Da Pietro al Papato
di Fausto Salvoni

CAPITOLO OTTAVO (parte seconda)

L'IPOTESI DI PIETRO FONDATORE DELLA CHIESA ROMANA


Reperti archeologici privi di valore storico

Con molti dati archeologici si è cercato di provare l'andata di Pietro a Roma, dei quali richiamerò dapprima quelli privi di calore storico (si tratta di semplici leggende) per passare poi a reperti di maggiore valore.

I più importanti, riconosciuti delle semplici leggende anche dai cattolici moderni, sono i seguenti:

a) La leggenda del carcere Mamertino.

Il nome di «carcere Mamertino» ricorre in tarde passioni di martiri per designare il carcere romano detto Tullianum, posto alle pendici meridionali del Campidoglio e costituito da un locale superiore. a mo' di trapezio e di uno inferiore rotondo, scavati nel tufo. Secondo gli Atti tardivi dei ss. Processo e Martiniano, due custodi del carcere in cui stavano racchiusi gli apostoli Pietro e Paolo, al vedere i miracoli da loro compiuti, chiesero di venire battezzati insieme con altri carcerati. Perciò Pietro con un gesto di croce, fece sgorgare le acqua dal monte Tarpeo onde poter così amministrare il battesimo.
L'itinerario di Einsiedeln (sec. VIII) menziona un santuario detto, in ricordo di tale miracolo, « fons Sancti Petri ubi est carcer eius». In quel torno di tempo nacque pure la tradizione che i due apostoli, mentre venivano trasferiti dal carcere superiore in quello inferiore, urtarono con la testa contro il tufo della parete, lasciandovi impressa l'effigie, che tuttora si mostra ai turisti che visitano quel luogo.
Si tratta di pure leggende poiché tale carcere, riservato ai sovrano o nobili rei di lesa maestà, non potè mai contenere i due apostoli; la scala non vi era perché i prigionieri venivano calati mediante una botola nella parte inferiore, dove era buoi pesto (e da dove non venivano più liberati); la sorgente (tullia) – sempre esistita – diede al carcere il nome di Tulliano, a meno che questo sia invece da ricollegarsi a Servio Tullio che vi aggiunse appunto tale parte inferiore (56) .

b) L'oratorio del «Quo Vadis» .

E' una cappella eretta al 1° miglio della via Appia, per commemorare l'episodio di Pietro che, fuggendo da Roma durante la persecuzione, si vide venir incontro Gesù diretto invece verso l'Urbe. Alla domanda: « Signore, dove vai?» ( Domine, quo vadis?), il Maestro avrebbe risposto: «A Roma per essere crocifisso di nuovo » (57) .
Secondo la tradizione – pure ricordata dal Petrarca – Gesù avrebbe lasciato le impronte dei suoi piedi su di una selce, che rimase nell'oratorio Quo Vadis, erettovi a ricordo, fino al 1620 quando fu trasferita in S. Sebastiano e quivi venerata come reliquia su di un altare. In realtà la «pietra» con tale impronta non è altro che il monumento votivo posto in un non ben determinato santuario pagano da parte di un pellegrino a significare la strada da lui percorsa e il suo desiderio di eternare la propria presenza nel santuario stesso(58) .
Nonostante il recente tentativo da parte di P. Bonaventura Mariani (59) d'attribuire valore storico alla leggenda del Quo Vadis, si può dire che essa nacque dalla combinazione di due frasi, e precisamente dalla domanda di Pietro a Gesù: «Dove vai, Signore?» (Gv 13, 36-38) con un antico detto attribuito, esistente, secondo Origene, negli Atti di Pietro « Sarò crocifisso di nuovo ». E' pure possibile che la parola « denuo, desuper » (greco ànôthen , cfr Gv 3, 3) che oltre «di nuovo » indica «dal di su, dall'alto » abbia suggerito l'episodio della crocifissione di Pietro con il capo all'ingiù.

c) Cattedra di S. Pietro.

