L'ISPIRAZIONE
DELLA BIBBIA
di Fausto Salvoni

CAPITOLO II

SOLO I LIBRI CANONICI SONO ISPIRATI

Bibliografia

Sui deuterocanonici (o apocrifi) dell'Antico Testamento cf. L. De Benetti, I deuterocanonici o apocrifi, in "Ricerche Bibliche e Religiose", n. 1, 1972.

I. L'ispirazione riguarda solo i libri canonici

Soltanto i libri canonici, vale a dire contenuti nel canone biblico, sono accolti dai credenti quali libri ispirati: essi sono in tutto 66 libri di cui 39 appartengono all'Antico Testamento (46 per i cattolici) e 27 al Nuovo. I cattolici accolgono sette libri in più (in tutto 73 libri) riguardanti l'Antico Testamento e detti deuterocanonici, vale a dire facenti parte del secondo canone, quello alessandrino, mentre sono chiamati "apocrifi" dai protestanti. Eccone l'elenco:

Giuditta
Tobia
1-2 Maccabei
Sapienza
Ecclesiastico o Siracide o Ben Sira
Baruc
Vi si aggiungono alcuni frammenti di Daniele e la lettera di Geremia, posta in appendice al libro.

1. Perchè non riteniamo sacri i sette libri deuterocanonici.

Varie sono le ragioni alle quali accenno brevemente:

a) Questi libri – a differenza dei protocanonici – presentano una grande varietà di recensioni (lunghe e corte) e di varianti da mostrare che verso di loro si aveva una maggiore libertà di azione che non verso i libri sacri, ritenuti intangibili.

b) Non vi fu mai discussione fra gli Ebrei di Palestina e quelli d'Egitto per il numero di libri sacri. Segno che le due correnti erano d'accordo a loro riguardo. I cattolici dicono che i palestinesi prima avevano pur essi i deuterocanonici, che vennero poi rimossi per pregiudizi. Infatti a Qumrân si sono rinvenuti allo stato frammentario i libri di Tobia e di Ben Sira (Siracide o Ecclesiastico). Di più nella versione dei LXX i libri deuterocanonici si presentano frammisti a quelli protocanonici. Va però notato che i qumraniti possedevano molti altri scritti oltre ai deuterocanonici, come il Documento di Damasco, la Regola della Comunità, la Regola della guerra, i Giubilei, ecc.. E' vero che gli attuali codici dei LXX presentano i deuterocanonici, tuttavia essi contengono anche altri scritti che non sono stati accolti dalla chiesa cattolica come sacri, quali le Odi di Salomone, il 3° ed il 4° di Esdra. Come mai si sono accolti i primi e non i secondi se entrambi esistevano nei medesimi codici frammisti con i canonici? Segno dunque che la pura presenza degli scritti in tali codici non basta per dichiararli sacri (1) Perchè da parte cattolica si sono accolti solo i sette deuterocanonici sopra nominati, tralasciando gli altri che vi si trovano a pari titolo presso i qumraniti e i manoscritti della LXX? Che oltre ai 24 ritenuti sacri e letti pubblicamente nelle sinagoghe, ve ne fossero molti altri tenuti nascosti, appare dalla seguente citazione del 4° di Esdra:

« Allora io presi cinque uomini come mi era stato comandato. E il giorno dopo ecco che una voce mi chiamò dicendo: Esdra apri la tua bocca e bevi ciò che ti do da bere. Io lo presi e bevvi e quando ebbi bevuto, il mio corpo produsse intendimento; la sapienza crebbe nel mio petto e il mio spirito ritenne la sua memoria. La mia bocca si aprì e non si chiuse più. L'Altissimo diede conoscenza ai cinque uomini ed essi scrissero quanto io dettavo loro in ordine e in caratteri ad essi sconosciuti. Ed essi sedettero per quaranta giorni, scrissero di giorno e di notte mangiarono del pane. Ma in quanto a me, io parlai di giorno e di notte non rimasi silente. Così in quaranta giorni furono scritti novantaquattro libri. E avvenne che quando i quaranta giorni furono compiuti, l'Altissimo mi parlò dicendo: Metti in pubblico i ventiquattro libri che hai scritto, in modo che tanto i degni quanto gli indegni li possano leggere; ma i settanta ultimi procura di consegnarli solo al saggio di tra il popolo, perché in essi vi è la sorgente dell'intendimento, la fontana della sapienza e il fiume della conoscenza. Io feci ciò il settimo anno, nella settima settimana dopo 5000 anni, tre mesi e 12 giorni dalla creazione del mondo » (2)

Si tratta evidentemente di una leggenda, che però documenta l'esistenza di soli 24 libri ritenuti sacri e letti a tutti nelle sinagoghe. Sono i libri dell'Antico Testamento, che regolarmente nel Talmùd e nei Midrash sono chiamati « i 24 libri ». Il racconto di Esdra ha uno scopo apologetico; vuole difendere la propria ispirazione e quella degli apocrifi che al suo tempo erano diffusi, ma che erano stati sconosciuti prima. Essi esistevano – scrive il libro – senza essere però noti perché erano stati volutamente tenuti nascosti per ordine divino. Anzi questi libri sono più importanti degli altri, perché mentri i primi si possono leggere a tutti, gli « apocrifi » (da apokrüpto = "occultare") sono invece riservati alle persone dotte e più intelligenti.

2. Un'altra enumerazione, riferita da Giuseppe Flavio, parla di soli 22 libri, ma in realtà si accorda con il 24 precedente, e considera sacri solo i cosiddetti « protocanonici». Ecco come ne parla:

« Noi non possediamo una moltitudine di libri che sono in disarmonia e si contraddicono l'un l'altro (come avviene presso i greci), ma abbiamo solo ventidue libri che contengono il ricordo del passato, e giustamente vi prestiamo fede. Di essi cinque appartengono a Mosè, e contengono le sue leggi e le tradizioni dall'origine dell'umanitù sino alla sua morte. Questo intervallo di tempo fu poco meno di 3000 anni; ma dalla morte di Mosè sino al regno di Artaserse, re di Persia, che regnò dopo Serse, i profeti che furono dopo Mosè, scrissero ciò che avvenne in tredici libri. Gli altri libri contengono inni a Dio e precetti di condotta della vita umana  . . . Da Artaserse (sec. V) fino a noi, tutto fu scritto, però questi libri non hanno presso di noi la stessa autorità che i precedenti, perché non vi fu una sicura successione profetica » (3) .

