L'ISPIRAZIONE
DELLA BIBBIA
di Fausto Salvoni
CAPITOLO III

L'ISPIRAZIONE NELL' A.T. E PRESSO GLI EBREI

Occorre distinguere tra i dati più sobri dell'Antico Testamento e le speculazioni posteriori ad opera di pensatori ebraici.

I. L' Antico Testamento

In pochissimi casi esso parla di dettatura di Dio o riferisce l'ordine divino di scrivere, mentre di solito si afferma che la parola di Dio fu inviata ai profeti perché parlassero e annunziassero al popolo il volere di Dio. I loro scritti quindi sono ritenuti sacri perché raccolgono le parole che i profeti avevano pronunciato oralmente e perché contengono la «Parola di Dio» che va meditata giorno dopo giorno.

1. Dettatura . Solo il Decalogo fu dettato, anzi fu scritto su due tavole direttamente da Dio (Es 24, 12) con il suo stesso dito (Es 31, 18; 32, 15-16; Dt 5, 22). Tuttavia queste espressioni si possono intendere in modo figurato; infatti la Bibbia non di rado riferisce a Dio un effetto senza ricordarne la causa intermedia. In un passo, nonostante sia stato detto che Dio scrisse il decalogo, si continua con l'ordine di Dio a Mosè: « Scrivi queste parole; perché sul fondamento di queste parole io ho contratto alleanza con te e con Israele» (Es 34, 27s con 34, 1). Il libro degli Atti parla invece dell'intermediario di angeli (At 7, 38).

2. Usualmente Dio si sceglie dei profeti che chiama suoi araldi, perché annuncino a nome suo i messaggi divini. Ci narrano la propria chiamata profetica: Amos (7, 10-17), Ezechiele (2, 1-7), Isaia (6, 1ss), Geremia (1, 4-10). Per tale sua missione il profeta si sente costretto a parlare anche contro voglia (Gr 20, 7-9).

3. La parola dei profeti è parola divina. Nell'A.T. il profeta è lo strumento che Dio si sceglie per parlare all'uomo: egli può quindi chiamarsi «la bocca di Dio». Il Signore così accusa il suo popolo: «Non avete consultato la mia bocca» vale a dire il profeta (Is 30, 2). A Geremia Dio promette: «Se ti converti, mi convertirò; starai alla mia presenza. Se i tuoi frutti sono preziosi e non vili, sarai la mia bocca» (Gr 15, 19). Varie sono le formule con cui si presentano i discorsi dei profeti; eccone alcuni tipi:

* «Il Signore parla» (Is 1, 2s);
* «La parola fu rivolta a Geremia da parte del Signore» (Gr 7, 1);
* «Ascolta qual'è la parola che procede da parte del Signore» (Ez 33, 30; Is 1, 10);
* «Così dice il Signore» (Is 8, 1);
* «Oracolo del Signore » (Is 15, 1; 17, 1).

Tale effetto è simboleggiato talvolta dal tocco della bocca di Geremia (1, 9) o dal rotolo inghiottito da Ezechiele (2, 8 - 3, 4). Il profeta è quindi « l'uomo di Dio» (1 Re 4, 7), « l'uomo dello spirito» (Os 9, 7). La Bibbia non distingue tra la loro parola e la parola di Dio. «La casa di Israele non vuole ascoltare te perché non vuole ascoltare me » (Ez 3, 7). «Ai miei servi inviai i profeti, giorno dopo giorno, ma non mi ascoltarono né mi prestarono orecchio » (Gr 7, 25). Respingere la loro parola  quindi respingere Dio (Zc 7, 9-13; cf Dt 18, 18s). Il profeta è strumento di Dio perché Dio si manifesta «per mezzo ( beyad = lett. per mano) dei suoi profeti ». Il beyad , che indica « per mano di» ha assunto il semplice valore avverbiale « per mezzo di». Così abbiamo « il precetto del Signore per mezzo di Mosè» (Nm 36, 13); «il precetto del Signore per mezzo del profeta Aggeo» (Ag 1, 1: 2, 2); « le parole che il Signore proclamò per mezzo degli antichi profeti » (Zc 7, 7-12).