Si trova occultata in S. Pietro entro la gloria del Bernini, dove vi venne trasferita nel 1666, mentre l'aria rimbombava «di trombe, mortaretti con grandissimo concorso di popolo » (22 gennaio 1966). L'ultimo suo esame fu quello accurato, ma privo di mezzi tecnici moderni, compiuto nel 1867 dal De Rossi; ora il papa ha concesso l'autorizzazione per un suo studio scientifico. Così come si presentava ai suoi occhi «niun archeologo classico potrà attribuire ai tempi di Claudio la cattedra di Pietro », il cui telaio è di quercia giallastra in parte scheggiata per trarne reliquie, ed è munito in alto di quattro anelli per il suo trasporto quasi fosse una sedia gestatoria. La parte anteriore, formata da un riquadro composta da diciotto formelle in avorio raffiguranti le fatiche di Ercole dovrebbe risalire, secondo il Marrucchi al V-VI secolo dopo Cristo (al IX secolo secondo il Cecchelli). Il dorsale munito di rabeschi e culminante in un triangolo, restaurato forse nel XVII secolo, presenta il busto di imperatore dai mustacchi rilevanti ma privo di barba che, secondo il Garrucci, raffigurerebbe Carlo il Calvo e non Carlo magno, come comunemente si pensa, al quale converrebbe meglio la barba(60) Un riferimento esplicito alla cattedra lignea gestatoria dell'apostolo, si ha nella epigrafe di papa Damaso (366-384) nel battistero vaticano (61) Si tratta probabilmente della sedia usata nei riti liturgici dai pontefici romani e che poi, quando fu istituita la festa della Cattedra, verso il terzo secolo, fu riferita allo stesso apostolo.
La festa della «Cattedra», secondo Paolo Vi, è un'antichissima festa che risale al terzo secolo e si distingue per la festa per la memoria anniversaria del martirio dell'apostolo (29 giugno). Già nel quarto secolo la festa odierna è indicata come «Natale Petri de Cathedra». Fino a pochi anni fa il nostro calendario registrava due feste della Cattedra di S. Pietro, una il 18 gennaio, riferita alla sede di Roma e l'altra il 22 febbraio, riferita alla sede di Antiochia, ma si è visto che questa germinazione non aveva fondamento né storico né liturgico (62) .
E' interessante notare che le date delle due feste corrispondono a quelle dell'antica festa della «caristia» che, i Romani, celebravano il 18 gennaio e i Celti al 22 febbraio, e quindi sarebbero da riallacciarsi ai refrigeri che si celebravano in onore di Pietro e di Paolo (63)
E' noto che nella celebrazione di questi banchetti sacri in onore dei morti – generalmente tenuti presso le tombe – si riservava una sedia vuota per il defunto che si supponeva presente di persona. Questi refrigeri si tennero per più anni nella Memoria degli apostoli nelle catacombe di S. Sebastiano, come vedremo (64) La espressione «Cattedra di Pietro » donava al vescovo di Roma un primato d'onore (non di giurisdizione) tra i vescovi, così come Pietro lo godeva tra i Dodici.
Dapprima si parlò solo di «cattedra della chiesa romana» come si legge nel Canone Muratoriano: «Il pastore di Erma fu scritto mentre sedeva sulla cattedra della chiesa romana suo fratello Pio » . Poi tale cattedra fu ricollegata a Pietro e Paolo (Ireneo), e infine, dall'inizio del sec. III, divenne la cattedra di Pietro, come appare in Tertulliano e specialmente in Cipriano (65) Come dice Agostino alla fine del IV secolo Atanasio, il papa del suo tempo, «siede oggi sulla stessa cattedra su cui Pietro sedette» (cfr Ep 52, 3). La festa liturgica della Cattedra di S. Pietro testifica la credenza che Pietro sia andato a Roma e abbia illustrato tale chiesa con il suo insegnamento.

d) S. Pietro in Vincoli.

La basilica non molto lontano dalle terme di Tito e Traiano, era già esistente al tempo di Sisto III (432-440), che la ricostruì in onore degli apostoli Pietro e Paolo. Sin dal V secolo vi si conservavano le « catene di ferro ben più preziose dell'oro » con cui Pietro venne incatenato, e che ancora oggi si possono vedere, e di cui sono già in vendita dei fac-simili assai ridotti per catenelle, orologi, pendagli, ecc. E' inutile dire che si tratta di pura leggenda, sorta probabilmente dal fatto, come ben osserva il Grisar, che li vicino vi era la prefettura urbana dove si amministrava la giustizia (66)

e) Pretesa abitazione di Pietro in casa del Senatore Pudente .

Secondo la leggenda di S. Pudenziana, il padre Pudente della nota famiglia senatoriale romana del I-II secolo d.C., sarebbe stato convertito al cristianesimo dall'apostolo Pietro, insieme alla moglie Claudia e ai suoi quattro figli, tra cui Pudenziana e Prassede. Nella sua casa sul Viminale sarebbe sorto il primo oratorio cristiano, che verso il 150 d.C. fu trasformato in chiesa da Pio I (ora vi sorge la basilica di S. Pudenziana); essa sarebbe quindi la più antica delle Basiliche romane, dimora forse dei vescovi romani del II secolo, per le molte tradizioni che le si ricollegano riguardanti il vescovo di Roma Pio I, suo fratello Erma, il filosofo Giustino e Ippolito. Gli scavi discesi sino a 9 metri sotto il pavimento della basilica nel 1928-32, hanno messo in luce un edificio termale della prima metà del II secolo, costruito su di una casa romana alla quale appartengono pavimenti e mosaico. Che questa casa fosse di proprietà del senatore Pudente risulta documentato da alcuni bolli di mattone rinvenuti nel 1894, tra i quali uno del I secolo ed altri di Servilio Pudente della prima metà del secondo. Gli scavi più recenti del 1962 hanno svelato altri mattoni e i pavimenti ben visibili a lithòstraton del tipo ricordato da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, formato cioè di piccole tessere di mosaico bianco con incastonate delle crustae simili ai pavimenti di Aquileia, Pompei e Preneste. Un affresco del IX secolo, rinvenuto in una delle gallerie sotterranee, rappresenta l'apostolo Pietro tra le sorelle Pudenziana e Prassede. Se gli scavi mostrano l'antichità della casa e la sua appartenenza a Pudente (forse il Pudente ricordato da 2 Ti 4, 21), nulla ci possono però dire della presenza di Pietro, che poggia solo sulla leggenda si S. Pudenziana (67) .

torna all'indice pagina
Scavi di valore

a) Catacombe di S. Sebastiano

Il luogo della Memoria Apostolorum è stato rinvenuto nel 1915 presso la via Appia sotto la basilica di S. Sebastiano ad Catacumbas, che, prima della inumazione del martire in quel luogo, si chiamava «Basilica degli Apostoli». Vi esisteva un luogo di raduno e di culto («triclia») dedicato alla venerazione di Pietro e di Paolo, come lo testificano i centoventun graffiti scritti in latino popolare come «Paule et Petre petite pro Victore» e i trentasette scritti in greco. Alcuni di essi attestano che vi si attuavano i «refrigeria» ossia i pasti funerari, quali si solevano attuare sulle tombe dei defunti (68) Vi alluderebbe anche il Liber Pontificalis che attribuisce al vescovo Damaso la fondazione di una chiesa sul luogo dove sotto il «platomia» (da correggere in platoma o lastra di marmo) avevano riposato i corpi dei santi apostoli Pietro e Paolo.

