La storia di
Agar la troviamo in una duplice versione: al cap. 16, secondo la tradizione
Javista, e al cap 21, 8ss., secondo la tradizione Eloista. Quando esamineremo
la versione Eloista, potremo fare un confronto fra le due narrazioni e
vederne le differenze.
Nel cap. 16, c’è inoltre da precisare che i vv.
1a, 3, 15 e 16 appartengono alla tradizione sacerdotale (P). Infatti,
leggendo di seguito questi versetti abbiamo un racconto compiuto,
anche se succinto ed in forma di semplice cronaca, della storia di
Agar e della nascita di Ismaele. In questo breve racconto, secondo
lo stile sacerdotale, vengono indicati con precisione gli anni di permanenza
di Abramo nella " terra di Canaan" (termine caratteristico del
sacerdotale per indicare la " terra promessa") fino al momento in
cui Sara concede la serva egiziana Agar in moglie ad Abramo e l'età
di quest'ultimo alla nascita del figlio, a cui impone il nome (secondo
lo stile sacerdotale) di Ismaele. Naturalmente vengono ignorati i risvolti
psicologici della vicenda che vengono invece narrati, con il solito stile
brioso, popolare e drammatico, dalla tradizione Javista nei restanti versetti
del cap. 16.
Rispetto all'insieme del racconto, che si snoda nei
versetti successivi, il versetto 1 adempie in maniera egregia al
campito di prefazione dell'intero capitolo. Molto concisamente viene
delineato il problema che dovrà essere affrontato e nello
stesso tempo vengono presentati i personaggi che saranno gli attori
veri e propri dell'azione i quali contribuiranno, sia pure in maniera
assai diversa, al suo svolgimento.
Il dramma della vicenda consiste tutto nel fatto che,
nonostante il solenne impegno più volte ripetuto da Jahvé
di benedire Abramo con una numerosa discendenza (capp. 12, 13, 15),
Sara continua a rimanere sterile. Con parole amare e nello stesso
tempo paradossalmente stridenti, essa é costretta a prendere
atto della situazione. La promessa, annunciata con un così
grandioso apparato, sembra ora ritardare se non addirittura naufragare
per causa dello stesso Jahvé che le impedisce ora di avere
figli. Secondo il concetto veterotestamentario, infatti, la facoltà
di dare o rifiutare la vita risiede esclusivamente in Dio (Ge 30, 2;
Ge 33, 5; Sl 127, 3). Si può quindi comprendere il grave turbamento
che assale in quel momento sia Abramo che Sara.
Secondo la mentalità israelitica ed anche orientale
in genere, non vi é più grande sventura per una donna
della sterilità. Ancora oggi fra gli Arabi la donna sterile
é oggetto di disprezzo e addirittura, talvolta, é anche
esposta a gravi ingiurie.
Naturalmente questo modo di pensare ed i costumi che
ne derivavano non mancarono di esercitare la loro influenza sulla
storia dei patriarchi. C'era però allora un modo legale per
superare questa difficoltà ed era quello di ricorrere alla
legislazione locale che permetteva di sposare una serva della moglie
in modo che essa partorisse al posto suo. É proprio questa soluzione
che Sara propone ad Abramo. Per poter però comprendere il conflitto
che ne nasce bisogna tenere conto della prassi giuridica che era largamente
diffusa a quei tempi essendo pure prevista nel famoso codice di Hammurabi.
La moglie poteva concedere in sposa al marito una sua schiava personale.