Il numero 22, tratto dalle lettere dell'alfabeto, è raggiunto combinando Rut con i Giudici e Lamentazioni con Geremia. Tale numero è pure ricordato da Origene, Epifanio e Girolamo. Segno quindi che agli altri libri apocrifi noti, usati e stimati anche in Palestina, non si attribuiva il medesimo valore degli altri libri ritenuti sacri.

a) Passando poi all' epoca cristiana va notato come il N.T., nelle sue 263 citazioni dei libri sacri, non presenti mai i deuterocanonici, anche quando ciò avrebbe potuto servire per i suoi ragionamenti. Sono citati nel libro di Giuda alcuni apocrifi (come il libro di Enoc e l'apocalisse di Mosè), ma i deuterocanonici non sono mai citati. Anche le allusioni sono ridotte al minimo. E' ben difficile che ciò sia dovuto al puro caso, specialmente se si pensa che il loro uso sarebbe stato utile anche per sostenere dottrine del Nuovo Testamento. Si può quindi concludere con grande probabilità che ciò era dovuto al fatto che ad essi non si attribuiva il medesimo valore dei protocanonici. I pochissimi scritti protocanonici (come il Cantico dei Cantici . . .) che non sono citati nel N.T., si deve al fatto che essi non contenevano alcun riferimento alla dottrina neotestamentaria.

b) Circa l'uso dei deuterocanonici presso i primi cristiani, dobbiamo riconoscere che essi, utilizzando la Bibbia dei LXX, leggevano pure i libri deuterocanonici. Spesso anzi li presentavano come libri sacri in quanto usano espressioni come « La Scrittura dice; la Sapienza dice». Ippolito, Cipriano ed Ireneo introducono in tal modo brani della Sapienza di Salomone, di Baruc, di Tobia. Era difficile per loro agire diversamente. Tuttavia essi citano in tal modo anche il 3° dei Maccabei, il 3° e il 4° di Esdra, i Salmi di Salomone, i libri Sibillini che in seguito non furono ritenuti sacri.

Di più va ricordato che gli scrittori i quali fecero apposite ricerche sul canone biblico, eliminarono i libri deutericanonici per accogliere solo i protocanonici, come appare dalle seguenti indicazioni:

II - III secolo : Melitone, vescovo di Sardi (ca 170), presenta come sacri e canonici solo i libri degli Ebrei(4) .

Anche Origene (ca 240), pur citando anche gli altri libri, nel suo Commento al Salmo 1 dà l'elenco degli scritti sacri che sono fatti equivalere alle 22 lettere dell'alfabeto ebraico e consistono solo nei protocanonici(5) .

Anzi Giulio Africano cercò di rimuovere dal testo greco di Daniele i brani che non si trovavano nell'originale ebraico e aramaico (brani deuterocanonici) (6) .

IV secolo : seguono la lista ebraica:
Atanasio nella sua Epistula festalis 39
Cirillo di Gerusalemme
Gregorio Nazianzeno
Epifanio
Anfilochio , l'autore dei canones apostolorum

V secolo :
Rufino
Girolamo
Pseudo-Atanasio
li accoglie invece Agostino

c) Dal fatto che anche coloro i quali negano l'autorità dei deuterocanonici ne facciano uso, si può dedurre che essi siano stati inconsistenti e riconoscano in pratica ciò che negano in teoria. Contro ciò milita l'affermazione di Girolamo il quale nella sua lettera ai vescovi Cromazio ed Eliodoro così scrive:

« Noi abbiamo tre libri di Salomone: I Proverbi, l'Ecclesiaste (o Qoelet) e il Cantico dei Cantici. Di fatto il libro intitolato l'Ecclesiastico ( o Siracide) e l'altro che falsamente si chiama Sapienza di Salomone, sono nell'identica situazione del libro di Giuditta, di Tobia e dei Maccabei. La chiesa li legge in verità; ma non li riconosce tra gli scritti canonici ; li legge per edificazione del popolo, ma non per provare o autorizzare alcun articolo di fede»

Anche nel Prologo galeato (protettivo) Girolamo scrive:

« Questo prologo, che è come il principio galeato (= uno scudo, una difesa) delle S. Scritture, può convenire a tutti i libri che abbiamo tradotto in latino, affinchè possiamo sapere che i libri che stanno al di fuori (della cit. precedentemente presentata), devono essere ritenuti apocrifi. Perciò la Sapienza che volgarmente si dice di Salomone, il libro di Gesù figlio di Sirac, Tobia e il Pastore non sono nel canone. Ho trovato in ebraico anche il primo libro dei Maccabei; il secondo invece è greco, come si può dedurre anche dallo stesso stile » (7) .

Questo è confermato anche dal fatto che nella comunità si leggevano altri scritti oltre a quelli sacri: a Corinto si leggevano le lettere speditevi da Clemente Romano e da Sotere(8) In Africa, in Asia e in Spagna si leggevano nell'anniversario della morte le passioni dei martiri senza per questo che divenissero ispirate (9) .

d) Dal sec. VI

Dal secolo VI in Oriente i dubbi contro i deuterocanonici svanirono quasi del tutto, pur essendo stati sostenuti ancora nel secolo VI da Leonzio di Bisanzio e da Giunilio Africano; nell' VIII secolo solo da Giovanni Damasceno e nel IX secolo da Niceforo Costantinopolitano. In Occidente, forse per influsso di Girolamo, i dubbi persistettero più a lungo: circa quindici vescovi o studiosi si opposero ai deuterocanonici (o almeno ad alcuni di essi) nel corso di undici secoli. Tra costoro vanno segnalati:

