I VANGELI DELL'INFANZIA
 
TESTO ED ESEGESI DI MATTEO 1, 1-17

Tenendo presente quanto abbiamo detto finora, vediamo adesso di esaminare attentamente il testo di Mt 1, 1-17 che per comodità riporto qui di seguito:

« Libro della genesi (o della genealogia) - in greco è: Bibloj genesewj, Biblòs ghenèseos) di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abrahamo.
Abrahamo generò Isacco,
Isacco generò Giacobbe,
Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli,
Giuda generò Fares e Zara da Tamar ,
Fares generò Esrom,
Esrom generò Aram,
Aram generò Aminadab,
Aminadab generò Naasson,
Naasson generò Salmon,
Salmon generò Booz da Rahab,
Booz generò Obed da Ruth,
Obed generò Iesse,
Iesse generò il re Davide,
Il re Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Uria.
Salomone generò Roboamo,
Roboamo generò Abia,
Abia generò Asaf,
Asaf generò Giosafat,
Giosafat generò Ioram,
Ioram generò Ozia,
Ozia generò Ioatam,
Ioatam generò Acaz,
Acaz generò Ezechia,
Ezechia generò Manasse,
Manasse generò Amon,
Amon generò Iosia,
Iosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel,
Salatiel generò Zorobabel,
Zorobabel generò Abiud,
Abiud generò Eliakim,
Eliakim generò Azor,
Azor generò Sadok,
Sadok generò Achim,
Achim generò Eliud,
Eliud generò Eleazar,
Eleazar generò Matthan,
Matthan generò Giacobbe,
Giacobbe generò Giuseppe, il marito di Maria, dalla quale nacque Gesù, che è chiamato Cristo.
Così, tutte le generazioni da Abrahamo fino a Davide (sono) quattordici generazioni, e da Davide fino alla deportazione in Babilonia, quattordici generazioni; e dalla deportazione in Babilonia fino al Cristo, quattordici generazioni».

Presso i beduini del deserto, e quindi presso gli antichi Ebrei, come abbiamo già visto, la genealogia fondava i rapporti fra le varie tribù e famiglie e quindi permetteva di rivendicarne i rispettivi diritti. Però, nello sviluppo delle genealogie bibliche, da quelle del Pentateuco fino a quelle dei Vangeli, si nota un passaggio graduale da una forma storico-giuridica ad una forma sempre più marcatamente teologica. Nel Vangelo di Matteo appunto, l’espressione letteraria della sua genealogia assume un carattere principalmente teologico in quanto pone l’accento su Gesù come il compimento della speranza di Israele.

In questa prospettiva dobbiamo quindi chiederci anzitutto qual è il senso teologico di questa genealogia.

1. Dentro la storia umana

Matteo ci rivela subito fin dall’inizio lo scopo della sua genealogia, precisando che Gesù è figlio di Davide, il quale a sua volta era figlio di Abrahamo. Direttamente quindi e in primo piano egli ha in mente la davidicità di Gesù e solo indirettamente la sua provenienza da Abrahamo. Con questo vuole quindi sottolineare che Gesù non è nato come una persona isolata, ma dentro la storia degli uomini ed in quella di un popolo.

2. La nuova creazione

Matteo inizia il suo vangelo con l’espressione «libro delle origini» (in greco: Bibloj genesewj, Biblòs ghenèseos). Questa espressione, guarda caso, corrisponde all’ebraico " sefer toledôt" che abbiamo già trovato nell’Antico Testamento e che significa " genealogia". Il primo versetto non è quindi, come si era creduto nel passato, il titolo di tutto il Vangelo, ma molto più semplicemente il titolo della sola genealogia; anche se, come abbiamo già visto nell’Antico Testamento, dopo ogni "toledôt" seguivano le vicende dei discendenti del capostipite e quindi questa "toledôt" in un certo senso rappresentava un titolo dopo il quale non si parlava più del capostipite, ma delle vicende storiche dei suoi discendenti, nei quali si prolungava la vita del capostipite. Nel caso di Gesù, senza discendenti, vengono narrate invece le sue vicende.

La corrispondente espressione greca di genealogia ricorre, come abbiamo già detto, in Gn 2, 4a, dove si dice: «Queste sono le origini del cielo e della terra» e in Gn  5, 1, dove si dice: «Questo è il libro della discendenza di Adamo». Matteo iniziando la genealogia di Gesù con le stesse parole adoperate da Genesi per la genealogia della creazione e di Adamo, intende comunicarci che in  Gesù si realizza una nuova creazione ed un nuovo Adamo. Gesù è inserito della creazione e nell’umanità precedente, ma nello stesso tempo supera e rinnova questa umanità.