Questa però non era a sua disposizione in qualità di concubina
come lo erano le sue schiave. Quando era la moglie che, a causa della
sua sterilità, dava al marito la propria schiava, il figlio che
nasceva era considerato come figlio della padrona. La schiava partoriva
" sulle ginocchia" della padrona e così il bambino simbolicamente
nasceva quasi dal grembo stesso di lei (Ge 30, 3). Come si può vedere
quindi la proposta di Sara, dal punto di vista del diritto e dei costumi
del tempo, era del tutto legittima. Questa via giuridica poteva anche essere
quella buona. Difatto Dio, che aveva fatto la promessa, non aveva indicato
il modo cui si sarebbe realizzata. Anche se semplicemente umana questa
via poteva essere certamente lecita. Come poteva però essa conciliarsi
con il principio biblico che solo Dio può donare e togliere
la vita? Abramo da parte sua sembra non preoccuparsene ed accetta senz'altro
la proposta della moglie. L'autore sacro però vede in questa soluzione
umana un grave errore che, non risolverà il problema principale,
ma procurerà ad Abramo e Sarà ulteriori guai, come si potrà
vedere nel susseguirsi degli eventi narrati che si sviluppano su sette
temi.
Sotto l'incubo della propria sterilità, che
nella Bibbia era presentata come una vergogna (Lc 1, 25) e come un
castigo di Dio (Os. 9, 14), Sara propone al marito di ricorrere alla
legge locale, certamente sempre più lecita che non ricorrere,
come si era abituati nell'ambiente, a piante o ad usi magici (Ge
30, 14-18). L'autore sacro ci ha già informato sul nome e sulla
nazionalità della serva offerta da Sara. Si chiama Agar ed
é egiziana. Questo nome richiama piuttosto il mondo arabo (Hagara
= fuga, egira di Maometto) e più precisamente fra gli Agareni
che, secondo Strabone, vivono a Sud di Kadesh. La Bibbia però
presenta costantemente questa eroina come la madre degli Ismaeliti (Ge
16, 1-16; 21, 9.14.17; 25, 12-18) che sono stati sempre in relazione
con gli Egiziani. Per questo viene appunto riferito che Agar era una
serva egiziana. Secondo il folklore ebraico, Agar sarebbe stata una figlia
del Faraone, ma più propriamente non fu altro che una matriarchessa
araba, sottoposta all'Egitto ed imparentatasi ad un certo punto con
gli abramiti. Molto probabilmente l'autore pensò ad una di quelle
serve donate dal Faraone ad Abramo a causa di Sara (Ge 12, 16b). Abramo
doveva entrare dalla serva di Sara (accostarsi a lei). Questo naturalmente
era un modo di dire per indicare i rapporti matrimoniali. In modo che
costei potesse avere dei figli per conto della sua padrona. Il
termine ebraico, che ritroviamo soltanto in Ge 30, 3, tradotto letteralmente,
significa costruire la casa ed é una metafora per indicare la
costruzione di una famiglia, quasi fosse una casa (Dt 25, 9; Es. 1,
21; 1° Sm 2, 35; Rut 4, 11): Questo termine ha una certa assonanza
con bën, che significa figlio. Quindi la serva, partorendo un figlio,
costruiva una casa (una famiglia) per conto della padrona sterile. Difatti,
anche nella legislazione Hurritica, il figlio della serva passava giuridicamente
sotto l'autorità della signora sterile che donava al marito la serva.
Il fatto, secondo una nota certamente sacerdotale, avvenne
dieci anni dopo l'entrata di Abramo nella terra di Canaan. Questa
cronologia sarà la base per la legge rabbinica, secondo cui
il marito di una donna sterile può prendere una concubina dieci
anni dopo il primo matrimonio. Solo dopo tanto tempo infatti Abramo si
accostò ad Agar che ne divenne incinta.
La legge di Hammurabi prevedeva il caso in cui
la serva sposata, dopo il concepimento, si volesse uguagliare con
la signora sterile. Tale caso é proprio quello che si verifica
nel racconto. Agar, appunto, accortasi di essere rimasta incinta,
guarda con disprezzo la sua padrona.
É naturale quindi la reazione da parte di Sara,
la quale accusa Abramo di non osservare la legge. Secondo tale legge
infatti Sara, a causa della sua sterilità, aveva consegnato
ad Abramo la sua serva perché potesse partorire al posto suo.
Abramo quindi era, secondo al stessa legge, obbligato a far osservare
alla schiava insuperbita i suoi obblighi di umile sottomissione alla
padrona sterile. In caso contrario i torti subiti dalla signora sarebbero
ricaduti sul marito indulgente. Sara quindi chiama l'Eterno stesso
come giudice fra loro.
