. Utnapistim apre la finestra e piange contemplando la rovina: Tutta l'umanità s'era cambiata in fango. La nave si arrestò sul monte Nisir (in Assiria) e vi rimase incagliata per sei giorni. Il settimo giorno Utnapistim rilasciò successivamente una colomba, che ritornò, non trovando dove posarsi, una rondine, che pure tornò, ed un corvo, che non tornò. Uscito dalla nave Utnapistim fece sulla montagna un sacrificio, attorno al quale gli dei si radunarono come mosche fiutandone il profumo.. Qui ha luogo una contesa fra gli dei. La Dea Istar non vuole che En-lil, il principale responsabile del diluvio, prenda parte al banchetto sacrificale, mentre En-lil si adira perché qualcuno è scampato al diluvio. Ea, accusato di aver tradito il segreto degli dei, dimostrò a En-lil che il suo modo di agire, provocando il diluvio, era stato sconsiderato. Poi benedisse Utnapistim e sua moglie, li rese immortali e li fece abitare lontano alla foce dei fiumi.
La narrazione babilonese fa risaltare per contrasto l'impronta monoteista del racconto biblico. Qui è lo stesso Dio che decide il diluvio ed avverte colui che ne deve scampare, ed è lo stesso Dio che, dopo aver fatto il diluvio, decide che non lo si debba fare un'altra volta, senza per altro rimproverare sé stesso (8, 21). Jahvé non è per nulla atterrito dalla grandiosità del diluvio, anche se poi alla maniera degli dei babilonesi è descritto nell'atto di odorare la soave fragranza del sacrificio di Noé (8, 21). Inoltre la narrazione babilonese non ha carattere morale. Il diluvio sembra un provvedimento capriccioso e sproporzionato, mentre nella Bibbia appare come una tremenda lezione di moralità. Dio non può più sopportare il male morale. L'umanità si è così irrimediabilmente corrotta che bisogna distruggerla per ricominciare daccapo.
Per il resto le due narrazioni, biblica e babilonese riproducono lo stesso schema con particolari diversi, specialmente per quanto riguarda i numeri. Il numero sette si trova in ambedue, ma usato diversamente. Non è probabile che il racconto biblico, che ha un'impronta più arcaica derivi da quello babilonese a noi noto.
Ambedue riproducono un tipo antichissimo, già fissato in forma ben definita.
Le altre narrazioni di un diluvio esistenti presso i vari popoli pongono un problema che qui non è necessario risolvere, se cioè esse abbiano origine indipendente o siano un'eco lontana di una comune tradizione storica.
1. E' possibile
solo se il diluvio avvenne in epoca molto remota , perché le razze
umane del paleolitico si trovano già diffuse in punti lontanissimi
dal vecchio mondo (Inghilterra, Gia-a, Cina, Sudafrica)
2. E' più conforme al linguaggio biblico,
e perciò fu sostenuta dalla maggior parte degli esegeti.
3. Non è tuttavia necessariamente richiesta
dall'esegesi, per la quale basta una universalità antropologica
solo relativa, limitata cioè a tutti gli uomini esistenti
in una determinata regione, che, secondo i dati biblici, aveva il suo centro
attorno all'Armenia. Infatti anche per quanto riguarda le frasi bibliche
esprimenti l'universalità antropologica (6, 13.17; 7, 4.22) poté
intervenire:a) Il punto di vista relativo all'autore. Solo
tutta l'umanità da lui conosciuta e presa in considerazione.
b) Il tenore del linguaggio tradizionale e forse
anche la tendenza all'iperbole, come in Ge 41, 57; Dt 2, 25; 2 Sm 18,
8; Atti 2, 5.
4. Il libro della Genesi sembra insinuare o confermare l'ipotesi
di una universalità solo relativa della distruzione del genere umano:
a) Per il fatto che il diluvio si trova probabilmente
in uno schema storico che procede per eliminazione. Tale procedimento
è chiarissimo dal diluvio in poi. Non è forse possibile
che sia già in atto in Gen. 4 s., così che dal quadro del
diluvio siano già stati eliminati i Cainiti ed altri figli e figlie
dei patriarchi più antichi?
b) Per il fatto che i discendenti di Noé
elencati nel c. 10 sono solo i popoli di razza bianca, mentre l'autore
ebreo doveva conoscere almeno i negri, spesso raffigurati sui monumen-ti
egiziani.
Quanto su riportato è tutto quello che è stato affermato
e discusso sull'argomento dai vari studiosi. Va tuttavia precisato che
non si può cavillare sulle parole dell'autore e sul conte-sto quando
risulta evidente che tutta la sua costruzione teologica mira a presentare
il diluvio come una catastrofe cosmica (specialmente P), la cessazione
del diluvio come l'inizio di una nuova creazione e Noé come il capostipite
dell'umanità rinnovata.
