L'ISPIRAZIONE
DELLA BIBBIA
di Fausto Salvoni

CAPITOLO I

I LIBRI SACRI NELLE RELIGIONI

«Ogni epoca ha il suo
libro sacro» (Corano 14, 38)
Bibliografia

Autori Vari , La funzione religiosa dei libri sacri delle religioni non cristiane, in "Concilium", 1967, n. 10 (S. Scritture), pp. 153-189.

F. Salvoni , Scritti sacri, Esperto, Milano 1972 (in stampa),

Günter Lanczkowski , Scritture Sacre, (Piccole Storie illustrate) Sansoni, Firenze 1960.

Quasi tutte le religioni hanno degli scritti che sono ritenuti frutto di ispirazione divina e conseguentemente parola di Dio. A questa categoria appartengono la Bibbia, il Corano, i Rig Veda e i Libri Sibillini. Il Corano ed i Rig Veda, secondo alcuni fedeli, sarebbero una copia dettata di opere preesistenti in cielo e create prima del cosmo. Quindi presenteremo solo un breve cenno di questi libri, per vederne la differenza con la Bibbia.

Mussulmani

Il loro libro sacro è il Corano (Al-Quran) che significa "recitazione" ad alta voce, da cui deriva il termine "leggere", in quanto allora si leggeva ad alta voce (1) Il libro ha pure altri nomi come Al-Kitab "lo scritto" per eccellenza (=la Bibbia), al Nur "la luce", Al-Hoda "la guida", Al-Zikr "l'esortazione" e Al-Forquam "il discernimento" (2) Pur essendo stato scritto da Maometto, gli arabi ortodossi lo riconoscono opera di Dio: esso conterrebbe un discorso di Dio, registrato in un archetipo celeste (Umm al-Kitab = la Madre della Scrittura) che fu comunicato in varie riprese a Maometto per ordine divino ad opera dello "Spirito di Santità", vale a dire dall'arcangelo Gabriele. E' eterna parola di Dio, inalterabile e insostituibile, della quale la teologia rigorista vieta la traduzione. Quando vi parla Maometto, lo fa come portavoce di Dio. Risulta di 134 Sure poste in ordine decrescente di lunghezza ognuna delle quali (salvo la nona) inizia con la formula « Nel nome di Dio clemente e misericordioso».

Il Corano raccoglie solo le rivelazioni dirette che il profeta raccolse, le sue opinioni personali e la sua biografia non vi sono riportate. Il testo è quello che Maometto trasmise ai suoi discepoli, che mostrarono grande zelo nell'impararlo a memoria. Quando il fondatore della religione islamica morì, migliaia di mussulmani, uomini e donne, conoscevano a memoria tutto il Corano. Tuttavia, per impedire che presto o tardi in modo più o meno consapevole, vi si introducessero delle mutazioni, si decise di dare alle rivelazioni del Corano una forma scritta. Zaid ben Sabit, conoscendo il testo a memoria, con l'aiuto di tre esperti ne racco-se tutti i capitoli (sure) e i versetti in un libro secondo l'ordine allora corrente, per ordine di Osman, terzo califfo (successore) del profeta. Così varie copie furono inviate a diversi centri dell'Islam perché servissero di modello per ulteriori trascrizioni. Quando queste prime copie furono compiute, erano viventi molti compagni del profeta e tra questi anche Alì ben Talib, il futuro quarto califfo, che conoscevano il Corano a memoria, e nessuno vi fece delle obiezioni. Si può quindi essere sicuri che il Corano di oggi sia uguale a quello predicato dal profeta.

Per i mussulmani Il Corano è fonte principale della vita religiosa e norma di giudizio. La Sunnah o Tradizione del profeta e la Hadis o Tradizione in genere valgono a spiegare il Corano solo in quanto non lo contraddicono. Questo scritto serve per giudicare ogni altro libro. Di qui la distruzione della celebre Biblioteca di Alessandria con la celebre frase: « Se un libro è vero è già contenuto nel Corano, se non è vero va distrutto».