Nello stesso modo con cui lo Spirito di Dio ha dato origine alla precedente creazione ed al vecchio Adamo, questo stesso Spirito di Dio ha agito anche su Gesù il quale, pur essendo disceso, dal punto di vista giuridico, da una genealogia umana, è stato tuttavia concepito per opera dello Spirito Santo. Questo fatto appare in maniera implicita nella frase finale del v. 16: « dalla quale (Maria) nacque Gesù, detto Cristo », ma poi anche nel brano seguente (vv 18-25) che si contrappone al primo, nel quale è detto in maniera più esplicita che Gesù è stato concepito da Maria per opera dello Spirito Santo (Mt 1, 18.20).

L’espressione greca quindi «libro della genealogia », corrispondenta a quella ebraica « sefer Toledôt», oltre che rappresentare il titolo della genealogia, sta a significare che si è verificato con Gesù un nuovo intervento dello Spirito creatore di Dio, simile a quello già verificatosi nella creazione del mondo (Gn 2, 1) e dello stesso Adamo (Gn 2, 7); con questo nuovo intervento lo Spirito di Dio forma nel grembo di Maria Gesù, dando inzio ad una nuova creazione e ad un nuovo Adamo. Questi temi della nuova creazione e del nuovo Adamo saranno poi ripresi ed ampliati da Paolo (1 Cor 15, 22.45; 2 Cor 5, 17; Gl 6, 15; ecc.) e da Giovanni (Gv 1, 13; Gv 3, 5).

Matteo quindi già nel primo versetto della sua genealogia ci lascia intravedere, sia pure velatamente, che l’origine di Gesù, se da una parte è davidica, cioè inserita nella storia umana, dall’altra avviene per un nuovo intervento straordinario dello Spirito Santo, nello stesso modo in cui era avvenuta la prima creazione del mondo e di Adamo. Il Nuovo Patto di Dio con l’uomo inizia quindi con una nuova creazione ed una nuova umanità innestata in quella antica.

3. La triplice serie di 14 nomi

Un’altra caratteristica di questa genealogia ci viene fatta rilevare dallo stesso Matteo al v. 17, dove trionfalmente dichiara: «Così, tutte le generazioni da Abrahamo fino a Davide sono quattordici generazioni; e da Davide fino alla deportazione in Babilonia, quattordici generazioni; e dalla deportazione in Babilonia fino a Cristo, quattordici generazioni ». Nel suo schema Matteo ha diviso la storia in tre grandi periodi: primo periodo da Abramo fino a Davide, secondo periodo da Davide fino alla deportazione in Babilonia, terzo periodo dalla deportazione in Babilonia fino a Cristo. In ognuno di questi grandi periodi ci sono 14 generazioni.
 

Da Abrahamo a Davide  Da Davide alla deportazione in Babilonia  Dalla deportazione in Babilonia a Cristo
1. Abrahamo  1. Salomone  1. Salatiel
2. Isacco  2. Roboamo  2. Zorobabel
3. Giacobbe  3. Abia  3. Abiud
4. Giuda 4. Asa  4. Eliakim
5. Fares  5. Giosafat  5. Azor
6. Esrom  6. Ioram  6. Sadok
7. Aram  7. Ozia  7. Achim
8. Aminadab  8. Ioatam  8. Eliud
9. Naasson  9. Acaz  9. Eleazar
10. Salmon  10. Ezechia  10. Matthan
11. Booz  11. Manasse  11. Giacobbe
12. Obed  12. Amon  12. Giuseppe
13. Iesse  13. Iosia  13. Maria
14. Davide  14. Ieconia (Ioachin) 14. Gesù, detto Cristo

Dalla tabella su indicata si può constatare che le generazioni da Abramo a Davide, sono effettivamente quattordici. Matteo desume queste genealogie dell’A.T. (Gn 25, 19; Rut 4-18-22; 1 Cr 1, 34; 2, 1-15; 3, 1-10), anche se già in esse vi doveva essere l’omissione di alcuni anelli intermedi.

