GENESI - LA STORIA PATRIARCALE
ABRAMO (Ge 12, 1 - 25, 11)
AGAR.
 NASCITA DI ISMAELE (CAP. 16
)

INDICE
Introduzione
La proposta di Sara (vv. 1-2)
Il matrimonio della serva (vv. 3-4a)
Il disprezzo di Agar(vv. 4b-5)
Il ristabilimento dei diritti (v. 6)
L'apparizione dell'angelo di Jahvè (vv. 7-12)
L'eziologia di Lahai-Roi (vv. 13-14)
Nascita di Ismaele (vv. 15-16)

Introduzione
La storia di Agar la troviamo in una duplice versione: al cap. 16, secondo la tradizione Javista, e al cap 21, 8ss., secondo la tradizione Eloista. Quando esamineremo la versione Eloista, potremo fare un confronto fra le due narrazioni e vederne le differenze.

Nel cap. 16, c’è inoltre da precisare che i vv. 1a, 3, 15 e 16 appartengono alla tradizione sacerdotale (P). Infatti, leggendo di seguito questi versetti abbiamo un racconto compiuto, anche se succinto ed in forma di semplice cronaca, della storia di Agar e della nascita di Ismaele. In questo breve racconto, secondo lo stile sacerdotale, vengono indicati con precisione gli anni di permanenza di Abramo nella " terra di Canaan" (termine caratteristico del sacerdotale per indicare la " terra promessa") fino al momento in cui Sara concede la serva egiziana Agar in moglie ad Abramo e l'età di quest'ultimo alla nascita del figlio, a cui impone il nome (secondo lo stile sacerdotale) di Ismaele. Naturalmente vengono ignorati i risvolti psicologici della vicenda che vengono invece narrati, con il solito stile brioso, popolare e drammatico, dalla tradizione Javista nei restanti versetti del cap. 16.

Rispetto all'insieme del racconto, che si snoda nei versetti successivi, il versetto 1 adempie in maniera egregia al campito di prefazione dell'intero capitolo. Molto concisamente viene delineato il problema che dovrà essere affrontato e nello stesso tempo vengono presentati i personaggi che saranno gli attori veri e propri dell'azione i quali contribuiranno, sia pure in maniera assai diversa, al suo svolgimento.

Il dramma della vicenda consiste tutto nel fatto che, nonostante il solenne impegno più volte ripetuto da Jahvé di benedire Abramo con una numerosa discendenza (capp. 12, 13, 15), Sara continua a rimanere sterile. Con parole amare e nello stesso tempo paradossalmente stridenti, essa é costretta a prendere atto della situazione. La promessa, annunciata con un così grandioso apparato, sembra ora ritardare se non addirittura naufragare per causa dello stesso Jahvé che le impedisce ora di avere figli. Secondo il concetto veterotestamentario, infatti, la facoltà di dare o rifiutare la vita risiede esclusivamente in Dio (Ge 30, 2; Ge 33, 5; Sl 127, 3). Si può quindi comprendere il grave turbamento che assale in quel momento sia Abramo che Sara.

Secondo la mentalità israelitica ed anche orientale in genere, non vi é più grande sventura per una donna della sterilità. Ancora oggi fra gli Arabi la donna sterile é oggetto di disprezzo e addirittura, talvolta, é anche esposta a gravi ingiurie.