Induismo

Esso detiene una posizione di primo piano per l'antichità e la molteplicità di libri sacri ritenuti infallibili (3) Questi si dividono in due categorie: la "rivelazione" (cruti o ascolto), vale a dire libri rivelati da Dio, chiamati i Veda, e la "memoria" (smrti ) o tradizione sacra, che non ha lo stesso valore della prima categoria che qui presentiamo.

I quattro Veda

Il loro nome deriva dalla radice "vid", che significa "vedere", "conoscere"; essi sono costituite dal Veda dei Salmi (Rik-Veda), dal Veda delle formule sacre (Jajur-Veda) e dal Veda degli incantesimi (Atarva-Veda ). Il primo è la fonte degli altri due che ne sono derivati, mentre il quarto (lo Atarva-Veda), diverso dagli altri per stile e contenuto, è più tardivo e fu accolto tra i Veda solo nel seco-lo III a.C. Ogni Veda risulta di tre sezioni corrispondenti a tre periodi importanti dell'evoluzione religiosa degli Indo-ariani:

a) Il primato della preghiera. E' questa la sezione liturgica, la Upanisana-Kanda , che contiene le più antiche preghiere tuttora in uso presso gli Indù. Contiene degli inni, composti tra il 1500 ed il 1000 a.C., i quali sono una delle più anti-che creazioni umane.

b) Il primato dei sacrifici o le Brama-nas. La sezione liturgica (Karma-Kanda) contiene diversi trattati liturgici, composti tra il 1000 e l' 800 a.C., i quali descrivono nei particolari più minuti le cerimonie religiose. Il sistema rituale indù poggia ancora oggi nel cerimoniale qui descritto, anche se i sacrifici degli animali sono oggi caduti in disuso.

c) Il primato filosofico o la Upanishad. La terza ed ultima parte detta "sezione della scienza" (Jnana-Kanda) è nota con il nome Vedanta o "fine dei Veda", contiene le meravigliose Upanishad, scritte in gran parte tra l' 800 ed il 300 a.C. e contenenti i risultati più eccelsi della speculazione indo-ariana su Dio, il mondo e l'anima. Le intuizioni sulla natura e gli attributi di Dio sono sublimi;  la concezione del mondo e dell'anima è infetta da panteismo che talora giunge addirittura a negare la realtà del mondo.

Questi libri esercitarono un profondo influsso anche su alcuni pensatori occidentali; lo Schopenhauer, ad esempio, custodiva le Upanishad nella sua stanza come un tesoro e si inginocchiava spesso dinanzi ad esse in adorazione. Ogni indù che non sia eretico accetta i Veda come "eterni" (nitja), "privi di autore umano" (apau ruseja) senza affatto discutere su quale base poggi tale fede.  Per il comune indù e quei filosofi che credono a un dio personale, i Veda sono eterni in quanto o sempre esistettero nella mente di Dio, o sono infallibili perché rivelati da Dio. Per i filosofi, aderenti al movimento Purva-Mimansa, il quale nega un dio personale, i Veda sussistono da sé, oggettivamente in forma di "logos" (parola, cabda) nella sfera eterna: i Veda sono la verità eterna sussistente per se stessa quale fu contemplata dai saggi in estasi e che fu da loro trasmessa fedelmente con parola umana in modo conforme all'archetipo eterno.

L'esegesi dei Veda è in gran parte affine a quella realizzata con la Bibbia. Vi è però un principio importante tratta dal famoso testo « se uno desidera il cielo, lasciagli fare un sacrificio! » che così si può sintetizzare: tutto ciò che si armonizza con il principio, « se uno desidera il cielo», è un precetto; quello che non si accorda con esso è solo un'affermazione. Perciò la frase: «offendi il tuo nemico con la cerimonia del sjena » si ritiene un'affermazione espressa da gente cattiva, in quanto non s'accorda con il desiderio del cielo.

Fino al sec VII a.C. i Veda furono trasmessi oralmente ad opera dei Bramini. Quanto il testo fu messo per iscritto, lo si fece con speciali chiavi interpretative intrecciate con le parole così da impedire ogni mutamento nel testo.

