Da Pietro al Papato
di Fausto Salvoni

EXCURSUS 3

DAGLI APOSTOLI AI VESCOVI


INDICE PAGINA

I nomi
Scelta dei presbiteri
Vescovi ed apostoli


I nomi

Sin dal primo secolo accanto agli apostoli vediamo apparire nella Chiesa i «presbiteri» vale a dire gli «anziani» pure detti «vescovi», i quali con la scomparsa graduale degli apostoli rimasero i soli a dirigere le singole chiese(1) .

«Presbitero» e «vescovo» sono due nomi attinti dal vocabolario preesistente, e non coniati direttamente dai cristiani, di cui il primo deriva dal giudaismo e il secondo dal paganesimo.

I presbiteri o «anziani» esistevano presso alcune corporazioni (gherusiai) che si interessavano dei giochi, della venerazione del dio locale e della sepoltura dei loro membri. Anche le città pagane erano dirette da un senato (2)  costituito da persone più mature, che però non erano chiamati «presbiteri» ma «geronti».

Presso gli Ebrei invece esistevano gli anziani dei quali abbiamo testimonianza sin dal tempo di Mosè (Es 24, 1) e su su per tutta la storia ebraica durante il periodo dei Giudici (Rt 4, 2), dei Re (1 Re 8, 1), sino al tempo dell'esilio (Ez 8, 11) e di Cristo (Mt 16, 21; Lc 7, 3); le città giudee erano dirette da un consiglio (boulé) di anziani (ebr. zekenìm) in numero di sette o di ventitre secondo l'importanza del centro, il quale ne costituiva il tribunale. Anche le sinagoghe erano sorvegliate da un gruppo di anziani che le presiedevano e decidevano la scomunica per gli indegni. Questa organizzazione fu accolta dagli apostoli anche per i singoli gruppi di fedeli che formavano il sostituto cristiano della sinagoga giudaica (3) .

Il nome «vescovo» (epìscopos, da cui il nostro «episcopio») era invece noto ai gentili, presso i quali designava un «sorvegliante», un «ispettore» inviato a reggere una città sottomessa o una colonia. Aristofane fa dire a un impostore: « Io vengo qui dopo aver ottenuto in sorte di essere vescovo » (4) Vescovo era pure chiamato l'ispettore che inviava i propri rapporti ai re indiani(5) il commissario mandato a sistemare gli affari in Efeso (6) il magistrato che sorvegliava la vendita delle provvigioni sotto i Romani (7) Nella versione dei LXX tale nome è usato per designare l'ispettore del re(8) o il capo di una città (9) Anche i sorveglianti posti da Antioco a Gerusalemme per far eseguire i suoi ordini nel culto sono chiamati «vescovi» (10) Tale uso corrisponde all'etimologia del vocabolo che significa «guardare (scopeo) sopra (epi)», pur includendo la responsabilità dell'individuo verso un'autorità a lui superiore. Perciò presso le chiese della gentilità tale nome fu applicato ai responsabili delle comunità cristiane, che dovevano appunto sorvegliare il comportamento dei credenti. Alcuni studiosi vogliono ricollegare il «vescovo» cristiano agli «ispettori» (mebaqqer) esseni, che presiedevano alle riunioni e vigilavano sulla amministrazione dei beni, benchè questo nome sia stato tradotto in greco con «epimeletós» e non con «epìscopos» (11) La doppia denominazione di anziano e di vescovo proviene sia dalla esistenza nella cristianità di chiese giudeo-cristiane e di chiese gentili-cristiane, sia dal fatto che i due nomi rivelavano due distinte caratteristiche dei dirigenti cristiani, quella di essere persone anziane già sposate e quella del loro ufficio di sorvegliante (12 )

L'identità biblica dei vescovi e degli anziani risulta dal fatto che le due categorie non sono mai nominate simultaneamente, dal fatto che le stesse persone prima chiamate «presbiteri» ossia «anziani» sono poi dette «vescovi» (13) dal fatto che Paolo dopo aver riferito alcune doti degli anziani continua affermando: «Bisogna infatti che il vescovo sia irreprensibile» (Tt 1, 5). Si tratta quindi di termini tra di loro del tutto intercambiabili, in quanto designano le stesse persone(14) .