II. Ispirazione dei libri sacri

1. Le parole che Dio ispirò ai profeti non sono scomparse dopo la loro morte, ma furono conservate nei loro scritti che quindi contengono la parola di Dio.

a) Talora, ma ben di rado, i profeti ricevono il comando di scrivere alcuni scarsi brani (Es 17, 14; 24, 4; 34, 1; Dt 5, 22; 31, 9; Is 30, 8; Ha 2, 2; Gr 36, 2-4; Ez 24, 2)

b)  Di solito essi, o meglio i loro discepoli, raccolsero le varie profezie, incastonandole in dati storici, come fece Baruc per Geremia (Gr 36, 23.32). Dalla lettura di questo capitolo si conclude:

* Il libro di Geremia contiene «tutte le parole che Dio ha detto » (36, 2.4.28).
* Esso fu scritto per comando di Dio (v. 1s).
* Fu redatto sotto dettatura di Geremia ad opera di un discepolo.
* Riveste autorità divina, per cui ogni spregio al libro è offesa a Dio e quindi un sacrilegio gravissimo da punirsi con dure pene (36, 29s).
* Gode di verità assoluta, di cui Dio stesso è garante  (36, 30 s; cf Dt 18, 21s).

2. La parte ritenuta più sacra dagli Ebrei fu la Torah (Legge) di Mosè (=Pentateuco) che tanto i Samaritani quanto i sadducei consideravano sacra, pur respingendo gli altri libri canonici, ritenuti ispirati solo dai farisei. Essa fu perciò detta «La Legge del Signore» (1 Cr 16, 40) in quanto contiene le « parole che il Signore disse mediante Mosè» (2 Cr 35, 6). Le « tavole della alleanza», che si dovevano leggere in presenza di tutti perché fosse praticata (Dt 31, 12s), stavano deposte per la loro santità nella stessa arca, simbolo della presenza di Dio (Dt 31, 24ss).

3. In secondo luogo stanno i libri profetici, divisi in due gruppi, il primo dei quali detto dei « profeti anteriori» ( nevi’îm harishonîm ), corrisponde ai libri che noi erroneamente chiamiamo « storici», da Giosuè a Nehemia. Dico erroneamente perché il nostro termine ne mette in risalto l'aspetto storico (che non manca certo in questi libri anche se è secondario), mentre il termine ebraico ne esalta l'aspetto teologico, vale a dire l'intervento divino nella storia, che è l'unico inteso dallo scrittore sacro. Si vede come le categorie ebraiche siano diverse dalle nostre. E' un errore chiamarli libri storici; all'ebreo la storia come pura storia non interessava; quel che lo affascinava era l'intervento divino nella storia. Questi libri – cosiddetti storici – non narrano solo i fatti, ma li interpretano alla luce della fede e presentano i dati storici atti a confermare il loro insegnamento religioso. Gli scrittori sono quindi dei ricercatori guidati da un carisma profetico e non storico (1) Sono profetici per il fatto che la profezia, anzichè arrestarsi a Mosè, passo nei suoi successori come appare dalle seguenti citazioni:

* Giosuè , «pieno di spirito di sapienza, perché Mosè gli aveva imposto le mani» (Dt 34, 9); « scrisse queste parole nel libro della legge di Dio» (Gs 24, 26; 23, 24).
* Samuele « scrisse la legge del regno nel libro e lo depose davanti a Jhwh » vale a dire nell'arca (1 Sm 10, 25). Secondo l'ordine di Dio, Samuele « per far conoscere la legge del re, riferì tutte le parole del Signore al popolo che gli chiedeva un sovrano » (1 Sm 8, 9s). Si tratta forse dei brani relativi al re che troviamo nel Pentateuco (Dt 17)?

Il secondo gruppo, detto dei « profeti posteriori» (nev’îm ’acharônîm ), è costituito dai libri presentati quali profetici nelle moderne traduzioni della Bibbia non attuate da Ebrei. Sono i tre profeti maggiori (Isaia, Geremia , Ezechiele) e i dodici profeti minori. Il libro di Daniele non è incluso dagli ebrei tra i profetici, bensì nella terza classe degli scritti sacri detti Ketuvim .