Libri sibillini

Si tratta di scritti che la Sibilla cumana avrebbe consegnato a Tarquinio Prisco o a Tarquinio il superbo e che erano assai onorati e posti prima in un sotterraneo del tempio di Giove e poi sotto la base della statua di Apollo nel suo tempio. Quando terremoti, carestie, pestilenze ed altre sciagure nazionali e sociali colpivano la repubblica e l'impero, il senato incaricava l'apposita commissione sacerdotale (quindicamviri sacris faciundis) di consultare i libri sibillini. E tutti sottostavano fedelmente a ciò che tali libri prescrivevano. Essi furono bruciati da Stilicone verso il 400 a.C. (4) .

Appendice

a) Buddismo

La scrittura del Buddismo primitivo chiamata "tre cesti" (Triptaca) com-prende la seguente triplice raccolta:

1. Sutra ("Testi") che riproduce fedelmente l'insegnamento del fondatore Gautama Buddha

2. Vinaja ("Disciplina") che contiene la regola monastica della comunità da lui fondata. Queste due raccolte costituiscono il "Grande Veicolo".

3. Il "Trattato dottrinale" (Abhindharma) intende chiarire, specialmente per i laici, l'insegnamento dei primi libri e si chiama perciò "Piccolo Veicolo".

Coloro che seguono il Piccolo Veicolo si trovano in maggioranza nei paesi del sud-est asiatico. Ora si cerca di tradurre le scritture dal pãli, antica lingua indiana, nelle lingue locali: cambogiana, congolese, ecc. Con la diffusione del buddhismo anche fuori dell'India, si cerca di evangelizzare i popoli mediante la traduzione dei testi in cinese, dove lo zen aveva predicato un rifiuto della Scrittura a vantaggio dell'illuminazione personale. In Giappone vi è un movimento per tradurre i testi buddisti nella moderna lingua locale con commenti esplicativi (5) .

b) Shintoismo

La religione dominante in Giappone si fonda sui Shinto o "la via degli Dei", antichi libri la cui prima menzione appare nella cronaca dell'imperatore Jomei (519-587) nel Nihonshoki. Per quel che sappiamo dai due più antichi libri giapponesi, il Kojiki (712 d.C.) e il Nihonshoki (720 d.C.), lo Shinto riassume le concezioni mitologiche e gli usi religiosi tramandati dal popolo giapponese dai tempi più remoti quando ancora non si erano introdotte le contaminazioni cinesi e indiane (6) .   Questi libri, pur essendo stimati per il loro valore, non sono ritenuti ispirati da Dio, ma opere di speciali iniziati spirituali.

La principali differenze tra la Bibbia e gli altri scritti sacri stanno nel fatto che questi sono politeisti (buddhisti, shintoisti) mentre la Bibbia è monoteista (l'islamismo pur essendo monoteista, proviene dalla Bibbia). Gli scritti sacri non biblici si presentano quale frutto di intuizione mistica e sono quindi tra loro convergenti, mentre la Bibbia li sorpassa tutti. Si pensi alla regola d'oro che in tutte le religioni appare in forma negativa: « non fare ad altri ciò che non desideri sia fatto a te », mentre nella Bibbia si presenta in forma positiva: « fare ad altri ciò che desideri fatto a te » (Mt 5, 44). Di più negli scritti non biblici Dio non è presentato in forma personale, ma piuttosto come un'idea che sfocia facilmente nel panteismo; la religione non è legata ad una persona come invece lo è nel Cristianesimo (Gesù).
Queste differenze si spiegano con il fatto che la Bibbia è rivelazione divina (Dio scende all'uomo), mentre le altre religioni sono un tentativo dell'uomo di salire a Dio.