Gregorio M. , papa (m. 604)
Ugo di San Vittore (sec. XII)
S. Antonino di Firenze (sec. XV)
Il cardinale Gaetano (sec. XVI)
Nicola di Lira   (sec. XIX)

Secondo il cardinale Pallavicini al concilio di Trento si chiese se si dovessero distinguere il libri sacri in due classi: quelli su cui poggiano i dogmi e gli altri utili a promuovere la pietà. Il cardinale Seripando (in un erudito opuscolo) propose di distinguere i libri sacri in "canonici" ed "ecclesiastici", ma non ebbe seguaci. Anche il cardinale Gaetano sostenne la distinzione in libri "protocanonici" e "deuterocanonici"(10) Tuttavia il concilio di Trento non accolse tale idea e presentò l'elenco dei libri sacri, inclusi i deuterocanonici, concludendo con le seguenti parole:

« Se qualcuno non riterrà per sacri e canonici gli stessi libri integri con tutte le loro parti, così come si usò leggere nella chiesa cattolica e si contengono nell'antica edizione della Volgata latina, spezzando consapevolmente e imprudentemente le predette tradizioni, sia scomunicato » (11)

Talvolta si dice che il concilio di Trento fu il primo a stabilire il canone degli scritti sacri, in realtà esso non ha fatto altro che ripetere ciò che già prima avevano stabilito il concilio di Firenze nel Decreto per i Giacobiti nel 1442(12) Innocenzo I, vescovo Roma, nella sua lettera al vescovo di Tolosa; Esuperio l'anno 405(13) il concilio III di Cartagine nel 397(14) e infine il cosiddetto decreto di Damaso, a lui falsamente attribuito, nel 381(15) .

Dopo il concilio di Trento tra i cattolici solo Jahn e Touttée misero in dubbio l'autorità dei libri deuterocanonici, ma furono biasimati dal Vaticano I, secondo il quale tutti i libri contenuti nella Volgata « nella loro interezza e con tutte le loro parti devono essere ritenuti sacri e canonici» (16) .

II. Sono ispirati solo gli originali

Tutti i credenti riconoscono che le versioni bibliche non sono ispirate, in quanto l'ispirazione riguarda solo gli originali: l'ebraico per l'Antico Testamento (con qualche brano aramaico) e il greco per il Nuovo Testamento. Vi è però ora la tendenza da parte cattolica ad attribuire una certa ispirazione anche alla versione greca dei LXX e alla Volgata.

a) Versione alessandrina o dei LXX(17) Il primo cenno all'origine di questa versione si ha nella Lettera di Aristea a Filocrate, scritta da un giudeo (anche se di fatto si presenta come un greco, adoratore di Zeus) nel II secolo a.C., certo prima del 96 a.C. perché in quell'anno la città di Gaza fu distrutta da Alessandro Ianneo. Questa lettera afferma che Tolomeo (Filadelfo; 285 - 247) fece fare una versione greca delle "Legge" (=Pentateuco) per la sua famosa biblioteca alessandrina. Per questo fece venire da Gerusalemme 72 traduttori, che sistemò in un magnifico soggiorno dell'isola di Faro, deve essi svolsero la loro versione.

« Avvenne che il lavoro della traduzione fu terminato in settantadue giorni, come se simile cosa fosse dovuta a qualche disegno premeditato »(18) .

Il racconto, che non afferma nulla di miracoloso, servì poi di base per le leggende posteriori.

Filone vi aggiunse che il volere di Tolomeo non avvenne « senza una intenzione di Dio» e che i traduttori «Sotto l'influsso di una ispirazione divina pronunciarono non questo o quello, ma tutti i medesimi nomi e le stesse parole, come se in ciascuno di essi si facesse sentire interiormente la voce di un ispiratore invisibile». Perciò costoro «non si chiamarono dei traduttori semplicemente, bensì ierofanti e profeti, in quanto tali uomini poterono presentare con espressioni trasparenti il pensiero così puro di Mosè » (19) .

Dal giudaismo la leggenda passò al cristianesimo e si estese non solo alla legge, bensì anche ai libri profetici. Il più completo al riguardo è il documento anonimo del II o del III secolo d.C., la cosiddetta Exhortatio ad Graecos secondo cui l'autore, recatosi nel quartiere del Faro, potè vedere, ancora al suo tempo, Le cellette preparate per i singoli traduttori.

« (Tolomeo) prescrisse di sistemarli, non nella città, ma a sette stadi di là, nel quartiere costruito al Faro, in cellette, con l'obbligo per ciascuno di fare da solo tutta intera la traduzione. Ordinò poi ai funzionari responsabili di dare ad essi ogni conforto, ma di impedire che si consultassero tra loro, affinchè il loro accordo fosse un mezzo di più per conoscere la esatta traduzione. Quando egli seppe che quei settantadue uomini non ebbero il minimo disaccordo sia nel pensiero, sia nelle espressioni, e che le loro redazioni erano identiche per gli stessi passi, stupefatto e convinto che la traduzione fosse stata scritta per un miracolo della potenza divina, riconobbe in loro degli uomini degni della massima considerazione essendo così tanto amati da Dio, e li rinviò al loro paese ricolmi di doni. I libri poi li mise là (nella Biblioteca) con un religioso rispetto » (20) .

Da questo episodio leggendario proviene il nome attuale della versione greca alessandrina che si chiama appunto dei LXX o la Settanta, vale a dire preparata da settanta (o settantadue) autori.

Questo racconto, accolto in buona parte da quasi tutti i padri della chiesa che ne hanno parlato, servì ad accrescere il valore della versione greca, ritenuta ispirata. Girolamo (m. 420), tornato all'originale presentazione di Aristea, eliminò tutti gli abbellimenti posteriori, come le famose cellette. Però lui ammise una speciale assistenza divina nella traduzione dei LXX, che ritenuta esente da errore, fu da lui utilizzata all'inizio per rivedere l'antica traduzione latina(21) .