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Scelta dei presbiteri

Dal Nuovo Testamento non si possono trarre norme precise riguardanti la scelta dei vescovi; si può però dire che almeno al tempo degli apostoli, la scelta più che dalla Chiesa in se stessa era attuata dagli apostoli e dai loro rappresentanti, gli evangelisti, E' scrivendo non alla Chiesa bensì a Timoteo che Paolo presenta la lista delle doti che un cristiano deve avere perché possa essere scelto all'ufficio episcopale (1 Ti 3). Tito è mandato a Creta perché «riordini» ciò che non vi era di retto e perché « costituisca degli anziani in ogni città » (Tt 1, 5).

Secondo il libro degli Atti Paolo e Barnaba, durante il loro secondo viaggio apostolico in ogni città già evangelizzata scelgono dei vescovi per i fratelli delle chiese.

Dopo aver essi (Paolo e Barnaba) scelto (cheirotonésantes ) per loro dei presbiteri per ciascuna chiesa, e dopo aver pregato e digiunato, raccomandarono i fratelli al Signore nel quale avevano creduto (At 14, 23)

Il verbo cheirotoneo, che etimologicamente significa «eleggere uno per alzata di mano » nel Nuovo Testamento ha il senso di « semplice elezione» e qui ha per soggetto Paolo e Barnaba, come tutti gli altri participi verbali che lo precedono e lo seguono, anziché tutti i cristiani (15) Anche Tito deve «stabilire » lui degli anziani secondo determinate doti che Paolo gli elenca; naturalmente la Chiesa può aver presentato dei candidati in quanto i fratelli sono coloro che meglio conoscono chi tra essi è più adatto a tale ufficio; ma la decisione spetta a Tito (Tito 1, 5).

Sembra che Paolo avesse l'abitudine di scegliere a vescovi e diaconi «le primizie dei credenti» secondo il principio che la «priorità ecclesiologica» sia dovuta a «priorità cronologica». Tali sono i membri della famiglia di Stefana ch'era primizia dell'Acaia ai quali i fedeli devono stare sottoposti (1 Co 16, 5 + 1, 16); tale era pure Epeneto primizia dell'Asia (Rm 16, 5). Questo uso è pure confermato da Clemente (16) che ci offre il particolare che i vescovi « furono investiti da loro (= apostoli) e dopo di loro da altre degne persone con l'approvazione di tutta la Chiesa » (17) .

Se l'equazione tra presbiteri e «Pastori e dottori» (Ef 4, 11) o tra presbiteri e «dottori» (didascaloi 1 Co 12, 28) fosse sicura si dovrebbe concludere che era lo Spirito Santo a scegliere i «vescovi» tramite gli apostoli i o profeti, e a rivestirli dei suoi doni. Ma tale identificazione non è del tutto certa.

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Vescovi e apostoli

Generalmente si afferma dai teologi cattolici, in ciò seguiti dagli ortodossi e da un buon gruppo di anglicani, che i vescovi sono successori degli apostoli, per cui i poteri goduti dagli apostoli sarebbero passati automaticamente ai vescovi. Mi sembra, tuttavia, che il Nuovo Testamento sottolinei a sufficienza alcune divergenze che impediscono di accogliere tale successione.

1. La missione essenziale degli apostoli è quella di « testimoniare » la realtà che essi hanno potuto contemplare. « Voi... mi sarete testimoni e in Gerusalemme e in tutta la Giudea e in Samaria, e fino all'estremità della terra » (At 1, 8). A questi «testimoni che erano stati prima scelti da Dio» il Risorto ha dato il comando «di testimoniare ch'egli è stato da Dio costituito giudice dei vivi e dei morti »(18) Per questo Pietro afferma con commozione di non voler narrare fandonie, bensì la realtà della trasfigurazione di Gesù ch'egli potè contemplare con i suoi propri occhi mentre era sul monte santo (2 Pt 1, 16-18). Giovanni più e più volte afferma di annunziare quel che egli personalmente ha veduto: « la vita è stata manifestata e noi l'abbiamo veduta e ne rendiamo testimonianza » (1 Gv 1, 1-4).