Le generazioni della seconda serie sono pure 14. Vengono però omessi tre re tra Ioram ed Ozia che invece sono contenuti nei cataloghi regali di 1 Cr 3, 10-15. Si tratta di Ahaziah, Joas e Amatsiah. Inoltre Matteo sembra voler fondere in Ieconia i figli di Iosia succedutisi rapidamente al trono (Jehoahaz, Jehoiakim, Jehoiakin o Jeconiah - 2 Cr 36, 1-10); è Jehoiakin o Jeconiah infatti che viene deportato in Babilonia e ristabilito in seguito da Evil-Medorak, successore di Nabucodonosor (2 Re 25, 27-30). Molto probabilmente tale fusione è dovuta alla genealogia di 1 Cr 3, 17 dove Ieconiah viene indicato come il re prigioniero da cui poi discenderà Salatiel. Come si può rilevare da questa stessa genealogia, Zorobabele non era figlio diretto di Salatiel, bensì figlio del fratello di Salatiel e cioè figlio di Pedaiah. Quindi il verbo «generare» di Matteo assume anche il significato più ampio di discendente.

Nella terza serie viene infine raggiunto il numero 14 solo conteggiando nel numero delle generazioni, oltre a Gesù, anche Maria; cosa questa piuttosto insolita nelle genealogie ebraiche, dove veniva computato solo il padre e non la madre.
Comunque, pur essendo insolita, era però del tutto intenzionale in Matteo, dato il caso straordinario del concepimento di Gesù da parte di Maria, avvenuto per opera dello Spirito Santo.

Da quanto abbiamo visto, risulta evidente che lo schema di questa genealogia di Matteo non corrisponde alla realtà dei fatti, ma è piuttosto artificiale. Ciò è certamente dovuto alla predilezione che Matteo ed i suoi contemporanei avevano per il simbolismo dei numeri. Matteo non si limita però a creare questo schema soltanto per amore dei numeri e della simmetria, ma è spinto anche e soprattutto da motivi teologici, come normalmente avveniva nel suo ambiente.

Cosa egli volesse comunicarci con questa triplice serie di 14 generazioni, lo possiamo soltanto indovinare fra alcune ipotesi che sono state fatte:

– Il numero 14 è il doppio di 7 – numero prediletto da Matteo – che significa perfezione; è quindi nella genealogia di Gesù si ha la perfezione raddoppiata e sommata tre volte.

– il numero 14 si può anche ricavare, secondo un procedimento squisitamente ebraico, dalla somma dei corrispondenti numeri delle lettere che compongono in ebraico il nome di Davide. Davide in ebraico è composto dalla consonanti DWD che, trasformate nei corrispondenti numeri, è uguale a 4+6+4 = 14. Gesù quindi era talmente davidico che perfino il numero rappresentato dal suo nome ricorreva tre volte nella sua genealogia.

– La somma della triplice serie di 14 è 42 (14+14+14= 42). Anche moltiplicando 6 x 7 si ottiene 42. Dunque Gesù venendo alla fine di 6 settimane di generazione, inaugura l’ultima settimana del giubileo biblico, quello della pienezza dei tempi. Un allusione al riposo del sabato come prefigurazione del tempo di Cristo l’abbiamo anche in Eb 4, 1-11. Un riferimento alla pienezza o compimento del tempo, lo troviamo in Gl 4, 4 ed in Ef 1, 10. Di solito la generazione di una persona nell’Antico Testamento riguardava la sua discendenza. Nella genealogia di Gesù abbiamo al contrario i suoi antenati. Non si parla in questa genealogia di persone venute da Gesù, ma piuttosto di persone che hanno condotto a Gesù. Gesù è dunque il coronamento, il fine al quale tende tutta la storia del popolo ebraico.

4. le quattro donne

Scorrendo ancora la genealogia di Matteo riscontriamo che ad un certo punto in essa vengono citate quattro donne, cosa questa piuttosto inconsueta in una genealogia ebraica. Chi sono queste donne? Perché Matteo ha rotto il ritmo normale per inserirle nella sua genealogia? Nel testo che ho riportato in questo studio le ho evidenziate in verde per distinguerle.