E' superfluo dimostrare il carattere profetico di questi libri dal momento che da essi abbiamo tratto quasi tutte le citazioni precedenti relative alla «parola di Dio ».

4. Il terzo gruppo dell'A.T. è dato dai cosiddetti «sapienziali» – iKetuvim o « scritti » per gli ebrei – nei quali si nota una ricerca personale, che lascia un po' nell'ombra l'ispirazione divina. Il Qohèlet (Ecclesiaste) riferisce spesso nel suo libro i risultati della propria indagine ed esperienza esistenziale. Si leggano i seguenti passi:

* «Ho applicato il cuore a cercare e a investigare con sapienza tutto ciò che si fa sotto il cielo» (Ec 1, 13 cf v. 16.17; 2, 1).

* «Io ho visto le occupazioni che Dio dà all'uomo perché vi si affatichi » (3, 10).
* «Mi sono messo a considerare tutte le oppressioni che si commettono sotto il sole » (4, 1).

* «Io ho veduto tutto questo nei miei giorni vani» (7, 15).

* «Io mi sono applicato in cuor mio a riflettere, a investigare, a cercare la sapienza e la ragione delle cose e a riconoscere che l'empietà è una follia e la stoltezza una pazzia» (7, 25; cf 9, 1.16).

Lo aveva già riconosciuto Teodoro di Mopsuestia, il quale scrive:

«Tra i libri scritti secondo la dottrina umana si devono includere i libri di Salomone, cioè i Proverbi e l'Ecclesiaste, che egli compose di sua mano per utilità altrui; poiché non aveva ricevuta la grazia della profezia, bensì la grazia della prudenza, le quali, secondo S. Paolo sono diverse » (2) .

Tuttavia anche in questo gruppo non mancano alcuni accenni alla ispirazione divina, come per l'Ecclesiaste la frase: « Parole di sapienza dettate da un solo Pastore (=Dio)» (12, 12ss). I salmi davidici sono stati scritti da uno che trasmetteva « gli oracoli» ( ne’um) di Dio (cf 2, Sm 23, 1s). Anche i salmi di Asaf sono stati composti da una persona che viene presentata come « veggente» ( chôzeh cf 2 Cr 29, 30ecc).

5. Criterio di canonicità . Gli Ebrei ritennero come sacri i libri che erano garantiti dai profeti. Tale garanzia fu il loro criterio di canonicità. I libri più recenti non furono ritenuti tali poiché dal tempo dei Maccabei più non sussistette il carisma profetico. In 1Mac 4, 46 si legge che Giuda distrusse l'altare profanato, ma ne lasciò le pietre ammassate in attesa che sorgesse un profeta il quale dicesse loro che cosa si dovesse farne. Anche se qualche scritto fu composto più tardi (come pare lo fosse il libro di Daniele), gli Ebrei lo riconobbero sacro perché attribuito a un profeta anteriore del tempo esilico.

6. Gradi di ispirazione . I Tannaiti ("ripetitori" aramaico) o farisei del I secolo d.C. attribuirono ai libri sacri una autorità decrescente da Mosè ai profeti e infine ai saggi(3) . Poggiando su Nm 12, 6-8 osservano che Dio parlò a Mosè « bocca a bocca», mentre i profeti (Nev’im) parlarono nello « spirito profetico » e i sapienziali composero i loro Ketuvim solo « nello Spirito Santo» (=sotto impulso divino). « Quale era la differenza tra Mosè e gli altri profeti? Questi guardavano attraverso nove vetri, per lo più opachi, mentre Mosè guardava attraverso uno soltanto e ben trasparente» (Lv. Rabbà 1, 14).

«Ciò che i profeti erano destinati a profetizzare alle generazioni a venire lo ricevettero sul Monte Sinai . . . Mosè pronunciò tutte le parole degli altri profeti assieme alle proprie, e chiunque profetizzò non fece che dare espressione alla sostanza della profezia mosaica» (Esc. Rabbà 28, 6; 32, 8).