Ora è evidente che nessun vescovo odierno potrà sotto questo aspetto considerarsi successore degli apostoli, in quanto egli non ha alcuna propria testimonianza da dare. Non avendo visto il Cristo egli deve solo ripetere la testimonianza già presentata un giorno dagli apostoli (Giuda 3).

2. Per l'attuazione di tale testimonianza gli apostoli ebbero la garanzia dello Spirito Santo, che esteriormente si palesava con l'ispirazione interiore. « Quando sarà venuto il Consolatore che vi manderò da parte del Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli testimonierà di me; e anche voi mi renderete testimonianza » (Gv 15, 26). «Lo Spirito della verità, vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che avrà udito e vi annunzierà lo cose a venire » (Gv 16, 3). «Il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi annunzierà tutto quello che vi ho detto » (Gv 14, 26).

Per questo l'insegnamento degli apostoli non può essere discusso, nemmeno quando egli non ha uno speciale comando di Cristo. Paolo sa di possedere, in quanto apostolo, la grazia di essere ritenuto «degno di fede» (1 Co 7, 25). Ricevere l'insegnamento apostolico significa essere ammaestrati dallo stesso Cristo (19) Per tale aspetto gli «apostoli-profeti » sono il fondamento (themèlion ) della Chiesa (Ef 2, 20), in quanto essi continuano a predicare ancora oggi il Cristo, tramite la loro parola, vale a dire attraverso i loro scritti che tale parola preservano. La preghiera sacerdotale di Cristo mette bene in risalto che l'insegnamento della salvezza passa alla Chiesa postapostolica tramite gli apostoli, non tramite la Chiesa. « Io non prego solo per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola» (Gv 17, 20). Affinché elementi estranei non si introducessero nel messaggio apostolico, la chiesa del II secolo volle determinare bene quali fossero gli scritti normativi, per i quali essa poteva garantire l'origine apostolica di fronte al pullulare di molti apocrifi (20) .

In questa «tradizione» (ora conservata negli scritti sacri) il Cristo-Signore è presente ed è Lui, tramite gli apostoli, che si fa conoscere a noi e ci salva mediante la nostra fede ubbidiente. Il ricorso al Nuovo Testamento non è solo frutto di «arcaismo», quale il desiderio di tornare alle sorgenti, al cristianesimo primitivo – come spesso ci viene rimproverato – ma è frutto di fede: è la certezza che dal momento dell'incarnazione « gli apostoli sono stati scelti a parte come strumenti unici della rivelazione di Dio in Gesù Cristo » (21) Anche oggi Dio parla alla Chiesa mediante la testimonianza apostolica, per cui l'insegnamento degli apostoli è la norma con cui valutare ogni altro insegnamento riguardante la salvezza, l'amore di Dio e la vita cristiana (22) .

3. La missione invece dei presbiteri-episcopi si riduce a sorvegliare le singole comunità dei cristiani perché stiano fedeli all'insegnamento divino, perché non diventino preda di «lupi rapaci e di uomini perversi», che si introdurranno nella Chiesa di Dio. Perciò i vescovi devono essere pronti ad ammonire i tentennanti e i deboli (At 20, 28 ss), ad esaminare i problemi della Chiesa (At 15, 6) e a dare degli incarichi con l'imposizione delle mani (1 Ti 4, 14), ma specialmente a nutrire i credenti con l'insegnamento e la predicazione (At 20, 28; 1 Pt 5, 1-5). Essi devono quindi essere «atti ad insegnare» e devono saper convincere i contraddittori, meritando dalla comunità che sorvegliano, un «doppio onorario» qualora vi prodighino a pieno tempo il loro insegnamento (23) .

Tuttavia la loro autorità è ben diversa da quella apostolica, in quanto la loro parola non può essere considerata come normativa; i vescovi, al pari degli altri cristiani, devono essere fedeli alle parole ricevute dagli apostoli (24) Il vescovo deve infatti «essere attaccato all'insegnamento sicuro secondo la dottrina trasmessa per poter essere capace di esortare mediante la sana dottrina e di confutare i contraddittori » (Tt 1, 9).