La prima di queste donne la troviamo al v. 3 «Giuda generò Fares e Zara da Tamar»; la seconda e la terza al v. 5: «Salmon generò Booz da Rahab, Booz generò Obed da Ruth »; la quarta al v. 6: «Il re Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Uria »

a) Tamar

La storia di Tamar ci viene raccontata nel capitolo 38 del libro della Genesi. Si tratta di una storia appassionante e un po’ complicata, ma con un lieto fine, in cui Tamar è costretta a prostituirsi pur di avere un figlio da Giuda. La colpa però non è di Tamar, ma di Giuda che non aveva mantenuto la promessa di darla in moglie al suo ultimo figlio Scelah. Giuda, discendente di Giacobbe, aveva dato Tamar, una donna cananea , in sposa al suo primogenito Er che non si era comportato bene «agli occhi dell’Eterno» ed era quindi morto senza lasciare una discendenza (v. 7). Allora Giuda aveva dato Tamar in sposa ad un altro suo figlio Onan, che avrebbe dovuto, in base alla legge del levirato, assicurare una discendenza al fratello morto. Onan però non aveva alcuna intenzione di dare a suo fratello una discendenza e morì anch’esso senza lasciare figli. Così Giuda decise di prendersi in casa Tamar come vedova promettendogli di darle come marito il suo ultimo figlio, Shelah, non appena avesse raggiunto la maggiore età. Gli anni  però passavano e Giuda sembrava essersi dimenticato della sua promessa. Infatti Tamar aveva «visto che Shelah era ormai cresciuto, ma lei non gli era stata data in moglie » (v. 14). Così Tamar ricorre ad uno stratagemma pur di avere dei figli da Giuda. Saputo che il suocero Giuda, nel frattempo vedovo, si doveva recare a Timnah per la tosatura delle sue pecore, si traveste da prostituta, lo attende in una località lungo la strada e gli offre le sue prestazioni rimanendo incinta. Giuda non aveva con sé nulla per compensare la prostituta e le dà momentaneamente in pegno il suo sigillo, il suo cordone ed il suo bastone. Così Tamar, ritornata nuovamente a casa di Giuda nelle vesti di vedova, quando viene scoperta, può evitare la punizione dimostrando le sue buone intenzioni. Giuda allora riconosce il suo errore ed esclama: «Ella è più giusta di me, perché io non l’ho data in sposa a Shelah mio figlio » (v. 26). Matteo, citando questo nome, rievoca tutta una pagina di storia passata, non certamente la migliore storia perché non si tratta di una genealogia di persone tutte buone e sante, ma della genealogie di uomini con tutto il loro bagaglio di difetti e di passioni. Giuda in questa vicenda non ci fa certo una bella figura; al contrario la cananea Tamar nella tradizione ebraica del tempo di Gesù era considerata un’eroina della fedeltà in quanto con la sua azione aveva assicurato al patriarca una discendenza e, guarda caso, proprio da questa discendenza sarebbe poi nato poi Gesù.

b) Rahab

La storia di Rahab ci viene narrata nei capitoli 2 e 6 del libro di Giosuè. Si tratta di una prostituta di Gerico che svolse un ruolo determinante nella conquista di Gerico da parte di Israele e che viene ricordata come un esempio di fede anche nel libro di Ebrei al cap. 11 v. 31. Con il suo comportamento questa donna prostituta e pagana aveva dimostrato la sua fede nel Dio di Israele entrando con prepotenza e con tutta la sua abilità nella storia della salvezza di questo popolo.

c) Ruth

La storia di Ruth la troviamo nell’omonimo libro di Ruth. Si tratta di una storia delicata e commovente. Ruth è una moabita che, sposatasi con un ebreo, rimane vedova e vuole seguire la suocera Naomi nel suo paese di origine a Betlemme di Giuda. Nonostante che Naomi, anche lei vedova e senza figli, la sconsigli, Ruth con parole commoventi le manifesta il suo attaccamento e la sua decisione di seguirla nel suo paese (Rut 1, 16-17). Pensate che secondo il libro del Deteronomio (Dt 23, 3), confermato anche poi da Nehemia (Neh 13, 1), nessun moabita avrebbe potuto far parte dell’Assemblea di Dio, in altre parole, nessun moabita sarebbe mai potuto entrare a Gerusalemme. Non solo Ruth, la moabita, vi entra, ma diviene addirittura una delle antenate più prossime del re Davide. Sposando infatti l’agricoltore Booz, nei cui campi era andata a spigolare, diventa madre di Obed, nonno di Davide. Non vi è mai stata nella storia del popolo ebraico una donna tanto degna e cara quanto Ruth nell’amare il popolo di Giuda. Nella sua vicenda si può vedere l’intervento provvidenziale di Dio che si serve anche di umili strumenti e di vicende, a prima vista del tutto fortuite, per dirigere i suoi grandi progetti nella storia della salvezza degli uomini.