La critica recente ha mostrato l'infondatezza della leggenda suddetta ed ora gli studiosi per difendere l'ispirazione della LXX poggiano su altri argomenti:

1. Citazioni di questa versione nel Nuovo Testamento

Tuttavia questo non è argomento apodittico; anzichè curare una traduzione nuova, gli scritti neotestamentari, scrivendo in greco, usarono la versione già esistente. Anche noi adoperiamo le traduzioni italiane già correnti, senza pretendere di curarne personalmente una noi, pur sapendo che esse non sono ispirate e nemmeno esenti da errori.

2. Talora gli scritti del N.T. adottarono la versione dei LXX proprio là dove essa diversifica dall'originale

E' il caso di Mt 1,23 con la vergine (parthénos ) che deve partorire. L'ebraico ‘almàh indica una giovane nubile atta al matrimonio, senza porre l'enfasi sulla verginità, come nel caso del parthénos greco (22) Perciò gli autori sacri del N.T. citano come Scrittura proprio la versione greca a differenza dell'originale; segno quindi che essa è ispirata.
Non ne segue tuttavia tale conclusione; è ispirato il ragionamento che Matteo fa su questo passo, così come uno scrittore sacro può citare anche un brano non biblico. E' vera la deduzione che ne fa, ma non ne deriva la consacrazione critica del punto di partenza. Questo studio sarà fatto nel capitolo riguardante le citazioni dell'Antico Testamento.

b) Volgata

E' questa un'altra traduzione privilegiata che Melchior Cano riteneva ispirata in quanto il suo traduttore, pur non essendo un profeta, « aveva uno spirito vicino e affine a quello profetico, il che era necessario perché la chiesa latina avesse una edizione della Sacra Scrittura, da seguire con piena sicurezza in materia di fede e di costumi »(23) .

Questo era, si diceva, il pensiero del Concilio di Trento che dichiarò « autentica» da usarsi quindi « nelle pubbliche lezioni, nelle dispute, nelle prediche e nel commento biblico » in quanto essa « è stata approvata da un secolare uso nella chiesa » cattolica(24) .

Pio XII nella sua enciclica Divino Afflante Spiritu (1943) spiegò che questa " autenticità" non riguarda la sua fedeltà assoluta al testo originale (critica), ma al suo valore " giuridico " nella chiesa. Dato che dal suo uso plurisecolare da parte della chiesa cattolica, appare « che tale versione  . . . in questioni di fede e di morale è del tutto esente da errore, cosicché, come attesta e conferma la chiesa, nelle discussioni, nelle lezioni, nelle prediche può essere citata senza pericolo di errare » (25) .

Oggi si sta preparando una nuova versione latina e si suggeriscono nuove traduzioni dagli originali anche con la collaborazione di aderenti ad altre confessioni religiose, senza dover ricorrere come prima alla versione latina. Oggi si ritorna ad asserire il valore del testo originario, che solo è ispirato, mentre non lo è una versione qualsiasi. Si può quindi concludere che è ispirato solo l'originale, come uscì dalle mani dell'autore sacro (per questo si chiama "agiografo ").

III. E' ispirato il testo come uscì dall'agiografo

Alcune volte si elevano delle obiezioni contro la Scrittura a motivo dei contrasti esistenti tra un passo e l'altro. Spesso la critica risolve tali difficoltà. Le continue trascrizioni della Bibbia produssero degli errori, che si cercano di togliere con il confronto dei codici. E' infatti impossibile trascrivere un testo lungo senza alcun errore.

1. La critica testuale è quindi di grande importanza .

Ispirato è il testo originario, non le trascrizioni. Queste lo sono nel grado con cui esse si accordano con il testo primitivo. Di qui la necessità di riscoprire l'originale. E' il lavoro a cui si dedicano e dedicarono con pazienza i critici, come il Kittel (A.T.), l'Aland (N.T.), il Nestlé (N.T.), ecc.

Le regole per stabilire il testo primigenio, identiche a quelle usate per gli altri libri non sacri, consistono nel raffronto dei vari codici. Qui il lavoro è reso più arduo dal loro numero (specialmente per il N.T.); tuttavia le varianti sono ben poche e non hanno grande risonanza. Di solito consistono in "Dio" al posto di "Jhwh"; scrittura arcaica di vocaboli, come se al posto di "essi" vi fosse "eglino".

2. La critica ci fa togliere dei brani e delle glosse marginali .

1) Brani:

a) Daniele: casta Susanna
Daniele e il dragone,
Daniele e Abacuc.
(Dan 13 e 14).

b) Finale di Marco, che ora si tende a ritenerla non genuina e (almeno tra i non cattolici) anche non ispirata.

c) Giovanni 7,53 - 8,11: la donna adultera che certo non è di Giovanni e, secondo alcuni proverrebbe da Luca. Per questi due ultimi casi rimando a F. Salvoni, Vita di Gesù, Vol. I e II (Milano, Via del Bollo 5).

2) Glosse o brani più piccoli:

a) 1 Sm 13, 1 « Saul aveva . . . anno (Vg 1 anno) quando incominciò a regnare e regnò due anni su Israele». Probabilmente si tratta di un errore: al posto di « aveva  . . . anno» la Vg ha « aveva un anno » (!). I LXX mancano di questo versetto che probabilmente è una glossa introdottasi nel testo; il numero fu all'inizio omesso perché fosse aggiunto più tardi, ma poi lo scrittore se ne dimenticò. Il numero « dueanni » di regno è certamente inesatto, in quanto Saul governò di più. Il libro degli Atti in cifra rotonda dice che « regnò 40 anni» (At 13, 21).

b) Padre Nostro: alla fine di Matteo si aggiunge «Poichè a te appartiene il regno e la potenza e la gloria nei secoli dei secoli. Amen » (Mt 6, 13). K (Parigi) IX secolo, L (Parigi) VIII secolo; b 13 (circa 9 Mss greci); Didachè; Diatessaron. Oggi queste parole si ritengono una glossa liturgica (pure usata dai Valdesi) introdottasi nel testo sacro (cf. la somiglianza con 1 Cr 29,11-13).