Anche per lui quindi valgono le parole di Paolo:
« State saldi e ritenete le tradizioni ( krateìte paradòseis ) che vi abbiamo trasmesse tanto con le parole quanto con una nostra lettera » (2 Te 2, 15). « Fratelli io vi rammento l'Evangelo che v'ho annunziato, che voi ancora avete ricevuto, nel quale state saldi ( stèchete) e mediante il quale siete salvati, se pur lo ritenete (katèchein) quale ve l'ho annunziato: a meno che non abbiate creduto invano » (1 Co 15, 1-2; cfr Ga 1, 6-9). I cristiani – vescovi compresi – devono solo «accogliere» come parola di Dio (1 Te 2, 13 paralambànein ) e « mantenerlo come è stato loro trasmesso » (Rm 6, 17; Fl 4, 9).

4. L'insegnamento «apostolico» è un «deposito» che va conservato e trasmesso intatto così come è stato ricevuto. « O Timoteo custodisci il deposito, schivando le profane vacuità delle parole, le opposizioni di una scienza di falso nome, professando la quale taluni si sviano dalla fede» (1 Ti 6, 20); « Custodisci il buon deposito mediante lo Spirito Santo che abita in noi » (2 Ti 1, 14). Il «deposito » (parathéke ), secondo il diritto romano, era quanto veniva affidato in custodia a qualcuno con l'obbligo di conservarlo intatto e di consegnarlo alla prima richiesta del depositante(25)

Queste affermazioni escludono sia il concetto di scoperta di nuove «verità» che prima sarebbero solo «implicitamente » incluse nell'insegnamento apostolico, sia il concetto che i vescovi siano «gli organi viventi di questa tradizione » sotto la guida dello Spirito Santo. Ogni individui, come nel nostro caso Timoteo che non era «vescovo» ma solo un evangelista inviato da Paolo in missione temporanea, ha la possibilità di custodire il «deposito» sino alla fine della vita mediante lo Spirito Santo che dimora in lui (26) .

Perciò i vescovi o presbiteri non sono mai presentati come il fondamento della Chiesa – come lo dovrebbero essere se fossero davvero i successori degli apostoli –; anzi la loro condotta e il loro insegnamento possono venir discussi sulla base della dottrina apostolica: « Sono costretto a scrivervi per esortarvi a combattere strenuamente per la fede che è stata una volta per sempre tramandata ai santi » (Giuda 3). L'anziano può essere messo sotto accusa dai cristiani, anche se occorre motivarlo con la deposizione di due o tre testimoni (27) il che non poteva essere fatto per un apostolo. Siamo quindi ben lontani dal pensiero che i vescovi succedano agli apostoli.

5. Che i vescovi non siano successi agli apostoli si può determinare anche dal fatto che gli anziani, pur collaborando assieme agli apostoli, con i quali coesistono, sono legati ad una chiesa, mentre gli apostoli non lo sono affatto, e la loro attività si estende in tutto il mondo. Paolo ricorda tra i suoi patimenti «l'ansietà per tutte le chiese, che lo assale ogni giorno » (28) Al contrario i vescovi di Efeso devono «badare a loro stessi e a tutto il gregge in mezzo al quale lo Spirito Santo li ha costituiti vescovi» vale a dire alla chiesa efesina (29) .

Per le suddette diversità ne consegue che è impossibile considerare i vescovi come successori degli apostoli. Gli apostoli hanno una funzione a parte: quella di fondare la chiesa, di donarle la dottrina definitiva e di consegnarle l'unica via di salvezza, che i vescovi dovranno semplicemente accogliere e seguire.