d) Betsabea

Betsabea non viene esplicitamente nominata nella genealogia, nella quale si accenna soltanto a « quella che era stata la moglie di Uria». Ma noi sappiamo dal libro di Samuele che si tratta di Betasabea, moglie dell’Hittita Uria, ufficiale dell’esercito di Davide. Semmai vi è stata una pagina sconcertante nella vita di Davide, questa è proprio quella del doppio peccato di Davide. Non solo si appropria della moglie di Uria, ma si macchia anche dell’uccisione del marito con la complicità del suo luogotenente Joab (2 Samuele 11-12). Il primo figlio che nasce da questa unione peccaminosa muore, ma un altro figlio, Salomone, diventa il suo erede al trono.

Dalla rievocazione di queste pagine di storia possiamo già intuire che non siamo in presenza di una pura e semplice genealogia, un elenco di nomi dalla tradizione antica e basta, ma del riassunto dell’Antico Testamento nei suoi grandi capitoli di storia. Una storia iniziata con Abrahamo, proseguita con Davide e con l’esilio babilonese, che si conclude alla fine con la salvezza aperta a tutti.

Le donne rievocate danno un significato particolare a questa genealogia. Non sono tutte donne peccatrici, Ruth almeno non lo è, e non si può quindi concludere, come fanno alcuni, che Matteo le abbia inserite per insegnare che Gesù, figlio anche di peccatrici, è venuto per salvare i peccatori. Quello che accomuna queste quattro donne è che esse sono tutte di origine pagana: Tamar è cananea, Rahab di Gerico è anch’essa cananea, Ruth è moabita, Betsabea è invece hittita.

Con la loro scelta Matteo ha voluto anticipare già nella sua genealogia un tema che verrà poi ampliato nel resto del suo Vangelo: Dio, scegliendo fra gli antenati di Gesù anche delle donne pagane, voleva preannunciare che egli sarebbe stato il Messia Salvatore, non solo del popolo ebraico, ma anche dei pagani. Due di queste donne Matteo le aveva già trovate nella sua fonte del libro delle Cronache: Tamar in 1 Cr 2, 4 e Betsabea in 1 Cr 3, 5. Questo molto probabilmente gli  ha fatto venire l’idea di inserire anche le altre due.

Oltretutto va notato che nella letteratura giudaica extra-biblica contemporanea e posteriore a Matteo, queste quattro donne erano considerate quattro eroine totalmente assoggettate al piano divino sia per l’originalità della loro missione, sia perché esse ebbero la forza di portare fino in fondo e con fedeltà la loro vocazione nonostante le difficoltà incontrate. Tanto è vero che una di esse viene pure segnalata fra gli esempi di fede di Eb 11.

5. Compendio della storia salvifica

Come abbiamo già accennato all’inizio, Matteo intende con questa genealogia sostenere la davidicità e quindi la messianicità di Gesù: egli è figlio di Davide, il quale a sua volta era figlio di Abrahamo, quindi Gesù è l’erede legittimo delle promesse messianiche a suo tempo fatte a questi suoi celebri antenati ed è anche il degno coronamento di tutta la storia ebraica compendiata in quella genealogia.

Tale genealogia non era quindi per Matteo e per i suoi lettori, come si potrebbe pensare a prima vista, una pura e semplice filastrocca di nomi, una serie di ritratti o di fotografie da esibire nella propria galleria degi antenati, ma un riassunto per capitoli di tutta la storia di Israele, ricostruita attraverso i suoi personaggi più significativi, alcuni ragguardevoli, altri riprovevoli. Ogni nome era un tassello della storia di Israele: della sua promozione da parte di Dio a popolo eletto, dei suoi momenti di fedeltà e di gloria, delle sue cadute e dei conseguenti castighi, del suo rialzarsi, per riprendere con rinnovata energia un cammino interrotto, sorretto dall’amore e dalla fedeltà di Dio ai suoi progetti originari.

a) Da Abrahamo a Davide

La genealogia di Matteo ricorda come la speciale predilezione di Dio verso Israele, quale strumento di salvezza di tutti i popoli, sia iniziata già con Abrahamo, il modello della fede incrollabile in Dio e dell’obbedienza totale alla sua parola. Sia poi proseguita con Isacco, disposto anche al sacrificio personale pur di uniformarsi alla volontà divina; con Giacobbe che, pur avendo all’inizio ceduto ad astuzie e raggiri umani, aveva saputo poi riconquistarsi la benedizione divina lottando con fede e con umiltà.