Vengono da ultimi i sapienziali o detti dei saggi perché a un dato periodo della storia (dopo Esdra), « la profezia fu tolta ai profeti e data ai sapienti, i quali non ne furono più privati»(4)

7. Efficacia dei libri sacri. A queste tre raccolte dette « i libri » (Dn 9, 2), già esistenti al tempo dei Maccabei (5) si attribuiva una grande efficacia.

a) La parola divina che trasforma non torna a Dio vuota. « La mia parola, uscita dalla mia bocca non torna a me a vuoto, senza aver compiuto quello che io voglio e condotto a buon fine ciò per cui l'ho mandata» (Is 55, 11).

b) La parola di Dio è eterna. L'uomo passa come l'erba, ma la parola di Dio dura per sempre, «l'erba si secca, il fiore appassisce, ma la parola del nostro Dio sussiste in eterno» (Is 40, 8; cf 1 Pt 1, 25). «In perpetuo, o Eterno, la tua parola è stabile nei cieli» (Sl 119, 89).

c) Essa reca conforto . Quando Gionata cercò l'alleanza degli spartani scrisse che per sé gli Ebrei non ne avrebbero bisogno « in quanto noi godiamo il conforto dei libri santi, che stanno nelle nostre mani » (1 Mac 12, 9).

d) La parola di Dio era oggetto di continua meditazione da parte del saggio. « Oh, quanto amo la tua legge! E' la mia meditazione di tutto il giorno. I tuoi comandamenti mi rendono più savio dei miei nemici  . . . Io ho più intelletto di tutti i maestri perché i tuoi statuti sono la mia meditazione» (Sl 119, 97-104).

III. L'ispirazione nel periodo intertestamentario.

Gli Ebrei attribuivano enorme valore alla Bibbia, specialmente al Pentateuco che fu accolto quale parola di Dio da tutte le correnti ebraiche (farisei, rabbini, sadducei) e anche dai Samaritani eretici. I farisei guidati dai rabbini accolsero come ispirati anche tutti gli altri scritti che ora formano l'Antico Testamento ebraico. Ecco i loro pensieri a riguardo:

A. I libri della Sacra Scrittura sono sacri.

1) La fede dei rabbini nell'ispirazione biblica è dimostrata dal modo con cui citano la Bibbia quale parola di Dio dicendo: «Sta scritto, Dio dice, ecc ». Spesso le discussioni tra i rabbini consistevano nell'addurre passi biblici a prova della propria idea, talvolta in modo assai strano e fuori contesto (6) . Essi la leggevano e la commentavano nelle loro sinagoghe (Lc 4, 16); anzi per renderla più comprensibile prepararono dei Targum (im) (o traduzioni) in aramaico, lingua che si impose all'ebraico dopo l'esilio(7) .

2) Un altro elemento per documentare la santità divina della Scrittura sta nel fatto che dopo avere toccato il rotolo biblico, i rabbini si lavavano (e si lavano tuttora) "le man i", da esso "sporcate" in quanto lo scritto ispirato conferiva loro una sacralità che si poteva togliere solo con l'uso dell'acqua corrente(8) .

3) Un terzo elemento per comprendere la loro fiducia nella Bibbia sta nel fatto che i rabbini ritenevano che la Legge (e più tardi anche tutto l'A.T.) preesistesse tale e quale in cielo anche prima di essere comunicato agli uomini, tramite dettatura. La legge era in cielo come una creatura prediletta da Dio,  scolpita su tavolette prima della stessa creazione del mondo. Fu dettata parola per parola a Mosè, ad eccezione, forse, degli ultimi otto versetti (morte di Mosè) (9) . Tale concetto passò agli Arabi che l'applicarono al Corano, ritenuto da loro una copia del libro preesistente in cielo (10) Un concetto simile esiste ora presso i Mormoni per il libro di Mormon rivenuto da J. Smith e tratto da tavolette celesti.

4) Dalla persuasione che la Bibbia fosse stata dettata da Dio derivò la meticolosità con cui se ne conservò il testo anche nei casi di errata trasmissione (se ne lasciò l'originale errato o si pose in alto più in piccolo l'eventuale correzione).