Rivelazione e ispirazione

Si tratta di due fenomeni diversi che non si possono confondere tra loro. La rivelazione consiste nel manifestare qualcosa che prima era nascosto; "rivelare" significa infatti togliere il velo che prima occultava qualcosa. Quando immergo una pellicola in una emulsione adatta essa rivela la sua immagine. Quando lo Champollion potè decifrare il segreto dei segni geroglifici egizi, egli rivelò il se-greto di questa scrittura. Gli studi moderni stanno rivelando il segreto dei "geni", fonte della personalità, che prima era nascosto. I miei sentimenti rimangono nascosti in me fino a quando non li rivelo ad altri con dei fiori o specialmente con la parola. Qui non studiamo questa rivelazione da uomo ad uomo, bensì la rivelazione che Dio stesso dona all'uomo. Vari sono i mezzi con cui Dio può rivelare se stesso: l'opera del creato, la storia, la parola.

1. Il creato

Dal momento che Dio ha creato tutti gli esseri ed ha dato il loro nome a tutti gli esseri creati fissandone così la natura (Ge 1), ne viene che questi devono cercare l'impronta del loro creatore. Dio infatti conta il numero delle stelle, le chiama tutte per nome (Sal 147, 4). Paolo può perciò scrivere:

« Ciò che si può conoscere di Dio . . . Dio lo ha manifestato. Infatti la perfezione invisibile di lui, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente sin dalla creazione del mondo, essendo intese per mezzo delle opere sue» (Rm 1, 19s)

L'autore ispirato vede questa rivelazione non in forma di ragionamento sillogistico, ma di intuizioni simboliche (7) . La natura è in un certo senso il rivestimento della potenza divina:

« I cieli proclamano la gloria di Dio e il firmamento l'opera delle sue mani » (Sl 19, 1), con la loro semplice esistenza. Infatti: « Non hanno favella, né parole; la loro voce non s'ode; ma la loro armonia si diffonde per tutta la terra e il loro messaggio giunge fino all'estremità del mondo» (Sl 19, 3s).

Il Salmo 29 canta Dio presente nella tempesta:

« La voce di Jhwh è sulle acque
il Dio della gloria tuona  . . .
La voce di Jhwh è potente,
la voce di Jhwh è piena di maestà.
La voce di Jhwh spezza i cedri,
Jhwh spezza i cedri del Libano»(Sl 29, 3s).

Dio è più potente d'ogni tumulto delle acqua straripanti:

« I torrenti innalzano, o Jhwh,
i torrenti innalzano la loro voce,
i torrenti innalzano il loro fragore.
Più potente delle acque straripanti,
più potente del flusso del mare,
più potente sul cielo è Jhwh» (Sl 93).

Dal momento che l'uomo può dare il nome agli animali, vuol dire che ne è superiore e può comprenderne l'intima essenza che Dio ha dato loro. E' segno che il linguaggio divino nel creato può essere compreso dall'uomo (Ge 2). Anche Kant, dopo aver detto che non possiamo conoscere teoricamente Dio con la ragione, affermava che lo si poteva scoprire mediante il cielo stellato al di fuori di me e la legge morale in me. Fra' Luis da Granada paragona alcune creature a «lettere modellate e miniate che perfettamente attestano l'eccellenza e la sapienza del loro autore ».

Questa rivelazione generale manifesta Dio come l'onnipotente e il dominatore dell'universo, ma non presenta alcun messaggio di salvezza. Di più il peccatore rifiuta di riconoscere questa rivelazione. Come Paolo scrisse nella lettera ai Romani cap. 1, il peccatore non accoglie questo insegnamento per la malvagità delle sue opere cadendo così nell'idolatria:

« Pretendendo di essere saggi, essi divennero stolti, e cambiarono la gloria del Dio immortale con immagini simili all'uomo mortale, agli uccelli o agli animali o ai rettili» (Rm 1, 21s)