Dal momento che è difficile sostenere la traslazione delle salme in quel luogo (si trattasse pure del solo capo, come alcuni pretendono) e dal fatto che la sala non presenta alcun indizio di tomba, si potrebbe pensare che all'origine di tale culto stesse la convinzione che Pietro e Paolo vi avevano abitato da vivi in quanto tale casa giaceva proprio in un quartiere ebraico. Cio sarebbe confermato da una iscrizione di papa Damaso;

Hic habitasse prios sanctos conoscere debes
Nomina quisque Petri pariter Paulique requires(69)

Pare che la venerazione in tale luogo ricevesse un grande impulso da parte della setta scismatica dell'antipapa Novaziano; più tardi esso sarebbe stato accolto dalla Chiesa romana come la memoria degli apostoli (70) Anche se quest'ultima ipotesi non reggesse, rimane pur sempre chiaro che la Memoria Apostolorum non rivela l'esistenza di reliquie o del sepolcro di Pietro e Paolo.

Altri (ad esempio la Guarducci) pensano che tale luogo – contenente forse qualche reliquia di cose appartenenti agli apostoli – fosse stato usato per celebrare la loro memoria, quando un decreto imperiale impedì la riunione dei cristiani nei cimiteri, dove prima questi erano soliti adunarsi.

b) Gli scavi al Vaticano

Una tradizione assai antica, confermata da indicazioni liturgiche, afferma che il martirio di Pietro e la sua sepoltura avvenne sul colle Vaticano; basti ricordare il già citato presbitero Gaio, la cui opinione fu condivisa da Girolamo (71) dagli Atti di Pietro e Paolo che fanno seppellire Pietro sotto un terebinto presso la Naumachia (= circo) sul Vaticano (72 ) e dal Liber Pontificalis che ne pone la sepoltura presso il palazzo di Nerone (73) dove Anacleto avrebbe eretto una memoria beati Petri (74) Lo stesso Liber Pontificalis , in una notizia tratta dagli Acta Silvestri , dice che Costantino, battezzato da Silvestro e guarito dalla lebbra, volle erigere sul Vaticano una basilica in onore di S. Pietro, nel luogo dove sorgeva un tempio ad Apollo, e vi trasferì il corpo di Pietro in una tomba circondata da lastre di bronzo e sormontata da una croce aurea (75) .

Per saggiare quanto di vero ci fosse in tale tradizione Pio XII nel 1919 diede il via a scavi da attuarsi sotto l'altare della Confessione in mezzo a difficoltà tecniche enormi per non mettere in pericolo la stabilità del cupolone vaticano. Il 23 novembre 1950 il papa annunziò che era stata ritrovata la «tomba del principe degli apostoli ». La relazione ufficiale degli scavi (edita nel 1951) fu tuttavia meno esplicita al riguardo.

Gli scavi hanno documentato che l'imperatore Costantino doveva avere una seria regione per erigere quivi la sua basilica; infatti per poterla costruire fu costretto ad affrontare molteplici difficoltà, che non vi sarebbero state qualora il tempio fosse stato eretto altrove. Il luogo non era adatto, sicchè per avere la spianata sufficiente l'imperatore dovette attuare degli enormi lavori di sterro verso nord e costruire poderosi muraglioni di sostegno verso sud. Costantino fu poi obbligato a ricoprire un largo cimitero pagano assai denso, con un atto certamente impopolare, e che egli potè attuare solo in quanto Pontifex maximus . Sappiamo pure che questo cimitero era presso il circo di Nerone, perché C. Popilius Heracla (Popilio Eracla) afferma in una iscrizione che desiderava essere seppellito «in Vaticano ad circum » (76) nel luogo dove la tradizione, sopra riportata, poneva la sepoltura di Pietro.

Quale motivo poteva spingere Costantino a costruirvi nel 335 la Basilica, se non il fatto che quivi v'era la tomba di Pietro (la zona era appunto un cimitero) o almeno il luogo del suo martirio?

Gli scavi effettuati dal 1940 al 1950 e dal 1953 al 1958 misero in luce la necropoli romana quivi esistente. Eccome le successive stratificazioni:

1) Piano della Basilica attuale con l'odierno altare papale risalente a Clemente VIII (1592-1605).

2) Sotto v'è l'altare eretto da Callisto II (1119-1124).

3) Ancora più sotto giace l'altare fatto erigere da Gregorio Magno (590-604).

4) Sotto affiora il monumento costantiniano ornato di marmi rari e di porfido.

5) Gli scavi hanno rivelato che il monumento eretto da Costantino racchiudeva una piccola edicola posta al livello della necropoli in una piazzuola del sepolcreto risultante da due nicchie sovrapposte, divise da una specie di mensa di travertino sostenuta da due colonnine marmoree. L'edicola, che doveva corrispondere al «trofeo» (tropaion) di cui parla verso il 200 il presbitero Gaio, dovrebbe risalire alla metà del II secolo, se essa fu costruita assieme al piccolo canale di drenaggio, poiché nel fognolo per convogliare l'acqua si trovano almeno quattro mattoni con il marchio Aurelii Caesaris et Faustinae Augustae (Aurelio fu imperatore dal 121 al 180).