La terminologia dell'intero versetto é giuridica.
Sara reclama per sé il ristabilimento dei propri diritti compromessi
dalla superbia di Agar e dalla debole condotta del marito.
Abramo quindi, in base alla legge reclamata, deve cedere
alla lagnanze di Sara. Da questo momento quindi tutto procede in
maniera strettamente legale, senza un palpito di umanità. Abramo
consegna Agar nelle mani di Sara dicendole che può fare di lei
ciò che vuole. Sara quindi, riducendo nuovamente Agar in stato
di schiavitù, la maltratta duramente, probabilmente anche battendola,
come ci fa intuire la parola ebraica usata. Agar, come sempre avviene
in questi casi, scappa dalla padrona a causa dei suoi maltrattamenti.
Questa figura dell'Angelo dell'Eterno (altrove detto
anche l'Angelo di Dio) é stata diversamente interpretata dagli
esegeti. É certo che, nei testi più antichi, Dio
era solito comparire con sembianze umane, descritte molto antropomorficamente
(Ge 2, 3; Es 24, 10; Nm 12, 6 ss.). In seguito, secondo parecchi critici,
purificata l'idea di Dio, invisibile e trascendentale, Egli incomincerebbe
a comparire sotto la figura dell'Angelo di Dio, che sarebbe una personificazione
di Dio stesso. In realtà, però, nei testi biblici é
difficile distinguere se agisca Dio stesso o un suo alterego. Nel nostro
caso, ad esempio é l'Angelo di Dio che parla ad Agar (vv. 8-11),
la quale, però, é convinta di aver avuto contatto con
la stessa divinità, che chiama El-Roi (v. 13). In Ge 21, 17
é ancora l'Angelo di Dio che chiama dal cielo Agar, ma poi
— come se fosse lo stesso Signore — dice di Ismaele: «Io ne farò un grande popolo»
. In Ge 22, 12 é sempre l'Angelo che parla ad Abramo, ma
subito dopo (v. 12) egli dice: «So che tu
temi Dio, poiché non mi hai rifiutato tuo figlio, l'unico tuo
figlio» . La stessa ambiguità
si riscontra in Ge 31, 11-18; (Cfr. Os. 12, 4 s.); Ge 32, 25-31; Es
3, 2-5; Gdc 13, 2-22.) Alcuni pensano che questa trasposizione di Dio
con l'Angelo affondi le sue radici nella fede cananea secondo la quale
la divinità, nei suoi rapporti con gli uomini, si serviva quasi
esclusivamente di messaggeri che non agivano mai per conto proprio,
ma come ambasciatori della divinità. Molto probabilmente l'autore
della Genesi, in contrapposizione a questa credenza, fa sempre agire
l'Angelo come se fosse lo stesso Dio, per polemizzare contro questa figura
secondaria cananea, incontrata nei vari santuari dai patriarchi e per
sottolineare in tal modo il rapporto intimo che esisteva tra l'uomo e
Dio nella religione dei Padri. Il problema della trascendenza nella religione
ebraica é molto recente. Sicché non si può accettare
l'ipotesi di coloro che nell'Angelo di Jahvé vorrebbero vedere
nient'altro che una figura letteraria, per preservare cotesta credenza,
assai tardiva.
L'apparizione dell'Angelo (Dio) avviene presso una sorgente
di acqua nel deserto, cioè presso un'oasi che si incontra
sulla strada che va a Shur, molto probabilmente quindi nel deserto
del Neghev, dove appunto esisteva una strada piuttosto agevole percorsa
dai nomadi per recarsi in Egitto.
Nel dialogo fra l'Angelo e Agar si nota anzitutto la
preoccupazione del redattore di armonizzare la tradizione Jahvista
con quello Eloista (21, 8 ss.). Ai vv. 9-10, infatti, esorta la fuggitiva
a ritornarsene dalla sua padrona e a sottomettersi, secondo la legge,
al suo potere, dopo averla consolata con la promessa di una discendenza
numerosa. Secondo tale armonizzazione, Agar sarebbe ritornata, per
poi essere cacciata definitivamente, insieme al figlio, da Sara gelosa
(Ge 21, 10 ss.).