2. Rivelazione di Dio che dirige la storia umana

Questa rivelazione si è attuata nella storia, specialmente in quella del popolo ebraico. La storia è sviluppata da grandi personaggi, che con le loro imprese straordinarie hanno trasformato la direzione della storia: si pensi a Ciro, ad Alessandro, a Cesare, a Napoleone. Vi è qualcosa dietro la loro azione? Vi si esplicano solo impulsi sociologici oppure attraverso la storia è Dio che si rivela? A prima vista parrebbe di no; sembra di assistere al film "La fine dell'avventura" dove il regista Dmitrik mostra la casa di Maurizio Bendrix bombardata e presenta il terrore di Sara con strani gesti incomprensibili. Ci vuole una voce che la spieghi, il che si attua con la ripresentazione delle medesime scene accompagnate dalla lettura del diario di Sara. Quando si vede un film in lingua ignota, non se ne riesce a capire il senso, perché manca la spiegazione della voce. Anche la storia rimane incomprensibile senza una voce che ce la spieghi, il che si ha con il messaggio profetico. Così i profeti della scuola deuteronomica ci mostrano la bene-dizione divina verso Israele quando questi agisce bene e la punizione sua quando esso opera male (Dt 11, 13-28). Narrando i fatti il cronista li interpreta, e mostra come Dio abbia guidato Israele punendolo quando ha prevaricato. Gli scrittori sacri nella conquista della Palestina da parte di Israele, vedono Dio che forma il suo popolo perché divenga luce delle altre nazioni, anche se purtroppo questo non sempre si è avverato (cf. Rm 2, 17-29). Gli apocalittici (Daniele e Giovanni), anche se non insistono sul principio precedente della retribuzione  (che non è norma assoluta), insegnano che la storia è guidata da Dio verso l'espressione più perfetta del regno di Dio, anche se nei particolari ciò non appare (8) .   Evidentemente la visione divina della storia si può intravedere rivolgendoci al passato alla luce della voce profetica della Bibbia, ma si potrà conoscere appieno solo alla fine del tempo presente quando la nostra mente si uniformerà alla mente di Dio. Per ora la storia va valutata solo alla luce della parola divina; la storia da sola è incapace di rivelarci appieno l'azione con cui Dio si rivela all'uomo.

3. La parola

Dio si è scelto un popolo (Israele) per attuare la sua redenzione; ad esso ha inviato i suoi profeti. Questa rivelazione divina raggiunse la sua pienezza in Gesù, figlio di Dio, che ne costituisce l'atto culminante. Essa fu simultaneamente attuata con atti e con parole. Gesù Cristo potè dire di sé: «Io sono la via, la verità, la vita: nessuno viene al Padre se non per mezzo di me » (Gv 14, 6) e ancora: «chi ha visto me ha visto il Padre» (14, 9). Commentando le parole: «Ascoltatelo »  (Mt 17, 5), Calvino scrisse:

« In queste parole vi è più valore e forza di quanto usualmente si pensi. E' come se, allontanandoci da ogni dottrina umana ci conducesse solo verso il suo figlio; ci chiedesse di attendere da lui tutta la dottrina della salvezza, a dipendere da lui, in breve (come indicano le parole in loro stesse) ad ascoltare esclusivamente la sua voce » (9) .

La parola è l'unico mezzo con cui noi possiamo comunicare i nostri sentimenti: possiamo conoscere ciò che Geremia provava dinanzi a Gerusalemme che sta per essere distrutta dalle sue parole a singhiozzo che esprimono il dolore da lui provato: « Le mie viscere! Le mie viscere! Provo un grande dolore! Oh le pareti del mio cuore! Il mio cuore mi batte in petto!» (Gr 4, 19).

Con la parola insegno, manifesto la mia cultura, comunico i miei risultati, esprimo le mie idee, manifesto i miei suggerimenti, do i miei comandi. Anche Dio se vuole comunicarmi qualcosa deve scegliere delle parole umane che io possa comprendere. Deve agire nella stessa maniera di un missionario che adatta il vangelo ai popoli di cultura meno progredita, o di un catechista che adatta la parola di Dio alla comprensione di un bambino. Si tratta di condiscendenza divina, bene espressa dal Crisostomo nel suo commento a: « Dio passeggiava sulla sera»:

« Consideriamo che solo per la nostra debolezza la Sacra Scrittura ricorre ad un umile linguaggio, per operare la nostra salvezza in modo degno di Dio » (10) .