La scoperta suscitò non pochi problemi e perplessità: la fossa identificata dai primi scavatori come tomba dell'apostolo era stata trovata, stranamente, quasi distrutta e vuota.. perché i graffiti non parlano di Pietro contro la testimonianza della Basilica Apostolorum che è tutta ripiena di invocazioni rivolte agli apostoli?(77) . Dove giacevano le reliquie dell'apostolo? Si pensò in un primo tempo che il gruppo di ossa trovate in una piccola cavità, sotto la base del muro rosso (così detto dal colore dell'intonaco) cui è addossata l'edicola, rappresentassero i resti del martire, che fossero stati prelevati dalla tomba e nascosti in quell'anfratto. Tuttavia il carattere eterogeneo delle ossa (vene sono anche di animali) impedivano di riferirle a un uomo solo. Margherita Guarducci, docente di epigrafia a antichità greche all'Università di Roma, ha tuttavia rinvenuto nell'attiguo mausoleo dei Valeri, parzialmente danneggiata dal muro eretto da Costantino, una iscrizione assai enigmatica che ha di chiaro solo PETRU accanto a una testa calva. L'invocazione così suonerebbe: « Petrus, Roga T Xs HT pro sanctis hominibus chrestianis ad corpus tuum sepultis » (78) L'iscrizione anteriore alla costruzione di Costantino che la danneggiò parzialmente con il muro della Basilica, è posteriore al 180 perché è stata scolpita sul mausoleo pagano dei Valeri quando l'imperatore Marco Aurelio doveva essere già morto, perché vi appare divinizzato (m. 180 d.C.)(79) .

Di recente la stessa Guarducci esaminando il muro rosso nel lato dove una lastra marmorea ricopre la cavità posta a fianco dell'edicola, con commozione profonda vi lesse la seguente iscrizione greca « PETROS ENI », vale a dire « Pietro (è) qui» (80) quasi a suggellare la traslazione delle sue ossa dal terreno sottostante al nuovo ripostiglio (cm 77 x 29 x 31). Tuttavia anche questa cavità risultava stranamente vuota e qui l'avventura assume un aspetto romanzesco.

In un angolo nascosto delle grotte vaticane la Guarducci trovò nel 1953 una cassetta contenente delle ossa, che da testimonianze di due sampietrini e da un biglietto che vi si trovava sarebbe provenuta – e poi stranamente dimenticata – da un ripostiglio scavato nel muretto che poggia contro il famoso muro rosso dove s'apriva l'edicola costruita sulla presunta fossa di Pietro. Dall'analisi di tali resti ad opera di specialisti (81) risultò che appartenevano ad un individuo di sesso maschile, piuttosto robusto, sessanta-settantenne, e quindi dalle caratteristiche somatiche simili a quelle di Pietro. Frammenti di marmo, pezzettini di intonaco, delle monetine e alcuni fili di porpora mostravano la stima goduta da quelle reliquie dal tempo di Costantino, ai cui anni risalirebbe la porpora.

Gli studiosi si divisero tosto in due partiti di cui alcuni favorevoli ed altri ferocemente contrari (82) a questi ultimi ribattè di recente la Guarducci in un agile volumetto nel quale, tra l'altro, getta l'accusa che gli scavi « furono eseguiti con metodo non sempre impeccabile e spesso con spirito di osservazione palesemente scarso» (83) .

Si può quindi concludere che quel mausoleo, meta di visitatori i quali vi gettarono anche delle monete, fosse un monumento eretto sul luogo del martirio di Pietro e forse anche la sua tomba; le ossa quivi rinvenute possono appartenere al Martire, anche se gravi dubbi ci consigliano molta prudenza (84) Per raggiungere tale certezza occorrerebbe provare, come giustamente osserva il cattolico Hubert Jedin, che il corpo di Pietro non fu bruciato dopo l'esecuzione, che il suo cadavere non sia stato mutilato, che esso non sia stato deposto in una fossa comune, e che i cristiani abbiano avuto la possibilità di prelevarne il cadavere (85) Di più non vi è traccia di alcun interesse o culto delle reliquie prima del martirio di Policarpo a Smirne (86) . Gli Atti apocrifi di Pietro (c. 40) biasimano Marcello per aver seppellito Pietro nel suo stesso sepolcro, dicendo « lascia che i morti seppelliscano i loro morti ». Il che dimostra che verso la fine del II secolo i cristiani respingevano totalmente il culto delle tombe. Gli stessi vescovi romani non ebbero delle tombe proprie che a partire dal III secolo nelle catacombe di S. Callisto (87) .

Ad ogni modo dopo i recenti reperti di M. Guarducci, si può pensare che il «trofeo» di cui parla il presbitero Gaio fosse considerato la tomba dell'apostolo Pietro. Probabilmente ciò pervenne dall'associazione del luogo del supplizio con la vicinanza del cimitero.

torna all'indice pagina
Durata della permanenza di Pietro a Roma e data della sua morte

Una tradizione risalente al III secolo ricorda la permanenza di Pietro a Roma per 25 anni (dal 42 al 67 d.C.), come appare dalla Cronaca di Eusebio che nell'anno 2° dell'imperatore Claudio (a. 42) così dice:

« L'apostolo Pietro, dopo la fondazione della Chiesa di Antiochia fu mandato a Roma dove predicò il Vangelo e visse per venticinque anni » (88) .

Simile l'affermazione del Cronografo dell'a. 354(89 ) avvolta pure da Girolamo:

« Siccome Pietro deve essere stato vescovo della Chiesa di Antiochia e dopo aver predicato ai Giudei che si convertirono nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, nell'Asia e nella Bitinia, il secondo anno dell'imperatore Claudio (a. 42) andò a Roma per confutarvi Simone il Mago, e vi tenne la cattedra per 25 anni, ossia fino al 14° anno di Nerone (90) La sua morte fu seguita pochi mesi dopo da quella dell'imperatore, quale castigo divino, secondo una profezia ricollegata alla morte degli apostoli «Nerone perirà da qui a non molti giorni »(91)

Oggi nessun studioso cattolico annette che Pietro sia rimasto a Roma per 25 anni, poiché ciò contrasterebbe sia con la cacciata dei cristiani da Roma al tempo di Claudio(92) sia con la presenza di Pietro a Gerusalemme durante il convegno apostolico (ca. 50 d.C.). Si noti pure che, secondo Girolamo, Pietro venne a Roma per «smascherarvi il mago Simone », il che suggerisce un legame tra questa tradizione e le leggende di Simon Mago, per cui l'attendibilità di tale notizia ne risulta assai compromessa(93) Di più la tradizione e l'ipotesi della sua lunga permanenza a Roma è contraddetta da alcuni dati biblici indiscutibili.