Naturalmente questo modo di pensare ed i costumi che ne derivavano non mancarono di esercitare la loro influenza sulla storia dei patriarchi. C'era però allora un modo legale per superare questa difficoltà ed era quello di ricorrere alla legislazione locale che permetteva di sposare una serva della moglie in modo che essa partorisse al posto suo. É proprio questa soluzione che Sara propone ad Abramo. Per poter però comprendere il conflitto che ne nasce bisogna tenere conto della prassi giuridica che era largamente diffusa a quei tempi essendo pure prevista nel famoso codice di Hammurabi. La moglie poteva concedere in sposa al marito una sua schiava personale. Questa però non era a sua disposizione in qualità di concubina come lo erano le sue schiave. Quando era la moglie che, a causa della sua sterilità, dava al marito la propria schiava, il figlio che nasceva era considerato come figlio della padrona. La schiava partoriva " sulle ginocchia" della padrona e così il bambino simbolicamente nasceva quasi dal grembo stesso di lei (Ge 30, 3). Come si può vedere quindi la proposta di Sara, dal punto di vista del diritto e dei costumi del tempo, era del tutto legittima. Questa via giuridica poteva anche essere quella buona. Difatto Dio, che aveva fatto la promessa, non aveva indicato il modo cui si sarebbe realizzata. Anche se semplicemente umana questa via poteva essere certamente lecita. Come poteva però essa conciliarsi con il principio biblico che solo Dio può donare e togliere la vita? Abramo da parte sua sembra non preoccuparsene ed accetta senz'altro la proposta della moglie. L'autore sacro però vede in questa soluzione umana un grave errore che, non risolverà il problema principale, ma procurerà ad Abramo e Sarà ulteriori guai, come si potrà vedere nel susseguirsi degli eventi narrati che si sviluppano su sette temi.

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La proposta di Sara (vv. 1-2)

Sotto l'incubo della propria sterilità, che nella Bibbia era presentata come una vergogna (Lc 1, 25) e come un castigo di Dio (Os. 9, 14), Sara propone al marito di ricorrere alla legge locale, certamente sempre più lecita che non ricorrere, come si era abituati nell'ambiente, a piante o ad usi magici (Ge 30, 14-18). L'autore sacro ci ha già informato sul nome e sulla nazionalità della serva offerta da Sara. Si chiama Agar ed é egiziana. Questo nome richiama piuttosto il mondo arabo (Hagara = fuga, egira di Maometto) e più precisamente fra gli Agareni che, secondo Strabone, vivono a Sud di Kadesh. La Bibbia però presenta costantemente questa eroina come la madre degli Ismaeliti (Ge 16, 1-16; 21, 9.14.17; 25, 12-18) che sono stati sempre in relazione con gli Egiziani. Per questo viene appunto riferito che Agar era una serva egiziana. Secondo il folklore ebraico, Agar sarebbe stata una figlia del Faraone, ma più propriamente non fu altro che una matriarchessa araba, sottoposta all'Egitto ed imparentatasi ad un certo punto con gli abramiti. Molto probabilmente l'autore pensò ad una di quelle serve donate dal Faraone ad Abramo a causa di Sara (Ge 12, 16b). Abramo doveva entrare dalla serva di Sara (accostarsi a lei). Questo naturalmente era un modo di dire per indicare i rapporti matrimoniali. In modo che costei potesse  avere dei figli per conto della sua padrona. Il termine ebraico, che ritroviamo soltanto in Ge 30, 3, tradotto letteralmente, significa costruire la casa ed é una metafora per indicare la costruzione di una famiglia, quasi fosse una casa (Dt 25, 9; Es. 1, 21; 1° Sm 2, 35; Rut 4, 11): Questo termine ha una certa assonanza con bën, che significa figlio. Quindi la serva, partorendo un figlio, costruiva una casa (una famiglia) per conto della padrona sterile. Difatti, anche nella legislazione Hurritica, il figlio della serva passava giuridicamente sotto l'autorità della signora sterile che donava al marito la serva.

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Il matrimonio della serva (vv. 3-4a)

Il fatto, secondo una nota certamente sacerdotale, avvenne dieci anni dopo l'entrata di Abramo nella terra di Canaan. Questa cronologia sarà la base per la legge rabbinica, secondo cui il marito di una donna sterile può prendere una concubina dieci anni dopo il primo matrimonio. Solo dopo tanto tempo infatti Abramo si accostò ad Agar che ne divenne incinta.
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Il disprezzo di Agar(vv. 4b-5)

La legge di Hammurabi  prevedeva il caso in cui la serva sposata, dopo il concepimento, si volesse uguagliare con la signora sterile. Tale caso é proprio quello che si verifica nel racconto. Agar, appunto, accortasi di essere rimasta incinta, guarda con disprezzo la sua padrona.