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NOTE A MARGINE

1. Sarà come vedremo uno dei cambiamenti più determinanti che sono avvenuti nella chiesa in opposizione al pensiero apostolico-cristiano. torna al testo

2. Senato, da cui il nostro «senatore», indica appunto «consiglio di anziani» dal latino senes, vecchio. Si confronti la Signoria di Firenze e gli Oldermen (da old = vecchio) degli inglesi. torna al testo

3. Il nome di «anziano» non è mai applicato a Gesù, che è pur detto apostòlos (Eb 1, 1), epìscopos (1 Pt  1, 2.25), diàconos (Rm 15, 8), poimèn (1 Pt 2, 25) didàscalos (Mt 8, 19), prophètes (Mt 21, 11). Tale nome avrebbe suggerito l'idea che Gesù era sposato e avanzato negli anni, il che era falso sotto entrambi gli aspetti. torna al testo

4. Aristofane, Aves 1023. torna al testo

5. Arriano, Ind. 12, 5. torna al testo

6. Appiano, Bell. Mitrid. c. 48. torna al testo

7. Carisio, In Dig. 1,4,8. torna al testo

8. 2 Re 11, 19; 2 Cr 12, 17; Is 50, 17. torna al testo

9. Ne 11, 9. torna al testo

10. 1 Mac 1, 51; Flavio Giuseppe, Ant. Giud. 12,5,4. torna al testo

11. Documento Sadoqita di Damasco 6, 12-13: Nel Ptc i LXX traducono la radice bqr (da cui mebaqqer) con varie forme del verbo episcopéo. torna al testo

12, E' poi interessante notare come queste persone non siano mai chiamate «sacerdoti» (iereis) in quanto esse sono sì dei sacerdoti, ma alla stessa stregua degli altri cristiani, che sono tutti sacerdoti. Non appare nel Nuovo Testamento l'esistenza di un sacerdozio gerarchico superiore al sacerdozio di ogni singolo credente (1 Pt 2, 4.5.9; Ap 1, 6; 3, 9ss). torna al testo

13. At 20, 17+28. torna al testo

14. Non riesco a capire come alcuni (von Allmenn, Ph. Menoud, G. Bornkamm, H. Fr. von Campenhausen) non possano vedere ciò, e ritengano che tale equazione sia soggetta a cauzione. Che Ignazio poi non presenti l'episcopato monarchico come una novità non è affatto vero come vedremo (contro il Goguel, L'Elise primitive, Paris 1947, p. 147). Con lui siamo proprio nel periodo di transizione; le sue lettere tradiscono lo sforzo per farvi regnare l'autorità monarchica episcopale e testimoniano l'esistenza di chiese in cui tale centralizzazione non si era ancora attuata. torna al testo

15. Tale senso di scelta «senza alzata di mano » risulta dal verbo composto di At 10, 41 dove si dice che gli apostoli furono scelti da Dio (evidentemente non per alzata di mano!) per vedere il Cristo risorto (prokecheirotonêmenois ). In 2 Co 8, 10 (cheirotonèo ) (unico altro passo in cui tale verbo ricorre) è usato per il fratello scelto (non sappiamo se con alzata di mano). L'alzata di mano sembra esclusa in At 14, 23 in quanto solo Paolo e Barnaba sono presentati come agente attivo nella scelta dei presbiteri. Questo uso di semplice «scelta» appare evidente da Giuseppe Flavio che parla di un «regno scelto da Dio» (upò theou kecheirotonêmènon ) e di Gionata che fu scelto a sommo sacerdote direttamente da Alessandro (Ant, Giud, 6,13,9 e 13,2,2). Naturalmente questo verbo non può avere il senso di «ordinare» perché in tal caso si sarebbe dovuto usare «imporre (non alzare) le mani» ( keiras tithemi upò). torna al testo

16. Epist. Clem. 42, 4. torna al testo

17. Clemente 1 Cor 44. torna al testo

18. At 10, 41 s. L'opposizione «i vivi e i morti» indica la totalità degli uomini, e anche la credenza che al ritorno di Cristo non tutti saranno fisicamente «morti», ma ve ne saranno alcuni tuttora «vivi». torna al testo

19. 1 Co 15, 3 ss; Ef 4, 20; ubbidire a un apostolo significa «ascoltare», nel senso pratico della ubbidienza, lo stesso Cristo. torna al testo