Nel 42 Pietro lascia Gerusalemme per recarsi ad Antiochia dove Paolo lo trova poco dopo (At 12, 1 s; Ga 2, 11).

Nel 40/50 v'è la riunione degli apostoli a Gerusalemme e in essa Pietro non parla affatto di un suo lavoro tra i Gentili, ma s'accontenta di riferire il fatto del battesimo di Cornelio. Sono Barnaba e Paolo che parlano invece della loro missione tra i Gentili (At 15, 7-11; cfr c. 17),

Nel 57 quando scrive ai Romani, Paolo, pur affermando di non voler lavorare in campo altrui, non dice affatto che la Chiesa era stata evangelizzata da Pietro, come sarebbe stato logico.

Nel 63/64, scrivendo le sue lettere dalla prigionia, Paolo mai allude alla presenza di Pietro (94) Gli Ebrei desiderano sapere qualcosa di questa nuova «via» che è tanto avversata, come se nulla sapessero, il che sarebbe stato assurdo qualora Pietro fosse stato a Roma (At 28, 21-24).

Nel 64 d.C. v'è la persecuzione di Nerone con la probabile morte di Pietro. Ecco il brano di Tacito (ca. 60-120 d.C):

« Siccome circolavano voci che l'incendio di Roma, il quale aveva danneggiato dieci dei quattordici quartieri romani, fosse stato doloso, Nerone presentò come colpevoli, colpendoli con pene ricercatissime, coloro che, odiati per le loro abominazioni, erano chiamati dal volgo cristiani.
Cristo, da cui deriva il loro nome, era stato condannato a morte dal procuratore Ponzio Pilato durante l'impero di Tiberio. Sottomessa per un momento, questa superstizione detestabile, riappare non solo nella Giudea, ove era sorto il male, ma anche a Roma, ove confluisce da ogni luogo ed è ammirato quanto vi è di orribile e vergognoso. Pertanto, prima si arrestarono quelli che confessavano (d'essere cristiani), poi una moltitudine ingente – in seguito alle segnalazioni di quelli – fu condannata, non tanto per l'accusa dell'incendio, quanto piuttosto per il suo odio del genere umano. Alla pena vi aggiunse lo scherno: alcuni ricoperti con pelli di belve furono lasciati sbranare dai cani, altri furono crocifissi, ad altri fu appiccato il fuoco in modo da servire d'illuminazione notturna, una volta che era terminato il giorno. Nerone aveva offerto i suoi giardini per lo spettacolo e dava giochi nel Circo, ove egli con la divisa di auriga si mescolava alla plebe oppure partecipava alle corse con il suo carro. Allora si manifestò un sentimento di pietà, pur trattandosi di gente meritevole dei più esemplari castighi, perché si vedeva che erano annientati non per un bene pubblico, ma per soddisfare la crudeltà di un individuo » (95) .

Si può quindi concludere che Pietro non fu affatto il fondatore della Chiesa di Roma e che, se vi venne come oggi appare quasi certo, vi giunse solo per subirvi il martirio. E' il pensiero del pagano Porfirio, un filosofo neoplatonico, che di Pietro dice: «Fu crocifisso dopo aver guidato al pascolo il suo gregge per soli pochi mesi »(96) .

torna all'indice pagina
Appendice: la cattedra di Pietro

Ecco la conclusione a cui è pervenuta la Commissione Internazionale alla quale Paolo VI il 3 febbraio 1967 aveva affidato l'incarico di studiare scientificamente la cosiddetta cattedra di Pietro, che in passato – ad eccezione del Suarez (1665), che la riteneva contemporanea di Carlo Magno – si pensava fosse stata usata dallo stesso apostolo. Come ora si presenta la cattedra è alta m 1,36 (36 cm solo in timpano), larga anteriormente cm. 85,5 e di fianco solo cm 65, I suoi pezzi in legno di quercia risalgono tutti all'epoca carolingia, ad eccezione di alcuni montanti di pino e di castagno, giuntivi verso il XI-XII secolo per sostenere la sedia propriamente detta. Gli avori risalgono al tempo di Carlo il Calvo, di cui la cattedra presenta anzi un'effigie.

Tale trono assai raffinato fu recato in dono a papa Giovanni VIII da Carlo il Calvo per la sua incoronazione imperiale del 25 dicembre 875, quando offrì «molti e preziosi doni» per «onorare S. Pietro e il papa» tra cui anche la bellissima Bibbia ornata da miniature che dal secolo XI si conserva nel monastero di S. Paolo fuori le Mura in Roma. Oltre che con gli avori la cattedra era pure decorata con una lamella metallica composta di oro, argento e rame, la quale con il suo bagliore aureo formava un magnifico equilibrio con il candore dell'avorio che la ornava. Gli anelli laterali servivano per il trasporto della cattedra per la solennità del 22 febbraio (Cattedra di S. Pietro) come ci ricorda la bolla di Nicolò III (5 febbraio 1279). Verso il 1450 tale trono fu innalzato e posto sopra l'altare di S. Adriano fino a quando fu sistemata in fondo all'abside creata dal geniale Bernini.