Parlando della creazione di Adamo commenta:

« Non prendere le parole in senso umano, ma attribuisci alla debolezza umana lo stile materiale. Infatti se la Scrittura non impiegasse tali parole, come potremmo apprendere i misteri ineffabili? » (11) .

Per attuare questo, Dio ha adoperato degli uomini, che ha costituito suoi profeti, come leggiamo nella lettera agli Ebrei: «Dio dopo aver molte volte e in diverse maniere parlato anticamente ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ci ha parlato mediante il suo Figlio » (Eb 1, 1s).

E' evidente che il profeta non ha bisogno che tutto gli sia rivelato; quando narra dei fatti a lui noti in quanto ne fu testimone (Gv. 1, 14) o da lui personalmente studiati, non aveva bisogno di una speciale rivelazione. Quando Giovanni o Matteo scrivevano dei fatti di Gesù ai quali avevano assistito, non avevano bisogno di una speciale rivelazione. Tutt'al più necessitavano di un aiuto dello Spirito Santo per non dimenticare ciò che avevano udito e che era necessario per illuminare gli uomini e suscitare in essi la fede: « Egli vi insegnerà ogni cosa e vi rammenterà tutto quello che vi ho detto» (Gv 14, 25).

Luca studia le fonti, interroga i testimoni oculari, per cui non aveva bisogno di una rivelazione per narrare i risultati dei suoi studi (Lc 1, 1-4). La rivelazione era invece necessaria per ciò che il profeta non poteva conoscere per conto suo.

Mezzi di comunicazione

La rivelazione necessaria per comunicare ciò che l'uomo non può conoscere di Dio, o del futuro, avvenne, secondo la Bibbia, in modi diversi. I mezzi utilizzati sono ben espressi nel libro di Samuele: « Saul consultò il Signore, ma il Signore non gli rispose né per via di sogni, né mediante gli Urim, né mediante i profeti » (1Sm 28, 6).

a) Sogno

E' una via normale con cui Dio comunica qualcosa all'uomo: in un sogno Abramo riceve la promessa che la sua posterità avrebbe conquistato la Palestina (Ge 15, 12: patto). Giacobbe vede in sogno una scala che sale fino in cielo e chiama il luogo casa di Dio (Beth-el, Ge 28, 12s). Sogni politici sono interpretati da Giuseppe che prevede in tal modo la sua prosperità e la carestia d'Egitto (Ge 41). Ebbe un sogno Salomone che chiese la sapienza nel santuario di Gabaon (Gdc 6, 25s; 1 Re 3, 5s). Più tardi Daniele e Nabucodonosor fecero dei sogni premonitori (Dn 2, 1; 4, 1; 7, 1).

Pur non essendo oggetto di discussione, i sogni furono ritenuti un mezzo inferiore alla rivelazione dei profeti (Nm 12, 6s). In epoca tardiva, pur non negandone l'utilità, furono attaccati da Geremia come sogni vani, qualora fossero contrari al suo messaggio: «Non ascoltate le parole di quanti dicono che non sarete sottomessi al re di Babilonia. Non date retta ai lori sogni» (Gr 23, 16s), sono sogni vuoti che prodigano vani rimedi (Zc 10, 2-3). Sono falsi profeti quelli che promettono prosperità e lusingano i vizi del popolo dicendo: « Ho avuto un sogno, ho avuto un sogno » (23, 25).

Nel N.T. i sogni conservano il loro valore: specialmente Matteo ne riferisce molto accaduti a Giuseppe che è tranquillizzato nel suo dubbio (Mt 1, 20-23) o indotto ad andare in Egitto o a tornare in Palestina (Mt 2,12s; 19,22). Ha un sogno anche la moglie di Pilato che vorrebbe indurre il marito a non interessarsi di Gesù (Mt 27, 17). Paolo alla vista di un macedone, fattosi a lui vedere in sogno, si decise di andare in Macedonia e in seguito da un sogno fu incoraggiato a non temere difficoltà che avrebbe incontrato a Corinto (At 16, 9; 18, 9).