Critica Testuale del Nuovo Testamento

Le varianti provengono dal fatto che non è stato conservato il testo originale. Esso, scritto con materiale assai deperibile (papiro), non potè conservarsi a lungo. Infatti i papiri si sono conservati specialmente in Egitto (e nelle grotte di Qumran) dove il clima era particolarmente asciutto e ne permetteva una conservazione più lunga.

Dato il gran numero dei codici neotestamentari (ca. 264 completi o parziali in aumento con la continua scoperta di papiri), le varianti sono enormi, oltre 200.000. Tuttavia esse non hanno eccessiva importanza in quanto spesso riguardano aggiornamenti di vocaboli non più usati (come se al posto del nostro imperocchè si sostituisse: poiché). Ben poche sono le varianti che toccano la sostanza, e anche in tale caso l'errore di una lezione può essere chiarito con la critica testuale e riprovato da altri passi che conservano la vera dottrina biblica. Alcuni studiosi hanno consacrato tutta la loro vita allo studio del testo biblico, come B.F. Westcott e F.J. Hort (The N.T. in the Original Greek, Cambridge London 1881, II volume Introduction); Von Soden, Nestlé, ecc. Ora abbiamo per la critica l'utile volume di Metzeger, A Textual Commentary on the Greek N.T., 1971  Bible Societies. In Italia abbiamo C.M. Martini del Pontificio Istituto Biblico che si è specializzato nelle lezione del testo occidentale. Utili le edizioni critiche del N.T. di Kurt-Aland, del Merx, ecc. Questi studiosi sono dedicati a ricostruire le varie famiglie nelle quali si possono ripartire i vari codici. La lettura liturgica del N.T. (cf. Cl 4, 16) ha richiesto la sua continua copiatura che avveniva nei centri più importanti. Con tali trascrizioni sono sorte delle varianti locali, che diedero origine a quattro famiglie principali:

1. Testo alessandrino (Westcott e Hort lo chiamarono testo neutrale, ma è discutibile). Sorse in Alessandria con le seguenti caratteristiche:
* ama le forme più brevi e rudi;
* non vi troviamo le rifiniture linguistiche del testo bizantino;
* è il gruppo più importante;
* ne sono testimoni: Vaticano B, Sinaitico S (metà IV secolo).
Con l'acquisto dei papiri Bodmer A (eccetto i vangeli), P66, P 75 (copiati alla fine del II secolo o inizio del III), si può sapere che il testo risale a un archetipo del principio del II secolo.

2. Testo occidentale: diffuso in Italia, in Gallia, in Nord Africa (e talvolta in Egitto), è usato da Marcione, Cipriano, Taziano, Ireneo e Tertulliano. Fanno parte di questo testo i seguenti codici: P38 (Egitto, anno 300 ca.), P 48 (fine del III secolo), Codice Beza (D, V-IV secolo - Vangeli e Atti), Claromontano (D, VI secolo - lettere di Paolo), W (Washington IV-V secolo). Presenta le seguenti caratteristiche:
* parafrasi;
* inserzioni di frasi (armonizzazione);
* omissioni, specialmente fine di Luca (non vale qui la regola: lezione più breve è più genuina).
Oggi (ad eccezione delle varianti petrine dovute a intento teologico) vi è la tendenza a valorizzare di più il testo cesariense, che sarebbe anteriore alla grandi revisioni del tempo di Origène. In questo testo dominano alcune aggiunte che tendono ad esaltare Pietro (26) Pietro parla nella riunione di Gerusalemme per « lo Spirito Santo» (At 15,7). In At 1,23, solo Pietro (e non gli apostoli) designa i due candidati al posto di Giuda; in At 2,14 Pietro è il primo a parlare alla folla; in At 15, 12a i presbiteri approvano le parole di Pietro, mentre la folla zittisce. Alla voce di Pietro Tabita apre gli occhi « immediatamente » (At 9,40); Pietro evangelizza i villaggi tra Cesarea e Gerusalemme; sembra poi che vada trionfalmente a Gerusalemme non per giustificarsi (At 11, 2) (27) .

3. Testo cesariense. E' sorto in Egitto al principio del III secolo (P45) e fu poi trasferito da Origène a Cesarea e di lì a Gerusalemme. Venne usato da Cirillo di Gerusalemme e dagli Armeni che avevano in questa città una colonia e che lo portarono in Georgia (influì sulla versione georgiana). Le sue caratteristiche principali sono:
* miscuglio di lezioni occidentali e alessandrine;
* tende talvolta verso l'eleganza di espressione;
* sta a metà strada tra l'alessandrino e il bizantino.

4. Testo bizantino. Fu detto:
* testo siriaco da Westcott e Hort;
* Koine da Von Soden;
* Ecclesiastico da Lake;
* Antiocheno da Ropes.
* Vi prevale la lucidità, l'eleganza di espressione, accordo con il greco parlato.
* Sono armonizzati tra loro dei passi diversi (conflazione).
* Sorto forse in Antiochia, fu portato a Costantinopoli e diffuso in tutto l'impero di Bisanzio.
* Il codice A, che contiene i Vangeli, Atti, le Lettere e l'Apocalisse, giunse poi alla stampa secondo il testo fissato al VI-VII secolo.
* Prima edizione: Erasmo 1516, Basilea; Stephanus 1550, editrice regia, 3° edizione, Parigi; i fratelli Elzevir a Leida poi ad Amsterdam 1663 presentano il testo receptus (=comune).
* La forma corrotta bizantina fu poi riveduta con i lavori di Costantino Tischendorf (1869-72) e Westcott-Hort 1881 (Cambridge).

Una lezione testimoniata da più famiglie ha maggiori probabilità di essere genuina. La sua diffusione nei codici sia per numero che per geografia (luogo), che per il loro valore (alef, B, C) è di grande peso per la genuinità della lezione.

Vediamo ora alcuni motivi che hanno dato luogo a lezioni diverse:

A) Motivi non volontari

1. Salti di vocaboli per finali simili (omoteleuton).
Quando una parola (o una finale identica) si ripete in due linee successive, è facile saltare nella lettura o copiatura dalla prima alla seconda. E' un fenomeno che avviene anche oggi spessissimo: Es. Ez 14, 27. Vari codici hanno saltato l'intero verso perché dalla finale identica del precedente sono saltati a quella successiva (R, F, vari minuscoli, copto, ecc.).