Ritenuta il trono di S. Pietro divenne una reliquia, ma questa tradizione è ora sfatata dalla recente indagine scientifica, La cattedra ha favorito sempre l'affermarsi dell'autorità papale, come risulta dalla preghiera di S. Caterina da Siena: «O vero Iddio esaudisci anche noi, che pregamo per lo Guardiano di questa cattedra... cioè per lo tuo Vicario, che tu il faccia, quali vuole che sia il successore di questo tuo vecchicciuolo di Pietro e dia ad esso i necessari modi della Chiesa ».
Ma tutto ciò è posto in discussione dal presente volume.

Su questo problema si legga per ora M. Maccarrone , D. Balboni , P. Romanelli , ai quali risalgono rispettivamente i seguenti articoli: Studi e ricerche ; Descrizione archeologica della Cattedra , La Decorazione della Cattedra , in «Osservatore Romano» 28 novembre 1969, p. 3.

torna all'indice pagina

NOTE A MARGINE

56. F. Cancellieri , Notizie del carcere Tulliano ; A Ferrua, Sulle orme di Pietro , in «Civ. Catt.» 1943, 3, p. 43; P. Franchi de' Cavalieri , Della Custodia Mamertini , in «Note Agiografiche», fasc. 9, 1953, pp. 5-52. torna al testo

57. Di ciò già parlano Origene , citando  gli «Atti di Paolo » (In Johannem 20, 12 PG 14, 600), e Ambrogio (Contra Auxentium 13 PL 16, 1053). torna al testo

58. Enc.Catt., vol 9, col 1424. torna al testo

59. B. Mariani, Il «Quo vadis» e S. Pietro , in «L'Osservatore Romano» 4 luglio 1963, p. 7. torna al testo

60. D. Balboni, La Cattedra di S. Pietro , in «L'Osservatore Romano», 22 febbraio 1961 (vicende storiche e liturgiche) e 23 febbraio 1964 (descrizione artistica); Battaglia , La Cattedra berniniana in S. Pietro , Roma 1943. Non vi sono descrizioni recenti; la più completa è nella miscellanea del codice chigiano D.VII, 110, Biblioteca Vaticana, studiato da D. Balboni , Appunti sulla Cattedra di S. Pietro , in Miscellanea G. Belvederi, Roma 1955, pp. 415-435. Si veda pure Garrucci, Storia dell'arte cristiana , vol. VI, Prato 1880, pp. 11-13; Marucchi , Pietro e Paolo a Roma , 4° ediz. Torino 1934. Lo studio più completo è quello ora edito dallo specialista D. Balboni , dottore della Vaticana, con il titolo La Cattedra di S. Pietro, Roma, Poliglotta Vaticana, 1967. torna al testo

61. « Una Petri sedes unum verumque lavacrum vincula nulla tenet quem liquor iste lavat» (V'è un'unica cattedra di Pietro ed un unico vero lavacro, non più alcun vincolo tiene chi da quest'onda è lavato). torna al testo

62. Paolo VI, Udienza generale concessa il 22 febbraio 1967. Cfr «Osservatore Romano», 22 febbraio 1967, p. 2. torna al testo

63. In questi ultimi anni le due feste furono unificate con la eliminazione di quella antiochena e della data del 18 gennaio. torna al testo

64 Su questi sacrifici e reliquie cfr M. Goguel , L'Eglise primitive , p. 255. torna al testo

65. Rouet de Journel , Enchiridion patristicum , n, 575 (Cipriano, Epistula ad Antonianum, 8 a. 251/252). torna al testo

66. Ecco la iscrizione che secondo il De Rossi vi si trovava «inclusas olim servant haec tecta catenas vincla sacrata Petri Ferrum pretiosius aure » (G.B. De Rossi , Inscr. Christ. 1, p. 110, n. 66; p. 134 nn. 1 e 2). Su questa leggenda cfr H. Grisar, Dell'insigne tradizione romana intorno alle catene di S. Pietro nella Basilica Eudossiana , in «Civiltà Cattolica» 1893, III, pp. 205-221; J.P. Hirsch , Die römischen Titelkirchen in Altertum , Paderborn 1918, pp. 45-52. torna al testo

67. Cfr H. Delehaye , Contributions récentes à l'agiographie de Roma et de l'Afrique , in «Anacleta Bollandiana» 1936, p. 273; A. Petrignani , La Basilica di S. Pudente , Roma 1934: sugli scavi più recenti cfr E. Josi , Il «Titulus Pudens» rinnovato , in «Oss. Romano» 18/19 giugno 1962, p. 6. Per vedere l'ignoranza diffusa fra gli stessi scrittori ricordo il trafiletto del « Corriere della Sera» dell'8-6-1962 che dava notizia degli scavi con queste parole: « Sarebbe stata trovata a Roma la casa del senatore Pudente, dove, secondo gli Atti degli Apostoli (?) dimorò san Pietro e dove usarono radunarsi per un certo tempo i primi cristiani». Per il tempio connesso con la leggenda di Simon Mago si legga il capitolo seguente (corrente petrina). torna al testo