2. Urim e Tummim

Sia l'etimologia, sia l'uso è alquanto incerto. Secondo la versione greca dei LXX di 1 Sm 14, 41s si capiva che si trattava di qualcosa che si estraeva e dei quali uno valeva per il "si" e l'altro per il "no". Ecco il passo:

« Jhwh, Dio d'Israele, perché non rispondi al tuo servo? Se in me o in Gionata, figlio mio, si trova questo peccato, Jhwh, Dio d'Israele, fa che esca urîm, al contrario se l'iniquità è nel popolo, esca tummîm. La sorte cadde su Gionata e Saul, e il popolo se ne andò. Dopo di che Saul propose: Tirate a sorte tra me e mio figlio Gionata. E la sorte cadde su Gionata»

E. Lipìnski conferma da un testo accadico pubblicato da A. Ebeling, che gli Urîm e Tummîm biblici erano originariamente due pietre che davano per risposta un "si" oppure un "no" (12) .   Erano tenuti nell'Efod, un grembiule munito di tasche (1 Sm 23, 9). Con questo mezzo Davide seppe che avrebbe potuto vincere gli Amalaciti (ivi 30, 7). Mediante la sorte anche Mattia fu scelto a succedere all'apostolo Giuda, il traditore (At 1, 23ss).

3. Il profeta

Dio direttamente o per visioni angeliche, comunicava la sua parola ai profeti. Natan ed Elia, i primi della serie profetica, appaiono come uomini della parola (1 Re 17, 2.8; 18, 1; ecc.). La parola divina non è in possesso permanente del profeta; può succedere anzi che gli sia rifiutata (cf Gr 42, 6s). Si noti che la formula usata dai profeti: « Così parla Jhwh» era una frase usata anche dagli araldi per annunziare dei proclami regali: « Così parla il re». Essa annunciava che il messaggio trasmetteva solo il comando del re o di Dio senza nulla aggiungervi, togliervi o cambiarvi (Nm 22, 16; 2 Re 18, 28). Il profeta riceve la parola nella bocca (Gr 1, 9) o nelle orecchie (Is 5, 9), egli assiste al consiglio di Dio (Gr 23, 18). La rivelazione di Dio in Gesù Cristo viene alla fine dei tempi (1 Pt 1, 20) e segna l'ingresso nel periodo definitivo: è l'annuncio della salvezza imminente (Rm 3, 11s; 1 Gv 3, 2), se la manifestazione gloriosa di questa salvezza è ritardata, lo è solo per dare al mondo la possibilità del ravvedimento e della fede (2 Pt 3, 9s).

La pretesa che solo da Gesù venga la rivelazione costituì sempre un ostacolo per le altre religioni e per la teologia liberale. Per questa la rivelazione è un fatto che si scopre dovunque attraverso l'esame del creato e le intuizioni dei mistici. Per reazione Karl Barth respinse l'idea di una rivelazione generale tramite la creatura. L'unica vera rivelazione è quella che si attua nel Cristo; questi rivelò che tutti gli uomini sono respinti da Dio: i credenti ne sono soggettivamente consci, mentre i non credenti non lo sanno. Ma oggettivamente tutti sono rigettati da Dio. Il credente deve annunciare a tutti che gli uomini sono stati redenti in Cristo. La rivelazione è quindi particolare, ma la dottrina della redenzione è universale.

Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, il neo-liberismo post- barthiano ammise una vera rivelazione da parte di Dio che sgorga dall'uomo (intuizione), ma che però non può restringersi solo al Cristo.

Di questo parere è J. Macquarrie il quale appunto afferma che è errata la posizione di quei teologi che tentano «di restringere la conoscenza divina a un unico atto di auto-rivelazione (la rivelazione biblica o cristiana), e contro questo punto era corretta la tradizionale teologia naturale che proclamava una possibilità più vasta e universale di conoscere Dio» (13) .