2. Dittografia: consiste nello scrivere due volte una o più lettere. Cf. Gv 19, 29 in cui, dal possibile originale ussoperithentes (= messa la spugna sulla lancia), si è giunti a ussopoperithentes (= posta la spugna sull'issopo) che è un controsenso perché è difficile supporre che si sia usato un mazzetto flessibile di issopo per elevare la spugna sino alla bocca del crocifisso Gesù. L'issopo è frutto della ripetizione della sillaba op (allora le parole non si staccavano, ma si seguivano le une alle altre per risparmiare spazio). Due manoscritti minuscoli hanno giustamente usso.

3. Aplografia: eliminazione di una o più lettere che si dovrebbero invece ripetere. Per questo motivo in Mt 27, 16 alcuni codici hanno Gesù Barabba, anzichè il solo Barabba. E' difficile che il nome di Gesù vi sia stato aggiunto, mentre è più facile la sua scomparsa. Tre motivi militano per tale ipotesi:

a) Eliminazione volontaria per togliere il nome di Gesù che urtava riferito ad un ladrone, a un sovvertitore. Si voleva in tal modo distinguere meglio Gesù da Barabba.

b) « Volete che liberi per voi Gesù Barabba ». «Per voi Gesù » si scrive in greco YMIN IN , dove IN è l'abbreviazione di Iesoûn (= Gesù). Un copista disattento, sembrandogli superflua la ripetizione IN (due volte), oppure per disattenzione, scrisse IN una volta sola, creando la lezione: « vi liberi Barabba » senza Gesù.

c) Introducendo Gesù il parallelo è assai migliore: Gesù il Barabba e Gesù il Cristo; salvatore (Gesù) Barabba, salvatore Cristo.

4. Itacismo: una stessa pronuncia di lettere (vocali) diverse creò confusione. In Lc 18, 25, ad esempio, alcuni mss cambiarono Kàmêlon (= cammello) in Kàmilon (=fune); ê ed i avevano allora la medesima pronuncia i (itacismo); perciò il vocabolo Kàmilon   poteva scriversi tanto Kàmêlon (cammello) che Kàmilon (fune).

B) Motivi volontari, vale a dire variazioni introdotte di proposito.

1) Per migliorare la dizione greca: così in Gv 1, 45 alcuni codici, invece di «Gesù, figlio di Giuseppe», hanno «Gesù, il figlio di Giuseppe» che era più elegante.

2) Per correggere eventuali errori:

a) In Mt 27, 9 e nei codici principali si ha «come si legge in Geremia». Di fatto la citazione proviene da Zaccaria 11, 13 (solo allusioni in Geremia 32, 6s 17 sicli), per cui alcuni codici omettono il nome (Vg mss, Sir, copt) e altri lo mutano in Zaccaria; due testi (21, it) hanno Isaia quasi quasi per attribuire a lui, che è il profeta principale, questa citazione: Forse il nome di Geremia è stato messo per dire che Gesù era trattato come Geremia, oppure si trattò di una svista.

b) In At 13, 33 la citazione «tu sei mio figlio diletto, io oggi ti ho generato» è attribuita da alcuni codici (e molti padri) al salmo primo ( prôto ) secondo l'uso rabbinico di abbinare assieme nel salmo 1 tanto il primo che il secondo (lezione preferita da A.C. Clark). Di fatto è nel secondo. Di qui la lezione «secondo» (deutero ) assai più diffusa (per adattarlo ai LXX?). Il P 45 elimina la difficoltà mettendo en psalmois « nei salmi ».

3) Assimilazione: certi brani di un vangelo sinottico sono stati resi più simili al passo parallelo di un altro (o degli altri) sinottico. In Mt 1,25 i codici C D W e alcuni minuscoli aggiungono «al figlio » il vocabolo «primogenito » tratto da Lc 2,7. Questo non vale contro la verginità di Maria perché (come risulta dall'epitaffio di Assinoe) era detto « primogenito » il figlio che non aveva altri prima di sé prescindendo dalla eventuale nascita di successivi fratelli. Assinoe si lamenta infatti di essere morta nel mettere alla luce il suo « figlio primogenito » (la tomba è in Egitto e data del 6 d.C.; è di un'ebrea e fu scoperta verso il 1920). Anche in Gv 19,14 (ora sesta o in Mc 15, 25 ora terza): alcuni codici hanno cercato di assimilare le due cifre che per di più erano assai simili.

4) Per ragioni teologiche

a) Comma giovanneo 1 Gv 5, 7-8. Fu introdotto in Spagna nel IV secolo per avvalorare il dogma trinitario (« tre sono che testimoniano in cielo: il Padre, il Verbo o Logos e lo Spirito Santo e i tre sono una cosa sola»). Le testimonianze sono tutte tardive (da Vg); il passo non è citato dai padri e manca nei manoscritti più antichi e più importanti. La prima citazione si ha in un testo spagnolo del IV secolo (nel latino Liber apologeticus c. 4 attribuito all'eretico Priscilliano (m. 385) o a un suo discepolo. Probabilmente si tratta di una glossa (o nota) marginale del testo.

b) At. 20, 28: « chiesa di Dio che si è acquistata con il suo sangue », vale a dire con il sangue di Dio. Qualche manoscritto ha corretto questo detto urtante mettendo: «chiesa del Signore». Probabilmente va lasciato come è, ma tradotto in modo diverso: « con il sangue del suo Proprio» (= diletto figlio; cf. Rom 8, 32 «non risparmiò il suo proprio figlio»). Presso i papiri il vocabolo idion è usato come sostantivo per indicare « i suoi» di casa, verso i quali si ha un grande affetto. Vi è allusione ad Abramo (Gn 22, 16).

c) L'ignoranza di Gesù che ignora l'ora e il giorno (della distruzione di Gerusalemme?) ha urtato, per cui alcuni codici (anche il testo bizantino) hanno tolto tutta la frase, che tuttavia esiste nei più importanti codici antichi: Sinaitico o Alef, A (o Alessandrino), B (o Vaticano). E' più probabile che sia stata tolta per ragioni teologiche, anzichè venire aggiunta per assimilazione con Mc 13, 32. Luca non ce l'ha (si veda qui la libertà degli autori).

d) Per il sudore di sangue (Lc 22, 43s) che manca in molti codici, confronta il terzo volume su Gesù Cristo (dispense della Facoltà).

e) Per Gv 5, 4-5 l'angelo che muove l'acqua della piscina , confronta il secondo volume delle predette dispense (Vita di Gesù, guarigione del paralitico di Betesda).

f) A questo genere di varianti per influsso teologico si riconducono tutte quelle sopra accennate tratte dalle lezioni occidentali, derivate da un ambiente petrino (28) .