20. Questo non fu attuato mediante una decisione dogmatica, autoritaria, bensì attraverso l'esame storico della trasmissione di questi scritti. Quelli che erano stati da lungo trasmessi nelle varie chiese come scritti apostolici furono accolto, gli altri no! Di qui si comprendono le titubanze e le divergenze dei vari canoni dei libri sacri, fino a che si raggiunse l'accordo, non per una decisione dogmatica, ma in conseguenza di un esame storico, possibile anche oggi a noi, sia pure con maggiore difficoltà. torna al testo

21. O. Cullmann, la tradition, Neuchâtel 1953, p. 36. torna al testo

22. Ci possono essere errori nell'interpretazione di qualche passo; l'errore è inevitabile ogni volta che l'uomo si accosta alla rivelazione divina. Ma la nostra interpretazione errata di qualche brano non diviene norma per i secoli futuri, che potranno rettificarla; anche gli uomini che verranno dopo di me si accosteranno al Cristo e , tramite il Cristo, a Dio, mediante la Scrittura non mediante il mio insegnamento di oggi. Ma nelle chiese – dico in genere perché più o meno tale tendenza sussiste in ogni chiesa se non si sta attenti – degli errori dapprima insignificanti, presi singolarmente, in virtù di un processo inerente ad ogni tradizione trasmessa tramite uomini, vengono presi a base di altri insegnamenti e si amplificano sempre più sino a contrastare l'insegnamento originario. per questo Gesù disse: «Voi con la vostra tradizione umana annullate la parola di Dio » (Mt 15, 6). Il presente studio su Pietro e il papato ne dovrebbe costituire una documentazione evidente. torna al testo

23. 1 Ti 5, 17. Il greco ha timê, vocabolo che può significare tanto «onore» che «onorario», «ricompensa pecuniaria». Lisia per indicare «vendere (una merce) allo stesso prezzo» dice tès autès timès pòiein (22, 12). In Esiodo tale parola indica « presente, regalo» (Esiodo. Opere e giorni 141). Le citazioni bibliche che seguono (Dt 25, 4; Lc 10, 7) ci inducono a preferire questo senso materiale, anzichè quello spirituale di «onore». torna al testo

24. Paolo scrivendo a Timoteo dice: «Quelle cose che udisti da me davanti a molti testimoni, affidale a uomini sicuri i quali siano capaci di ammaestrare anche altri » (2 Ti 2, 2). torna al testo

25. Cfr P.C. Spicq, Saint Paul et la loi des dépôts, in «Rev. Bibl.» 1931, p. 481. torna al testo

26. Tale «deposito » si conserva «mediante il modello delle sane parole» che Timoteo aveva udito da Paolo (2 Ti 1, 13) e che noi pure abbiamo negli scritti sacri. Il «noi» non ha un riferimento speciale a Paolo come pretende S. Cipirani (Le lettere di s. Paolo, p. 704), ma si riferisce a tutti i cristiani (v. 14). Il « custodire » riguarda «l'individuo non la chiesa»; ognuno deve conservarlo integro per sè, come spera di fare lo stesso Paolo fino al ritorno di Cristo (v. 12). il «deposito» è detto «mio» (di Paolo, mai di Timoteo) perché come apostolo gli era stato affidato in modo particolare da Cristo stesso, che lo aveva scelto a predicare l'evangelo nella forma a lui specifica (cfr Ef 3, 1-7). torna al testo

27. Date le loro funzioni direttive e amministrative (At 11, 30) potevano essere accusati di parzialità. Ma non è escluso che anche il loro insegnamento potesse venire discusso; l'evangelista – che si suppone bene istruito nell'evangelo – poteva rimproverare duramente l'anziano colpevole in presenza di tutti (1 Ti 5, 19). Anche nella cura degli ammalati (Gc 5, 14) o nell'ospitalità potevano mancare (Tito 1, 8, fiòxenoi ), come ad esempio avvenne per il caso di Diotrefe, l'ambizioso anziano aspirante al primato (3 Gv 9-10). torna al testo

28. 2 Co 11, 28; Mt 28, 18. torna al testo

29. At 20, 28+17; 1 Pt 5, 2. torna al testo