Ricorda Giuda, che non era certo il migliore dei dodici fratelli, se propose per invidia la vendita del proprio fratello Giuseppe ai mercanti stranieri, se trascurò con negligenza la legge del levirato per assicurare una discendenza al suo casato, se non si faceva alcun scrupolo di frequentare le prostitute. Tuttavia Giuda era anche l’uomo dal sincero pentimento e della lealtà schietta verso Tamar, per cui fu scelto per essere il futuro leone fra le tribù di Israele e colui tramite il quale si sarebbero realizzate le promesse messianiche.

Dopo una serie di discendenti scialbi dell’epoca dell’emigrazione in Egitto e della peregrinazione nel deserto, spunta un certo Salmòn, il quale proprio dalla meretrice di Gerico Rahab, genera quell’agricoltore esemplare Booz di Betlemme nei cui campi la provvidenza divina aveva mandato a spigolare Ruth, la moabita convertita, nuora e sposa ideale, le cui virtù venivano celebrate ogni anno con la lettura sacra di Pentecoste del libro di Ruth.

Dalla loro unione  era nato Obed, padre di Iesse (o Isai), nella cui casa era giunto un giorno di nascosto il profeta Samuele, inviato da Dio per cercarvi il re di Israele. Lo aveva trovato proprio nel più piccolo dei sette (o otto ?) fratelli (1 Cron 2, 13-16; 1 Sam 16, 10), il pastorello Davide, la cui bellezza e forza erano alimentate dalla sua fede in Dio.

A questo punto la genealogia sembra prendere una pausa e, con il titolo di re dato a Davide, sembra sottintendere e rievocare un periodo particolarmente felice e favorevole della nazione di Israele. Davide, il re fedele a Dio e alla sua legge, che seppe liberare dai suoi nemici e portare le dodici tribù all’unità politica e alla massima prosperità economica; un re sollecito, oltre che della sua casa e della sua nazione, anche della casa e del culto di Dio. Dio naturalmente lo aveva ricompensato e gli aveva fatto la promessa straordinaria di costruirgli una casa e una dinastia perenne in Israele e lo aveva assicurato che sarebbe stato padre dei suoi discendenti regali.

Le antiche promesse di predilezione divina fatte ad Abrahamo, ad Isacco e a Giacobbe, vengono così indissolubilmente legate alla dinastia davidica; anzi, secondo un’interpretazione posteriore, che si fece sempre più strada con la predicazione dei profeti, queste promesse sono legate in modo speciale ad un singolo discendente davidico, al Messia, re e Figlio di Dio per eccellenza; la cui attesa si farà sempre più viva specialmente nei momenti più oscuri e disastrosi della nazione ebraica.

Davide quindi rimane nella mente dell’ebreo un re ideale, che se anche in un momento di debolezza aveva peccato, aveva però saputo piangere amaramente la sua colpa, chiedendo perdono a Dio. Dio lo aveva perdonato, anzi, dimostrando di saper ricavare il bene anche dal male e di saper fare trionfare la sua misericordia anche servendosi della malizia umana, gli aveva dato proprio dalla sua complice nel peccato, da Betsabea che era stata la moglie di Uria l’hittita, l’erede al trono Salomone.

b) Da Davide alla deportazione babilonese

Il tono della seconda parte della genealogia inizia con gioiose note regali per divenire poi sempre più melanconico e triste fino a tramutarsi poi nelle note lugubri di pianto e di lutto della tragedia. Questa seconda parte della genealogia riassume le vicende della dinastia davidica nell’esercizio del suo potere regale sull’intero popolo ebraico e poi sulle sole tribù di Giuda e di Beniamino.

Parte naturalmente da Salomone, il re grande e pacifico, grande costruttore ed organizzatore, che riuscì a dare alla nazione ebraica grande fasto e splendore; ma che, prima di morire si lasciò fuorviare dai piaceri e dalle tentazioni di un culto non propriamente genuino.

Il successore Roboamo per la sua alterigia e tirannia, aveva provocato alla nazione un grande disastro con la scissione politica e religiosa di Israele in due tronconi, perdendo le dieci tribù del nord.