Per una maggiore comprensione
di questo e di altri racconti è utile tener distinte due cose:
a) Ciò che poté essere il diluvio
nella sua realtà storica.
b) Quale ne fu invece l'immagine ideale
e la elaborazione letteraria che ebbe l'autore ispirato.
Finora abbiamo cercato di farci una certa idea di ciò che avvenne in realtà, ma non è detto che anche per il diluvio sia necessario stabilire a tutti i costi una concordia fra il fatto remoto e la sua presentazione biblica.
1. Il diluvio biblico sarebbe avvenuto alla fine del paleolitico medio, in corrispondenza dell'ultimo periodo pluviale (glaciale in Europa). Ad esso sarebbe dovuta la scomparsa della razza dei Neandertal (e di altri Paleantropi) la quale è un fatto compiuto nel paleolitico superiore. In tal caso è possibile una universalità antropologica assoluta o quasi (universalità morale). Il diluvio biblico sarebbe un quadro particolare o una narrazione convenzionale di un fatto avvenuto un pò dappertutto in seguito a lunghi periodi di piogge, con allagamenti di proporzioni vastissime. Tuttavia in tal caso la narrazione biblica dev'essere considerata come molto convenzionale per quanto riguarda la costruzione dell'arca e tutto il colorito neolitico della civiltà antidiluviana ivi descritta.
2. Il diluvio sarebbe avvenuto nel neolitico. Si tratterebbe di una vastissima alluvione della Mesopotamia, accompagnata forse da un maremoto. In tal caso è impossibile l'universalità antropologica. La tradizione sumerico-babilonese sarebbe la più vicina ai fatti; tuttavia l'identificazione del diluvio biblico-babilonese con lo strato alluvionale, scoperto nel 1928-29 da C.L. Woolley presso le rovine di Ur, non ha solido fondamento, nonostante che la presenza di uno spessore argillaceo di mt. 2,50, tra due strati diversi di civiltà, presenti qualcosa di assai seducente.
1. LA DOTTRINA: Dio castiga i peccati pubblici e sociali con calamità di carattere generale e collettivo. Ma salva il giusto dalla rovina comune.
2. IL FATTO: questo principio della retribuzione divina nella storia si è avverato in un caso particolarmente grandioso: il fatto storico del diluvio interpretato giustamente come un castigo divino. Inserendo questo episodio nella storia della salvezza l'autore ispirato mostra in Noé il resto del primitivo popolo eletto, che Dio sceglie per continuare l'elezione mantenuta dalla fedeltà divina. Inoltre si dilunga nel mostrare il totale ristabilimento della benedizione di Dio sul mondo rinnovato, e la nuova e definitiva sicurezza che il mondo presenta all'umanità (cfr Is 54, 9), sicurezza che poggia sulla promessa divina, espressa in termini di Alleanza. Così l'antico fatto ricordato dalle generazioni passate per l'orrore della distruzione, viene trasformato dall'autore ispirato in un messaggio di speranza
3. LE MODALITA': non era necessario che Dio rivelasse all'autore ispirato i particolari del diluvio. L'autore poté procedere in questo modo:
a) Conobbe il fatto del diluvio attraverso le narrazioni tradizionali, già fissate da secoli in uno schema artistico e drammatico.
b) Conservò tale schema, eliminandone ogni supercostruzione mitologica, se per caso era presente nel suo modello, ma per il resto attenendosi al modo di presentazione ormai a tutti familiare.
c) Per fedeltà ai documenti conservò due narrazioni simili, ma con particolari divergenti.
d) Ciò facendo lasciò capire ch'egli voleva narrare la sostanza del fatto, in vista del suo insegnamento storico-religioso, servendosi, come mezzo d'espressione, delle narrazioni tradizionali, alle quali non intendeva aggiungere una nuova conferma per quanto riguarda i particolari.
Di conseguenza i particolari sono da prendersi con cautela, e non è prudente dilungarsi sulle dimensioni dell'arca, sul numero degli animali ivi raccolti, sulla durata del diluvio.
E' la parola di Dio a scoprire il valore profondo delle realtà concrete e del bagaglio letterario dell'umanità in cammino. Come l'A.T. ha arricchito di significato una tradizione preistorica, mostrandola inserita nella storia della salvezza, così il N.T. ha ulteriormente arricchito il racconto biblico, mostrando in esso un annuncio profetico della salvezza e della realizzazione finale del piano divino.