Nei successivi vv. 11-12 si ha la profezia eziologica
su Ismaele che é presentato come l'asino selvatico della
steppa (una razza di asino che non poteva essere domata), mai sedentario,
ma sempre in lotta con tutti. Molto probabilmente questo brano é
tratto da un vecchio componimento poetico di origine ismaelitica in
cui la figura dell'asino selvatico che ha per dimora il deserto e per
abitazione la terra salata, che rifugge il frastuono della città
e non ascolta la voce del padrone, viene applicata a Ismaele. Ismaele,
la cui mano sarà contro tutti, viene presentato come uno che vivrà
in continua lotta con i confinanti. Ci viene qui descritta la natura selvaggia
e bellicosa degli Ismaeliti, i quali accampati fra Havila e Shur (Ge
25, 18), vivono continuamente di razzie, contro tutti i propri fratelli.
Come accade di solito in occasione di una teofania, viene
fondato un santuario. Nel nostro caso il santuario di El-Roi. Molto
probabilmente si tratta di una divinità cananea che viene
ebraicizzata. Agar ci fornisce anche una spiegazione del nome "El-Roi":
«Ho veramente veduto colui che mi vede». Contro questa spiegazione ci sarebbe la credenza biblica
che chi vede Dio deve morire (Es 19, 20; Es. 33, 20). In Es. 33, 21-23
però Mosé vede solo di dietro Dio che passa, cioè
vede appena un riflesso della sua gloria visibile; l'uomo vedrà
direttamente Dio faccia a faccia, solo dopo la morte (1° Co13,
12). Quindi Agar potrebbe aver detto di aver visto nell'Angelo di Jahvé
un riflesso, un'immagine, un sostituto di Dio, di colui che, unico fra
gli esseri, può scrutare l'essenza delle cose e delle persone.
Al versetto 14 abbiamo la spiegazione del nome del pozzo
che venne appunto chiamato "pozzo di Lahai-Roi
" che significa il pozzo del Vivente e del Vedente. Secondo alcuni
studiosi il nome del pozzo é strettamente imparentato con "
El-Roi" del versetto 13, solo che "El" é stato sostituito
con un suo epiteto, Hai che troviamo anche in altri passi della Scrittura
(2° Re 19, 4). Seguendo l'analogia di El-Betel (Ge 31, 13), potremo
pensare ad un primitivo nome del pozzo "El Lahai-Roi
", genio tutelare della sorgente, ebraicizzato dopo che Isacco occupò
il santuario agareno (Ge 24, 62: Ge 25, 11). Il pozzo era situato tra
Kadesh e Bered. Queste due città sono state localizzate
in una regione dove venne scoperto nel 1906 un pozzo.
Questi versetti ci vengono riportati dalla tradizione
sacerdotale (P) che é parallela a quella Jahvista. Ismaele
quando Abramo aveva 86 anni fu partorito da Agar. Contrariamente
al versetto 11 non é Agar a dare il nome al figlio, ma Abramo
e la nascita non avviene nella regione del pozzo di Lahai-Roi, ma dove
abitava il patriarca. Così il Redattore che propendeva personalmente
per Agar, ha dovuto scartare la sua protetta quale moglie preferita
da Dio e da Abramo (essa deve infatti ritornare dalla sua padrona, per
sottomettersi al suo potere (v. 9) ) e deve presentare il figlio come
un "mulo selvatico della steppa", anche se
ricco di una discendenza numerosissima. Sarà il prossimo capitolo
17 a risolvere l'angoscioso problema di Abramo: «
No, ma Sara tua moglie ti partorirà un figlio, e tu lo chiamerai
Isacco; e io stabilirò il mio patto con lui, come un patto eterno
con la sua discendenza dopo di lui
» (Ge 17, 19)