É naturale quindi la reazione da parte di Sara, la quale accusa Abramo di non osservare la legge. Secondo tale legge infatti Sara, a causa della sua sterilità, aveva consegnato ad Abramo la sua serva perché potesse partorire al posto suo. Abramo quindi era, secondo al stessa legge, obbligato a far osservare alla schiava insuperbita i suoi obblighi di umile sottomissione alla padrona sterile. In caso contrario i torti subiti dalla signora sarebbero ricaduti sul marito indulgente. Sara quindi chiama l'Eterno stesso come giudice fra loro.

La terminologia dell'intero versetto é giuridica. Sara reclama per sé il ristabilimento dei propri diritti compromessi dalla superbia di Agar e dalla debole condotta del marito.

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Il ristabilimento dei diritti (v. 6)

Abramo quindi, in base alla legge reclamata, deve cedere alla lagnanze di Sara. Da questo momento quindi tutto procede in maniera strettamente legale, senza un palpito di umanità. Abramo consegna Agar nelle mani di Sara dicendole che può fare di lei ciò che vuole. Sara quindi, riducendo nuovamente Agar in stato di schiavitù, la maltratta duramente, probabilmente anche battendola, come ci fa intuire la parola ebraica usata. Agar, come sempre avviene in questi casi, scappa dalla padrona a causa dei suoi maltrattamenti.
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L'apparizione dell'angelo di Jahvè (vv. 7-12)

Questa figura dell'Angelo dell'Eterno (altrove detto anche l'Angelo di Dio) é stata diversamente interpretata dagli esegeti. É certo che, nei testi più antichi, Dio era solito comparire con sembianze umane, descritte molto antropomorficamente (Ge 2, 3; Es 24, 10; Nm 12, 6 ss.). In seguito, secondo parecchi critici, purificata l'idea di Dio, invisibile e trascendentale, Egli incomincerebbe a comparire sotto la figura dell'Angelo di Dio, che sarebbe una personificazione di Dio stesso. In realtà, però, nei testi biblici é difficile distinguere se agisca Dio stesso o un suo alterego. Nel nostro caso, ad esempio é l'Angelo di Dio che parla ad Agar (vv. 8-11), la quale, però, é convinta di aver avuto contatto con la stessa divinità, che chiama El-Roi (v. 13). In Ge 21, 17 é ancora l'Angelo di Dio che chiama dal cielo Agar, ma poi — come se fosse lo stesso Signore — dice di Ismaele: «Io ne farò un grande popolo» . In Ge 22, 12 é sempre l'Angelo che parla ad Abramo, ma subito dopo (v. 12) egli dice: «So che tu temi Dio, poiché non mi hai rifiutato tuo figlio, l'unico tuo figlio» . La stessa ambiguità si riscontra in Ge 31, 11-18; (Cfr. Os. 12, 4 s.); Ge 32, 25-31; Es 3, 2-5; Gdc 13, 2-22.) Alcuni pensano che questa trasposizione di Dio con l'Angelo affondi le sue radici nella fede cananea secondo la quale la divinità, nei suoi rapporti con gli uomini, si serviva quasi esclusivamente di messaggeri che non agivano mai per conto proprio, ma come ambasciatori della divinità. Molto probabilmente l'autore della Genesi, in contrapposizione a questa credenza, fa sempre agire l'Angelo come se fosse lo stesso Dio, per polemizzare contro questa figura secondaria cananea, incontrata nei vari santuari dai patriarchi e per sottolineare in tal modo il rapporto intimo che esisteva tra l'uomo e Dio nella religione dei Padri. Il problema della trascendenza nella religione ebraica é molto recente. Sicché non si può accettare l'ipotesi di coloro che nell'Angelo di Jahvé vorrebbero vedere nient'altro che una figura letteraria, per preservare cotesta credenza, assai tardiva.

L'apparizione dell'Angelo (Dio) avviene presso una sorgente di acqua nel deserto, cioè presso un'oasi che si incontra sulla strada che va a Shur, molto probabilmente quindi nel deserto del Neghev, dove appunto esisteva una strada piuttosto agevole percorsa dai nomadi per recarsi in Egitto.