Una volta ricostruito il testo originale genuino o autentico, avremo trovato il testo garantito dalla ispirazione.

Appendice bibliografica per ricerche critiche

Lo studio dei codici ebbe luogo nel secolo scorso in modo particolare, come quello del Sinai, ad opera del Tischendorf.

Costantino Tischendorf era nato il 18 gennaio 1815 a Lipsia, dove aveva studiato, dove era professore di teologia nella facoltà protestante e dove morì il 7 dicembre 1874. Dal 1840 al 1845 viaggiò in quasi tutta l'Europa e l'Oriente in cerca di codici biblici, dei quali poi diventò il fortunato e appassionato scopritore ed editore.
Questi viaggi da lui ripresi più tardi nel 1853 e 1859, sono narrati nelle due opere " Reise in den Orient" (Viaggi nell'Oriente) e "Aus dem Heiligen Land " (Nella Terra Santa). Ma il racconto interessante di come egli scoprì il celebre codice Sinaitico, è contenuto – come s'è detto – in un altro libro, stampato a Lipsia nel 1865 e dedicato alla ricerca della datazione dei Vangeli.

« Iddio – racconta egli con commosse parole –  ne riserbava la scoperta ai nostri giorni, così dolorosamente fecondi di attacchi anticristiani, affinchè fosse una luce viva e piena per ciò che si riferisce alla parola scritta di Dio, e ci aiutasse a diffondere la Sua verità e a riaffermare la sua forma autentica». Nel Sinai egli ritornava allora per la terza volta e, stabilitosi sul monte nell'immensa biblioteca del convento di S. Caterina, così egli narra : «Il 4 febbraio 1844 mi disponeva a partire per il Cairo, quando una circostanza fortuita mise il colmo ai miei voti. Avevo fatto con l'economo del convento una passeggiata sopra una delle cime vicine e nel ritorno, sul calar della sera, un religioso mi pregò di accettare qualche rinfresco nella sua cella. Appena entrati mi disse: Io pure ho qui la Bibbia dei LXX. E andò a prendere in un angolo della camera un oggetto voluminoso, involto in un pannolino rosso e lo collocò davanti a me sopra la tavola. Io apro questo involto e scopro con mia grande sorpresa non soltanto l'Antico Testamento che già conoscevo e che avevo copiato quindici anni prima, ma anche il Nuovo Testamento tutto intiero, e infine la lettera di S. Barnaba e una parte del Pastore di Erma. Ricolmo di una tale gioia che questa volta seppi nascondere e contenere all'economo e agli altri religiosi, domandai ed ottenni di portare il manoscritto nella mia camera, al fine di esaminarlo con agio. Quando fui solo, mi abbandonai agli slanci del mio entusiasmo e della mia gioia. Io sapevo di tenere nelle mie mani il più grande tesoro che si potesse trovare con la scienza della Bibbia; un documento che per l'età e l'importanza va avanti a quelli di tutti i manoscritti esistenti, di cui m'ero occupato da vent'anni. Io non saprei ritrovare l'emozione di quell'ora di rapimento con innanzi a me quel vero diamante biblico. Perciò pure al lume di una pessima lucerna e nel freddo della notte, subito mi applicai a trascrivere ».

L'opera fu pubblicata nel 1862 in fac-simile monumentale, e in quattro volumi in foglio. L'impressione fu immensa. Paleograficamente parlando, la copia era del IV secolo, ma il copista, sperduto sulle cime tranquille del Sinai, non aveva neppure dubitato del lavoro di revisione che era stato comandato da Costantino, sicchè aveva copiato pedissequamente un esemplare antico, e questo era dei tempi più remoti. Difatti risultava in armonia completa con la " Versione Siriaca " e con l'antica " Italica " e concordava con il testo greco di cui s'era servito sant'Ireneo. Era dunque il testo greco usato dalla Chiesa in principio.

Ma non è ancor tutto. «Per quanto questo testo greco sia vicino a quello degli evangelisti, vi rimane – dice il Tischendorf – un piccolo spazio », Ed ecco come questo spazio si riempie. Il testo del manoscritto sinaitico era generalmente in uso nel secolo II, ma già aveva davanti a sé una storia. Per giustificare questa asserzione non siamo ridotti esclusivamente al "Codice Sinaitico ", né al tale o tal'altro manoscritto dell' " Italica" e neppure a Ireneo o a Tertulliano, ma possiamo aggiungervi una quantità di documenti, di cui gli uni sono necessariamente e gli altri verosimilmente del secolo II. Ora da tutti questi documenti confrontati fra loro, si deduce questo fatto incontrovertibile: una ricca storia del testo li ha preceduti: Prima dell'anno 150, allorchè dei Vangeli si faceva copia sopra copia, si vennero insinuando nel testo cambiamenti sia nelle espressioni sia nel senso di certi passi: vi furono addizioni attinte a sorgenti apocrife e orali; vi furono modificazioni che provenivano dal confronto di luoghi paralleli. Tutto ciò dimostra che per tempissimo i Vangeli erano riuniti in una raccolta canonica. Se così è e se il testo dei nostri sacri racconti ha positivamente percorso uno stadio, prima della metà del secolo II, non possiamo domandare meno di 50 anni per la durata di questa storia. E allora noi siamo autorizzati a collocare verso la fine del secolo I, non tanto la nascita o la composizione dei Vangeli, ma piuttosto la loro riunione in un "corpus" canonico.