Tra i vari esempi di rivelazione Il Macquarrie ricorda Mosè nel deserto, lo scrittore gnostico del Poimandres, la rivelazione del dio Krishna ad Ariuna e quella di Gesù. Tutte le grandi religioni: Cristianesimo, Buddismo, Induismo, Islamismo conoscono la rivelazione, la grazia e l'iniziativa divina. Egli cita l'inno dello scozzese cieco, George Matheson, che così suona:

« Gather us in, Thou Love That
                                filleste all;
Gather our rival faiths
                                Within thy fold.
Read each man' s temple-veil
                                and bit it fall,
That we may know that
                                Thou hast been of old»

« Non v'è inferno: è troppo barbaro. La vera missione religiosa è quella di elevare gli uomini con l'amore, specialmente le masse umane che ne sono prive. Vi è quindi un ecumenismo globale ». Qui non appare più la rivelazione di un Redentore; il Cristianesimo è una delle molteplici vie per andare a Dio; Gesù è una delle molte rivelazioni.

L'idea biblica è ben diversa: la rivelazione di Gesù non è una come le altre, è una nuova rivelazione che presenta Dio, non solo come creatore, ma come redentore, salvatore, come appare dal discorso paolino all'aeropago:

« Ma ora (è sorta dunque una nuova situazione in confronto ai precedenti « tempi dell'ignoranza ») Dio comanda a tutti gli uomini di ravvedersi, poiché egli ha fissato un giorno nel quale egli giudicherà il mondo secondo giustizia, mediante un uomo che si è scelto, e di questo egli ha dato certezza facendolo risorgere dai morti » (At 17, 30s).

Unica è dunque la rivelazione redentiva: quella di Cristo Gesù, figlio di Dio. E questa rivelazione si trova nei libri profetici (Antico e Nuovo Testamento), che sono scritti ispirati, anche se non sono frutto in ogni loro parte di speciale rivelazione divina. Lo sono le parti che gli scrittori non potevano conoscere, come il famoso "mistero" paolino per il quale tutti gli uomini sono chiamati a salvezza (Ef 3). Le altre sono ispirate, ma non rivelate.


NOTE A MARGINE

1. Cf. Qara' ebr. "leggere". torna al testo

2. Cf. G. Lulam Bashir , Il Corano, libro sacro dell'Islam, in "Concilium", 1968, n. 10, pp. 163-168; M. Moreno , Il Corano, Torino 1967; A. Bausani , Il Corano, Firenze 1954; D. Masson , Le Coran et la révelation judéo-Chrétiénne, 2 voll., Parigi, 1958. torna al testo

3. Cf Cyrill Papali , Le scritture dell'Induismo, in "Concilium", 1967, (n. 10), pp. 169-173. torna al testo

4. L'attuale testo è in greco ed è ricco di rifacimenti e aggiunte. Si veda il mio studio sull'Apocalittica. torna al testo

5. Bayû Watanake , Il Buddismo o il Triptaca, in "Concilium", 1967 (n. 10), pp. 174-176. torna al testo

6. Kiichi Nu Mazawa , Lo Shintö, in "Concilium" 1967 (n. 10), pp. 177-180. torna al testo

7. Cf. R. Guardini , Religion und Offenbarung, Würzburg 1958 c. 1, 1: "il carattere simbolico delle cose". torna al testo

8. Cf. F. Salvoni , l'Apocalittica, in preparazione, Milano, 1972. torna al testo

9. Calvino , Istituz. Div. 4,8,7. torna al testo

10. Crisostomo , In Gn 3, 8 Omelia 17 PG 53,135. torna al testo

11. Crisostomo , In Gn 2 Omelia 12 PG 53,121. torna al testo

12. E. Lipìnski , Urîm e Tummîm, in "Vetus Testamentum", 20 (1970), 495s; E. Ebeling, Lite-rarischen Keilschriftext aus Assur, Berlin, 1953, n. 137. Cf. R. De Vaux, Le istituzioni dell'A.T., Torino, 1964, pp 348s. torna al testo

13. John Macquarrie , Principles of Christian Teology, Scribner, 1966, pag. 47. torna al testo