5) Ne derivò pure l'esegesi dei Qabbalisti che davano valore e significato profondo ad ogni minima lettera del testo sacro, mediante procedimenti a noi strani. Essi vi trovavano occulti valori simbolici nei numeri (gematria , cf il 666 dell'Apocalisse = forse "Neron Qesar") o decifravano le parole come se le loro singole lettere fossero le iniziali di altrettanti vocaboli, traendone in tal modo delle dottrine occulte; oppure vi sostituivano altre lettere facendone corrispondere l'ultima lettera dell'alfabeto alla prima, la penultima alla seconda e così via di seguito (11) Un simile procedimento fu adottato anche da Geremia quando occultò la parola Babel nel vocabolo Sheshak (25, 26; 51, 41) e i caldei (Kasdim ) nel termine leb-qamay (51, 1).

6) Dato che l'A.T. è composto nella quasi totalità in lingua ebraica, ne viene che questa lingua ha per gli Ebrei un valore sacro per cui è stata fatta rivivere ancora oggi in Palestina. In questo modo gli Ebrei si sentono il popolo sacro di Dio, una nazione eletta.

B. Tentativi esplicativi filosofici

Gli Ebrei che cercarono di chiarire meglio il modo con cui l'ispirazione divina si svolse furono in Palestina Giuseppe Flavio e il 4° Esdra, in Egitto il filosofo Filone.

1) Giuseppe Flavio più che determinare il modo dell'ispirazione si accontentò di dire che gli scrittori «furono organi » di Dio quando vennero ispirati ed i loro scritti sono quindi del tutto armonici.

«Il diritto di scrivere presso noi era riservato ai Profeti, che conoscevano per ispirazione di Dio (katà tin epìgnoîan tèn apò theoû) le cose antiche e occulte. Non possediamo migliaia di libri che si contraddicono l'un l'altro, ma soltanto ventidue che contengono il ricordo del passato, ai quali noi giustamente prestiamo fede»  (12) «Non esiste divergenza nei nostri scritti, perché solo i profeti hanno chiaramente raccolto i fatti lontani e antichi avendoli appresi per ispirazione divina  . . . I fatti dimostrano di qual rispetto noi circondiamo i nostri libri . . . In tanti secoli nessuno si è permesso un'aggiunta, un taglio o un cambiamento. E' logico per tutti gli Ebrei pensare che vi si trovino i voleri divini e perciò li rispettano e, all'occasione, sono pronti a morire per essi con gioia »(13)
Tali libri sono « dogmi divini, scritti da coloro di cui Dio si è servito come di organi per manifestare ciò che volle» (ivi). L'azione divina ha sospeso l'attività personale del profeta, poiché « nulla di proprio rimane, quando vi entra la divinità» (14) .

2) Per il IV Esdra , apocrifo palestinese scritto verso il 90-95 a.C., l'ispirazione divina è presentata come una possessione divina che fa « germogliare» all'esterno la sapienza. « Questa traboccò irresistibilmente per 40 giorni e 40 notti dalla bocca di Esdra, il quale dettò a cinque segretari novantaquattro libri sacri »(15) Di questi ventiquattro sono di dominio pubblico e costituiscono il canone sacro, come venne fissato definitivamente a Jamnia circa il 100 d.C., mentre gli altri «sono occulti» e corrispondono agli apocrifi dell'Antico Testamento.

3) Filone. Il filosofo giudeo parlò assai diffusamente dell'ispirazione nelle sue opere e la ridusse a fenomeni di possessione simile alle estasi degli indovini pagani(16) Lui stesso – narra il filosofo – ne fece l'esperienza, quando, preso da un «entusiasmo», analogo a quello provato dai «coribanti», si metteva a scrivere a sua insaputa delle lunghe pagine (17) L'ispirazione è quindi «una irresistibile pazzia divina, che afferra i profeti» ( Quis rerum divinarum haeres, n. 51). « I profeti sono gli interpreti di Dio, che si serve dei loro organi per manifestare ciò che vuole». Il profeta, « assentandosi da sé», entra in una forma estatica quando parla di Dio.

«Il profeta ispirato da Dio emette oracoli e profezie, senza dire nulla di proprio; né mentre è rapito e ispirato può intendere ciò che gli viene presentato sotto dettatura da un suggeritore» (De Monarchia, n. 9).