Una volta pubblicato il testo del "Codice Sinaitico", questo divenne – come può ben immaginarsi –  l'oggetto dei desideri di ogni biblioteca. Anche il governo russo desiderò di possedere il Codice Sinaitico. E questo passò dal convento romito del Monte alla Biblioteca Imperiale di Pietroburgo, perché il convento, essendo ortodosso, fu costretto a vendere il prezioso codice per 9000 rubli allo Zar nel 1862. Ora si trova al British Museum di Londra.

A.T. Biblia hebraica, Rudolph-Kahle Stoccarda, Bibel austalt 1937.

Septuaginta V.T. graece iuxta LXX interpretes; Alfred Rahess Stoccarda. Privilegerte Württembergische Bibel austalt.

N.T. edizione N.T. Nestlè, London 1958 (2° edizione rivista) A. Merk, Istituto Biblico.

La edizione moderna più completa e criticamente più perfezionata (anche se presenta minori varianti in nota) è quella edita dalle Società Bibliche Unite:

The Greek New Testament curato da K. Aland, B.M. Metzeger, A. Wikgren, del quale esistono due edizioni, una con l'aggiunta di un piccolo dizionario greco-inglese e l'altra senza (a. 1970 United Bible Societies).

Libri di studio accessibili a tutti per prezzo

Ebr. Gerhard Lisowsky, Konkordanz zum Hebräischun Alten Testament, Stoccarda, Privilegerte Württembergische Bibel austalt 1958 (nuova, manuale).

Più costosa: S. Mandelkern, Veteris Testamenti a A.S. Geden, A Concordance to the Greek Testament, Edimburgo 3° edizione 1926 (Ristampa 1950).

Italiano: Chiave Biblica, Claudiana 1933 (ora in nuova edizione).


NOTE A MARGINE

1-Cf. Lino De Benetti, E' esistito il canone alessandrino?, in "Ricerche Bibliche e Religio-se", 7 (1972), pp. 29-50. torna al testo

2. 4 Esdra 14, 37-48 in R.H.Charles. The Aprochripha and pseudepigrapha of the O.T. in English, vol II, Oxford, 1964, pp. 623s. Il libro fu scritto vero il 120 d.C. torna al testo

3. Contro Apione 1, 8. torna al testo

4. Eusebio, Hist. Eccl. 4,26,14. Egli ne invia l'elenco al fratello Onesimo dopo essere stato in Oriente e averne ricercato l'elenco preciso. torna al testo

5. Eusebio, Hist. Eccl. 4,6,25 G. del Ton, pp. 485.487. torna al testo

6. Epistula ad Origenum. torna al testo

7. Si può leggere nelle edizioni antiche della Volgata latina. Ne deriva che il cosiddetto Decreto di Damaso, con il canone della S. Scrittura, pari al nostro, non può essere genuino (Denz Sch 179). Girolamo non poteva affermare una cosa in contraddizione così stridente con papa Damaso. Infatti una citazione tratta da un'opera di Agostino (Spiritas enim sancts . . intelligitar Spiritus da Ev. Iv tract OX, 7 PL 35, 1461) scritta nel 414 impedisce che tale decreto possa aver avuto origine da Damaso anteriore ad Agostino (Damaso 366-384; Agostino m. 430). torna al testo

8. Così Dionigi di Corinto in Eusebio, Hist. Eccl. IV, 23, 11. torna al testo

9. Cf. H. Delehaye, Santus, Bruxelles, 1927, p. 192. torna al testo

10. Pallavicini, Storia del Concilio di Trento, 1.VI, c. 11, n. 4s. torna al testo

11. Concilio di Trento Sess. IV, 8 aprile 1546 78p Denz. sch 1502-1504. Secondo A. Loisy (Histoire du canon de l'A.T., Paris 1890 pp. 124-185.208.213s. 234-41), il Concilio di Trento non avrebbe assimilato i deuterocanonici ai protocanonici, in quanto solo da questi si sarebbero dovuti dedurre i dogmi. Ma non mi pare di vedere tale idea nel testo definitivo. torna al testo

12, Denz Sch 1334-1336. torna al testo

13. Denz Sch 212. torna al testo

14. Denz Sch 186. torna al testo

15. Denz Sch 179s torna al testo

16. Denz Sch 3006. torna al testo

17. Cf. P. Bénoit, La Septante est elle unspirée, in "Exegèse et Theologie" Vol I (Paris 1961) pp. 3-12 (l'autore è un domenicano). torna al testo

18. Lett. Aristea 12, n. 307 Ediz. A. Pellétoer, Sources Chrétiennes n. 89 p. 233, Paris 1962 (72 traduttori, 72 giorni, accordo preordinato da Dio?). torna al testo

19. Vita di Mosè 2, 37. torna al testo

20. Exhortatio ad Graecos, P G 6,241-326. torna al testo

21. Cf. Praef. in Pent, PL 28, 149. torna al testo

22. Cf. F. Salvoni, la profezia dell'Emmanuele, in "Ricerche Bibliche e Religiose 1 (1955). torna al testo

23. M. Cano, De locis theologias, c. 13. Cf.  L. A. Schökel, op. cit. pp. 261-264. torna al testo

24. Concilio di Trento. Sess. IV (8 aprile 1546) Denz Sch 1506. torna al testo

25.Pio XII, Enciclica Divino Afflante Spiritu, 30 settembre 1943, Denz Sch 3825. torna al testo

26. Su queste varianti cf. C.F. Martini, La figura di Pietro secondo le varianti del Codice D negli Atti degliApostoli, in "San Pietro" Atti della XIX Settimana Biblica, Paideia 1957 pp. 279-290. torna al testo

27. Cf. F. Salvoni, Da Pietro al Papato, Lanterna 1970, pp. 154-156. torna al testo

28. Vedi nota n. 27. torna al testo