I re Abia, Asa, Giosafat, Ioram, Ozia, Ioatam, pur con alterne vicende, non avevano migliorato la situazione politica e religiosa del piccolo regno di Giuda.
Viene ricordato anche l’empio Acaz, che nel momento di pericolo aveva preferito  le alleanze pagane all’alleanza con il vero Dio, l’unica che poteva garantire la perennità della dinastia davidica e l’arrivo dell’Emmanuele, come gli aveva ricordato il profeta Isaia (Is 7). Dopo di lui viene ricordato Ezechia che, ascoltando i consigli del profeta, riesce a restaurare momentaneamente la vita religioso del popolo.
Manasse invece fu una vera catastrofe. Figlio indegno di suo padre, per compiacere i padroni assiri, introdusse per circa 50 anni i loro culti idolatrici perfino nella città di Gerusalemme, lasciando andare in rovina il tempio e nel dimenticatoio la legge di Mosè ed i suggerimenti profetici.

Arriviamo così ad Amon, ma soprattutto al pio Iosia che, alla luce degli insegnamenti profetici, aveva invece portato il popolo a rinnovare in forma aggiornata l’alleanza con Dio e a restaurare il regno; restaurazione che però sotto l’incalzare degli eventi internazionali e la perdita di fiducia in Dio da parte dei suoi figli succedutisi rapidamente al trono, si era tramutata in rovina nazionale con la distruzione della stessa capitale, del tempio e la deportazione in Babilonia del giovane Ieconia e della nobiltà della nazione.

Proprio la dinastia davidica, la portatrice della promessa divina, da cui dipendevano le sorti dell’intero popolo eletto, aveva provocato la rovina della nazione ed era finita tutta esule in Babilonia. Da questo duro colpo la dinastia davidica non potrà più rialzarsi, neppure dopo il ritorno dei deportati. Dio ne aveva fiaccato la superbia e l’insubordinazione, ma non l’aveva abbandonata: anzi intendeva condurla per vie umili fino al Cristo per dimostrare che era la sua potenza e la sua bontà misericordiosa che realizzava il piano salvifico e non le capacità umane ed i meriti dei dinasti davidici.

c) Dalla deportazione in Babilonia fino a Cristo

Nella terza parte la genealogia Matteo richiama un solo nome celebre, quello di Zorobabele, che aveva avuto una parte di primo piano nella restaurazione postesilica. Costui, ritornato a Gerusalemme nel 521 a capo di un nuovo drappello di deportati, assieme al sommo sacerdote Giosuè, aveva dato mano alla ricostruzione del secondo tempio. Egli intendeva certamente ricostituirvi anche la dinastia davidica, ma non ci riuscì, forse perché essa era osteggiata dai locali capi samaritani e quindi sospetta ai dominatori persiani.

Zorobabele scomparve dalla scena senza lasciare traccia, anche se rimaneva viva in Israele la speranza di ricostituire la dinastia davidica. Forse da un ramo collaterale di Zorobabele (e non invece dal ramo diretto ricordato in 1 Cron. 3, 19b-24) erano discesi quei personaggi (Abiud, Eliakim, Azor, Sadok, Achim, Eliud, Eleazar, Matthan, Giacobbe) che si erano confusi tra il popolo e si erano dati ai lavori manuali. Soltanto il registro familiare del clan di Giuseppe li poteva ormai ricordare.

Nell’umiltà essi dovevano avere imparato ad essere fedeli al Signore ed a trasmettere di padre in figlio fino al «giusto » Giuseppe i valori religiosi dei loro antichi padri. Dio, che abbatte i dinasti ed esalta gli umili, scelse proprio Giuseppe, questo sconosciuto rampollo dell’antica dinastia davidica per trasmettere i diritti Davidici al Cristo che, per opera dello Spirito Santo, doveva nascere da Maria, la sua promessa sposa.

d) Concepito dallo Spirito Santo in una famiglia davidica

L’ultimo tocco di tutta la genealogia davidica può apparire a prima vista deludente e può addirittura mandarla a monte come incongruente. Infatti non dal davidico Giuseppe, erede di tanta storia, ma solo dalla sua promessa sposa è stato generato Gesù mediante lo Spirito Santo (Mt 1, 18.20).

Questo piano di Dio è invece denso di significato teologico, come apparirà dal seguito della narrazione. Gesù è nato giuridicamente in una famiglia davidica e ne acquista quindi tutti i diritti di Messia davidico; ma per sangue la trascende: è stato infatti generato dallo Spirito Santo tramite Maria, e dà quindi origine ad un nuovo regno davidico, fondato non più sul sangue e sulla razza, ma generato dallo Spirito.