68. E. Diehl, Inscriptiones latinae christianae veteres , I, Berlino 1924. Sui refrigeri, combattuti da Agostino perché procuravano ubriachezza e disordini (Epost. 29 ad Aurelium), cfr A.M Schneider, Refrigeria nach literarischen Quellen un Inschriften , 1928; P. Styger , Die römischen Katacomben , 1933, pp. 350 ss. Sugli scavi qui effettuati cfr A. Prandi , La Memoria Apostolorum in Catacumbas , in «Roma sotterranea cristiana», Roma II, 1926; G. Mancini - P. Marrucchi, Scavi sotto la Basilica di S. Sebastiano sulla Appia antica , in «Notizie sugli scavi» 1923; H. Lequecq, Pierre , in «Dict. Archéol. Chrétienne et Liturgie» 14, 1 coll. 822.981; F. Tolotti , Ricerche intorno alla Memoria Apostolorum , in «Rivista di Archeologia Cristiana» 1946, pp. 7 ss; 1947-48, pp. 13 ss; Idem Memorie degli Apostoli in Catacumbas, Roma 1953, pp. 111 ss. Un graffito del 260 fu scoperto da R. Marichal ( Les dates des graffiti da St. Sebastiano , in «Contr. Reg. Accad. Inscriz. et Belles Lettres» 1953, pp. 60 ss). Ecco alcuni di questi graffiti: « Petro et Paulo Tomius Coelius refrigerium feci »; « Petro et Paulo refriger(avit Ur)sinus»; « at (= ad) Paulu(m) et Pet(rum) refri(geravi) »; «Petre et Paul(e) in m(ente) habete in ora(tion)ibus vestris An(t)imachum et Gregorium iuniore(m) e(t) Ampliata». Un graffito in latino ma con caratteri greci suola: «Paule Petre. Kalkedoni anima bobis (= vobis) Komand(d)o (= commendo) », vale a dire: «Paolo e Pietro vi raccomandiamo l'anima di Calcedonio ». Cfr A. Ferrua , Rileggendo i graffiti di S. Sebastiano , in «Civiltà Cattolica» 1965, pp. 2765.2768; S. Carletti, Il cinquantenario della scoperta della «Memoria Apostolorum in Catacumbas» , in «Oss. Rom», 19-12-1965. torna al testo

69. La iscrizione si ricorda nel Liber Pontificalis (Ediz. Duchesne), pp. 84 s è trascritta in p. CIX). Circa il quartiere ebraico ivi esistente cfr Giovenale (Satire, III, 12 ss ) che attribuisce ai Giudei il bosco di Egeria. Cfr G. La Piana, Foreign groups in Rome during the first centuries of the Empire , in «Harvard Theol. Rev.» 1927, pp. 341ss.; J.B. Frey, Les communautés juives à Rome aur premiers temps de l'Eglise , in «Rech. de Science Religeuse» 1930, pp. 275 ss (il «nomina» indicherebbe «corpi», le «reliquie»; cfr Carcopino , De Pythagore aux Apôtres , pp. 246-247 che adduce a conferma una iscrizione a Trixter in Mauritania). torna al testo

70. L.K. Mohlberg , Historisch. Kritische Bemerkungen zur Ursprung der sogennanten Memoria Apostolorum an den Appischen Strasse , «Colligere Fragmenta», Festschrift A. Dodd 1952, pp. 52 ss. torna al testo

71. Sepultus est Romae in Vaticano juxta viam triumphalem (passava questa a nord-est del Vaticano), Girolamo , De viris illustribus 1, PL 23, 639. torna al testo

72. éthekan autò upò ton terébinton plesìon toû naumachìou eìs tòpon kaloùmenon Batikanòn , in acta Petri et Pauli 84, ed. Lipsius, p. 216; cfr p. 172. Lo stesso si legge nel Martyrium Petri della Pseudo-Lino: «ad locum qui vocatur Naumachiae, iuxta obeliscum Neronis, in montem» (cfr Lipsius, Acta Apostolorum Apocrypha, Lipsia 1891, vol. I, pp. 11 s). torna al testo

73.«Sepultus est via Aurelia, in templum Apollinis (da correggere probabilmente in «Cibele»), juxta locum ubi cricifixus est, juxta palatium Neronianum in Vaticanum, juxta territorium Triumphalem, via Aurelia, III kal juli» (Liber Pontificalis ed Duchesne, p. 120). Il palazzo di Nerone va identificato con i giardini neroniani e con il Circo (Naumachia degli Acta Petri et Pauli). torna ai testo

74. Liber Pontificalis , Duchesne, pp. 55.155. Quivi secondo la stessa fonte sarebbero stati seppelliti i primi vescovi di Roma, eccetto Clemente ed Alessandro. In realtà è impossibile che Anacleto già nel I secolo abbia eretto tale monumento e per di più gli scavi non hanno mostrato tracce di tale fatto. Su tale errore cfr H. Heussi , Papst Anacletus und die Memoria auf dem Vatikan , in «Deutsches Pfarrerblatt», 1919, pp. 301 ss. torna al testo

75. Duchesne, pp. 78 s., 176. Gli scavi hanno dimostrato la falsità di questa affermazione, non vi è traccia di bronzo né di oro. torna al testo

76. Si cfr le notizie di Tacito , Annali 14, 4 ; Historia Augusti, Heliogabulus 23 ; Plinio , Hist. Nat. 36, 11, 74 . Il circo fu iniziato secondo quest'ultimo scrittore, da Caligola che vi fece arrivare un grandioso obelisco dall'Egitto con una nave di rara bellezza. Sino al 1586 tale obelisco si trovava nella piazzetta dei Protomartiri (a sinistra della zona delle campane per chi guarda la basilica), quando fu dal Fontana spostato con grave pericolo («acqua alle funi») al centro dell'attuale piazza vaticana. Gli scavi iniziatesi nel luogo primitivo l'a. 1957 da Pio XII e ripresi nel 1959 da Giovanni XXIII, misero alla luce a 14 m. di profondità la «spina del circo», ossia il muraglione eretto al centro del circo, ornato da are, edicole e tripodi, attorno al quale correvano i cavalli e di cui l'obelisco era il centro. Vicino al luogo del «tropaion di Gaio» vi era dunque il circo, dove Pietro probabilmente subì il martirio. Cfr M. Guarducci , Documenti del secolo I nella necropoli Vaticana , Rendiconti della Pontificia Accademia di Archeologia, Roma 1957. torna al testo