Nel dialogo fra l'Angelo e Agar si nota anzitutto la preoccupazione del redattore di armonizzare la tradizione Jahvista con quello Eloista (21, 8 ss.). Ai vv. 9-10, infatti, esorta la fuggitiva a ritornarsene dalla sua padrona e a sottomettersi, secondo la legge, al suo potere, dopo averla consolata con la promessa di una discendenza numerosa. Secondo tale armonizzazione, Agar sarebbe ritornata, per poi essere cacciata definitivamente, insieme al figlio, da Sara gelosa (Ge 21, 10 ss.).

Nei successivi vv. 11-12 si ha la profezia eziologica su Ismaele che é presentato come l'asino selvatico della steppa (una razza di asino che non poteva essere domata), mai sedentario, ma sempre in lotta con tutti. Molto probabilmente questo brano é tratto da un vecchio componimento poetico di origine ismaelitica in cui la figura dell'asino selvatico che ha per dimora il deserto e per abitazione la terra salata, che rifugge il frastuono della città e non ascolta la voce del padrone, viene applicata a Ismaele. Ismaele, la cui mano sarà contro tutti, viene presentato come uno che vivrà in continua lotta con i confinanti. Ci viene qui descritta la natura selvaggia e bellicosa degli Ismaeliti, i quali accampati fra Havila e Shur (Ge 25, 18), vivono continuamente di razzie, contro tutti i propri fratelli.
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L'eziologia di Lahai-Roi (vv. 13-14)

Come accade di solito in occasione di una teofania, viene fondato un santuario. Nel nostro caso il santuario di El-Roi. Molto probabilmente si tratta di una divinità cananea che viene ebraicizzata. Agar ci fornisce anche una spiegazione del nome "El-Roi": «Ho veramente veduto colui che mi vede». Contro questa spiegazione ci sarebbe la credenza biblica che chi vede Dio deve morire (Es 19, 20; Es. 33, 20). In Es. 33, 21-23 però Mosé vede solo di dietro Dio che passa, cioè vede appena un riflesso della sua gloria visibile; l'uomo vedrà direttamente Dio faccia a faccia, solo dopo la morte (1° Co13, 12). Quindi Agar potrebbe aver detto di aver visto nell'Angelo di Jahvé un riflesso, un'immagine, un sostituto di Dio, di colui che, unico fra gli esseri, può scrutare l'essenza delle cose e delle persone.

Al versetto 14 abbiamo la spiegazione del nome del pozzo che venne appunto chiamato "pozzo di Lahai-Roi " che significa il pozzo del Vivente e del Vedente. Secondo alcuni studiosi il nome del pozzo é strettamente imparentato con " El-Roi" del versetto 13, solo che "El" é stato sostituito con un suo epiteto, Hai che troviamo anche in altri passi della Scrittura (2° Re 19, 4). Seguendo l'analogia di El-Betel (Ge 31, 13), potremo pensare ad un primitivo nome del pozzo "El Lahai-Roi ", genio tutelare della sorgente, ebraicizzato dopo che Isacco occupò il santuario agareno (Ge 24, 62: Ge 25, 11). Il pozzo era situato tra Kadesh e Bered. Queste due città  sono state localizzate in una regione dove venne scoperto nel 1906 un pozzo.
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Nascita di Ismaele (vv. 15-16)
 
Questi versetti ci vengono riportati dalla tradizione sacerdotale (P) che é parallela a quella Jahvista. Ismaele quando Abramo aveva 86 anni fu partorito da Agar. Contrariamente al versetto 11 non é Agar a dare il nome al figlio, ma Abramo e la nascita non avviene nella regione del pozzo di Lahai-Roi, ma dove abitava il patriarca. Così il Redattore che propendeva personalmente per Agar, ha dovuto scartare la sua protetta quale moglie preferita da Dio e da Abramo (essa deve infatti ritornare dalla sua padrona, per sottomettersi al suo potere (v. 9) ) e deve presentare il figlio come un "mulo selvatico della steppa", anche se ricco di una discendenza numerosissima. Sarà il prossimo capitolo 17 a risolvere l'angoscioso problema di Abramo: «
No, ma Sara tua moglie ti partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Isacco; e io stabilirò il mio patto con lui, come un patto eterno con la sua discendenza dopo di lui » (Ge 17, 19)
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