C’è tanta distanza fra Gesù e Giuseppe, quanta ce n’è tra l’antico ed il nuovo popolo di Dio. L’antico popolo di Dio con la sua famiglia regale ha fornito il terreno adatto in cui sarebbe nato per opera dello Spirito Santo l’iniziatore del nuovo popolo di Dio stesso che comprenderà tutti i popoli della terra e a cui si accederà non più per mezzo del sangue, ma mediante l’acqua e lo Spirito (Gv 3, 5). Dio ha voluto che Gesù fosse l’erede dell’antico e l’iniziatore del nuovo: erede perché nato nella famiglia abramitico-davidica di Giuseppe, iniziatore perché creato lì, nella famiglia di Giuseppe, da un intervento prodigioso dello Spirito.

e) La storia della salvezza continua

Che cosa suggeriva ai primi cristiani – e quindi anche a noi – una tale genealogia? Non la dobbiamo leggere come una pura sintesi di vicende passate, ma come un compendio di una storia che si prolunga nella nostra vita salvifica. La predilezione di Dio, che scelse Israele quale suo regno per farvi trionfare il suo amore mediante il luogotenente davidico e per preparare la salvezza a tutti i popoli, continua più intensa nel nuovo regno di Dio portato da Gesù. Gesù è il nuovo re davidico, innestato nel ceppo antico, ma anche forgiato dallo Spirito di Dio; egli è il mediatore in tutto fedele ed esemplare, il re tutto dedito – al contrario di tanti re precedenti – al servizio di Dio e dei fratelli.

Noi tutti col battesimo siamo entrati a far parte di questo regno di Dio, non per diritto di razza e di sangue ma in virtù dello stesso Spirito. Quello stesso Spirito che ha generato Gesù nella natura umana, ha fatto rinascere anche noi come fratelli di Gesù e ci ha resi figli del Padre celeste (Rm 8, 14-17). Dobbiamo quindi corrispondere a questo amore del Padre imitando Gesù, lasciandoci dirigere dal suo stesso Spirito e diventando strumenti di salvezza per altri, in modo da allargare sempre più il regno e la famiglia dei figli di Dio.

Come Dio ha perdonato le colpe di Israele e di tanti monarchi davidici, non mancherà di perdonare le nostre deficienze individuali, purché siamo disposti a riconoscerle, a chiedere perdono ed a cambiare registro.

6. Davidicità di Gesù - verità teologica ma anche storica

Sappiamo che l’appellativo «figlio di Davide » nell’ambiente ebraico e negli scritti del Nuovo Testamento aveva un’intonazione più teologica che storica; però nell’attribuirlo a Gesù non possiamo negarne ogni fondamento storico. La stessa gente, quando proclamava Gesù «figlio di Davide», non solo intendeva affermare direttamente la sua messianicità, ma identificava Gesù come figlio di Davide, perché doveva sapere che era nato nella famiglia di questo re da un suo discendente di sangue, conformemente alle promesse di Dio.

La discendenza davidica storica di Gesù è affermata da Paolo (Rm 1, 3; 2 Tim 2, 8), dagli Atti (2, 23-36; 13, 23), dai Sinottici (Mc 10, 47-48 e par.; Mt 12, 23; 15, 22; 21, 9.15; Lc 1, 27.32; 2, 4; 3, 31) da Giovanni (7, 42; Ap 5, 5; 22, 16) e non è mai stata contestata o messa in dubbio fin dall’antichità dai non cristiani. Sarebbe stata una buona arma contro il cristianesimo se essi avessero potuto dimostrare che Gesù non era un discendente di Davide. La stessa messianicità di Gesù, strettamente legata alla figura di Davide, sarebbe stata squalificata se veniva dimostrato che non era discendente di Davide. Secondo Eusebio i parenti di Gesù furono perseguitati nei primi due secoli dell’era cristiana proprio perché ritenuti veri discendenti di Davide e quindi legittimi pretendenti al trono davidico.

Però, anche se Gesù fu «figlio di Davide » per discendenza di famiglia, non fu Messia solo per questo. Egli fu infatti prescelto e chiamato da Dio fra numerosi altri discendenti davidici allora esistenti; anzi – come abbiamo visto – non era addirittura neppure nella lista dei primogeniti di Davide. Dio comunque fu fedele alla sua promessa di far nascere il Messia in una famiglia di Davide, senza per questo rinunciare alla libertà di elezione circa il tempo, il modo e la persona.