77. I graffiti rinvenuti in Vaticano sono di questo tipo: « Victor cum sui(s) Gaudentia vibatis in Christo; Paulina vias; Nicasi vivas in Christo, ecc. ». Per questi graffiti cfr M. Guarducci , I graffiti sotto la confessione di S. Pietro in Vaticano, 3 volumi, Roma, Editrice Vaticana, 1958; idem , Notizie antiche e nuove scoperte , Roma 1959. torna al testo

78. « Pietro, Prega (T) Cristo (X o Ht) per i santi uomini cristiani, sepolti presso il tuo corpo ». Il T sarebbe un puro simbolo della croce; la lettura dell'iscrizione è assai discutibile. torna al testo

79. Cfr M. Guarducci , Cristo e s. Pietro in un documento precostantiniano della Necropoli Vaticana , Roma 1953, pp. 14-22 e tav. 44. torna al testo

80. Ma il Carcopino vi legge «Petr(os) End(ei) » vale a dire «Pietro manca », non è qui, a ricordo della traslazione dei suoi resti nel 268 (De Pythagore aux Apôtres , p. 284). torna al testo

81. I docenti furono Venerando Correnti (antropologo Università di Palermo), Luigi Gardini (paleontologo, Università di Roma), Carlo Lauro (petrografo, Università di Roma), dott. G. Carlo Negretti (aiuto del precedente), M. Luisa Stein (chimico, Università di Perugia), Paolo Malatesta (chimico, Università di Roma); cfr M. Guarducci , Le reliquie di Pietro sotto la confessione della Basilica Vaticana , Poliglotta Vaticana, 1965. torna al testo

82. Tra i favorevoli: Becatti, Carrettoni, De Angelis d'Ossat, Magi, Paladini. Per il Carcopino ciò è possibile (ma è contro la Guarducci perché ammette varie traslazioni delle reliquie); per gli scavatori (Ferrua, Kirschbaum, Josi) è del tutto impossibile, e la Guarducci sarebbe una visionaria. Per Toynbee e Ruyschaert l'identificazione è impossibile. torna al testo

83. M. Guarducci , Le relique di s Pietro sotto la Confessione della Basilica Vaticana: una messa a punto , Roma, Coletti 1967. torna al testo

84. Tra le monete ivi trovate vi è un «dipondio» bronzeo dell'imperatore Augusto e (il più recente) un «quattrino» di rame di Paolo V (1605-1621); non è detto che le monete vi siano state gettate al tempo in cui furono coniate, poiché esse restarono in uso a lungo. torna al testo

85. H. Jedin, Von der Urgemenide zur früch-christilichen Grosskirche, Freiburg-Basel-Wien, Herder 1962, p. 140. torna al testo

86. Si avverò il 23 febbraio 177; cfr H. Gregoire, La veritable date du martyre de S. Policape, 23 fev 177, in «Anacleta Bollandiana», Bruxelles 1951. torna al testo

87. Dal tempo cioè di Ponziano (+235). Forse la festa degli apostoli del 258 potrebbe riguardare il fatto che, mancando allora ogni reliquia degli apostoli, queste sarebbero state cercate e trovate (con quanta verità non discutiamo qui!). Si tratterebbe quindi della inventio dei loro resti, come ne avvennero parecchie nel IV e V secolo per le reliquie dei martiri. Cfr H. Achelis , Die Martirologien ihre Geschichte und ihr Wert, Berlin 1900, pp. 74 ss; E. Schaefer , Die Epigramme des papstes Damasus I als Quellen für die Geschichte der Heiligenverehrung , 1932, pp. 101, ss. torna al testo

88. Corpus Berolinensis VII/I, p. 179. torna al testo

89. Monumenta Germaniae Historica-Auctores Antiquissimi-Chronica vol. I, Belin 1892, p. 73. torna al testo

90. De Viris Illustribus , 1, PL 23, 607, «Romam pergit ibique vigintiquinque annos cathedram sacerdotalem tenuit usque ad ultimum annum Neronis, i. e. quartumdecimum». Cfr S. Garofalo , La prima venuta si S, Pietro a Roma nel 42 , Roma 1942. Vi sono tuttavia altri scritti che parlano di 20 (o altre cifre) di permanenza (così la versione Armena del Chronicon o Cronaca di Eusebio). torna al testo

91 Atti di Pietro, ed Lipsius, pp. 172 ss; Nerone morì il 9 giugno 68. torna al testo

92. Probabilmente l'a. 49 a causa dell'agitazione provocata tra i Giudei, « per istigazione di Chresto (= Cristo)»: «Judaeos impulsore Chresto assidue tumultuantes Roma expulsit». Cfr Svetonio, Divus Claudius 25 (At 18, 2). Cfr W. Seston, L'empereur Claude et les Chrétiens , in «Rev. d'Hist. et de Philosoph. Relig.», 1 (1931), pp. 275-304; A. Momigliano , L'opera dell'imperatore Claudio , Firenze 1932. torna al testo

93. Per le leggende di Simon Mago e Pietro, vedi il capitolo Pietro e gli Apocrifi. torna al testo

94. Cfr 2 Ti 4, 11; Fl 4, 22; Cl 4, 7. 9-15. torna al testo

95. Annales XV, pp. 38-41. torna al testo

96. Frammento 22, tratto dal III libro dell'Apocriticus di Macario Magnete (Texte Untersuchungen XXXVII/4, Lipsia 1911, p. 56. Cfr A. Harnack, Porphirius gegen die Christen. torna al testo