Durante l'ispirazione il profeta dimentica ogni cosa:

«La mente ispirata da Dio dimentica tutto il resto, scorda anche se stessa, rammenta uno solo (vale a dire Dio); quando poi è cessato l'entusiasmo ed è sbollito il violento impeto, ritornando dalle dimore divine, egli ridiviene uomo e riprende possesso delle nozioni umane» (18)

Tutte queste concezioni, frutto di riflessione umana, ben lontane dalla sobrietà biblica, hanno il difetto di esagerare l'azione divina e di ridurre eccessivamente l'attività personale dell'agiografo ridotto ad un essere incosciente. L'analisi del testo biblico ci rivela al contrario le abilità personali dello scrittore che vengono utilizzate da Dio, anzichè essere annientate. Si osservi poi che nell'Antico Testamento, ad eccezione di scarsi brani scritti per comando di Dio, l'ispirazione riguarda piuttosto il profeta anzichè direttamente il testo. Il testo biblico è sacro solo in quanto raccoglie le profezie ispirate  prima oralmente e poi ritrascritte. In questo senso è « parola di Dio».


NOTE A MARGINE

1. Si veda più avanti il capitolo della storia ebraica. torna al testo

2. In Atti del 2° Concilio di Costantinopoli; cf Mansi IX, 223. torna al testo

3 L. Voguè , Histoire de la Bible, Paris 1881 p. 8. torna al testo

4. Baba Bathra 12a. torna al testo

5. 2 Mac 2, 13-15. Esdra fondò una biblioteca nella quale raccolse i libri che parlavano dei re riguardanti le offerte sacre. «Allo stesso modo anche Giuda raccolse tutti i libri dispersi dalla guerra». torna al testo

6. Per le citazioni cf Strack-Billebeck , Kommentar zum Neuen Testament IV, München 1928, pp. 443-446. torna al testo

7. Ad es. quello di Onkelos per il Pentateuco, il Targum palestinese Neofiti I, di recente rinvenuto e in corso di pubblicazione a Madrid. torna al testo

8. Si cf l'uso dei sacerdoti cattolici di lavarsi le dita dopo aver toccato l'ostia consacrata. torna al testo

9. Secondo il libro II dei Giubilei sulle tavolette celesti stavano scritte non solo la legge, ma anche tutti i libri storici. Cf per la legge 2 Giub 4, 5.32; per i libri storici (23, 32; 31, 32; 32, 28). Cf Test. Levi 5, 3s; A. 7, 5. Cf Romeo in "Il libro Sacro" p. 153s. torna al testo

10. Cf  J.B. Frey , La Révélation d'après les concertions juives, in "Rev. Bibl." 1916, p. 472-510 (p. 480); J. Bonsirven, Le judaisme palestinien, I, p. 213.250. torna al testo

11. Tale metodo è detto ’Atbash (prima lettera) = +(ultima lettera); b = sh (seconda lettera - penultima lettera), ecc. Talora si ripartiva l'alfabeto in due sezioni 2 x 11 facendo corrispondere la 1 alla 12; la 2 alla 13 (’albam), ecc. Cf J. Abelson , Il misticismo ebraico (la Kabbala), Torino 1929; G.S. Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, Milano 1965. torna al testo

12. dikaìos pepisteuména ; falsamente Eusebio H.E. III, 10 vi aggiunge thêia: dikaìos thêia pepisteuména = che giustamente riteniamo divini. Contro Apione 1, 7-8. torna al testo

13. Contro Apione, 1, 8. torna al testo

14. Antichità Giudaiche IV, 5, anno 93 d.C.. torna al testo

15. 4 Esdra 14, 37-48; erroneamente la Volg. Clementina ha 204 libri. torna al testo

16. Cf Platone , Fedra 22; Cicerone , De divinatione 1, 31; Luciano , Farsalia 5, 166; Virgilio , Eneide 6, 45s. torna al testo

17. De migratione Abraham 7. torna al testo

18. De Somniis 2, 34; su Filone cf E Bréhier , Les ideés philosophiques et religieuses de Philon d'Alexandrie, Vrin, Paris 1925 p. 191; cf pure di Philone De Spect leg 4, 8; Vita Moses 2, 188.246-292. torna al testo